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Autore: aranceeno    18/05/2013    1 recensioni
In questa storia parlo dei Pink Floyd di fine anni 60. E' Roger Waters che parla in prima persona. A partire da questo capitolo comincia la storia che lo porterà a sostituire Syd nella band. E' una sorta di piccola ricostruzione della storia dei Pink Floyd. Le cose che scrivo sono frutto della mia immaginazione. Sfrutto ciò che so di loro per fare una mia ricostruzione personale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Quel pomeriggio dovevamo vederci tutti a casa di Syd per completare alcuni brani. Dovevamo solamente sistemare le ultime cose  e poi, finalmente, li avremmo potuti registrare in sala. Non vedevo proprio l’ora.
Io, Rick, Nick e Dave camminavamo l’unico a fianco all’altro, vicino a Holland Park Avenue, diretti a casa di Syd.
-Mancano solo gli ultimi sforzi e finalmente saremo in sala registrazione!
Nick era davvero eccitato all’idea, seguito sempre dalla tranquillità di Rick, che quel giorno sembrava anch’essa intrisa di eccitazione.
-Beh, se non fosse stato per Dave, adesso non saremmo qui!
Dave sorrise alle parole di Rick. Era molto modesto, lo ammiravo per questo. Io e Syd eravamo molto diversi. Ci piaceva farci notare, far sapere a tutti di che pasta eravamo fatti.
Fra Dave e Rick c’era molta intesa. Lo avevo capito subito la prima volta che hanno provato insieme il nostro nuovo brano “A Saurceful Of Secrets”. Insieme erano una coppia perfetta, non me lo sarei mai aspettato.
Arrivammo a casa di Syd. Da fuori sembrava tutto tranquillo, ma, avvicinandoci di più, cominciavamo a sentire il suono della sua Fender sulle note di “Scarecrow” e la sua voce si librava nell’aria circondando la casa con un alone psichedelico di un’allegria accompagnata da un’angoscia che riusciva a farmi sentire come in bilico fra tutte le mie decisioni.
I miei amici rimasero lì ad ascoltare prima di bussare. Rick gesticolava con le mani, come se stesse suonando una tastiera invisibile e Nick batteva il piede per terra a ritmo. Dave si appoggiò la schiena al muro a fianco alla porta, in attesa che qualcuno di noi bussasse.
Sospirai e bussai, sperando di non incorrere a un altro litigio con il mio amico.
 
