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Autore: xjustaghost    05/05/2013    1 recensioni
Dal capitolo 3.
"Ciao,come ti chiami?". Sbarro gli occhi e lui si mette a ridere mentre io cerco di farfugliare qualcosa di incomprensibile presa dal panico. Le gambe non mi reggono più e credo di crollare a terra.
"Beh,allora sul tuo album scriverò: Alla mia fan senza nome!"
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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*coof coof* sono tornata, per l'ultima volta, perché di lasciarla incompleta non mi andava e non era giusto. Quindi... niente. Spero vi piaccia ecc ecc ecc, non sono soddisfatta di come è iniziata questa ff ma spero che sia piaciuta a qualcuno. Fatemi sapere, nel caso voleste lanciarmi qualche pomodoro in faccia.
Adieu, Em.

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Sono seduta ad un tavolino di un piccolo pub, il tavolino più appartato possibile, mentre aspetto che Brian arrivi. Non vedo l’ora che tutta questa storia finisca, anche se teoricamente non è mai iniziata. Non siamo finiti a letto, non mi ha fatto una promessa di matrimonio; ci siamo scambiati solo un piccolo bacio ma, per quel poco che lo conosco, probabilmente chissà cosa ha pensato. Sarei potuta scomparire come se nulla fosse accaduto, ma ci sarei rimasta troppo male e i rimorsi, seppur minimi, mi avrebbero divorata. Forse è solamente che mi piace finire una cosa, quando la inizio, senza lasciare tutto per aria, senza lasciar perdere.
Ordino una birra e aspetto, ancora. Guardo l’orologio e noto che è in ritardo di quasi venti minuti ma non importa, avrà qualche buona motivazione.

Finalmente arriva ma, purtroppo, non è solo: è seguito da una decina di persone, forse, quei famosi amici di cui mi aveva parlato qualche volta.
”Ehi Nik, scusa il ritardo. Ho portato qualche amico, spero non ti dispiaccia.” mi sorride e vorrei lanciargli il bicchiere in testa perché così è tutto molto complicato.
”Ciao, figurati, non è un problema.”.
Fingo un sorriso e mi guardo intorno alquanto imbarazzata. Dentro di me, continuo a ripetere che finirà tutto molto presto, sì.
All’improvviso uno del gruppo ci fa notare che non c’é abbastanza spazio per tutti e chiede agli altri di andare in un posto che non conosco e, ovviamente, nessuno si tira indietro e così devo fare anch’io.
Pago la birra e li seguo fuori, prima di entrare in macchina con Brian.
”Allora, perché sei sparita così?”
”Scusami” mi torturo l’orlo della maglietta “è che ho avuto qualche problema.”
”Spero non sia nulla di grave.” continua a sorridere, e mi chiedo cosa ci trovi di divertente in tutto ciò. “Pensavo avessi cambiato idea.”
”Su cosa?”
”Beh, su noi.” bang. Tutto il bel discorso che mi ero preparata è improvvisamente andato a puttane e vedo che la mia idea è stata pessima.
”No, beh, veramente è proprio per questo che ti ho chiesto di vederci. Io…”
”Siamo arrivati.” mi interrompe e mi maledico per essere qui, in questo momento.

Scendo e noto che siamo in un enorme parcheggio deserto, con un unico lampione funzionante al centro. È il classico luogo in cui si riuniscono quelli che non hanno un cazzo da fare e niente da perdere.
Qualcuno tira fuori qualche birra, alcune bottiglie di superalcolici e da una macchina si leva un sottofondo di musica metal.
”È così che passate il tempo?” domando.
”Sì, ma il bello deve ancora venire, tranquilla. Ti divertirai.” mi fa l’occhiolino e se ne va, dopo avermi passato una bottiglia di birra.
È abbastanza inquietante ed è l’ultimo posto in cui vorrei essere in questo momento. Penso a Shannon e tiro fuori il cellulare per mandargli un messaggio e chiedergli di venirmi a prendere ma, casualmente, non c’è campo e comunque non saprei che indicazioni dargli.
Quindi, rimango qui, con gente sconosciuta, chissà dove, lontano da tutti, con una birra in mano. Smetto di pensare e mando giù un po’ del liquido giallognolo, assaporandone il sapore amaro e muovendo i piedi a ritmo di musica.

