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Autore: Supreme Yameta    03/05/2013    4 recensioni
Il mondo è in subbuglio dopo avere appreso della distruzione del villaggio della Foglia e di quello della Pioggia. Akatsuki è diventata una seria minaccia per tutti ed è giunto il momento che i leader delle cinque grandi potenze militari ninja si riuniscano per decidere le nuove mosse.
Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Kakashi Hatake e Madara Uchiha saranno i principali attori degli stravolgimenti che passeranno alla storia. Il mondo ninja sarà pronto per loro?
Genere: Azione, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akatsuki, Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Asuma/Kurenai, Gaara/Matsuri, Hinata/Naruto, Jiraya/Tsunade, Sasuke/Sakura
Note: Lime, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Naruto Shippuuden
Capitoli:
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Eccomi di nuovo qui, carissime lettrici e cari lettori!
Direi che abbiamo iniziato bene la storia, che ne pensate?
Fra Sasuke e i suoi problemi mentali, Naruto e i suoi allievi, i ragazzi della Foglia che stanno impazzendo, Kakashi volatilizzato, Sai freddo come l’acciaio e Danzo scatenato, ne vedremo delle cotte di crude.
Vi sarà comunque utile sapere che nel prossimo capitolo ci sarà lo scontro fra Sasuke e l'Ottacoda, come avrete sicuramente letto nell'anticipo dello scorso capitolo. Sarà l'unico combattimento di cui parlerò per un poco di tempo; almeno per cinque/sei capitoli ci saranno introspezioni psicologiche, fatti quotidiani e tanto altro: una specie di beautiful, insomma.
Però aiuterà soprattutto a me a gestire più argomenti assieme, senza combinare cazzate.
Spero di riuscirci.
Intanto diamo il via al capitolo che già vi sarete stufati di leggere l’introduzione. Passo e Chiudo.
Buona lettura!


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Perdere chi ti ha fatto conoscere la bellezza intrinseca dell’amore, la stessa persona per cui il tuo cuore ha cantato melodie al sol riscatto del pensiero. Perdere una persona del genere, significa assoggettarsi nella bieca perdita di se stessi.




La giornata era trascorsa con i suoi alti e bassi. Sakura doveva essere veramente grata a quelle persone così care che la circondavano in un momento tanto difficile della sua esistenza.
Ino era certamente la sua forza, la persona con cui si era fin da sempre sentita più in sintonia che con le altre. Maledisse il giorno in cui si erano innamorate entrambe di Sasuke, poiché non avevano fatto altro che allontanarsi l’una dall’altra per una rivalità che non era mai esistita, dato che all’oggetto del loro amore era sempre interessata una sola donna: la dea della vendetta.
Ora che le cose erano cambiate, invece, Sakura non si era mai sentita così a suo agio con Ino; nemmeno con Hinata aveva raggiunto un tale livello di intimità, ragione dovuta soprattutto al fatto che non si parlassero da molto tempo, dopo aver litigato pesantemente.
La dolce corvina si era chiusa in se stessa fin da quando erano tornati dalla nazione della Pioggia, non spiccicò parola con nessuno, né con lei, né con Neji, nemmeno con suo padre. Non aveva neppure versato una singola lacrima, dopo aver appreso la notizia della morte di Naruto e probabilmente Sakura aveva intuito che si trattasse del fatto che il suo cuore era andato in frantumi; non poteva esistere nessun’altra spiegazione.
Proprio per tale ragione, avrebbe voluto starle vicina, aiutandola nel difficile percorso che l’avrebbe portata ad accettare la morte dell’amato e andare avanti.
Hinata non ne aveva voluto sentire ragioni. Si era totalmente chiusa in se stessi, commettendo addirittura atti di negligenza sia come amica che come kunoichi del villaggio della Foglia.
Perdere Naruto equivaleva a perdere la sua anima. Una persona senza anima non può vivere come le altre, è solo un guscio vuoto pieno di risentimento e odio che non aspetta altro che la morte, pur di estirpare il male che l’assale.
A condizione di ciò, la notte della kunoichi dai capelli rosa era spesso tormentata da visioni dell’amica morta suicida o peggio, dichiaratasi nemico dell’umanità che andava a gettare la sua vita in una vendetta inutile contro Akatsuki.
Ma che poteva fare lei se non riusciva nemmeno a convincerla ad aprirsi? Che cosa?
«Sakura…»
Una voce che destabilizzava il groviglio di dubbi e rimpianti, presente all’interno del suo subconscio, durante la fase di riposo notturno.
«Sakura…»
Di nuovo. Se l’aveva sentita una seconda volta, probabilmente non doveva trattarsi di un caso: qualcuno la stava chiamando dal mondo reale.
Lentamente aprì gli occhi, intanto che il possessore di quella voce continuava a chiamarla.
«Dai, tesoro, svegliati. È importante.»
Era suo padre.
Perché il suo papà la stava scuotendo con insistenza alle tre di notte? Che cosa poteva mai essere successo?
Sakura non poteva saperlo. Aveva ancora tutto il corpo intorpidito dal torpore della fase dormiente e gli occhi a fatica riuscivano a reggere il confronto con la foschia luminosa della limpida notte.
