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Autore: Cornfield    16/05/2013    1 recensioni
(Dall'ottavo capitolo):
Non riuscivo a crederci. Non riuscivo a guardarla in faccia, non meritavo di guardarla in faccia, non sapevo suonare, non sapevo allacciarmi le scarpe, sapevo solo di non sapere. Ero un completo disastro.
E mia madre aveva ragione.
Scesi di corsa dalle scale e uscii da casa, mentre mia madre piangeva lacrime amare, mentre il cielo piangeva e la mia faccia era completamente bagnata.
Dal sudore, dalla pioggia e da altrettante lacrime.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Berkeley,1996.

Arrancai faticosamente verso il ciglio della strada, trascinandomi con le ultime forze rimanenti.
Provai ad ottenere un passaggio, ma nessuno sembrava fottutamente degnarmi di uno sguardo. Sospirai esausto e mi lasciai cadere sul muro unto e contornato di scritte.
Non ero in grado di camminare da solo verso casa.
 Perché avevo bevuto.
Ancora.
Il pozzo che inebria il senso di colpa.
Proprio quello.
E succedeva ogni volta. Era un ciclo che si ripeteva continuamente, ossessivamente, senza lasciarmi gridare.
Monotonia.
La monotonia è la nostra vita.
Ognuno si lamenta del proprio paese, ma non fa assolutamente un cazzo per cambiarlo. Il ciclo cosi si ripete.
Sempre.
Soddisfatti sempre della solita vecchia MERDA.
Tutto il tempo.
Tutto il tempo, tutto il tempo avevo bisogno di quel caldo piacere che mi inebriava la bocca e i sensi: l’alcool.
La droga era dimenticata.
L’alcool no.
E sarebbe stata ancora un’altra litigata con Adrienne. Nuovamente fottuto senza un bacio e trascinato nel fango.
Non ero riuscito a riprendermi completamente. Sballottato da una parte all’altra, confuso, stanco.
La pietra della preoccupazione è diventata polvere, ma non è sparita.
Provavo ad urlare, ma nessuno sembrava sentirmi.
E’ strano.
E’ cosi fottutamente strano.
Ero un giovane con tanti progetti ad ambizioni che ora sono finiti dritti nel cesso insieme a me.
Ora ero diventato soltanto uno dei tanti scorbutici vecchi di merda.
Non avevo voglia di fare sesso.
Ero sempre maleducato.
I bambini rompevano i coglioni.
Apatia.
Indifferenza.
Rassegnazione.
Gioventù bruciata
.
Il mondo mi doveva delle scuse, quindi fanculo.
Non c’era niente di giusto in me, il mondo mi aveva modellato in questo modo.
Odiavo tutto.
Odiavo me stesso.
La mia pancia ingrassava e io mi decomponevo.
Sbagliato, era tutto sbagliato. Ma non potevo farci niente.
Non ho mai saputo fare niente.
Ero un completo disastro.
Billie Joe Wrong, suona bene cazzo.
Mi rialzai e buttai la bottiglia di birra ormai vuota, dirigendomi verso casa, per quando le mie condizioni potessero permettermelo.
Camminavo da solo. Non in senso letterale.
Completamente da solo.
Da solo, sul ciglio della strada. Senza che nessuno mi proteggesse, mi prendesse per mano e mi condusse dall’altra parte.
Ed era colpa mia. Io li avevo allontanati da me.
Incontravo Mike e Tré soltanto una volta alla settimana per discutere del nuovo materiale.
Credevano che tutto era apposto.
Ma non lo è mai stato.
A volte avrei dovuto chiedere scusa, prima di tutto a me stesso, perché loro non erano nella mia testa e non potevano conoscere cosa cazzo provavo.
Ma io ne ero a conoscenza?
A volte dovevo ammettere che non ero a posto, ma non ci riuscivo.
A volte avrei fatto meglio a chiudere la mia merda di bocca.
E a volte avevo l’impressione sempre di camminare da solo.
Non socializzavo mai con nessuno. Avevo un groppo in gola quando sentivo che Mike usciva con un altro tipo.
E io non c’ero.
Vivevo solo nei miei pensieri.
Vivevo solo in una bottiglia di birra.
Provavo a stringere gli occhi per vedere, chi, cosa ci fosse oltre quel cortile.
Era una faccia familiare?
Troppo ubriaco per capirlo.
Troppo ubriaco per capire che a mano a mano i miei amici svanivano dalla mia vita.
 
