Memories
Il tempo lì non esiste. Non veramente.
Il giungere della notte o il sorgere del sole è abitudine sconosciuta lì.
I pastelli però, non si consumano. Lo stomaco non si contorce dalla fame. I
capelli non crescono.
Non sa perché lo sa, ma è consapevole che in quel luogo c’è qualcosa di
anomalo.
Le creature non cambiano.
Il tempo lì non esiste.
Ma lì dove?
Vuole andare fuori. Vuole uscire.
Non le piace stare sempre da sola. I
quadri la fissano e ridono di lei, lei che non ha cornice, lei che non ha pace.
I passi veloci che accorrono verso l’ala ovest sono così leggeri che fanno
tenerezza.
La farebbero, se lì ci fosse davvero qualcuno.
Mary vuole andare fuori. Vuole uscire.
Ma uscire dove?
Crack.
Nel correre le è venuto il fiatone; c’è stato un rumore, ne è certa.
Poi li ha visti, accanto ai quadri degli Sposi, belli come il sole, tanto reali
da far male.
Hanno una rosa stretta nelle rispettive mani: rossa e blu.
Due dei tre colori complementari.
Prende il pastello giallo dalla tasca, e sorride.
Crack.
Una rosa perfetta.
Li spia per tanto, tanto tempo, tuttavia non sa per quanto, non per davvero.
Il tempo, in fondo, non esiste.
I due davanti a lei camminano lentamente, circospetti.
Sono stanchi, hanno fame e sete. Sensazioni che non le appartengono, su cui non
si è mai interrogata.
Mary vorrebbe avvicinarsi, ma indugia, anche quando la bimba sta per consegnare
la sua rosa rossa al quadro affamato.
La vuole lei, quella rosa. L’uomo la blocca.
Li spia anche dopo, quando si allontanano; esce dal suo nascondiglio.
Il quadro ride, quando la vede; in tutta risposta, lei gli rivolge uno sguardo
di biasimo.
«Che cosa c’è? Anche tu dovrai divorare una rosa,
se vuoi saziarti»
Silenziosa, riprende a seguirli, e ben presto si dimentica quelle parole.
Non si sa quanto ci abbia messo, non per davvero.
Il tempo, in fondo, non esiste.
Quando i due si presentano, il corpo freme.
La credono una di loro, pensa.
In fin dei conti, si domanda poi, perché non dovrebbero: lei è una di loro.
La mano di Ib è calda, è una sensazione piacevole.
Probabilmente anche quella di Garry lo è, ma non le
importa.
La rosa rossa della bambina è meravigliosa, ogni petalo riluce di una
naturalezza profana.
Mary fissa con vergogna la sua, così sterile e secca, opaca come un disegno
dimenticato.
Ma
poi se ne dimentica, coccolata dal calore della sua prima amica.
La sua unica amica, che vuole stare insieme a lei.
“Per sempre” bisbiglia eccitata.
Il corpo freme.
Si è separata da Ib e Garry
solo un momento, e una cornice dorata è scesa dal muro e si è trascinata fino
ai suoi piedi.
«Che bambina ingorda» sputa la Donna in Blu «A
cui non basta un’immensa galleria come dimora». Mary la fissa, poi posa lo sguardo
sui muri lisci e puliti.
Lei non è mai appartenuta a quel luogo, a quella perfezione; lei non appartiene
a loro.
Lei è sempre stata diversa, lei non ha una cornice ad intrappolarla: lei
dev’essere qualcosa di speciale, deve appartenere agli “altri”.
Ib l’ha raggiunta; la Donna in Blu si è dileguata. Le
sorride.
La mano calda di Ib che afferra la sua è qualcosa di
bellissimo.
Appartiene a lei.
E’ sicuramente, sicuramente così.
La Donna senza l’Ombrello si lamenta, ma solo lei pare sentirla.
Sono stati divisi, Ib cerca disperatamente un modo
per ricongiungersi con Garry.
Lei non è abbastanza, dopotutto. Eppure lo sa, lo sente, il suo futuro è tra le
braccia di Ib.
La Donna si lamenta, mentre tende le mani verso l’alto, verso una stanza che
non può raggiungere.
Mary allunga le mani verso Ib, e l’abbraccia; lei può
toccarla, ferirla, baciarla.
Odora di zucchero.
Lo zucchero è dolce ed è buono, proprio come la bambina.
Non sa perché lo sa.
Mary vuole conoscerlo, il dolce, esattamente come l’amaro, il salato e il
piccante.
La Donna senza l’Ombrello si lamenta, Mary la ignora, persa nel mellifluo
profumo di Ib.
Mary non sa esattamente cosa sia un sogno.
Il tempo lì non esiste, la notte probabilmente non è una dimensione necessaria.
Mary non sa cosa sia un sogno, ma ha come l’impressione che si stia disgregando
davanti a lei, in tanti piccoli frammenti.
E’ scappata da Ib, è scappata dal suo futuro.
Il luogo buio in cui vaga è familiare, ma non sa esattamente dove conduce.
Ovunque ed in nessun luogo.
Tante deliziose bambole sono disseminate per i corridoi: sembrano parlarle, ma
Mary non presta attenzione.
Poi, dopo molto, o poco forse, giunge all’ultima stanza: una cornice caliginosa
accoglie una tela strappata, nell’avvicinarsi Mary pesta uno dei tanti pastelli
rosa sparsi sul pavimento.
C’è anche un foglio, uno schizzo veloce, con una bambina in verde dagli occhi
azzurri.
Mary non sa cosa sia esattamente un sogno, ma sa che quello probabilmente è un
incubo.
Mary ricorda all’improvviso il giorno in cui aprì gli occhi: fresco sui suoi
occhi, gelo per il suo corpo.
Lei non era calda come Ib, non lo è mai stata e mai
lo sarà.
Ricorda l’abito verde che non scoloriva, i capelli biondi che non crescevano.
Ricorda la solitudine. Ricorda il lacerarsi della tela.
E poi non ricorda più, e sorride.
Deve correre a cercare Ib, deve invitarla a disegnare
con lei.
Non importa quanto ci metterà a convincerla, lì il tempo non esiste.
Lì dove?
Non importa, il “per sempre” ha un sapore zuccherino che confonde Mary.
Ha il profumo di Ib.