Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
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Autore: Clarrie Chase    19/05/2013    3 recensioni
Dal 4° capitolo:
« Perché ti comporti da bambina?? », le gridò contro, ormai privo di pazienza.
« Perché non so nemmeno il tuo nome, e questo non è giusto perché tu sai il mio! » gridò altrettanto forte lei, scendendo dal tavolo. « Mikan… io ti ho già detto il mio nome. » mormorò lui, stupito.
« Che cosa? Non è vero! » negò lei, spaventata. Il ragazzo si fece serio: « Come sei finita dentro stavolta? », le chiese nuovamente.
Mikan iniziò a piangere: « Io… non me lo ricordo. »
SPOILER ALERT!
Genere: Romantico, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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FAST




All this time I was wasting hoping you would come around
I’ve been giving out chances everytime and all you do is let me down
And its taking me this long but baby I figured you out
And you think it will be fine again but not this time around
 
 
Fosse stato per lui, Natsume non avrebbe mai preso l’ascensore in un gratta cielo solo per andare in un bar. In unbar in cui si pagava il coperto , per giunta. Eppure, a Mikan doveva piacere. Beh, in effetti da quell’altezza – circa 27 piani – si poteva vedere tutta Tokyo.
Le porte dell’ascensore si aprirono nuovamente con un tintinnio, e Ruka ed Hotaru fecero la loro entrata al Season Tokyo Bar in silenzio, frugando con lo sguardo i volti di tutti i presenti in cerca di un viso conosciuto. Natsume alzò la mano in alto, facendosi notare: era seduto davanti alla finestra del balcone, dove vi erano varie altre file di tavolini occupati da aitanti giovani gioiosi.
I ragazzi presero posto accanto all’amico, e immediatamente si voltarono verso l’ultimo tavolo nell’angolo sinistro del balcone, da dove era ben visibile la torre di Tokyo.
Hotaru tirò fuori la foto dal taschino interno della giacca blu che indossava, ponendola al centro del tavolo: Natsume rabbrividì nel rivedere ancora una volta Mikan, la sua Mikan, al centro di un mirino. Non c’erano dubbi però, chiunque avesse scattato quella foto alla ragazza, aveva occupato proprio il tavolino che occupavano adesso i tre amici.
« Che cosa facciamo adesso? » chiese Ruka, visibilmente accaldato da quell’afosa giornata di giugno. Nel frattempo un cameriere molto alto e magrolino si avvicinò per chiedere le ordinazioni: « Un frappé alla fragola per me, grazie. » chiese cortesemente Hotaru, un po’ scocciata. Natsume sollevò l’indice in alto: « Per me un caffè macchiato. ».
« Può indicarci il titolare? » domandò Ruka, speranzoso. Il cameriere scosse la testa imbarazzato: « Non viene a lavoro prima di mezzogiorno, mi spiace! » e si allontanò verso il bancone, prima che il biondino potesse fare la sua ordinazione.
« Che cosa vuoi dal titolare? » gli chiese Hotaru incuriosita, mentre Natsume li guardava di sottecchi, un po’ distratto.
« Potremmo mostrargli la foto, e lui potrebbe indicarci chi l’ha scattata. » propose il ragazzo dagli occhi azzurri, con ottimismo. T     roppo ottimismo. « La foto è stata scattata di mattina, il titolare non c’era. » lo liquidò Natsume, osservando ancora il viso buffo di Mikan nella fotografia sul tavolo. « Ma ci sono le telecamere! » affermò Ruka, indicando con un cenno della testa la telecamera posta sul muro dietro al bancone, verso la cassa.
« Sicuramente non terranno le registrazioni di quattro settimane fa. », disse con altrettanta sicurezza Hotaru, sbuffando.
Nel frattempo, il cameriere tornò indietro con le ordinazioni dei ragazzi, ma neanche in quel momento Ruka ebbe modo di chiedere un bicchiere d’acqua perché il ragazzo si defilò deponendo sul tavolo il loro scontrino.
« A proposito di soldi, come sono andati i vostri colloqui? » domandò Hotaru, prendendo a succhiare rumorosamente il frappé dalla cannuccia, guardando i ragazzi a turno.
Ruka fece un gran sorriso: « Inizio lunedì. ». Natsume roteò gli occhi al cielo. « Io sono venuto qui in taxi. Per forza non serve avere la patente, si va in giro a 20 all’ora. Le strade di Tokyo sono super trafficate. Il parchimetro va a tempo, non a kilometri, quindi l’agenzia ci guadagna lo stesso. ». « Non credo che sia legale… » mormorò Ruka, un po’ in pensiero. « Certo che non lo è! » ribatterono Natsume e Hotaru all’unisono, con le sopracciglia inarcate.
« Beh, l’importante è avere uno stipendio. Questo schifosissimo caffè costa 3000 yen. Incredibile! ». « La cosa incredibile – lo contraddisse Ruka – è che tu sei fuori dall’Accademia da appena un mese e sei già caffè dipendente. ». Hotaru rise appena, ma il suo sorriso si spense non appena i suoi occhi si posarono nuovamente sulla foto, facendole tornare in mente il certificato di Rehab di Mikan. O di Akari. Non era ancora molto chiara quella faccenda.
Era evidentemente che Ruka si era reso conto con altrettanta velocità dell’infelice scelta di parole, ma né lui né Natsume aggiunsero nulla.
« Che cosa facciamo? » domandò Natsume, scrutando l’interno della sua tazzina sperando quasi di leggervi una qualche mappa speciale che lo avrebbe guidato da Mikan.
« Direi di fare il punto della situazione. » iniziò Hotaru col suo solito tono pratico, giocherellando con la cannuccia nel frappè. « Sappiamo che qualcuno ha evidentemente spiato Mikan, e che ha necessariamente spiato anche noi. Avete notato qualcuno di sospetto vicino a voi, nei giorni scorsi? Siete stati seguiti da qualcuno? »
Natsume scosse la testa con sicurezza: se qualcuno lo avesse seguito se ne sarebbe accorto.
Ruka non sembrava altrettanto sicuro, ma scosse la testa anche lui: « Non mi sono accorto di nulla. » disse, sconfortato.
« Nonostante siamo qui, e abbiamo certezza che Mikan fosse qui 4 settimane fa, siamo del tutto punto e a capo. Come possiamo farla a trovare? Non ci cadrà tra le braccia da un momento all’altro. » commentò la ragazza dai capelli scuri, scostando da sé il bicchiere col frappé ormai terminato.
« E allora che dobbiamo fare? » chiese Ruka, un po’ contrariato.
« Dobbiamo continuare a cercarla. » affermò Natsume, lasciando cadere alcune banconote sullo scontrino. « D’accordo. » , disse Ruka docilmente, tenendo gli occhi fissi su quel tavolo all’angolo sinistro del balcone, immaginando Mikan, la Mikan che si ricordava, che gli sorrideva fiduciosa. « Bene. », disse Hotaru, seguendo lo sguardo del biondino, « Andiamocene. »
Si alzarono dal tavolo insieme, avviandosi nuovamente verso l’ascensore.
« Tu che fai, adesso? », chiese Ruka a Natsume, mentre premeva il bottone per chiamare l’ascensore. « Beh, in teoria sto lavorando. Credo che il mio turno duri fino a mezzo giorno. Terrò gli occhi aperti, e procederò a passo di tartaruga. » borbottò il ragazzo dagli occhi cremisi, sospirando. « Allora, noi possiamo dividerci e continuare a cercare in giro. » propose Hotaru, riponendo la fotografia nel taschino della sua giacca, mentre le porte dell’ascensore si spalancavano di fronte a loro . « D’accordo. », approvò Ruka, mentre entravano tutti nell’ascensore.
 