Le palpebre sembravano incollate fra di loro con la colla, fu un’impresa recidere i loro legami e mettere all’opera l’occhio per il suo lavoro; con una buona dose di impegno, la ragazza ci riuscì e mise pian piano la figura del genitore.
«Che succede?» mormorò con voce soffocata.
Se c’era una cosa che odiava era essere privata delle sue ore di sonno, poiché le veniva difficile riprendere sonno, una volta sveglia e passare la notte insonne non era una buon cosa. Infine le era entrato in mente lo stesso pallino di Tsunade, la quale asseriva che dormendo si riusciva a mantenere gran parte della propria bellezza; dormire, per cui, era essenziale!
Nonostante quei fattori, era troppo stanca e giù di morale per arrabbiarsi, inoltre l’espressione di suo padre non lasciava presagire nulla di buono.
Ben presto Kizashi le fece presente il problema che si era andato a palesare quella notte.
«C’è la tua amica Hinata in salotto. Non ha una bella cera e mi ha chiesto di vederti, nonostante l’ora. Parlale, per favore. Sembra importante.»
Bastò che l’uomo pronunciasse il nome della ragazza, che Sakura era già in piedi, con una mano che teneva stretta una vestaglia e con il padre caduto a terra per colpa dell’irruenza della figliola.
Gli avrebbe chiesto scusa dopo; ora c’era Hinata con cui doveva andare a parlare.
Le cure di bellezza potevano aspettare, tanto era ancora giovane.
Hinata era più importante.
Hinata era lì che le chiedeva aiuto per un’inspiegabile ragione e lei era pronta a darle tutto il suo sostegno.
Arrabbiata con lei per la lite?
No, nemmeno per un secondo.
Scese le scale di fretta, con il rischio di rompersi l’osso del collo per compiere movimento compulsivi nell’atto di mettersi addosso la vestaglia e agitarsi come un’ossessa.
Giunta in salotto la vide seduta sul sofà, stretta da un alone di tristezza.
«Hinata!» tuonò.
Vederla le aveva donato una nuova forza dirompente; la stessa forza che aveva perso dai tempi dell’assalto di Pain al suo villaggio. Pian piano stava tornando la solita determinata Sakura, senza nemmeno una spiegazione plausibile per tale processo; stava accadendo e basta.
La sua eccitazione andò tuttavia a scemarsi, quando vide l’espressione affranta della corvina e una valigia accanto. Hinata stessa non si era alzata dalla sua postazione e continuava a tenere la testa bassa, quasi non fosse in grado di sostenere lo sguardo di Sakura, dopo quello che le aveva detto.
L’allieva delle principesse delle lumache stessa si bloccò a sua volta, al fine di scrutarla meglio.
«Che cosa è successo, Hinata?»
La Hyuuga si affusolò le dita per il nervosismo, com’era solita fare quando si trovava in situazioni difficili. Il senso di disagio era misto a un opprimente vergogna, la quale le stava opprimendo a un tale livello l’animo che parlare le sembrava persino un diritto di cui non era in possesso.
«Ecco… Io…»
«Dai, non tenermi sulle spine!» la istigò l’Haruno.
Allora l’ospite si fece coraggio e parlò.
«Mio padre mi ha cacciata da casa… Non sapevo dove altro andare, per questo sono venuta qui. So che non avrei dovuto solcare la porta, dopo tutte quelle cose immeritate che non ti ho detto. È che tuo padre ha insistito…»
Fece una pausa, poiché aveva soffocato un lungo spasmo, il quale, se non fosse stato fermato, sarebbe stato seguito da un’ondata di lacrime.
Sakura l’avrebbe interrotta nel suo resoconto già dalla sua prima frase, ma era rimasta talmente sconvolta dal credere che il padre dell’amica fosse stato realmente capace di cacciarla da casa; con che cuore poteva agire in maniera tanto fredda, anche sapendo che non era un bel periodo per la figlia.
D’un tratto Hiashi Hyuuga perse ogni forma di rispetto da parte di Sakura Haruno.
Intanto la Hyuuga si era alzata e aveva afferrato il manico della valigia.
«Hinata…»
«Scusami… Ancora una volta ho fatto la cosa sbagliata.» sibilò lei.
Il viso si deformò in una smorfia, inumidita da lacrime fresche.
Allora la rosa la fermò per un polso.
«Dove credi di andare?!» domandò lei decisa.
La corvina la fissò interrogativa, poi tentò di spiegarsi.
«Ecco io…»
Sakura la bloccò. «Tu cosa? Siediti e non fare la cretina, Hinata. Come se potessi realmente buttarti fuori di casa nel cuore della notte!»
«Sì, però io…» tentò di obiettare lei.
Stava pensando alla discussione animata che avevano avuto. Lei le pensava veramente quelle cose, non era cambiato nulla circa il suo odio per Akatsuki e i rimpianti avuti. Inoltre sentiva continuamente rimbombargli nella testa le parole di Naruto, circa le sue intenzioni di tornare al villaggio solo per lei.