Ritornai a casa.
Adrienne non c’era.
Si era portata con sé Joseph e Jacob.
Sospirai contento. Per fortuna non mi avrebbe visto in quello stato.
Mi stesi sul divano cercando di dormire, ma la testa mi pulsava di troppi pensieri.
Avevo bisogno soltanto di un’altra birra.
Solo una.
Ma non devi.
Ma ne ho bisogno.
Per risparmiare i miei monologhi interiori, mi alzai rapidamente dirigendomi verso lo scantinato, era li che Adrienne custodiva l’alcool. Non sapeva che io fossi a conoscenza del nascondiglio.
Feci per stappare la bottiglia ma inciampai su uno scatolone rovinosamente, imprecando.
Lo scatolone era pieno di foto alla rinfusa, testi di canzoni e tante altre cose ingarbugliate.
Tanti ricordi, tanti momenti impercettibili erano custoditi li.
Presi una foto rovinata a caso e sorrisi istintivamente. Raffigurava me e Mike da bambini al mare, probabilmente l’unica volta in cui fossi mai andato. Eravamo abbracciati in modo impacciato tutti e due, con sorrisi beffardi e il viso per metà coperto dal sole.
Decisi che quel pomeriggio l’avrei passato a cercare altre foto e a divincolarmi nei miei polverosi ricordi.
Cercai sul fondo della scatola altre cianfrusaglie e mi ritrovai in mano quello che sembrava un testo di una canzone.
Mi brillarono gli occhi alla vista di quel nome.
Di quel nome magico e misterioso.
Cominciai a ricordare.
Improvvisamente.
Come un sogno quasi dolce.