***
 
Dopo che Ruka e Hotaru se n’erano andati, Natsume inizialmente era rimasto nel suo taxi in attesa di clienti. Dopo 43 minuti trascorsi seduto al posto di guida, parcheggiato sotto il sole, aveva deciso di uscire dall’auto e salire al bar a prendersi un altro caffè. Ruka aveva decisamente ragione riguardo alla sua mania. Ma il caffè era così buono, e sembrava renderlo più lucido.
Era ormai quasi mezzo giorno, e il traffico stava finalmente calando: peccato però che nessuno dei passanti sembrasse aver bisogno di un taxi.
Natsume chiuse la macchina premendo il tasto automatico sulla chiave, e si stiracchiò pigramente: in lontananza, sentì delle esclamazioni confuse e degli urletti. Qualcuno stava correndo nella sua direzione, urtando le altre persone sul marciapiede con incuranza.
Quanta gente strana a Tokyo, pensò Natsume, mentre riponendo la chiave nella tasca dei jeans fece un primo passo avanti per rientrare nel grattacielo.
« Attenzione! » gridò Mikan, che stava correndo verso Natsume a passo spedito e superandolo in un batter d’occhio. Natsume in un primo momento si arrestò sospeso, seguendo con lo sguardo la ragazza che lo aveva superato e che, inaspettatamente, si era fermata piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato, rivolta verso di lui.
 Era Mikan. Indossava una gonna rosa lunga fino al ginocchio e una maglietta gialla su cui pareva fosse stato asciugato un pennello nero: i suoi capelli castani erano lunghi e sciolti, e le circondavano il viso un po’ in disordine per la corsa.
« Tu… » disse Mikan, col fiato corto, cercando di rimettersi in piedi.
Era Mikan, e lo aveva riconosciuto.
« Tu sei… in servizio? » gli domandò la ragazza, implorandolo con gli occhi di dire sì. Oh, Natsume non era decisamente pronto a quegli occhi castani che si rispecchiavano nei suoi, senza riconoscerlo. In quelle molte notti insonni trascorse a Tokyo aveva pensato mille volte al modo in cui avrebbe incontrato Mikan, e quello scenario non gli si era mai presentato.
« Sì. » confermò un po’ col fiato corto anche lui.
Mikan gli sorrise timidamente: « Puoi portarmi a Kabukicho il più velocemente possibile? », domandò, mentre il suo volto si animava di nuovo di apprensione.
Anche se Natsume non aveva idea di dove si trovasse il quartiere a cui Mikan alludeva, lui annuì e riaprì la macchina, facendole cenno di entrare. Entrò in macchina e non appena ebbe inserito la chiave nel quadro, partirono. Mikan si era seduta nel sedile posteriore di mezzo, in modo da avere una visuale completa della strada.
« Ma… non dovresti mettere la cintura? » gli domandò imbarazzata e altrettanto preoccupata, mentre se la allacciava anche lei. Natsume la guardò dallo specchietto retrovisore ed ebbe un colpo al cuore. « C-certo. » disse, mentre se la allacciava e prendeva la sinistra, guidato dall’intuito.
Guidato dall’intuito in una strada con divieto d’accesso. Natsume imprecò a mezza voce e si maledì mentalmente nel vedere Mikan che lo guardava preoccupata, tenendosi saldamente al sedile posteriore. « Ma.. dove mi stai portando? » gli chiese Mikan con una nota di preoccupazione ben udibile nella voce: « Guarda che se stai facendo la strada più lunga per far camminare il parchimetro puoi farmi scendere subito, non ho molti soldi con me. » confessò risentita, cercando di capire se lo strambo autista di quel taxi avesse un secondo fine nello scarrozzarla in macchina per strade sbagliate. « Che cosa? Certo che no! » dichiarò Natsume, rispondendo istintivamente come non gli capitava da tempo.  « Dov’è Kabukicho?? » si costrinse a chiedere, mentre svoltava nuovamente nella strada in cui era parcheggiato poco prima.
Dovette frenare bruscamente, per evitare un enorme camion dei pompieri che aveva attivato la sirena proprio in quel momento: Natsume sospirò di sollievo e strinse le mani sudate intorno al volante più saldamente. Che spavento!
« Oh, no! » strillò Mikan, portandosi una mano alla bocca con aria disperata. « Segui quel camion dei pompieri! » gli ordinò pallida, scuotendo la testa in preda ad una preoccupazione solo sua. Natsume sbuffò, premendo sull’acceleratore per cercare di raggiungere il camion che si allontanava velocemente da loro. Già da 7 isolati prima della loro meta, nel cielo si vedeva il fumo nero che caratterizzava un incendio doloso.
Mikan si sporse verso il parabrezza per osservare meglio: in pochi secondi gli occhi le si inondarono di lacrime. Natsume si morse la lingua: per quale motivo non riusciva a trovare niente da dirle? Aveva aspettato 13 anni per rivederla. Anche se non era più lei. Sembrava così diversa… a guardarla così da vicino, era estremamente magra. Sembrava fosse intera per miracolo.
Seguendo il camion dei pompieri, Natsume svoltò a sinistra e vide una folla enorme aprirsi a ventaglio per lasciar passare il camion il più vicino possibile all’edificio che stava andando in fiamme: un condominio dall’aria veramente vecchia e precaria. Prima che Natsume spegnesse la macchina Mikan schizzò fuori, tremante ed estremamente pallida. Natsume uscì dall’auto e guardò verso l’alto, valutando la gravità della situazione: Mikan, al suo fianco, sarebbe caduta in ginocchio a momenti se lui non l’avesse prontamente sostenuta. La ragazza, sentendo le braccia forti di Natsume sostenerla, lo guardò negli occhi sorpresa: « Ti sei fatta male? » le chiese lui, apprensivo, lasciandola andare subito dopo. Lei scosse la testa, guardandolo come se lo stesse vedendo per la prima volta, dimentica dell’incendio che abbracciava l’intera facciata dell’edificio solo per un istante. Una finestra andò in frantumi, e mille piccoli pezzi di vetro caddero sulla folla: i pompieri si alternavano fuori e dentro il camion montando la pompa, mentre altri cercavano di indirizzare la calca lontano dal potenziale raggio d’azione delle fiamme.
« Devo… devo trovare Yuka. » disse quasi a mo’ di scusa, scostandosi da Natsume e dirigendosi verso le persone che si erano riunite per guardare.
« Non ti lascio… » mormorò Natsume, seguendola immediatamente. La vide spingersi nel mezzo della folla alla ricerca di qualcuno: intanto arrivò anche l’ambulanza, e una squadra di paramedici scese andando in contro alla folla per rendersi utile.
« Hana! » chiamò Mikan, rivolgendosi ad una giovane donna dai capelli biondi che teneva in braccio un bambino che poteva avere al massimo 2 anni, e fissava le fiamme inebetito ma affascinato, come se stesse guardando un cartone animato particolarmente colorato.
La ragazza si voltò verso Mikan, e le due si abbracciarono: « Mikan! » la chiamò Hana, con enorme sorpresa di Natsume. « Per fortuna sei qui! Pensavo che fossi ancora lì dentro! ».
Mikan scosse la testa ansiosa e si separò da Hana tremante: « Dov’è Yuka? Non è con te? ».
Natsume trattenne il fiato, tenendosi a distanza, cercando di dare un senso alla conversazione a cui stava assistendo. « No! Pensavo fosse con te! Oddio, Mikan, se avessi saputo… ».
Prima che Hana potesse finire la frase Mikan si allontanò da lei, dirigendosi verso l’entrata del condominio in fiamme. Natsume l’afferrò per il polso, sorprendendosi di quanto fosse fino:
«Che hai intenzione di fare? » le chiese, chiaro e conciso. Lei lo guardò sorpresa, e chiuse gli occhi un istante come se la vista del ragazzo le provocasse dolore. « Devo entrare! Yuka è ancora dentro! ». Yuka? Non era possibile. La madre di Mikan era morta nell’Accademia, 13 anni prima. Ma a chi altro poteva riferirsi?  Gli occhi di Mikan si inondarono nuovamente di lacrime e di nuovo traballò, come se stesse per cadere.  Natsume la tenne stretta e alzò nuovamente lo sguardo su quelle fiamme: erano troppo alte e troppo estese perché lui, con il suo Alice, ruscisse a domarle. Senza contare il fatto che, 13 anni prima, dopo aver accettato finalmente il dono di Mikan, aveva promesso a se stesso che non avrebbe mai più usato l’Alice del Fuoco.
Maledizione!, imprecò mentalmente, sentendosi impotente; un altro vetro esplose, e Mikan, spaventata, si scagliò contro il suo petto. Se solo non ci fosse stata tutta quella puzza di fumo, Natsume avrebbe potuto sentire di nuovo il suo profumo.
 « S-scusami! » disse Mikan dopo pochi secondi, separandosi da lui. « Non capisci, Yuka è narcolettica! Potrebbe dormire adesso e non accorgersi di nulla! ». Natsume scosse la testa e la spinse verso di sé, impedendole di andare: « Vado io. Dimmi il numero del piano. » le ordinò con voce sicura, inchiodando i suoi occhi cremisi in quelli castani di lei. « No! », gridò lei, sciogliendo la stretta che la teneva al suo petto. « Non ti conosco nemmeno! Come posso affidarti una cosa così importante per me? » gli domandò lei, confusa, in viso ancora l’espressione dolorante di prima. « Perché l’hai già fatto! » le rispose Natsume, sorpassandola e correndo verso l’edificio. Ebbe appena il tempo di scrivere un sms a Ruka facendogli sapere dove si trovava, e poi si tuffò nelle fiamme all’ingresso: sentì uno dei pompieri ancora all’esterno gridargli di stare lontano dall’edificio, ma lo ignorò. Era già dentro a respirare con la stoffa della maglietta davanti al naso, quando si rese conto che non aveva idea del piano a cui si trovasse Yuka.
« Yuka! », iniziò a gridare invano, salendo su per le scale per salire ai piani alti.
« AL NONO PIANO! YUKA SI TROVA AL NONO PIANO! ». La voce metallica di Mikan traslata da un alto parlante lo raggiunse fin dentro l’edificio, guidandolo.
Le fiamme erano sulle scale già al secondo piano, e più saliva meno riusciva a vedere a causa del fumo nero che riempiva l’aria. Con il suo Alice tentò di arginare le fiamme intorno a lui, in modo da poter procedere fino al nono piano: arrivò a destinazione, sfondò la porta dell’unico appartamento presente in quel piano e si trovò di fronte ad un salottino modesto e decisamente arso dalle fiamme. Il lato esterno della sala, quella che un tempo doveva essere la cucina, era esplosa: vi era un enorme varco da cui era possibile vedere il cielo.  Sembrava che l’incendio avesse avuto origine da lì. Era per quello che quando aveva incontrato Mikan, lei era così di fretta?  
Non c’era tempo per pensare: « Yuka! » iniziò a gridare a gran voce, tentando di attirare l’attenzione della persona ancora intrappolata nell’appartamento. Niente.
« Yuka! », chiamò ancora, mentre il fiato iniziava a venirgli a mancare, insieme al respiro.
All’improvviso, perse il controllo del suo Alice: le fiamme si alzarono fino ad ostruirgli la strada per il corridoio. Cadde in ginocchio, tentando di riprendere il monopolio sulle fiamme: dopotutto, considerando gli anni che aveva passato senza usarlo, doveva ritenersi fortunato ad averne mantenuto il controllo abbastanza da arrivare al nono piano di quel condominio.
Aveva trovato Mikan, per poi morire tra le fiamme di un incendio. E pensare che aveva sempre creduto che sarebbe stato il suo stesso Alice, ad ucciderlo. C’era una sorta di giustizia divina, in tutto quello che gli era accaduto da quando aveva finalmente lasciato l’Accademia.
Ma qualcuno stava seguendo Mikan; doveva proteggerla.
Si rimise in piedi con difficoltà, ma con rinnovata volontà: doveva tornare giù con Yuka, per Mikan.
Alzò nuovamente gli occhi verso le fiamme che ostruivano il corridoio e alzò una mano verso di loro, tentando di abbassarle quel tanto che bastava a lasciarlo passare: le fiamme danzarono sotto il controllo di Natsume e s’inchinarono, rivelando la presenza di una bambina. Indossava un pigiama rosa a fiorellini, aveva lunghi capelli castani legati in due codini ai lati della testa, i suoi occhi color miele lo scrutavano con curiosità: era la copia in miniatura della Mikan bambina che aveva conosciuto in Accademia. Stava avendo forse un’allucinazione? Aveva respirato troppo fumo.
Le fiamme gli sfuggirono nuovamente di mano, e la sua allucinazione strillò un grido e saltò all’indietro, iniziando a piangere. « Yuka?? » domandò allora Natsume, incredulo.
Il cuore gli si fece pesante come un masso e collassò, ma il ragazzo cercò di farsi forza e tentò nuovamente di possedere le fiamme che divampavano sulla soglia del corridoio: non si era mai sforzato così tanto in vita sua per controllare il fuoco. Sentiva come una nota di disturbo al suo potere… Che trascurandolo, lo avesse perso? Ridicolo.
Aveva trascorso così tanto tempo a rinnegare il suo Alice, che perderlo a quel modo era del tutto assurdo. Così come lo era, per lui, morire bruciato. Una sorta di giustizia divina?
Con uno sforzo di volontà, Natsume si protese verso le fiamme in un ultimo, disperato tentativo di diradare le fiamme e liberare la bambina. Poi accadde l’impensato: le fiamme intorno a Yuka persero vigore e scomparirono, lasciandosi alle spalle solo un po’ di fumo nero. La bambina cadde per terra come un birillo, e Natsume in quell’istante ebbe paura sul serio. Si slanciò verso di lei ritrovandosi immediatamente a corto di fiato, sentiva i muri del palazzo stridere e quasi stringersi intorno a loro, pronti ad inglobarli. Prese Yuka tra le braccia e si tuffò verso la porta: ormai l’aria era satura di fumo e gli occhi gli bruciavano nel tentativo di vedere le scale, di trovare una via di fuga. L’uso dell’Alice del Fuoco lo aveva stremato.
 