Perché era morto? Perché non aveva portato a termine la sua promessa?
Non era giusto.
Naruto era stata la stessa persona che l’aveva salvata anni prima dal baratro della disperazione. Grazie a lui, aveva potuto sospirare per una persona ricca di pregi e difetti; una persona che non si arrendeva mai, che ci provava allo sfinimento per poi riuscirci: lei voleva diventare così.
Il sogno di Naruto era diventato il suo.
Ben presto era pura finita la distinzione che faceva fra la sua nindo e quella di Naruto: era la loro nindo, solo loro.
Con quei desideri nel cuore e con le continue dimostrazioni di tale filosofia, Hinata si era pian piano innamorata perdutamente di lui. Non si trattava di una cotta passeggera come quella che tutte le ragazzine avevano almeno una volta nella loro vita: lei lo amava veramente.
Lo dimostrava il fatto che non ci avesse pensato due volte, prima di andare contro morte certa, sfidando Pain; eppure l’aveva fatto, l’aveva protetto con tutte le sue forze, anche se, alla fine era stato lui a salvarla.
Ora però non avrebbe mai più avuto l’occasione.
Si sarebbe cibata dei suoi ricordi per il resto di una vita, giudicata fin da quel momento miserabile.
Una vita vissuta a metà, perché la sua anima era morta assieme a Naruto.
Lo pensò nuovamente. Le lacrime caddero nuovamente e si lasciò andare nuovamente nel posto in cui era precedentemente seduta.
«Sono una stupida, Sakura… Se solo io…»
Sakura le strinse forte la mano, dandole in qualche modo sentore di essere lì a vivere il suo grande dolore.
«Quello che mi dicesti a casa tua… Ho cercato di immaginare la situazione e credo che mi sarei comportata anche peggio di te, però…»
Breve pausa della rosa, volta alla ricerca delle parole giuste.
«… Io… Sto già provando un grande dolore per Naruto e non avrei mai creduto che avrei sofferto così tanto. Per me era un fratello…»
Hinata continuò a singhiozzare. «Sakura…»
Stessero abbracciate per un tempo immemore. Sakura cercava di essere colei che la recitava la parte della consolatrice, anche se avrebbe fatto volentieri a cambio di qualcun altro: di consolare non le andava affatto. Pensò allora al fatto che se piangeva anche lei, Hinata non sarebbe stata confortata da nessuno.
Per tale ragione, a un certo punto dei silenziosi pianti, la rosa proruppe con una domanda.
«Te la senti di raccontarmi quello che è successo?»
La Hyuuga la fissò smarrita e molto riluttante all’idea; malgrado la poca voglia, ella si asciugò comunque le lacrime e fece un cenno di assenso molto lento.
Allora Sakura ricambiò alla sua decisione con un sorriso, dopodiché si alzò, dirigendosi in cucina.
«Prima però lasciami preparate del tè. Ci aiuterà a distendere i nervi.»
Hinata emise un limpido sorriso. «Grazie.»
Nonostante tutto, Sakura ci sarebbe stata a sorreggerla in quella dura situazione. Aveva bisogno di lei, perché solo assieme l’amica si sentiva potente e determinata. Desiderava emularla, anche in minima parte, armata della stessa determinazione nel voler affrontare Pain.
Strinse in denti non appena pensò al terribile capo dell’organizzazione dalle nuvole rosse. L’odio che covava nei suoi confronti era pari a quello che stava dirigendo ai capi delle operazioni che non avevano fatto nulla per avere il corpo del suo amato Naruto indietro; sapeva che non era molto, ma voleva almeno avere il diritto di seppellirlo nella sua terra natale.
Hinata sapeva comunque che per realizzare quel desiderio le parole non sarebbero bastate, come nemmeno voler desiderare che Naruto tornasse indietro, sebbene gran parte del suo cuore l’avrebbe spinta in futuro a cercare ogni rimedio possibile per poter riportare in vita l’amato.
«Sakura…» aveva chiesto con voce roca, durante l’attesa che il tè si freddasse.
Non appena ricevette l’attenzione dell’amica, la corvina continuò.
«Ecco… Hai mai sentito di una tecnica che…» si bloccò; si stava chiedendo se fosse il caso di porre quella domanda in quel frangente.
«Quale tecnica?» domandò la rosa.
«Niente!» replicò sbrigativa la corvina.
Aveva deciso che era meglio non parlarne, chissà che cosa Sakura avrebbe pensato di lei altrimenti.
Tanto per cambiare, si affrettò a tornare all’argomento principale della conversazione, in modo da troncare pure le future domande in merito a quella stupida questione.
«Mio padre aveva paura…»
«Eh? Paura? Tuo padre? E di cosa?» questionò la rosa.
«Non lo so…» replicò la corvina.
«Sta di fatto che ha detto delle cose su Naruto che non sono riuscita ad accettare e così abbiamo litigato.»
Sakura stentava a crederci.
Hinata non aveva mai controbattuto con suo padre. Per la prima volta in vita sua, aveva alzato la testa e duellato verbalmente con il temibile capo degli Hyuga perché aveva osato inzozzare la memoria dell’amato della corvina.
