Eric ha controllato la mia ispirazione, in questo capitolo dedicato a lui, che ho scritto sulle note di here. in my head di Tori Amos, una canzone che vi raccomando di ascoltare e di cui troverete stralci di testo nel capitolo, poiché si plasma bene con la mia idea di Eric Cartman per questa ff, un Cartman molto più vicino al bimbo che conosciamo, dal punto di vista psichico, e mi è sembrato quasi dovuto, dato che i ragazzi al momento nella storia sono all'ultimo anno delle scuole medie.
Oh pensato se inserire o meno qualche nota di guida al testo, ma ho preferito non farlo, e non per pigrizia: semplicemente le uniche di cui potreste pretenderle sono nomi di cd, giochi, film... ma non credo che non conoscerli potrebbe in qualche modo influire sulla comprensione del testo, l'incomprensione potrebbe esser solo dettata dalla logica contorta di Eric, ma dare spiegazioni su essa non mi sembrerebbe serio, spiegare quel che si legge lo trovo personalmente offensivo per il lettore, in quanto un qualsiasi lavoro artistico può essere capito, ma la comprensione sarà in gran parte qualcosa di individuale, lontana o vicina dall'idea originaria, ma che si può comunque discutere e può portare ad aprire un punto di vista nuovo, interessante. E, in tal proposito, ringrazio le deliziose personcine che hanno recensito, fatto sapere la loro opinione del primo - seppur brevissimo - capitolo, quanto ringrazio chi ha lasciato un parere su Facebook o parlato con me in privato, senza contare l'interesse sul mio lavoro di scrittura per questa storia... piccoli gesti, poche o tante parole, che ho apprezzato di cuore e che mi auguro il capitolo, in qualche modo, ripaghi. Ma avanzate anche critiche e fatemi sapere se ci sono errori, perché soffrendo di dislessia, non si sa mai che le mie riletture siano inutili.
Per concludere... questa storia, come precedentemente ho affermato, è dedicata a coloro che mi supportano e credono nelle mie capacità, una fiducia che ha scaldato il mio animo e di cui non posso che esser grata; questo capitolo però vorrei dedicarlo a una di queste persone in particolare, Jenny, che in questo mese ha compiuto gli anni e... questo vorrei lo considerasse come un pensierino di compleanno, oltre che un incoraggiamento per la forza e l'impegno che sta dimostrando in questo periodo.
Con uno spillo trapassa uno
scarafaggio.
Lo vede agitarsi... poi un po' meno... sempre meno... ancor meno...
debolmente... e poi non si muove più.
Sente distintamente la
voce di Kyle in quel momento, un rimprovero a voce alta, acido ed
indignato, stridulo tanto da essere divertente. Non sorride però,
non c'è nulla per cui sorridere: ha un fottuto scarafaggio
incastrato in uno spillo e Kyle non è lì.
Ad ogni sua azione sbagliata sa che
potrà sentire la voce di Kyle, voleva sentirlo, per questo l'ha
fatto; sbagliare è quindi diventata una costante, in premio c'è
sempre la presenza di Kyle, reale o illusoria che sia.
Vorrebbe
sorridere, ma Kyle non è lì, è stato tutto inutile.
Mette il broncio, butta lo spillo nel
cestino e si butta - con grazia pachidermica - sul letto, alla
ricerca del sonno, sperando lo abbracci presto.
Conta fino a
sessanta e si rialza incazzato come non mai, dritto al pc, seccato
per la lentezza che impiega nell'accendersi e il cuore in gola, che
prega - sì, il cuore prega - nell'animo nerd e insonne di
Kyle.
Realizza pochi minuti dopo che non è né su Facebook, né
su Skype; la constatazione lo fa piangere come un bambino, un bambino
che scopre che Babbo Natale ha sbagliato regalo per lui.
Spegne
tutto, senza cura, e si butta a terra vicino al cestino, cerca lo
spillo, cerca lo scarafaggio e – trovato - lo osserva. Più di una
lacrima scende, mentre i singhiozzi gli muoiono in gola, senza suono.
Col pollice tocca l'insetto per levarlo dallo spillo, lasciandolo
poi cadere nel cestino. E' tardi per il rimorso.
Si calma solo
diversi minuti dopo, quando ormai l'occhio si è abituato al buio e
può leggere sul display della sveglia che è 1:18, ma non ha sonno e
torna in piedi, uccidendo la noia camminando avanti e indietro per la
camera. Accende la luce e spera che sua madre si svegli e - amorevole
- gli proponga di fargli un panino, lo può trovare pronto per un sì.
Può scendere in cucina e farlo da solo, ma sarebbe diverso, non
soddisferebbe il suo bisogno d'attenzione.
