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Autore: aranceeno    04/05/2013    1 recensioni
In questa storia parlo dei Pink Floyd di fine anni 60. E' Roger Waters che parla in prima persona. A partire da questo capitolo comincia la storia che lo porterà a sostituire Syd nella band. E' una sorta di piccola ricostruzione della storia dei Pink Floyd. Le cose che scrivo sono frutto della mia immaginazione. Sfrutto ciò che so di loro per fare una mia ricostruzione personale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Suonai il campanello, ma nessuno aprì la porta. Suonai altre due o tre volte, ma niente. Decisi così di arrampicarmi sulla grondaia per entrare dalla finestra della stanza di Syd. Che era sempre aperta.
Non ci misi molto, eravamo abituati a farlo sin da quando eravamo piccoli.
Una volta saltato sul parquet liscio della sua stanza, cominciai a chiamarlo, ma nessuno rispose.
Andai nella stanza dedicata agli strumenti, dove suonavamo e componevamo i nostri pezzi. Casa di Syd era il quartier generale dei Floyd ormai.
-Rog, fratello, finalmente sei arrivato. Sei in ritardo.
Mi disse guardandomi con il suo sorriso e sguardo assente che aveva ogni volta che si faceva un trip.
-Sembri pensieroso, cos’hai amico?
Io lo guardavo attonito. A volte mi impressionavano gli stati in cui lo trovavo quando si drogava. Ogni volta mi sembrava che fosse peggiorato. Io e gli altri alla fine non esageravamo con quegli acidi che usava Syd. Preferivamo l’hashish. Lui le preferiva tutte. E infatti, eccolo là, sdraiato per terra con la chitarra senza corde: le aveva tirate via tutte, lasciandone una sola al suo posto per punzecchiarla con l’indice.
Aveva due borse enormi e nere sotto gli occhi. Sembrava che non avesse dormito chissà per quante notti di seguito.
-No, ma cosa dici! Come ti senti? Riesci a suonare?
Volevo sembrare tranquillo ai suoi occhi. Dovevo inventarmi qualcosa per dirgli che non poteva continuare a suonare con noi se faceva così.
Lui, per tutta risposta, mi guardò e mi sorrise, quasi come se non avesse capito o sentito ciò che gli avessi detto.
Lo presi sotto braccio e lo portai in bagno a sciacquarsi il viso. Non avevo idea di quanta ne avesse presa, ma di solito, quando si trovava in quello stato, vuol dire che aveva, per l’ennesima volta, esagerato con la dose.
Dopo essersi ripulito riacquistò un po’ di colore in viso e si mise a sedere sopra il water.
-Senti Syd, non puoi andare avanti così, davvero, sono preoccupato per te.
Lui mi lanciò uno sguardo cupo e pieno di rabbia. Odiava quando gli parlavamo in quel modo della sua situazione. Lui credeva di essere in condizioni normali, o almeno cercava di autoconvincersi. Diceva di essere semplicemente “diverso” dal normale, rispetto agli altri ragazzi. E quindi non sopportava quando aprivamo discussioni di quel genere in sua presenza.
-A te non importa niente di me. Non vi importa assolutamente di come sto! Le mie canzoni nascono da questo! Mi vedi! Guardami! GUARDAMI!
Ecco, avevo sbagliato di nuovo, si era alterato in men che non si dica. Come l’avrei fatto calmare?
-A voi importa solo di guadagnare con le mie canzoni, di me non vi importa!
Ogni frase che pronunciava in quel modo era una pugnalata al cuore. Era un mio grande amico! Sapeva quanto ci tenessi a lui e, dopo tutto quello che avevamo passato insieme, dopo tutti gli ostacoli, droga compresa, che avevamo superato l’uno affianco all’altro, come poteva dire quelle cose? Anche sotto l’effetto di un trip?
-Ascoltami, ti prego. Ho una proposta da farti.
Si calmò per un secondo, forse apparentemente. Poi riacquistò la sua normale espressione da ragazzo tranquillo e taciturno e mi guardò incuriosito.
-Ho pensato che potremmo fare entrare nel gruppo Dave, quel tuo amico di infanzia, hai presente? E’ un chitarrista eccellente. Potrebbe farti da supporto, dato che mi sembri molto stanco. Potrebbe piacergli, non credi?
Il suo viso si illuminò. Forse la mia proposta gli era piaciuta.
In fondo trovargli un sopporto sarebbe stato molto meglio che sostituirlo. Avevo avuto un’idea geniale, come sempre.
-Dave, il mio caro vecchio Dave, si.
Rispose lui guardando un punto a caso tra le piastrelle che ricoprivano la parete del bagno.
Il suo sguardo vuoto mi rabbrividiva. Chissà cosa provava. Chissà se le canzoni che componeva fossero frutto di ciò che sentisse e vedesse nel suo mondo. Era totalmente estraniato, e sul palco, riusciva a fare entrare nel suo mondo pure il pubblico che ascoltava. Questo quando ancora ragionava. Stava perdendo sé stesso dentro questo tunnel immenso e io non riuscivo più a seguirlo. Ma potevo mai abbandonare il mio amico?
 
“Penso che il mondo abbia varie dimensioni. Una è quella reale e una è la nostra immaginazione. Il bello della musica che suoniamo è che riusciamo a trasportare l’una nell’altra. A volte mi sento come se vivessi solo nella dimensione dell’immaginazione e mi sento molto meglio. Chissà perché gli altri non capiscono questo ragionamento. Meno male che ci sei tu, vero Rog?”
Io lo guardavo e annuivo. Anche se ero profondamente convinto che le sue dimensioni non esistessero affatto. E se fossero davvero esistite, una sarebbe stata la realtà e l’altra la droga. E lui era arrivato a confonderle, perdendosi nella seconda, senza più riuscire a trovare la strada del ritorno.
  
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