***
Quando Ruka ricevette l’sms di Natsume, si trovava per le strade di Tokyo a vari isolati di distanza dal loro appartamento, dove invece si trovava Hotaru.
La chiamò immediatamente al telefono:
« Hotaru! »
«… Ruka? Che succede? »
« L’ha trovata! Natsume l’ha trovata! »
« … Dove? »
« A Kabukicho. »
« Cosa?? Ma è… »
« Sì, lo so cos’è, ma sbrigiamoci! C’è un incendio! »
« Chiamo un taxi. Sbrigati a venire a casa! »
Chiuse la conversazione e iniziò a correre verso casa; arrivò un quarto d’ora dopo, il taxi era già sotto casa ad aspettare lui. Entrò e il tassista partì, evidentemente Hotaru gli aveva già comunicato la destinazione: « Che cosa vuol dire che c’è un incendio? » chiese Hotaru a Ruka, mentre lui si metteva la cintura di sicurezza. « Non ne ho idea! », ribatté il biondino, porgendo il suo telefono alla ragazza perché leggesse l’sms di Natsume.
Arrivarono in una zona bloccata al traffico, nelle immediate vicinanze del palazzo in fiamme, così pagarono il tassista e continuarono a piedi fino al luogo dell’incendio. Si era radunata lì intorno talmente tanta gente, come avrebbero fatto a vedere Mikan?
« La vedi?? » chiese Ruka ad Hotaru, nervosamente, mentre tentava di mettersi sulle punte per riuscire a individuare la cara amica tra la folla.
Hotaru scosse la testa frustrata, facendosi strada in mezzo alla gente a spintoni e tirandosi dietro il ragazzo. « Se è qui che vive, probabilmente sarà tra le prime file! » gridò Hotaru, per sovrastare il frastuono di mille voci preoccupate o solo incuriosite che riempivano l’aria.
Arrivarono al punto che la gente si apriva davanti a loro come un ventaglio per farli passare, perché la loro espressione preoccupata li induceva a pensare che abitassero in quel povero, vecchio edificio divorato dalle fiamme. Udirono uno spiraglio di conversazione da due ragazze allarmate che parlavano accanto a loro: « E adesso dove andremo a vivere? » si chiese una delle due, preoccupata. « Oh, spero non di nuovo con le suore! », si lamentò l’altra, mentre si puntellava in avanti per vedere meglio il rogo. « E dire che dovevano ristrutturarla il mese prossimo. La nostra casa famiglia. Ancora non ci credo. Era l’unica riservata alle madri giovani con figli a carico… dove andremo a vivere?».
I due si irrigidirono. « Chiamo Natsume al telefono. » affermò Ruka, mentre tirava fuori il cellulare e componeva velocemente il numero dell’amico. « Ok. » rispose Hotaru, continuando a cercare tra i volti sconosciuti il viso di Mikan. Oh, ma dov’erano?
Ormai erano tra le prime file. Si udì un suono sinistro  provenire dal palazzo davanti a loro, e immediatamente i vigili del fuoco che non erano occupati a tentare di spegnere l’incendio spinsero indietro la folla: « Il palazzo sta per crollare! ».
« C’è ancora qualcuno dentro! », strillò una ragazza seduta su una barella circondata dai paramedici, che le stavano misurando la pressione. « Si calmi, signorina! » tentò di rabbonirla il paramedico che le contava i battiti, un po’ preoccupato.
« Ruka… » mormorò Hotaru, voltando la testa verso la ragazza che aveva parlato poco prima. Il ragazzo seguì lo sguardo di lei e… eccola, Mikan: i suoi capelli castani sciolti intorno al viso, i suoi occhi determinati e… il volto scarno. Era magra da morire.
Visto che Hotaru sembrava essersi pietrificata, Ruka la prese per il polso e fu il suo turno di spintonare la gente fino a giungere vicino a Mikan.
Lei, si accorse Hotaru con un sospiro affranto, non si era nemmeno accorta che si erano avvicinati: era troppo impegnata a scrutare attenta l’ingresso, nonché l’ultima via d’uscita di quel palazzo.
« E’ sicura che c’è ancora qualcuno dentro? » le chiese preoccupato il paramedico, che sembrava essere l’unico ad averle prestato attenzione, mentre riponeva lo sfigmomanometroin un astuccio sulla barella.  « Sì. » rispose Mikan risoluta e anche all’apparenza un po’ confusa, scendendo dalla barella: « è il tassista che mi ha portato a casa. E’ entrato per colpa mia, sarei dovuta entrare al posto suo… ». Mikan iniziò nuovamente a singhiozzare; oh, Hotaru detestava vederla piangere.
« Sei la solita piagnucolona. » sbottò infatti, attirandosi gli sguardi straniti sia di Ruka che del paramedico, ma non di Mikan. Lei la guardava… esattamente come se la vedesse per la prima volta in vita sua. Non ribatté, e si asciugò le lacrime con i palmi delle mani.
« Ci… ci conosciamo? » le chiese, tirando su col naso.
Hotaru trattenne il fiato: « No. Ma c’è un mio amico, lì dentro l’edificio in fiamme. » mormorò la ragazza dai capelli neri, prendendo la mano di Ruka e stringendogliela. Il biondino era veramente stupito, che Hotaru manifestasse i suoi sentimenti in pubblico a quel modo, ma non disse nulla, ricambiando semplicemente la stretta.
Mikan fece per dire qualcosa, ma il palazzo brontolò rumorosamente, sollevando un polverone pazzesco intorno a loro: alcuni enormi massi si staccarono dall’edificio ed iniziarono a cadere. Era uno spettacolo bizzarro. La folla si fece indietro in modo confusionario,le persone  inciampavano l’uno sull’altro. « Dobbiamo spostarci! » gridò il paramedico, cercando di fare strada ai tre ragazzi ora in piedi vicino a lui. Protestarono immediatamente: « Non se ne parla nemmeno! », « Assolutamente no! ». Il paramedico ci rinunciò subito,allontanandosi da loro.
« Voi tre, là! » gridò uno dei vigili del fuoco, indicandoli da lontano.
Hotaru e Ruka si voltarono verso l’uomo, ma Mikan tenne lo sguardo sull’ingresso, in attesa: uscì un'altra ondata di fumo, proprio da lì.
E all’improvviso eccolo: Natsume, con in braccio un fagottino rosa, che correva verso l’esterno proprio mentre un ultimo, enorme masso stava per cadere su di lui.
« NATSUME!!! », urlò Mikan a pieni polmoni, slanciandosi verso di lui per raggiungerlo esattamente mentre intorno al suo sterno si chiudevano le braccia fasciate in arancione fosforescente del vigile che li aveva richiamati poco prima.
Hotaru e Ruka si guardarono sconvolti, mentre il masso cadeva dove pochi attimi prima si trovava il ragazzo dagli occhi rossi che, a sua volta, li guardava sconvolto, la bocca semi aperta dalla sorpresa.
« Si tolga immediatamente da lì, è pericoloso! ».
Un piccolo gruppo di paramedici raggiunse Natsume, e faticarono per togliergli dalle braccia quella che si dimostrò essere una bambina piccolissima, svenuta.
« L’hai sentita anche tu? » sussurrò Ruka a bassa voce, tutta i suoi sensi rivolti ad Hotaru.
Lei gli lasciò la mano, e si voltò a guardarlo negli occhi: stava piangendo.
« Signorina?? Mi servono dei paramedici! » gridò il vigile dietro di loro, che stringeva tra le braccia una Mikan mogia mogia, priva di sensi.
 