La Hyuuga strinse i pugni. «Lo so, ho sbagliato. Sono stata presa dalla rabbia e ho fatto cose di cui mi sono pentita subito. Credo che quello schiaffo me lo sia proprio meritato.»
Suo padre l’aveva schiaffeggiata il giorno dopo del loro litigio, dopo che Hinata si era rifiutata di venire a una riunione del clan e aver parlato nello stesso identico modo di Itachi Uchiha sugli usi e costumi del clan.
Dopo aver udito tali parole, Hiashi Hyuuga aveva perso le staffe. Lo schiaffo alla figlia maggiore venne accompagnato allo sgomento per come si era trasformata in una creatura completamente differente dalla dolce angelica kunoichi che era un tempo.
«Rivoglio indietro mia figlia…»
Quelle parole riecheggiavano nella mente di Hinata come scoppi di cannoni.
Hiashi aveva dato la colpa di tutto questo all’amore che Hinata provava per Naruto e soprattutto al fatto che ella avesse preso una brutta strada, non essendo in grado di gestire una perdita così ingente nel suo cuore. In più aveva asserito che un comportamento del genere non sarebbe stato affatto gradito dall’Uzumaki; era stata una scintilla esplosiva che aveva svegliato Hinata dal suo torpore di odio.
Dopo quella discussione, Hiashi aveva deciso di cacciare via la figlia sia da casa che dal clan.
«In questo clan non c’è posto per tipi patetici come te e nemmeno nella mia famiglia.»
Hinata aveva ingoiato quel rospo e se n’era andata, carica di sofferenza; sola come non mai.
«Tanto hai Hanabi. A te non è mai importato niente di me. Per te ci sono solo lei e Neji.»
Non aveva avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, perché non era a conoscenza del danno che avrebbero potuto fare quelle parole sia a ella stessa che al padre. Aveva fatto fagotto e se n’era andata a raccontare tutto all’amica Sakura.
Quest’ultima trascorse il tempo del racconto ad ascoltare in silenzio, poi aveva accarezzato la fronte dell’amica, piangendo.
«Stupida. Stupida. Stupida.»
Insulti della stessa portata di un sibilo, arricchiti da tetri singhiozzi che riecheggiavano per l’intera cucina, assieme a quelli della corvina.
«Sakura… Mi manca.»
Singhiozzi eterni.
«Anche a me.»
Soppresse da un dolore unico, asfissiante, le due amiche sapevano che la vita sarebbe stata ancora più dura da vivere con una tale morsa sul petto. Andare avanti era sempre difficile, ma bisognava comunque farlo, poiché non ci si poteva restare per sempre sull’orlo di un marciapiede; occorreva rialzarsi e proseguire a ogni costo.
Significava essere ninja.
Coloro che proseguivano verso il loro sentiero.

*


Nelle profondità della foresta attorno al villaggio della Foglia vi erano angoli addirittura sconosciuti ai nativi del luogo. La foresta era irta di sentieri, luoghi segreti e di tanti racconti leggendari che potevano riempire un’intera biblioteca, se trascritti.
Di quei pochi adepti a essere venuti a conoscenza dei suoi più grandi segreti, Tenzo, manipolatore dell’arte del legno, era certamente degno di ricoprire un tale privilegio; dopotutto la foresta era ella stessa fonte del suo potere, come tempo addietro lo era stata per il Primo Hokage e per la gente che vi aveva vissuto al suo interno.
Proprio per tale ragione, Tenzo non aveva avuto problemi a sfruttare l’ambiente a sua disposizione per nascondersi dopo il lungo inseguimento, a cui era scampato dalle grinfie degli uomini della Radice. Stanco e ferito, il jonin aveva raggiunto il più in fretta possibile il rifugio sotterraneo in cui Shizune e la dormiente ex Hokage stavano nascoste da più di un mese.
Shizune era corsa subito a salvare l’amico, curandolo nei migliori dei modi.
Erano passati cinque giorni dall’attentato nei suoi confronti e ancora il manipolatore del legno si sentiva uno straccio.
«Dai, Tenzo, non insistere come al solito. Sai che se ti muovi di più, le ferite si riapriranno.» l’aveva canzonato Shizune.
L’uomo era sdraiato su un futon accanto a quello del Quinto Hokage. Tenzo aveva sbuffato seccato e si era nuovamente appoggiato sullo schienale in legno, facendo attenzione alla bendatura rosella che copriva tutto il suo ventre.
«Merda… Sono stato un imprudente.»
Ne stava pagando il prezzo adesso. Di certo non poteva permettersi di stare coricato in una situazione del genere.
«Hai fatto una pazzia. È diverso.» lo contraddisse l’assistente della nipote del fondatore del villaggio.
Tenzo fece una smorfia. «Hai proprio ragione…»
Non avendo più l’occasione di poter conferire sull’argomento, l’uomo decise dunque di porre fine alla lettura che l’aveva impegnato in quei giorni; il frutto dei suoi sacrifici al quale non era riuscito ancora a dare un senso.