Posa lo sguardo sugli
ultimi cd comprati, sistemati in una disordinata e precaria colonna,
ci sono due album dei The Cure (Pornography e
4:13 Dream), American Gangster di Jay-Z (album che
faceva fatica a toccare) e due album della nuova ossessione musicale
di Kyle, i Franz Ferdinand. Ricorda di aver comprato quei CD con
l'intento di far sapere a Kyle che li adorava anche lui, ma poi
c'aveva ripensato, dovevano sicuramente far schifo e doveva dire a
Kyle che aveva gusti di merda; alla fine però aveva dimenticato con
quale proposito li aveva comprati ed erano rimasti lì, inascoltati.
Li prende in blocco e li porta al lato della libreria dove custodisce
tutti i suoi cd, al fianco della discografia completa dei The White
Stripes, il gruppo preferito di Kyle della passata estate.
Incurante
- come sempre - dell'ora ed arreso al fatto che sua madre non gli
preparerà alcun panino, prende il cellulare e senza andare in
rubrica, preme il tasto dell'ultima chiamata, attendendo nervoso
risposta, seduto vicino al cestino con lo sguardo fisso sullo
scarafaggio morto.
“...pronto?”.
“Cos'ha fatto oggi Kyle al laboratorio di
chimica?”.
“...cos-?
E-Eric... è l'una passata, non possiamo...” il Butters di
quattordici anni non è diverso da quello che era a nove anni; sempre
paziente e disponibile, mai che riesca a mandare a fanculo Cartman
per svegliarlo nel cuore della notte. Agli amici si deve voler bene e
star vicini, questo è il suo principio.
“E' un emergenza
Butters! Allora? Cos'è successo al fottuto club di chimica?”.
Si stropiccia diverse volte gli occhi il piccolo Butters,
cercando di ricollegare e focalizzare la giornata passata, ignorando
gli ulteriori incitamenti a parlare di Eric.
“Abbiamo
sperimentato delle reazioni chimiche tra diversi composti... come
l'ammoniaca nell'acqua che da acida diventa...”.
“Ammoniaca!
Ecco! Si spiega tutto!” L'esclamazione di Eric è così energica da
svegliare completamente Butters e metterlo in agitazione.
“P-Perché
Eric?”.
“Ma come Butters non capisci? Ricordi cos'è
successo due settimane fa al mio KFC preferito? ...BOOM!”
Butters urla dallo spavento, mentre Eric lo ignora tenendo lo sguardo
fisso sullo scarafaggio “due feriti. Ma potevano morire per
quell'esplosione!”.
“E cosa centra con quello che abbiamo
fatto al club di chimica?”.
“...Butters, sei o non sei uno
del club? Dovresti saperlo meglio di me”.
“Sono in quel
club perché tu mi hai costretto ad iscrivermi” ma Cartman non
vuole neanche fermarsi sulle lagne del suo interlocutore, né
ricordare con quanta insistenza - ed urla - l'ha spinto a iscriversi
e a fare molta attenzione a Kyle.
“L'ammoniaca
viene usata per creare esplosivi, Butters! E' stato Kyle, capisci?”.
“Eh? Ma non puoi dirlo, con quali prove...” ma non
continuò, sentendo dall'altro capo del telefono dei flebili
singhiozzi.
“...era il mio KFC preferito...”.
“Oh
Eric, vedrai, un'altra settimana e tutto tornerà come prima, devono
solo sostituire le vetrate” nessuno sarebbe stato così gentile con
Eric Cartman, Butters era una vera e propria eccezione, qualcuno che
una volta morto avrebbe meritato la beatificazione per il buon cuore
con cui aveva trattato i suoi amici e, soprattutto, chi non lo
meritava, come Eric. E nonostante l'ingenuità del ragazzo, sapeva
cosa significavano le telefonate notturne, cosa si nascondeva
all'ombra di allarmi e ansie, quanto sapeva che Kyle non aveva creato
alcun esplosivo.
“Cosa c'è che non va Eric?”.
“...c'è
uno scarafaggio morto nel cestino”.
“Oh... schifo...”.
“Era sul davanzale della finestra, l'ho ucciso con uno
spillo”.
Butters rimase in silenzio, privato del
sorriso.
“...credevo fosse una cimice” incalza Eric,
frainteso immediatamente da Butters.
“Ma gli scarafaggi non
assomigliano alle cimici”.
“Porca troia, una microspia
Butters!”.
“Oh... scusa”.
Lo sente singhiozzare
più forte e più forte diventa il dispiacere per Eric, perché
quello che lo tormenta non è né il KFC né lo scarafaggio.
Ricorda
d'avergli chiesto una volta cos'è secondo te la felicità?,
Eric c'aveva pensato e poi estremamente serio aveva risposto:
qualcosa che Kyle di certo non conosce.