 
Ho sprecato tutto questo tempo sperando che ti saresti fatto vivo
Ho rinunciato a molte possibilità ogni volta e tutto quello che fai tu è buttarmi a terra
E mi ci è volute molto, piccolo, ma ho capito
E tu pensi che andrà di nuovo bene ma non questa volta
 
 
***
 
Ed ecco il terzo capitolo, che mi è venuto persino più lungo del secondo XD E’ che non riuscivo a trovare un modo per spezzarlo senza interromperlo xD Dal prossimo capitolo mi conterrò, ve lo giuro ^^ La canzone che ho usato in questo capitolo è “You’re not sorry” di Taylor Swift.
Lasciate una recensione piccina picciò? Andiamo, non fatemi sentire sola, se no poi mi scoraggio e perdo l’ispirazione per il prossimo capitolo ^^””
Come vi è sembrato questo capitolo? Sorpresi? O vi aspettavate qualcosa? ^^
Ringrazio tantissimo Sailorm, che con le sue recensioni mi da sempre la carica per portare avanti la storia ^^
 
*Kabukicho, è il famoso quartiere a luci rosse di Tokyo, e si trova nel centralissimo quartiere di Shinjuku. Questa zona è piena di club privati, salotti rosa, strip club ecc ecc. E’ vero che a Tokyo, Kabukicho è considerato il quartiere più malfamato della città, visto anche l’alto numero di membri della Yakuza che ovviamente gestiscono tutti i locali a luci rosse, ma siamo pur sempre a Tokyo. Quindi sentitevi liberi di vagare attraverso il quartiere in qualsiasi momento della giornata, noterete gente un pò strana e particolare, ma nessuno vi creerà alcun tipo di problema, a meno che non vi imbattiate in un salarymen particolarmente ubriaco e molesto.
 