«Ma siamo sicuri che in quel libro ci sono dei messaggi da parte di Kakashi?» chiese la donna, mentre fissava la copertina del libro.
Ella poi assunse un’espressione saccente, ostentando un velo di gelosia in quello che stava per dire.
«A me sembra solo una scusa per voi uomini di fare i pervertiti.»
Questo perché odiava indicibilmente quando Kakashi rideva malefico da sotto la maschera, quando leggeva quei dannati libri di cui andava completamente pazzo. Shizune non poteva accettare che si pensasse continuamente a quelle cose del genere; non almeno da parte di un uomo grande e vaccinato e proprio da parte di Kakashi.
Se n’era fatta comunque una ragione, dato che l’uomo proveniva da una lunga schiera di grandi pervertiti. Partendo dal Terzo Hokage e alle sue incursioni con Jiraiya nelle terme femminili, seguendo il grande Quarto Hokage, del quale ricordava avesse problemi con la moglie, in merito alle sue medesime motivazioni, arrivando infine a Kakashi, il quale aveva inoltre subito una doppia influenza da parte di Jiraiya. Quei due, infine, avevano influenzato quel poveretto di Naruto Uzumaki.
Già, Naruto.
Chissà come avrebbe fatto a dire della sua morte alla sua insegnante, qualora si fosse svegliata. Temeva conseguenze madornali per chiunque.
Tornò a fissare l’attento Tenzo, il quale era assorto completamente nella lettura del testo.
«Mi stai ascoltando?» gli chiese.
Da un po’ di tempo nessuno la ascoltava più. Tutti chiusi nei loro segreti e nessuno che voleva dirle nulla su quello che accadeva fuori e sulle notizie inerenti Kakashi. Va bene, era l’amante del ninja copia e quindi possibile vittima del governo Danzo, ma questo non dava a nessuno il diritto di tagliarla fuori!
«Sì, Shizune. È solo che ci sono tante cose qui dentro e ho bisogno qualcuno con una buona memoria per tenere il numero delle pagine. Mi dai una mano?»
Ella arrossì. Magari era stata un po’ troppo frettolosa nel giudicare.
L’indagine era appena cominciata e già Tenzo e Shizune sapevano a priori che non sarebbe stato facile carpire le informazioni che servivano dalle fitte righe di prosa del testo; una cosa sola erano in grado di dire con certezza: Kakashi era un favoloso scrittore.
Il modo con cui collocava figure retoriche era unico, geniale era allo stesso modo la sua capacità di essere così discorsivo da ricoprire mezza pagina di una sola frase, riuscendo lo stesso a far comprendere al lettore ciò di cui si stava parlando. Shizune ricordò che solo un ninja del villaggio del Bagliore, un certo Alendri Manzoni, era stato uno scrittore di tale leva.
Malgrado i tanti elogi, i due lettori ben presto dovettero ammettere che non sarebbe stato facile trovare qualcosa nel testo, proprio perché il compositore era stato così abile, da mimetizzare ciò che realmente voleva comunicare in fittissimi veli di Maia.
«Ok.» fece a un certo punto Tenzo, una volta conclusa una pagina che stava leggendo.
«In questo modo non otterremo mai nulla. Conviene partire dall’inizio.»
Così fecero, iniziando dalla copertina del testo. Sullo sfondo blu cobalto una giovane figurina bianca correva appresso a una donzella della medesima natura, reggendosi il petto con una mano e l’occhio sinistro con l’altra; essa era inseguita da folli orde di esserini della stessa specie con gli occhi a forma di cuoricino e kunai, branditi sulle mani.
«Che strana copertina…» commentò l’assistente del Quinto Hokage.
Intanto Tenzo ebbe fatto la sua prima deduzione.
«So che sembra strano, ma pare che quel pupo sia in realtà Kakashi che viene inseguito da qualcuno. Ricordi?» si voltò verso la donna.
La quale subito risorse. «Ah, vero. Se non ricordo male lo stavano inseguendo quelli della Radice.»
Altri dettagli tornarono alla mente dei due.
Intanto alla donna sorse un dubbio.
«Anche se ancora non ho capito perché la Radice lo stesse inseguendo.»
Tenzo ebbe la soluzione.
«Se non sbaglio Kakashi aveva detto che Danzo aveva provato a prendersi il suo sharingan… Ma per quale motivo? Cosa sta tramando?»
La risposta a quelle domande l’avrebbero trovata certamente all’interno del testo, sebbene i loro sospetti comprovassero che il vecchio ninja mirasse all’occhio del ninja-copia, solo per il puro e semplice desiderio di accrescere il suo potere.
L’occhio di Kakashi era raro. Era uno di quegli sharingan che nascevano una volta ogni mille anni.
«Andiamo avanti.» propose l’uomo.
Girarono la copertina del testo. Non vi era la foto dell’autore, a differenza delle precedenti edizioni, bensì solo uno scarno trafiletto che riassumeva in poche righe la storia dell’omonima protagonista della serie, Jundo e delle sue piccanti disavventure assieme agli altri protagonisti.