Sono alla quarta birra e ho qualche giramento di testa. Cerco di parlare con Brian ma è tutto inutile, continua a presentarmi dei suoi amici, che nel frattempo sono aumentati, e quasi quasi mi sono rassegnata.
Inizia a farsi tardi e a fare freddo, chiedo a Brian di riaccompagnarmi a casa e lui, di tutta risposta, mi lascia una bottiglia di rum in mano e mi dice di divertirmi. Così mi siedo con la schiena contro al lampione, sull’asfalto umido per la recente pioggia, e bevo, bevo, bevo.
Bevo, fino a che qualcuno mi si avvicina, mi parla ma non sono totalmente in me per capire e tantomeno per rispondere.
Il resto avviene molto in fretta, o è l’alcool che distorce il tempo. Una siringa, un elastico attorno al braccio e un leggero bruciore nelle vene. Non so chi sia stato, ma se prima la testa mi girava, ora ho un uragano nel cervello.
Ciononostante mi alzo, barcollando, e qualcuno mi sorregge. La musica mi rimbomba nelle orecchie e sento improvvisamente caldo, nonostante le temperatura sia abbastanza bassa.
Brian si avvicina, barcollando anche lui, e mi trascina chissà dove per ballare, sempre che si possa ballare su della musica metal. Nonostante sia fatto anche lui, sembra messo meglio di me e continua a parlarmi e io non capisco e annuisco, faccio sì con la testa perché sono euforica e penso di non essermi mai sentita così felice e libera in vita mia. Non esistono problemi: non esiste la Nichole orfana, né la Nichole quasi fidanzata con un batterista famoso. Esiste solo una poco più che ventenne strafatta in un piazzale deserto di periferia.
Mi porgono un pezzo di carta con della polvere sopra e una banconota arrotolata, non ci penso due volte e tiro su, ingenua come una bambina a cui si danno delle caramelle.
E Brian è vicino a me e lo sento ridere, e sento le sue mani che si fanno spazio sotto la mia maglietta.
”Ti divertirai”, mi aveva detto, ma non credevo sarebbe arrivato fi qui.
La sua lingua si fa spazio prepotentemente nella mia bocca mentre il suo corpo mi spinge contro al lampione e le sue mani continuano a toccare ogni centimetro della mia pelle. Gli direi di smetterla, gli urlerei che tutto ciò mi fa schifo, gli spiattellerei la verità in faccia, che non mi piace, che l’ho voluto vedere solo per farla finita, se solo non fossi strafatta e non sapessi nemmeno più il mio nome. E sto lì, immobile, quando mi spoglia e si prende il mio corpo sul selciato che puzza di pioggia, con le bottiglie sparse sul pavimento e i suoi amici lì intorno. Non sento dolore, non sento piacere; non sento nulla se non il suono ovattato della musica e le risate di quei balordi dei suoi amici. Sento un liquido scendere tra le mie cosce, e lui se ne va. Se ne va e qualcun’altro si appropria del mio corpo, trattandomi come uno straccio. E dopo di lui ancora e ancora, fino a che il mio corpo inerme non ha accontentato tutti quelli che erano riusciti a rimanere in piedi.

Non mi muovo, non l’ho fatto per tutto il tempo e sono come addormentata. Poi sento silenzio, la musica si è spenta, io non riesco a respirare e sento qualcuno urlare di chiamare aiuto e scappare.
Così mi lasciano lì, lasciano il mio corpo morto e violentato per terra, morto per insufficienza respiratoria, morto per l’alcool e la droga.

Arrivano, i soccorsi arrivano e trovano una giovane ragazza ricoperta di lividi e segni di violenze. Non più una ragazza, solo un cadavere spoglio e senza nulla da dire, quei segni sul suo corpo parlano per lei. E la notizia fa il giro dei notiziari notturni e in una casa, poco lontana da lì, c’è un uomo che piange.
Un uomo che è andato a dormire con l’ansia, che è stato svegliato brutalmente dalla suoneria del cellulare, che ha risposto e ha sentito una voce piatta e priva di sentimenti dirgli “Avremo bisogno di lei per il riconoscimento di un cadavere di una giovane ragazza”. Ed è stato quello il momento in cui ha sperato di non essere mai nato, di non averla mai conosciuta, quella ragazza, di non essersi mai innamorato di lei per poi rivederla, per l’ultima volta, sulla fredda barella di un obitorio.

 

   
 
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