Alla prossima ^^All this time I was wasting hoping you would come around
I’ve been giving out chances everytime and all you do is let me down
And its taking me this long but baby I figured you out
And you think it will be fine again but not this time around
 
 
Fosse stato per lui, Natsume non avrebbe mai preso l’ascensore in un gratta cielo solo per andare in un bar. In unbar in cui si pagava il coperto , per giunta. Eppure, a Mikan doveva piacere. Beh, in effetti da quell’altezza – circa 27 piani – si poteva vedere tutta Tokyo.
Le porte dell’ascensore si aprirono nuovamente con un tintinnio, e Ruka ed Hotaru fecero la loro entrata al Season Tokyo Bar in silenzio, frugando con lo sguardo i volti di tutti i presenti in cerca di un viso conosciuto. Natsume alzò la mano in alto, facendosi notare: era seduto davanti alla finestra del balcone, dove vi erano varie altre file di tavolini occupati da aitanti giovani gioiosi.
I ragazzi presero posto accanto all’amico, e immediatamente si voltarono verso l’ultimo tavolo nell’angolo sinistro del balcone, da dove era ben visibile la torre di Tokyo.
Hotaru tirò fuori la foto dal taschino interno della giacca blu che indossava, ponendola al centro del tavolo: Natsume rabbrividì nel rivedere ancora una volta Mikan, la sua Mikan, al centro di un mirino. Non c’erano dubbi però, chiunque avesse scattato quella foto alla ragazza, aveva occupato proprio il tavolino che occupavano adesso i tre amici.
« Che cosa facciamo adesso? » chiese Ruka, visibilmente accaldato da quell’afosa giornata di giugno. Nel frattempo un cameriere molto alto e magrolino si avvicinò per chiedere le ordinazioni: « Un frappé alla fragola per me, grazie. » chiese cortesemente Hotaru, un po’ scocciata. Natsume sollevò l’indice in alto: « Per me un caffè macchiato. ».
« Può indicarci il titolare? » domandò Ruka, speranzoso. Il cameriere scosse la testa imbarazzato: « Non viene a lavoro prima di mezzogiorno, mi spiace! » e si allontanò verso il bancone, prima che il biondino potesse fare la sua ordinazione.
« Che cosa vuoi dal titolare? » gli chiese Hotaru incuriosita, mentre Natsume li guardava di sottecchi, un po’ distratto.
« Potremmo mostrargli la foto, e lui potrebbe indicarci chi l’ha scattata. » propose il ragazzo dagli occhi azzurri, con ottimismo. T     roppo ottimismo. « La foto è stata scattata di mattina, il titolare non c’era. » lo liquidò Natsume, osservando ancora il viso buffo di Mikan nella fotografia sul tavolo. « Ma ci sono le telecamere! » affermò Ruka, indicando con un cenno della testa la telecamera posta sul muro dietro al bancone, verso la cassa.
« Sicuramente non terranno le registrazioni di quattro settimane fa. », disse con altrettanta sicurezza Hotaru, sbuffando.
Nel frattempo, il cameriere tornò indietro con le ordinazioni dei ragazzi, ma neanche in quel momento Ruka ebbe modo di chiedere un bicchiere d’acqua perché il ragazzo si defilò deponendo sul tavolo il loro scontrino.
« A proposito di soldi, come sono andati i vostri colloqui? » domandò Hotaru, prendendo a succhiare rumorosamente il frappé dalla cannuccia, guardando i ragazzi a turno.
Ruka fece un gran sorriso: « Inizio lunedì. ». Natsume roteò gli occhi al cielo. « Io sono venuto qui in taxi. Per forza non serve avere la patente, si va in giro a 20 all’ora. Le strade di Tokyo sono super trafficate. Il parchimetro va a tempo, non a kilometri, quindi l’agenzia ci guadagna lo stesso. ». « Non credo che sia legale… » mormorò Ruka, un po’ in pensiero. « Certo che non lo è! » ribatterono Natsume e Hotaru all’unisono, con le sopracciglia inarcate.
« Beh, l’importante è avere uno stipendio. Questo schifosissimo caffè costa 3000 yen. Incredibile! ». « La cosa incredibile – lo contraddisse Ruka – è che tu sei fuori dall’Accademia da appena un mese e sei già caffè dipendente. ». Hotaru rise appena, ma il suo sorriso si spense non appena i suoi occhi si posarono nuovamente sulla foto, facendole tornare in mente il certificato di Rehab di Mikan. O di Akari. Non era ancora molto chiara quella faccenda.
Era evidentemente che Ruka si era reso conto con altrettanta velocità dell’infelice scelta di parole, ma né lui né Natsume aggiunsero nulla.
« Che cosa facciamo? » domandò Natsume, scrutando l’interno della sua tazzina sperando quasi di leggervi una qualche mappa speciale che lo avrebbe guidato da Mikan.
« Direi di fare il punto della situazione. » iniziò Hotaru col suo solito tono pratico, giocherellando con la cannuccia nel frappè. « Sappiamo che qualcuno ha evidentemente spiato Mikan, e che ha necessariamente spiato anche noi. Avete notato qualcuno di sospetto vicino a voi, nei giorni scorsi? Siete stati seguiti da qualcuno? »
Natsume scosse la testa con sicurezza: se qualcuno lo avesse seguito se ne sarebbe accorto.
Ruka non sembrava altrettanto sicuro, ma scosse la testa anche lui: « Non mi sono accorto di nulla. » disse, sconfortato.
« Nonostante siamo qui, e abbiamo certezza che Mikan fosse qui 4 settimane fa, siamo del tutto punto e a capo. Come possiamo farla a trovare? Non ci cadrà tra le braccia da un momento all’altro. » commentò la ragazza dai capelli scuri, scostando da sé il bicchiere col frappé ormai terminato.
« E allora che dobbiamo fare? » chiese Ruka, un po’ contrariato.
« Dobbiamo continuare a cercarla. » affermò Natsume, lasciando cadere alcune banconote sullo scontrino. « D’accordo. » , disse Ruka docilmente, tenendo gli occhi fissi su quel tavolo all’angolo sinistro del balcone, immaginando Mikan, la Mikan che si ricordava, che gli sorrideva fiduciosa. « Bene. », disse Hotaru, seguendo lo sguardo del biondino, « Andiamocene. »
Si alzarono dal tavolo insieme, avviandosi nuovamente verso l’ascensore.
« Tu che fai, adesso? », chiese Ruka a Natsume, mentre premeva il bottone per chiamare l’ascensore. « Beh, in teoria sto lavorando. Credo che il mio turno duri fino a mezzo giorno. Terrò gli occhi aperti, e procederò a passo di tartaruga. » borbottò il ragazzo dagli occhi cremisi, sospirando. « Allora, noi possiamo dividerci e continuare a cercare in giro. » propose Hotaru, riponendo la fotografia nel taschino della sua giacca, mentre le porte dell’ascensore si spalancavano di fronte a loro . « D’accordo. », approvò Ruka, mentre entravano tutti nell’ascensore.
 