Allora i due lettori passarono alla dedica dell’autore; lì trovarono qualcosa di veramente interessante.
L’autore aveva specificato che parte della sua opera era stata generata dalla collaborazione con un grande scrittore, il quale preferiva tuttavia rimanere anonimo per circostanze sconosciute. Andando avanti per il primo capitolo, uno dei protagonisti aveva incontrato un caro amico che non vedeva da molto tempo. Questo amico era solito vivere nelle foreste e sembrava essere legato sia al personaggio che alla protagonista per eccellenza del racconto. Seguì che il primo che gli chiedeva retoricamente se le vecchie radici del vecchio albero, in cui da piccola Jundo era solita giocare, fossero state ancora potate e che le foglie fossero maturate.
Per Tenzo e Shizune si trattò di un messaggio diretto a loro; un chiaro riferimento a Tenzo stesso e a Danzo.
Ansiosi, i due continuarono a divorare le pagine successive, riuscendo a catturare con molta difficoltà le chiavi di lettura che erano sparse fra i punti e le virgole. Una frase, per essere compresa, andava letta, partendo con un significato ambiguo che poteva trovarsi nelle pagine precedenti o successive; alle volte persino sulla copertina, oppure sulle conclusioni o sulla bibliografia.
«E Kakashi avrebbe scritto una cosa del genere in un solo mese?» domandò retorica l’assistente dell’Hokage.
Era stupefacente. Quell’uomo era veramente così in gamba e ingrifato che aveva composto la storia originale in quattro e quattr’otto, dopodiché aveva aggiunto con cura i suoi messaggi cifrati, fornendo alcuni stupidi indizi che potevano essere solamente compresi da chi lo conosceva: dopotutto era risaputo che Kakashi Hatake fosse un genio.
Shizune e Tenzo vennero a scoprire che Danzo era in possesso di uno sharingan e che aveva provato ad aumentare il suo potere, servendosi dell’occhio di Kakashi. Quest’ultimo era inoltre venuto a sapere che il vecchio capo della Radice si era di proposito tenuto da parte, durante l’assalto del capo dell’Akatsuki al villaggio e che era sempre lui dietro a molte quisquiglie complicate, capitate nel corso degli anni al villaggio.
Il misterioso omicidio di un reverendo membro del clan Uchiha. Misteriose sparizioni di bambini e giovani donne. Una strana e presunta collaborazione con Orochimaru, nei tempi in cui il ninja leggendario era ancora militante del villaggio della Foglia. Diversi attentati alla vita del Terzo e del Quinto Hokage. Un altro contro un emissario della Sabbia, ai tempi del conflitto fra la Foglia, la Sabbia e il Suono. Stermini di massa e tanto altro.
Alla conclusione del racconto, non c’era da meravigliarsi, quindi, se i due lettori fossero rimasti decisamente traumatizzati da quanto appreso.
Shizune convenne addirittura che un buon tè fosse un buon modo per sedare i propri animi e recuperare parte del colorito che a entrambi era stato rubato dalla lettura.
«Non posso credere che Danzo abbia fatto tutte queste cose…» sbottò la donna, dopo essersi calmata.
«Hai proprio ragione – fece Tenzo. Abbiamo sempre saputo che Danzo fosse pericoloso, ma non lo credevo fino a questo punto.»
Il manipolatore del legno sembrava molto turbato, più di quanto non lo fosse Shizune, la quale, accortasi del suo turbamento, volle provare a domandare quale fosse la natura delle sue ansie, in modo da potare in qualche modo un briciolo di sollievo nel suo cuore.
«Questo spiega tutto…»
«Eh? A che ti riferisci?» domandò la donna.
«La notte dello sterminio del clan Uchiha, trovammo molti dei loro cadaveri privi dei bulbi oculari.» rispose l’uomo.
Un brivido percosse la schiena dell’assistente dell’Hokage. Benché fosse medico, quindi abituata a vederne di cotte e di crude, il pensare che qualcuno avesse potuto giovare nell’estrarre le orbite a cadaveri di uomini, donne, anziani e addirittura bambini era assolutamente inaudito.
«Oh mio Dio… Non vorrai mica dire che…»
Dolente, il manipolatore del legno dovette annuire.
«Già. Quello che pensavamo fosse un delitto sviscerale, compiuto solamente da Itachi, si sta dimostrando una qualche sorta di pretesto per molti. Allora è stato Danzo a prendersi questi sharingan e se n’è trapiantato pure uno sull’occhio destro.»
Ora era tutto chiaro; ecco perché molti degli uomini del vecchio ninja gli andavano appresso come dei cagnolini.
Per di più, fu un altro il problema che urtava molto il jonin e voleva al più presto fare qualcosa. Provò a muoversi, al fine di rialzarsi, ma non ci riuscì, perché le cuciture sulla sua carne iniziarono a stridere. Cadde con un tonfo sul futon, con il kimono umidito da un alone rosello e colto da grandi spasmi, il manipolatore del legno dovette arrendersi al suo dolore.
Ovviamente Shizune accorse tempestivamente al suo capezzale.
«Maledizione, Tenzo! Eppure ti avevo detto che non ti devi muovere. Vuoi forse far rompere i punti?»