 
Berkeley,1992.
Merda.
Una merda totale.
Ecco cosa stava succedendo.
La vigilia del mio compleanno. Dovrei essere felice. Ma non so di cosa sia fatta la felicità.
E’ un piacere intenso? Meraviglioso?
Ma cosa importa.
Non può importarmene più di tanto, la felicità va sempre a farsi fottere.
Adrienne, l’unica che poteva lenire il mio inconsueto dolore, non c’era.
Non c’era.
Ogni giorno della mia vita lei non c’era.
Erano passati chissà quanti mesi.
E lei ancora non c’era.
La felicità non c’era.
Entrai distrattamente in un bar, sedendomi su uno sgabello rovinato e ordinando una birra qualunque.
Solo quando la bottiglia raggiunse la metà, mi accorsi che una figura distinta era sull’altro sgabello a fianco a me.
Si girò.
Aveva la carnagione chiara, gli occhi grigi a mandorla e la bocca sottile. Fumava una sigaretta, nonostante nel locale fosse proibito, nessuno tuttavia sembrava accorgersene.
Mi salutò con un cenno e io ricambiai con noncuranza, accennando un sorriso.
“Come va?” Mormorò improvvisamente.
“Va come va la vita.” Risposi rassegnato.
“Già.”
Silenzio.
“E come va la vita a te?”Continuò.
Alzai le spalle, un po’ sorpreso da quell’affermazione. Raccontare i miei problemi ad una perfetta sconosciuta era effettivamente una cosa strana, ma a pensarci non avevo nient’altro da fare.
“E’ la vigilia del mio compleanno e la ragazza che amo è lontana mille miglia da qui. E lei non sa cosa provo nei suoi confronti. Tutto bene insomma.”
“Sei molto fortunato quindi.”
“Sei sarcastica spero.”
“Trovo che il sarcasmo sia una cosa da stupidi.”
Le rivolsi uno sguardo d’incertezza.
“Si, secondo me sei fortunato. Tu sai amare.”
“Credo sia più che altro un difetto, non un pregio.”
“Chiamalo come vuoi, ma io non so amare.”
Stavo cominciando ad diventare sempre più confuso seguendo la conversazione.
“E … per quale motivo non sai amare?”
“Non so. Credo sia dovuta a quella cosa li. Com’è che si chiama? Apatia. Ma sinceramente non m’interessa.”
Sospirò.
“Qual è il tuo nome?” Fece, cercando di cambiare discorso.
“Billie Joe.”
“Carino.”
“Sembra un nome di femmina.”
“Lo è.”
“Sei divertente come un cactus nel culo.”
“Non sono divertente.”
“Il tuo nome invece?”
Sorrise.
Spense la sigaretta.
Haushinka”. Sussurrò.
In quell’istante sapevo che quel nome me lo sarei ricordato per il resto della mia vita.
Quel nome particolare, meraviglioso,affascinante. Era tutto, era intriso di mistero.
Era meraviglioso.
“Billie Joe, sei qui?”
Mi risvegliai dal torpore che si era impossessato di me.
Annuii.
Sorrise di nuovo.
I suoi sorrisi caldi mi ricordavano quelli di Adrienne.
“Bello il tuo nome, dico sul serio.”
Sembrò ignorarmi.
“Sei triste?”
Rimasi interdetto.
“Sei triste Billie Joe?” Ripeté.
Nessuno mi aveva mai posto una domanda del genere.
“Si..”
“Non puoi esserlo. Non puoi essere triste della tua vita. Ama ciò che ti rende felice, ma non la tua felicità. Mettiamola cosi: la felicità è un modo di vedere la vita. Se non sei felice sei cieco. E rialzati. Rialzati da quel mucchio di merda che hai addosso è chiaro? E prova a guardare cioè che ti circonda. Non è un bello spettacolo, lo so. Allora prova a vedere ciò che hai dentro. E’ li la risposta.”
Silenzio.
“Non so da dove mi sia uscita questa cosa, l’avrò rubato a qualche poeta probabilmente. Non è da me, sul serio. Sono solo la solita ragazza apatica odiata da tutti se questo che vuoi sapere.” Rise.
Non riuscivo a formulare niente.
Guardò l’orologio con la coda dell’occhio. Si alzò dallo sgabello.
“Bhè addio.”
“Addio?”
“Non credo che ci rivedremo.”
“Sarai sempre nei miei ricordi.” Mormorai senza saperlo.
Sorrise ancora una volta.
“Devo andare.”
“Dove?”
“Devo prendere la mia strada.”
“Quale strada?”
“Chi lo sa.”
“Secondo te la tua strada potrà mai ricondurti a me?”
“Le strade cambiano continuamente nome e direzione non credi?”
Detto ciò prese la sua borsa e si avviò verso l’uscita.
“Ti aspetterò sempre Haushinka, sappilo.”
Si girò verso di me.
“Riguardati. E non essere triste.”
Uscii.
E di lei mi rimasero solo i ricordi e una sigaretta spenta.

 
Haushinka.
Il suo nome continuava a rimbombarmi in testa.
Le sue parole continuavano a rimbombarmi in testa.
Portai il foglio in soggiorno e ci feci rapidamente una base per la canzone.
Quel flash back mi aveva reso incredibilmente felice senza un particolare motivo.
A distanza di anni la stavo ancora aspettando.
E l’avrei aspettata, per il resto della mia vita.
La sto aspettando.
La sto aspettando ancora.





Allora ciao (?). Ho aggiornato in ritardo si, a causa dei vari stramalefottutissimi impegni.(Saggi di chitarra, esami di inglese e ovviamente compiti che aumentano alla fine dell'anno per scassare le ovaie le scatole).Forse anche per il prossimo capitolo sarà la stessa cosa, non so.
Anyway, questo qui non credo sia uscito un granché, o almeno non come lo volevo io. Il dialogo tra Haushinka e Biggei mi sembra un pò stupido (D:).
Come forse avrete notato (o non l'ha notato nessuno lel) non sto più aggiornando la mia altra storia (Little Boy Named Train) perché voglio concentrarmi principalmente su questa. Ma tranquilli (probabilmente parlo da sola :'D) non la lascerò cosi e la continuerò in seguito.
Nient'altro da aggiungere, spero come al solito in una piccola recensione delirante.
Rage, lelly kelly, posaceneri,porte e love a tutti.

No one Knows.
































  
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