-Aspetta riprova così, forse sto andando troppo veloce..
-Vi do il tempo con la grancassa?
-Ok, ok, riproviamo
Provavamo lo stesso pezzo da un’oretta. Non riuscivamo a venirne a capo.
“Corporal Clegg”. Era una canzone che avevo scritto in ricordo del sacrificio di mio padre in guerra. Non so perché avessi voluto incidere qualcosa su di lui. Forse per stuzzicare l’interesse quasi scomparso di  Syd, dato che entrambi eravamo orfani di padre e lui sapeva bene cosa provavo io, dato che ne avevamo parlato più volte. O forse l’avevo scritta per affrontare me stesso e tutte le paure che mi avevano atterrito tutta la vita e che ho dovuto affrontare da solo senza una figura paterna al mio fianco.
Syd era seduto sul divanetto a guardarci. Sembrava molto tranquillo, lo sguardo meno vuoto del solito e abbastanza interessato alle prove. Più che altro sembrava tra il giù di morale e l’infastidito.
A volte si alzava e ci urlava che andava in bagno oppure a bere un bicchiere d’acqua.
Pensammo che forse cercasse attenzioni, così passammo a “Remember a Day”, a cui partecipava anche lui con la sua slide guitar.
Stava andando bene. Andava a tempo ed era concentrato in quello che faceva. Se non lo avessi conosciuto davvero non avrei potuto dire che dal suo sguardo si intendeva moltissimo che la musica era la sua vita.
Ad un certo punto alzò lo sguardo e cominciò a guardarmi, senza smettere di suonare. Io ricambiai lo sguardo con totale disappunto quando notai che mi stava letteralmente fulminando. Aveva le sopracciglia corrugate e sembrava che tenesse dentro di sé qualcosa di brutto che purtroppo quello sguardo riusciva a lanciarmi con tutto il suo peso.
Cominciò ad andare fuori tempo fino a che tutti non si fermarono per fissarlo allibiti. Lui continuava imperterrito a suonare una melodia senza senso. Andava sempre più veloce, sembrava in preda a uno dei suoi attacchi schizofrenici.
 Arrivò anche a spezzare il plettro e si fermò, senza smettere di guardarmi in quel modo.
Tutti rimanemmo immobili a guardarlo, sconvolti.
Gettò la chitarra per terra, facendola arrivare ai miei piedi.
-Al diavolo..
Disse borbottando altre cose senza senso e uscendo dalla stanza.
-Ragazzi, per oggi credo possa bastare. Voi andate. A lui.. ci penso io..
Dissi io, deluso,  guardando il pavimento e ripensando al suo sguardo così cattivo e arrabbiato.
Gli altri annuirono e in silenzio presero le loro cose per andarsene.
Prima che mi potessi voltare per dirigermi nella stanza di Syd, Rick mi porse una mano sulla spalla e mi lanciò uno sguardo compassionevole.
Gli risposi facendo spallucce e me ne andai.
Entrai dentro la stanza di Syd e lo vidi seduto a terra, nella stessa posizione in cui l’avevo visto nel mio sogno. Ma non piangeva e continuava a guardare il muro che aveva di fronte, senza degnarmi di uno sguardo. Come se non fossi mai entrato in quella stanza. Ma sapevo che si era accorto di me.
Accanto a lui un piccolo quaderno aperto su una pagina a caso, risalente a 4 anni prima.
“Poor Dad died today”
C’era scritto solo questo. Quanti discorsi avevamo fatto sui nostri padri io e lui. Questo fattore che ci accomunava, ci rendeva caratterialmente molto simili. Forse era per questo che io ero l’unico che riusciva a capirlo e viceversa.
 
-Si, è morto in guerra quando ancora avevo 4 mesi.
-Mio padre se n’è andato proprio 6 mesi fa. Ma non parlavamo molto, stava sempre sulle sue. Lavorava sempre. Però quando non lavorava si dedicava ai suoi hobby preferiti e io amavo guardarlo mentre pitturava o quando suonava. Lui mi ha spinto ad amare la musica.
-Io darei qualsiasi cosa per provare, anche solo per qualche minuto, la sensazione di avere un padre, di conoscerlo e di poter parlare con lui.
 
-Syd, perché fai così? Stavamo andando così bene..
Non mi rispose. Rimase in silenzio, ignorando le mie parole.
-Ti prego Syd, smettila. Stai rompendo le palle.
-Allora vattene via.
Odiavo quando si comportava come un bambino. Non ti permetteva di dare spiegazioni, rimaneva radicato su quello che pensava lui.
-Io non ti capisco, davvero! Cerco di aiutarti in tutti i modi, e tu mi respingi in questo modo! Sei proprio una testa di cazzo! Me ne vado!
Prima che potessi girare i tacchi per uscire da quella casa, pieno di tutta la rabbia che avevo dentro in quel momento, si girò per guardarmi.
Questa volta aveva un altro sguardo. Sembrava come una barca senza remi che galleggiava a malapena tra le onde di un mare in tempesta e l’unico molo a cui poteva reggersi saldamente ero io. Cercava di aggrapparsi a me, anche se aveva qualcosa nei nostri confronti, soprattutto nei miei, che tentava di reprimere. Ma poi cos’era in fondo? Era un anima sperduta che non sapeva dove altro andare e ricadeva sempre sugli stessi errori. Eravamo così confusi e arrabbiati che non riuscivamo a capire che l’unico modo per far andare bene le cose era sostenerci l’un l’altro.
Quel suo sguardo riuscì a calmare tutta la rabbia che era in me. Sembrava il Syd di 14 anni che avevo conosciuto sei anni prima. Era come se volesse dirmi “Ti prego, non mi abbandonare, ho bisogno di te”.
Io non lo avrei mai abbandonato.
  
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