Ancora ansimante, l’uomo tentò di spiegare le sue ragione. Era talmente agitato che afferrò la donna per le spalle con le sue possenti mani, fissandola con espressione seria e concisa.
«Ascolta, Shizune. Dobbiamo assolutamente far sapere di queste informazioni il signor Nara. Se quello che abbiamo scoperto corrisponde al vero, allora deve ritirarsi. Danzo è troppo pericoloso!»
Era vero. Shikaku era in pericolo di vita, poiché era uno dei pochi che stava facendo opposizione alla nomina di Danzo come Sesto Hokage. Ben presto, molti erano convinti che il vecchio ninja avrebbe fatto scattare all’opera un piano per sbarazzarsi degli oppositori, senza provocare allo stesso tempo sdegno nell’opinione pubblica. Il fatto che le elezioni erano incombenti aveva reso la vita di Shikaku al sicuro, per il momento.
La donna aveva subito compreso la situazione e aveva assicurato al paziente che avrebbe cerca di inviare un messaggio al capo dei jonin il prima possibile.
«Tu pensa a riposare, altrimenti non ci sarai utile.» ripeté.
Una volta che il paziente l’ascolto, Shizune preparò con cautela un messaggio protetto da una tecnica da sigillo che le aveva insegnato tempo addietro la sua insegnante, dopodiché convocò al suo cospetto la versione più ridotta della grande regina delle lumache e le consegnò il messaggio, al fine di consegnarlo a chi era di dovere.
Shizune sospirò. Non era abituata a vivere in situazioni tanto tese da fin troppo tempo. La pace di quegli anni l’aveva totalmente inglobata al punto da dimenticare, in maniera più o meno volontaria, che il mondo ninja era sempre pieno di insidie; esse erano sia dentro che fuori dal proprio focolare domestico ed erano pronte ad attaccare al primo momento di distrazione.
Fissò il volto rugoso della sua dormiente maestra e pregò per un qualche tipo di conforto.
Quanto avrebbe voluto che si svegliasse.
Quanto avrebbe desiderato avere qualcuno con cui potersi confidare. Certo, con Tenzo si conoscevano fin dai tempi dell’accademia, ma non c’era mai stata tutta quella grande confidenza; le sarebbe bastata pure Kurenai, Sakura. Nessuno sarebbe venuto, perché si stavano nascondendo dal nemico e per la sicurezza di tutti aveva dovuto troncare i legami del mondo.
Con il mondo. Con Kakashi. Con Sakura. Con la signorina Tsunade.

*


Erano trascorsi quattro giorni.
La squadra del Falco aveva finalmente messo piede nella nazione dei fulmini.
Era la prima che uno di loro metteva piede in un posto tanto idilliaco, tempestato da irte catene montuose, avvolte da densi strati di goffe nuvole bianche e aria nella sua forma più pura. Ai pendii dei monti si estendevano boschetti, ognuno di essi con il proprio ruscello personale, dal quale sgorgava acqua rinvigorente, che tuttavia doveva essere raggiunta di proposito, poiché i sentieri da percorrere erano tutti incastonati nelle montagne, baciate perennemente da una leggera brezza da introduzione alla primavera.
I membri del Falco percorsero i vari scenari con una insolita calma. Si fermarono a ristorarsi parecchie volte e fu molto piacevole godersi quel gran bel panorama, mentre si mangiucchiava qualcosina in vista dell’ora di pranzo.
L’unico che continuava a fare pressione per accelerare la marcia, era ovviamente il capogruppo, poiché continuava ad asserire che con le cappe nere a nuvole rosse che indossavano, era molto vistosi e la gente del villaggio della Nuvola avrebbe potuto riconoscerli. Tale opzione andava assolutamente eliminata, poiché così non avrebbero potuto sfruttare l’elemento sorpresa per catturare la loro preda.
«Andiamo, Sasuke. Rilassati. Tanto c’è Karin che può intercettare il nemico.» sbottò il lavativo Suigetsu.
Anche la ragazza in questione si trovò nolente a dar retta allo spadaccino.
«Smettila di fare l’emo e smetti di rompere le scatole! Che tipo!»
In realtà non avrebbe voluto dire una cosa del genere al suo Sasuke, ma siccome era una persona molto orgogliosa, non avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, che le piaceva il tenebroso Uchiha così per com’era. Invece avrebbe proposto di appartarsi da qualche lato a godersi al meglio la giornata in maniera più romantica, solo loro due.
Nemmeno Jugo ebbe da ridire. Quel posto gli piaceva.
«Questa quiete è assolutamente stupenda. Qui mi sento in grado di controllare i miei istinti.» pensò beato.
A Sasuke comunque non importò; avevano un lavoro da portare a termine e l’avrebbero fatto. Subito.
Non passò infatti molto tempo che il gruppo s’imbatté in un chunin del villaggio della Nuvola che stava compiendo un giro di ispezione nei confini. Era da solo.
Il Falco non poteva chiedere di meglio.
