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Autore: aranceeno    04/05/2013    1 recensioni
In questa storia parlo dei Pink Floyd di fine anni 60. E' Roger Waters che parla in prima persona. A partire da questo capitolo comincia la storia che lo porterà a sostituire Syd nella band. E' una sorta di piccola ricostruzione della storia dei Pink Floyd. Le cose che scrivo sono frutto della mia immaginazione. Sfrutto ciò che so di loro per fare una mia ricostruzione personale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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La discussione di quella mattinata con Richard e Nick mi aveva buttato giù di morale, così mi sono rinchiuso nella mia stanza e ho provato a cercare qualche nuovo accordo per le nostre canzoni.
Di sera dovevo andare a trovare Syd, diceva che dovevamo finire di scrivere alcune canzoni.
In fin dei conti, non aveva bisogno del mio aiuto, lui era un genio. Accoppiava due, tre accordi e poi riusciva ad avvolgerli dentro una tonalità che ti trasportava in un mondo parallelo, colorato.
Suonare la musica scritta da lui e insieme a lui era come essere trascinati all’interno di un vortice di note e suoni che ti risucchiavano e ti facevano sentire rilassato, tranquillo. “Come quando, finalmente, riesci a farti la tua dose”, diceva lui.
Con The Piper At The Gates Of Down avevamo fatto proprio un gran successo. “L’avvento della musica psichedelica”, dicevano alcuni giornalisti. Ed era vero, la musica di Syd riusciva, non solo a prenderti il cuore, ma anche la mente e plasmarla a suo piacimento, proprio come un acido.
“Questo gruppo è la cosa migliore che potesse mai capitarmi al mondo. Meglio di quintali di roba. Tu che dici, fratello?”
Quando mi disse quelle parole non seppi cosa rispondergli. Non potevo assolutamente dargli ragione. All’interno del gruppo non era l’unico a fare uso di sostanze, però era l’unico ad abusarne in modo eccessivo, e, dal modo in cui lo faceva, era evidente che tenesse di più alla roba che alla sua musica.
Ma allo stesso tempo, se ci ripensavo, mi venivano i sensi di colpa.
Dovevamo assolutamente sostituirlo, ma sarebbe stato un duro colpo da accettare per lui. Dave era molto bravo, lo conoscevo anche abbastanza bene. Però, come avrei potuto voltare le spalle al mio amico in quel modo?
Ma, d’altronde, la registrazione del nostro secondo album si era tirata per le lunghe e non potevamo aspettare ogni volta che Syd si facesse la sua dose per riprendere il lavoro.
Dovevo dirglielo in qualche modo.
Ma ora non volevo pensarci, volevo distrarmi.
Era uno stress stare dietro ai problemi di Syd, mentre gli altri se ne fregavano dicendo “non sappiamo cosa fare, pensaci tu”. Ma avevano ragione. Solo io ero in grado di farlo ragionare.
Basta. Ci avrei pensato quel pomeriggio stesso quando sarei andato da lui. Mi sarei inventato qualcosa, come sempre.
Così mi sedetti nella poltroncina della mia stanza e cominciai a suonare il mio basso.
Era rilassante suonare. Ho sempre pensato che suonare fosse la mia salvezza. E così mi abbandonavo ai suoni emessi dalle corde che picchiavo con le dita e, insieme alle note, si innalzavano nell’aria i sensi di colpa, il rancore e il passato.
 
L’uno di fronte all’altro, occhi dentro occhi. Eravamo sereni, anche se la situazione non era delle migliori.
Eravamo seduti su una panchina della stazione, erano già le due di notte e lì sotto non c'era anima viva. Solo gruppi di ragazzi che fumavano hashish.
Eravamo anche felici, soddisfatti: riuscire a trovare un trip a quell’ora era davvero impossibile, ma non per noi.
Come sempre contavamo fino a tre e appoggiavamo la tavoletta proprio sulla punta della lingua, facendo smorfie che ci facevano ridere come matti.
Poi ci calmavamo e chiudevamo le bocche, assaporando la gustosa trippa che si scioglieva sulle nostre papille gustative, facendoci tremare di piacere.
Pian piano cadevamo indietro, fino a ritrovarci per terra, sdraiati, il mio viso di fronte al suo.
Era come il mio specchio. Vedevo nelle sue pupille, che pian piano si allargavano, le mie. Poi la testa girava. Passava un treno proprio in quel momento, ma non faceva rumore. Era come se avessi le orecchie tappate con il cotone. Poi il treno entrava dentro un flusso di colori spiraliforme che girava vorticosamente di fronte a me, come girava la mia testa in quel momento. Poi rivolgevo di nuovo lo sguardo al mio amico che mi sorrideva, beato.
“Si fratello, siamo in paradiso”.
  
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