***
 
Dopo che Ruka e Hotaru se n’erano andati, Natsume inizialmente era rimasto nel suo taxi in attesa di clienti. Dopo 43 minuti trascorsi seduto al posto di guida, parcheggiato sotto il sole, aveva deciso di uscire dall’auto e salire al bar a prendersi un altro caffè. Ruka aveva decisamente ragione riguardo alla sua mania. Ma il caffè era così buono, e sembrava renderlo più lucido.
Era ormai quasi mezzo giorno, e il traffico stava finalmente calando: peccato però che nessuno dei passanti sembrasse aver bisogno di un taxi.
Natsume chiuse la macchina premendo il tasto automatico sulla chiave, e si stiracchiò pigramente: in lontananza, sentì delle esclamazioni confuse e degli urletti. Qualcuno stava correndo nella sua direzione, urtando le altre persone sul marciapiede con incuranza.
Quanta gente strana a Tokyo, pensò Natsume, mentre riponendo la chiave nella tasca dei jeans fece un primo passo avanti per rientrare nel grattacielo.
« Attenzione! » gridò Mikan, che stava correndo verso Natsume a passo spedito e superandolo in un batter d’occhio. Natsume in un primo momento si arrestò sospeso, seguendo con lo sguardo la ragazza che lo aveva superato e che, inaspettatamente, si era fermata piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato, rivolta verso di lui.
 Era Mikan. Indossava una gonna rosa lunga fino al ginocchio e una maglietta gialla su cui pareva fosse stato asciugato un pennello nero: i suoi capelli castani erano lunghi e sciolti, e le circondavano il viso un po’ in disordine per la corsa.
« Tu… » disse Mikan, col fiato corto, cercando di rimettersi in piedi.
Era Mikan, e lo aveva riconosciuto.
« Tu sei… in servizio? » gli domandò la ragazza, implorandolo con gli occhi di dire sì. Oh, Natsume non era decisamente pronto a quegli occhi castani che si rispecchiavano nei suoi, senza riconoscerlo. In quelle molte notti insonni trascorse a Tokyo aveva pensato mille volte al modo in cui avrebbe incontrato Mikan, e quello scenario non gli si era mai presentato.
« Sì. » confermò un po’ col fiato corto anche lui.
Mikan gli sorrise timidamente: « Puoi portarmi a Kabukicho il più velocemente possibile? », domandò, mentre il suo volto si animava di nuovo di apprensione.
Anche se Natsume non aveva idea di dove si trovasse il quartiere a cui Mikan alludeva, lui annuì e riaprì la macchina, facendole cenno di entrare. Entrò in macchina e non appena ebbe inserito la chiave nel quadro, partirono. Mikan si era seduta nel sedile posteriore di mezzo, in modo da avere una visuale completa della strada.
« Ma… non dovresti mettere la cintura? » gli domandò imbarazzata e altrettanto preoccupata, mentre se la allacciava anche lei. Natsume la guardò dallo specchietto retrovisore ed ebbe un colpo al cuore. « C-certo. » disse, mentre se la allacciava e prendeva la sinistra, guidato dall’intuito.
Guidato dall’intuito in una strada con divieto d’accesso. Natsume imprecò a mezza voce e si maledì mentalmente nel vedere Mikan che lo guardava preoccupata, tenendosi saldamente al sedile posteriore. « Ma.. dove mi stai portando? » gli chiese Mikan con una nota di preoccupazione ben udibile nella voce: « Guarda che se stai facendo la strada più lunga per far camminare il parchimetro puoi farmi scendere subito, non ho molti soldi con me. » confessò risentita, cercando di capire se lo strambo autista di quel taxi avesse un secondo fine nello scarrozzarla in macchina per strade sbagliate. « Che cosa? Certo che no! » dichiarò Natsume, rispondendo istintivamente come non gli capitava da tempo.  « Dov’è Kabukicho?? » si costrinse a chiedere, mentre svoltava nuovamente nella strada in cui era parcheggiato poco prima.
Dovette frenare bruscamente, per evitare un enorme camion dei pompieri che aveva attivato la sirena proprio in quel momento: Natsume sospirò di sollievo e strinse le mani sudate intorno al volante più saldamente. Che spavento!
« Oh, no! » strillò Mikan, portandosi una mano alla bocca con aria disperata. « Segui quel camion dei pompieri! » gli ordinò pallida, scuotendo la testa in preda ad una preoccupazione solo sua. Natsume sbuffò, premendo sull’acceleratore per cercare di raggiungere il camion che si allontanava velocemente da loro. Già da 7 isolati prima della loro meta, nel cielo si vedeva il fumo nero che caratterizzava un incendio doloso.
Mikan si sporse verso il parabrezza per osservare meglio: in pochi secondi gli occhi le si inondarono di lacrime. Natsume si morse la lingua: per quale motivo non riusciva a trovare niente da dirle? Aveva aspettato 13 anni per rivederla. Anche se non era più lei. Sembrava così diversa… a guardarla così da vicino, era estremamente magra. Sembrava fosse intera per miracolo.
Seguendo il camion dei pompieri, Natsume svoltò a sinistra e vide una folla enorme aprirsi a ventaglio per lasciar passare il camion il più vicino possibile all’edificio che stava andando in fiamme: un condominio dall’aria veramente vecchia e precaria. Prima che Natsume spegnesse la macchina Mikan schizzò fuori, tremante ed estremamente pallida. Natsume uscì dall’auto e guardò verso l’alto, valutando la gravità della situazione: Mikan, al suo fianco, sarebbe caduta in ginocchio a momenti se lui non l’avesse prontamente sostenuta. La ragazza, sentendo le braccia forti di Natsume sostenerla, lo guardò negli occhi sorpresa: « Ti sei fatta male? » le chiese lui, apprensivo, lasciandola andare subito dopo. Lei scosse la testa, guardandolo come se lo stesse vedendo per la prima volta, dimentica dell’incendio che abbracciava l’intera facciata dell’edificio solo per un istante. Una finestra andò in frantumi, e mille piccoli pezzi di vetro caddero sulla folla: i pompieri si alternavano fuori e dentro il camion montando la pompa, mentre altri cercavano di indirizzare la calca lontano dal potenziale raggio d’azione delle fiamme.
« Devo… devo trovare Yuka. » disse quasi a mo’ di scusa, scostandosi da Natsume e dirigendosi verso le persone che si erano riunite per guardare.
« Non ti lascio… » mormorò Natsume, seguendola immediatamente. La vide spingersi nel mezzo della folla alla ricerca di qualcuno: intanto arrivò anche l’ambulanza, e una squadra di paramedici scese andando in contro alla folla per rendersi utile.
« Hana! » chiamò Mikan, rivolgendosi ad una giovane donna dai capelli biondi che teneva in braccio un bambino che poteva avere al massimo 2 anni, e fissava le fiamme inebetito ma affascinato, come se stesse guardando un cartone animato particolarmente colorato.
La ragazza si voltò verso Mikan, e le due si abbracciarono: « Mikan! » la chiamò Hana, con enorme sorpresa di Natsume. « Per fortuna sei qui! Pensavo che fossi ancora lì dentro! ».
Mikan scosse la testa ansiosa e si separò da Hana tremante: « Dov’è Yuka? Non è con te? ».
Natsume trattenne il fiato, tenendosi a distanza, cercando di dare un senso alla conversazione a cui stava assistendo. « No! Pensavo fosse con te! Oddio, Mikan, se avessi saputo… ».
Prima che Hana potesse finire la frase Mikan si allontanò da lei, dirigendosi verso l’entrata del condominio in fiamme. Natsume l’afferrò per il polso, sorprendendosi di quanto fosse fino:
«Che hai intenzione di fare? » le chiese, chiaro e conciso. Lei lo guardò sorpresa, e chiuse gli occhi un istante come se la vista del ragazzo le provocasse dolore. « Devo entrare! Yuka è ancora dentro! ». Yuka? Non era possibile. La madre di Mikan era morta nell’Accademia, 13 anni prima. Ma a chi altro poteva riferirsi?  Gli occhi di Mikan si inondarono nuovamente di lacrime e di nuovo traballò, come se stesse per cadere.  Natsume la tenne stretta e alzò nuovamente lo sguardo su quelle fiamme: erano troppo alte e troppo estese perché lui, con il suo Alice, ruscisse a domarle. Senza contare il fatto che, 13 anni prima, dopo aver accettato finalmente il dono di Mikan, aveva promesso a se stesso che non avrebbe mai più usato l’Alice del Fuoco.
Maledizione!, imprecò mentalmente, sentendosi impotente; un altro vetro esplose, e Mikan, spaventata, si scagliò contro il suo petto. Se solo non ci fosse stata tutta quella puzza di fumo, Natsume avrebbe potuto sentire di nuovo il suo profumo.
 « S-scusami! » disse Mikan dopo pochi secondi, separandosi da lui. « Non capisci, Yuka è narcolettica! Potrebbe dormire adesso e non accorgersi di nulla! ». Natsume scosse la testa e la spinse verso di sé, impedendole di andare: « Vado io. Dimmi il numero del piano. » le ordinò con voce sicura, inchiodando i suoi occhi cremisi in quelli castani di lei. « No! », gridò lei, sciogliendo la stretta che la teneva al suo petto. « Non ti conosco nemmeno! Come posso affidarti una cosa così importante per me? » gli domandò lei, confusa, in viso ancora l’espressione dolorante di prima. « Perché l’hai già fatto! » le rispose Natsume, sorpassandola e correndo verso l’edificio. Ebbe appena il tempo di scrivere un sms a Ruka facendogli sapere dove si trovava, e poi si tuffò nelle fiamme all’ingresso: sentì uno dei pompieri ancora all’esterno gridargli di stare lontano dall’edificio, ma lo ignorò. Era già dentro a respirare con la stoffa della maglietta davanti al naso, quando si rese conto che non aveva idea del piano a cui si trovasse Yuka.
« Yuka! », iniziò a gridare invano, salendo su per le scale per salire ai piani alti.
« AL NONO PIANO! YUKA SI TROVA AL NONO PIANO! ». La voce metallica di Mikan traslata da un alto parlante lo raggiunse fin dentro l’edificio, guidandolo.
Le fiamme erano sulle scale già al secondo piano, e più saliva meno riusciva a vedere a causa del fumo nero che riempiva l’aria. Con il suo Alice tentò di arginare le fiamme intorno a lui, in modo da poter procedere fino al nono piano: arrivò a destinazione, sfondò la porta dell’unico appartamento presente in quel piano e si trovò di fronte ad un salottino modesto e decisamente arso dalle fiamme. Il lato esterno della sala, quella che un tempo doveva essere la cucina, era esplosa: vi era un enorme varco da cui era possibile vedere il cielo.  Sembrava che l’incendio avesse avuto origine da lì. Era per quello che quando aveva incontrato Mikan, lei era così di fretta?  
Non c’era tempo per pensare: « Yuka! » iniziò a gridare a gran voce, tentando di attirare l’attenzione della persona ancora intrappolata nell’appartamento. Niente.
« Yuka! », chiamò ancora, mentre il fiato iniziava a venirgli a mancare, insieme al respiro.
All’improvviso, perse il controllo del suo Alice: le fiamme si alzarono fino ad ostruirgli la strada per il corridoio. Cadde in ginocchio, tentando di riprendere il monopolio sulle fiamme: dopotutto, considerando gli anni che aveva passato senza usarlo, doveva ritenersi fortunato ad averne mantenuto il controllo abbastanza da arrivare al nono piano di quel condominio.
Aveva trovato Mikan, per poi morire tra le fiamme di un incendio. E pensare che aveva sempre creduto che sarebbe stato il suo stesso Alice, ad ucciderlo. C’era una sorta di giustizia divina, in tutto quello che gli era accaduto da quando aveva finalmente lasciato l’Accademia.
Ma qualcuno stava seguendo Mikan; doveva proteggerla.
Si rimise in piedi con difficoltà, ma con rinnovata volontà: doveva tornare giù con Yuka, per Mikan.
Alzò nuovamente gli occhi verso le fiamme che ostruivano il corridoio e alzò una mano verso di loro, tentando di abbassarle quel tanto che bastava a lasciarlo passare: le fiamme danzarono sotto il controllo di Natsume e s’inchinarono, rivelando la presenza di una bambina. Indossava un pigiama rosa a fiorellini, aveva lunghi capelli castani legati in due codini ai lati della testa, i suoi occhi color miele lo scrutavano con curiosità: era la copia in miniatura della Mikan bambina che aveva conosciuto in Accademia. Stava avendo forse un’allucinazione? Aveva respirato troppo fumo.
Le fiamme gli sfuggirono nuovamente di mano, e la sua allucinazione strillò un grido e saltò all’indietro, iniziando a piangere. « Yuka?? » domandò allora Natsume, incredulo.
Il cuore gli si fece pesante come un masso e collassò, ma il ragazzo cercò di farsi forza e tentò nuovamente di possedere le fiamme che divampavano sulla soglia del corridoio: non si era mai sforzato così tanto in vita sua per controllare il fuoco. Sentiva come una nota di disturbo al suo potere… Che trascurandolo, lo avesse perso? Ridicolo.
Aveva trascorso così tanto tempo a rinnegare il suo Alice, che perderlo a quel modo era del tutto assurdo. Così come lo era, per lui, morire bruciato. Una sorta di giustizia divina?
Con uno sforzo di volontà, Natsume si protese verso le fiamme in un ultimo, disperato tentativo di diradare le fiamme e liberare la bambina. Poi accadde l’impensato: le fiamme intorno a Yuka persero vigore e scomparirono, lasciandosi alle spalle solo un po’ di fumo nero. La bambina cadde per terra come un birillo, e Natsume in quell’istante ebbe paura sul serio. Si slanciò verso di lei ritrovandosi immediatamente a corto di fiato, sentiva i muri del palazzo stridere e quasi stringersi intorno a loro, pronti ad inglobarli. Prese Yuka tra le braccia e si tuffò verso la porta: ormai l’aria era satura di fumo e gli occhi gli bruciavano nel tentativo di vedere le scale, di trovare una via di fuga. L’uso dell’Alice del Fuoco lo aveva stremato.
 