I componenti adottati da Akatsuki piombarono alle spalle del malcapitato, senza che questi non potesse far nulla per impedire lo scorrere degli eventi.
Suigetsu lo aveva fatto sbattere contro una recinzione di contenimento con un calcio. Sempre lo stesso, lo afferrò saldamente per il collo con il suo potente braccio acquatico.
Una volta che i giovani ninja si assicurarono l’immobilità del nemico, partì il tempo degli interrogatori.
«Dove si trova l'Ottacoda? Dimmelo e ti verrà risparmiata la vita.»
Il ninja della Nuvola non si sorprese più di tanto di ricevere quella domanda; evidentemente non era uno stupido e sapeva benissimo che la risorsa più importante del suo villaggio, era la forza portante dell’Ottacoda; tutti volevano il suo terrificante potere.
L’unico potere in grado di accostarsi a quello della volpe a nove code.
Proprio a condizione di ciò, l’uomo si ribellò fin dal principio.
«Fanculo! Noi, ninja del clan Yotsuji, non tradiremo mai un compagno, maledetti!»
«Mi sa che non hai altra scelta, amico.» sibilò Karin maligna.
Conseguenza di ciò, Suigetsu aumentò la forza nella sua presa, arrivando addirittura a far quasi perdere i sensi al poveretto.
«Avanti, parla!» continuò lo spadaccino.
L’uomo stava quasi per soffocare.
A quel punto intervenne il capo del gruppo. «Non ucciderlo, Suigetsu. Ci serve vivo.»
«Oh, questo non posso assicurartelo, ma posso invece garantirti che lo farò cantare a modo mio, prima che tiri le cuoia.»
«No. Ci metteresti fin troppo tempo. Ci penso io.» replicò Sasuke.
Era un ordine.
Suigetsu fu dunque obbligato a ubbidire e ad allentare la sua presa, mentre il suo capo eseguiva il suo mirabolante incantesimo.
Sasuke si fece avanti verso l’uomo. L’occhio sinistro completamente chiuso, dando centralità nel suo viso solo all’occhio destro, provvisto del suo Mangekyo Sharingan.
«Tsukuyomi
L’arte illusoria per eccellenza dell’occhio degli Uchiha a cui nessuno poteva resistere.
Il chunin della Nuvola venne per l’appunto pervaso dallo sguardo ottenebrante del suo nemico; la sua psiche venne totalmente sconvolta, assieme a ogni padronanza del proprio Io.
Sasuke Uchiha non sprecava inutilmente il suo fiato. Se faceva delle domande, pretendeva una celere risposta di rimando ed è quello che avrebbe avuto dal suo nuovo giocattolo.
«Dove si trova l’Ottacoda?»
I suoi sottoposti ascoltarono in silenzio, ammaliati dal grande potere del loro temuto capo.
«Valle… Unraikyou… Allenamento…» rispose meccanicamente la vittima.
L’Uchiha fece un leggero ghigno; tutto stava andando nel migliore dei modi. Passò dunque alla seconda fase dell’interrogatorio.
«Come lo riconosco? Descrivimelo.»
La marionetta obbedì.
«Pelle scura… Occhiali da sole… Sette Spade… Simbolo Ferro su spalla destra… Corna sulla guancia sinistra…»
Una descrizione incredibilmente dettagliata. Il Falco non avrebbe potuto confondere la sua preda nemmeno volendo.
Quello che serviva al Falco era stato detto. La vittima non serviva più.
«Andiamo.»
Sasuke sciolse l’illusione, provocando uno shock mentale alla sua vittima, la quale stramazzò al suolo immobile e a cui i membri del rapace davano le spalle, diretti verso la famosa valle di Unraikyou.
«Cavolo! Con quei nuovi occhi è diventato ancora più pericoloso!» sbottò mentalmente l’albino del gruppo.
Karin invece era assolutamente ammaliata, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
«Oh, Sasuke. Sei così figo!»
Il Falco si incamminò lentamente verso la meta prestabilita; l'Ottacoda si trovava lì. Malgrado ciò, ognuno dei membri della squadra ignoravano del tutto che il nemico che stavano per affrontare era di tutt'altro livello rispetto al loro.

L'angolo dell'autore
Bene, gente. Ammetto che è stato molto arduo completare il capitolo, perché ho avuto poco tempo da dedicarvi, tuttavia ho deciso di ridurre la lunghezza dei capitoli, in modo da diminuire il carico di lavoro, aggiornando il prima possibile.
Nel prossimo capitolo avverrà lo scontro fra il Falco e Killer B, anzi dedicherò totalmente il capitolo allo scontro.
Per concludere, vorrei avere una vostra opinione in merito alla discussione fra Sakura e Hinata. Vi è piaciuta?
In prospettiva di conoscere le vostre opinioni, vi saluto, ringraziandovi con cuore per aver partecipato alla lettura del mio lavoro.
Ci vediamo alla prossima!
Ciao!

Nel prossimo capitolo

«Sta attento, Sasuke! Questo tizio è a un livello superiore al nostro!»
«Oh... Puppetto, quello che vedo è uno sharingan?»


La battaglia di Unraikyou
   
 
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