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Autore: aranceeno    12/05/2013    3 recensioni
In questa storia parlo dei Pink Floyd di fine anni 60. E' Roger Waters che parla in prima persona. A partire da questo capitolo comincia la storia che lo porterà a sostituire Syd nella band. E' una sorta di piccola ricostruzione della storia dei Pink Floyd. Le cose che scrivo sono frutto della mia immaginazione. Sfrutto ciò che so di loro per fare una mia ricostruzione personale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Erano passati ormai dieci giorni dal tour negli Stati Uniti.
Io ero a letto, i preda ai miei pensieri. Al buio delle 3 del mattino guardavo il soffitto bianco in cerca del sonno. Ma non riuscivo a dormire. Appena chiudevo gli occhi, mi riapparivano davanti le scene di Syd durante i concerti dei giorni scorsi.
Era la prima volta che faceva davvero il matto in pubblico. Avevo assolutamente bisogno dell’aiuto di Dave.  L’indomani sarebbe stata la vigilia di Natale. Sarei andato a casa sua a chiedergli di entrare nel gruppo definitivamente, anche perché lui aveva finito con i suoi tour.
Intanto  dovevo pensare a dormire.
Ma non ci riuscivo. E più cercavo il sonno e più le loro parole, il suo viso e le sue grida, si facevano forti dentro la mia mente. Mi tiravano dentro un tunnel di emozioni brutali, dal quale non riuscivo a fuggire. E supplicavo dentro di me, di riuscire a trovare una via d’uscita a tutto questo.
 
Stavamo suonando la nostra nuova canzone, di fronte al pubblico. Ma lui, seduto lì, sulla sedia di fronte al microfono, non accennava a cantare o a muovere un dito. Si limitava solo a sfiorare le corde della chitarra, perso nei suoi viaggi mentali.
Dovevamo fare tutto io e Rick.
Andò così per tre giorni di fila, ormai ci avevamo fatto l’abitudine.
Ma il quarto giorno siamo rimasti sconvolti sia noi che il pubblico.
Era tutto tranquillo. Nick ci dava il tempo con la batteria e io e Rick suonavamo e tentavamo di fare ciò che Syd non faceva minimamente. A ogni nota sbagliata, la rabbia mi invadeva sempre di più. Non lo capivo, davvero. Non riuscivo a farmi una ragione del comportamento di Syd.
Poi si alzò dalla sedia e si girò verso di noi, dando le spalle al pubblico. Cominciava a ridere a crepapelle.
Io e Rick ci spaventammo. Non volevamo interrompere il concerto, il pubblico non faceva neanche tanto caso al comportamento del nostro amico. Ma sapevamo che, se non fossimo intervenuti, sarebbe stato comunque inevitabile l’arresto del concerto.
Troppo tardi.
Syd cominciò a dare di matto spaccando la chitarra per terra con tutta la furia che aveva. Prendeva il microfono e urlava, poi lo buttava in mezzo al pubblico  e poi, dopo aver esaurito tutte le forze, si accasciava per terra, pallido, sudato ed esausto.
 
“Basta, Rog, davvero. Hai fatto il possibile.”
“Non è colpa tua. Ci hai provato, ma niente, è irreparabile la sua situazione.”
Le voci di Rick e Nick rimbombavano ancora nella mia mente.
 
“Io non so più cosa fare. Si rinchiude sempre di più in sé stesso e ogni volta che vengo a casa sua per stare insieme a lui, devo scappare subito dopo mezz’ora perché comincia a impazzire o si ammutolisce senza più dire niente. Stiamo immobili e in silenzio, fino a quando non mi alzo per tornarmene a casa. Io lo lascio! Non ne posso più!”
Anche la voce rotta dalle lacrime di Lindsay mi riempiva il cervello e mi spezzava il cuore più di quanto non lo fosse già.
Mi scoppiava la testa. Ormai avevo raggiunto il limite. Non potevo fare tutto da solo. Avevo davvero bisogno di aiuto.
 
“Vedi fratello… io lo so che non sono come gli altri. Voi invece siete tutti uguali, ecco perché non mi sopportate. Perché è vero, le vedo nei vostri occhi che non mi sopportate. Io lo so. E tu non sei più il ragazzo di una volta. Ma non mi interessa. E’ la mia musica e la suono come mi pare, e se a te non piace, puoi anche uscire dal mio gruppo. Ciao Roger, a domani.”
Ormai si comportava come un bambino. Mi aveva detto quelle parole il giorno prima, di fronte alla porta di casa sua. Ormai non mi lasciava neanche dire ciò che volevo dirgli. Era diventato impossibile discutere e fargli capire qualcosa. E le sue parole mi avevano ferito più che mai.
E sentivo un grave peso dentro di me. Perché in fondo ciò che mi aveva detto non era del tutto falso. Io stavo cercando qualsiasi soluzione per sostituirlo e anche il resto del gruppo non lo voleva più intorno.
Più ci pensavo e più questo penso in me si faceva vivido e reale. Pesava come non mai. Come i sensi di colpa.
  
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