***
Quando Ruka ricevette l’sms di Natsume, si trovava per le strade di Tokyo a vari isolati di distanza dal loro appartamento, dove invece si trovava Hotaru.
La chiamò immediatamente al telefono:
« Hotaru! »
«… Ruka? Che succede? »
« L’ha trovata! Natsume l’ha trovata! »
« … Dove? »
« A Kabukicho. »
« Cosa?? Ma è… »
« Sì, lo so cos’è, ma sbrigiamoci! C’è un incendio! »
« Chiamo un taxi. Sbrigati a venire a casa! »
Chiuse la conversazione e iniziò a correre verso casa; arrivò un quarto d’ora dopo, il taxi era già sotto casa ad aspettare lui. Entrò e il tassista partì, evidentemente Hotaru gli aveva già comunicato la destinazione: « Che cosa vuol dire che c’è un incendio? » chiese Hotaru a Ruka, mentre lui si metteva la cintura di sicurezza. « Non ne ho idea! », ribatté il biondino, porgendo il suo telefono alla ragazza perché leggesse l’sms di Natsume.
Arrivarono in una zona bloccata al traffico, nelle immediate vicinanze del palazzo in fiamme, così pagarono il tassista e continuarono a piedi fino al luogo dell’incendio. Si era radunata lì intorno talmente tanta gente, come avrebbero fatto a vedere Mikan?
« La vedi?? » chiese Ruka ad Hotaru, nervosamente, mentre tentava di mettersi sulle punte per riuscire a individuare la cara amica tra la folla.
Hotaru scosse la testa frustrata, facendosi strada in mezzo alla gente a spintoni e tirandosi dietro il ragazzo. « Se è qui che vive, probabilmente sarà tra le prime file! » gridò Hotaru, per sovrastare il frastuono di mille voci preoccupate o solo incuriosite che riempivano l’aria.
Arrivarono al punto che la gente si apriva davanti a loro come un ventaglio per farli passare, perché la loro espressione preoccupata li induceva a pensare che abitassero in quel povero, vecchio edificio divorato dalle fiamme. Udirono uno spiraglio di conversazione da due ragazze allarmate che parlavano accanto a loro: « E adesso dove andremo a vivere? » si chiese una delle due, preoccupata. « Oh, spero non di nuovo con le suore! », si lamentò l’altra, mentre si puntellava in avanti per vedere meglio il rogo. « E dire che dovevano ristrutturarla il mese prossimo. La nostra casa famiglia. Ancora non ci credo. Era l’unica riservata alle madri giovani con figli a carico… dove andremo a vivere?».
I due si irrigidirono. « Chiamo Natsume al telefono. » affermò Ruka, mentre tirava fuori il cellulare e componeva velocemente il numero dell’amico. « Ok. » rispose Hotaru, continuando a cercare tra i volti sconosciuti il viso di Mikan. Oh, ma dov’erano?
Ormai erano tra le prime file. Si udì un suono sinistro  provenire dal palazzo davanti a loro, e immediatamente i vigili del fuoco che non erano occupati a tentare di spegnere l’incendio spinsero indietro la folla: « Il palazzo sta per crollare! ».
« C’è ancora qualcuno dentro! », strillò una ragazza seduta su una barella circondata dai paramedici, che le stavano misurando la pressione. « Si calmi, signorina! » tentò di rabbonirla il paramedico che le contava i battiti, un po’ preoccupato.
« Ruka… » mormorò Hotaru, voltando la testa verso la ragazza che aveva parlato poco prima. Il ragazzo seguì lo sguardo di lei e… eccola, Mikan: i suoi capelli castani sciolti intorno al viso, i suoi occhi determinati e… il volto scarno. Era magra da morire.
Visto che Hotaru sembrava essersi pietrificata, Ruka la prese per il polso e fu il suo turno di spintonare la gente fino a giungere vicino a Mikan.
Lei, si accorse Hotaru con un sospiro affranto, non si era nemmeno accorta che si erano avvicinati: era troppo impegnata a scrutare attenta l’ingresso, nonché l’ultima via d’uscita di quel palazzo.
« E’ sicura che c’è ancora qualcuno dentro? » le chiese preoccupato il paramedico, che sembrava essere l’unico ad averle prestato attenzione, mentre riponeva lo sfigmomanometroin un astuccio sulla barella.  « Sì. » rispose Mikan risoluta e anche all’apparenza un po’ confusa, scendendo dalla barella: « è il tassista che mi ha portato a casa. E’ entrato per colpa mia, sarei dovuta entrare al posto suo… ». Mikan iniziò nuovamente a singhiozzare; oh, Hotaru detestava vederla piangere.
« Sei la solita piagnucolona. » sbottò infatti, attirandosi gli sguardi straniti sia di Ruka che del paramedico, ma non di Mikan. Lei la guardava… esattamente come se la vedesse per la prima volta in vita sua. Non ribatté, e si asciugò le lacrime con i palmi delle mani.
« Ci… ci conosciamo? » le chiese, tirando su col naso.
Hotaru trattenne il fiato: « No. Ma c’è un mio amico, lì dentro l’edificio in fiamme. » mormorò la ragazza dai capelli neri, prendendo la mano di Ruka e stringendogliela. Il biondino era veramente stupito, che Hotaru manifestasse i suoi sentimenti in pubblico a quel modo, ma non disse nulla, ricambiando semplicemente la stretta.
Mikan fece per dire qualcosa, ma il palazzo brontolò rumorosamente, sollevando un polverone pazzesco intorno a loro: alcuni enormi massi si staccarono dall’edificio ed iniziarono a cadere. Era uno spettacolo bizzarro. La folla si fece indietro in modo confusionario,le persone  inciampavano l’uno sull’altro. « Dobbiamo spostarci! » gridò il paramedico, cercando di fare strada ai tre ragazzi ora in piedi vicino a lui. Protestarono immediatamente: « Non se ne parla nemmeno! », « Assolutamente no! ». Il paramedico ci rinunciò subito,allontanandosi da loro.
« Voi tre, là! » gridò uno dei vigili del fuoco, indicandoli da lontano.
Hotaru e Ruka si voltarono verso l’uomo, ma Mikan tenne lo sguardo sull’ingresso, in attesa: uscì un'altra ondata di fumo, proprio da lì.
E all’improvviso eccolo: Natsume, con in braccio un fagottino rosa, che correva verso l’esterno proprio mentre un ultimo, enorme masso stava per cadere su di lui.
« NATSUME!!! », urlò Mikan a pieni polmoni, slanciandosi verso di lui per raggiungerlo esattamente mentre intorno al suo sterno si chiudevano le braccia fasciate in arancione fosforescente del vigile che li aveva richiamati poco prima.
Hotaru e Ruka si guardarono sconvolti, mentre il masso cadeva dove pochi attimi prima si trovava il ragazzo dagli occhi rossi che, a sua volta, li guardava sconvolto, la bocca semi aperta dalla sorpresa.
« Si tolga immediatamente da lì, è pericoloso! ».
Un piccolo gruppo di paramedici raggiunse Natsume, e faticarono per togliergli dalle braccia quella che si dimostrò essere una bambina piccolissima, svenuta.
« L’hai sentita anche tu? » sussurrò Ruka a bassa voce, tutta i suoi sensi rivolti ad Hotaru.
Lei gli lasciò la mano, e si voltò a guardarlo negli occhi: stava piangendo.
« Signorina?? Mi servono dei paramedici! » gridò il vigile dietro di loro, che stringeva tra le braccia una Mikan mogia mogia, priva di sensi.
 
 
Ho sprecato tutto questo tempo sperando che ti saresti fatto vivo
Ho rinunciato a molte possibilità ogni volta e tutto quello che fai tu è buttarmi a terra
E mi ci è volute molto, piccolo, ma ho capito
E tu pensi che andrà di nuovo bene ma non questa volta
 
 
***
 
Ed ecco il terzo capitolo, che mi è venuto persino più lungo del secondo XD E’ che non riuscivo a trovare un modo per spezzarlo senza interromperlo xD Dal prossimo capitolo mi conterrò, ve lo giuro ^^ La canzone che ho usato in questo capitolo è “You’re not sorry” di Taylor Swift.
Lasciate una recensione piccina picciò? Andiamo, non fatemi sentire sola, se no poi mi scoraggio e perdo l’ispirazione per il prossimo capitolo ^^””
Come vi è sembrato questo capitolo? Sorpresi? O vi aspettavate qualcosa? ^^
Ringrazio tantissimo Sailorm, che con le sue recensioni mi da sempre la carica per portare avanti la storia ^^
 
*Kabukicho, è il famoso quartiere a luci rosse di Tokyo, e si trova nel centralissimo quartiere di Shinjuku. Questa zona è piena di club privati, salotti rosa, strip club ecc ecc. E’ vero che a Tokyo, Kabukicho è considerato il quartiere più malfamato della città, visto anche l’alto numero di membri della Yakuza che ovviamente gestiscono tutti i locali a luci rosse, ma siamo pur sempre a Tokyo. Quindi sentitevi liberi di vagare attraverso il quartiere in qualsiasi momento della giornata, noterete gente un pò strana e particolare, ma nessuno vi creerà alcun tipo di problema, a meno che non vi imbattiate in un salarymen particolarmente ubriaco e molesto.
 
Alla prossima ^^
   
 
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