Non
può far molto, ma rimanere attaccato al telefono pensa possa
tranquillizzarlo un po'. Non può essere uno spauracchio per le sue
ossessioni ed i suoi incubi, ma può esser qualcosa di più: un
amico.
“Va tutto bene Eric, tranquillo...” la
pacatezza del tono è convincente, come quella materna, come quella
dei cantastorie che assicurano ai bimbi che la principessa della
fiaba non è morta, ma sarà salvata.
Dopo un po' che
Butters continua a ripetersi tutto prende un colore più roseo nella
stanza di Eric, anche quando spegne le luci per tornare nel letto.
Ma nulla va affatto bene.
Punta
la sua preda ad ore 15, ma rimane nascosto tra il colonnato della
scuola, attendendo il momento migliore. Chiude gli occhi e li apre un
mondo di colorite e colorate frasi, ma non riesce a sceglierne
nessuna, opta per l'ispirazione del momento.
Guarda il suo
riflesso su una finestra, lasciando cadere lo sguardo sempre sullo
stesso punto: lo stomaco.
Non è poi così tanto
grosso, no?
Ha una corporatura ormai quasi normale, vero?
Non
differisce tanto da Stan, no?
Stan non è migliore di lui, no?
Kyle ha notato che è cambiato, vero?
E'
un turbine di ansia ogni volta che vede il suo riflesso, specialmente
in prossimità dell'ebreo.
Ogni tanto gli pizzicano anche gli
occhi.
Ma prende quella bestia per il collo, la prende a pugni e
la butta giù, ad affogare nella bile. Accarezza leggermente il
ventre e, chiudendo gli occhi di nuovo, si sente a suo agio nel
nulla.
E poi va.
“Ma guardatelo che faccino carino,
sempre sorridente con il suo amichetto, sempre puntuale, sempre ben
vestito, è il Clark Kent di South Park lui...” gli porta un
braccio intorno al collo, in modo confidenziale, amichevole... (ma
sogna d'abbracciarlo, in verità).
“...ma ci sarà davvero un Superman oltre questi occhiali?” e
gli leva gli occhialetti dalla montatura nera che Kyle è solito
usare quando era a scuola o mentre studiava; lo trova sexy quando li
indossa, ma in quel momento preferisce vedere bene i suoi occhi.
“O
forse si nasconde qualcuno che tanto retto ed eroico non è?”.
Kyle non fa nulla, lo guarda con sufficienza, leggendo
perfettamente l'espressione di Cartman. Sa a cosa va incontro, cosa
significavano quelle parole, e l'unico modo per preservare la sua
salute ed eventuali guai è ignorarlo; esattamente come fa il resto
degli altri studenti nel corridoio. Ma non Stan. Anche se lui è il
suo migliore amico, in certi momenti Kyle vorrebbe prenderlo a calci
nel culo, per la sua capacità di complicare le cose dando troppo
retta a Cartman.
“La smetti Cartman di dar fastidio a Kyle
e dir cazzate?”.
Sia Eric che Kyle si irritano alle parole
di Stan, ma per motivi diversi.
Eric non può perdonargli di
essersi intromesso in quel momento, mentre Kyle – anche se seccato
– lo sta guardando.
“Oh, scordavo che abbiamo qui Lois
Lane... senti vai a pomiciare con la tua ragazza, invece di rompere
il cazzo!”.
E Kyle ne approfitta per riprendersi gli
occhiali e allontanare Cartman, impedendo subito a Stan di dargli
ulteriore corda.
“Stan, non rispondere a quest'idiota, andiamo
altrove”.
“Idiota? Idiota?! Quest'idiota Kahl, sa cosa
hai fatto la notte di sabato 13, e non intende assolutamente stare
zitto” e Kyle fa il suo passo falso, sussulta e si volta, ma... non
può essere, che...
“Io non
intendo star zitto e abbassare la testa davanti a un atto
terroristico! Tutti qui, devono sapere che sei stato tu ad aver messo
quell'esplosivo davanti al KFC!”.
Tutti a quel punto si
voltano, per lo più per il modo in cui Eric urla, mentre Kyle
sospira – un po' rilassato – chiedendosi cosa deve fare con Eric
Cartman.
“E perché mai dovrei esser stato io?”.
“Oh,
andiamo sai benissimo che quello è il mio KFC preferito!”.
“Cos-”
tutto ciò è assurdo e ancor più assurdo – si rimprovera Kyle –
è che gli stava dando corda. Non vuole, non deve, significa solo
dargliela vinta, soddisfarlo, farlo sentire più importante di quello
che è, e – per quanto è un pensiero particolarmente teatrale –
preferirebbe morire piuttosto che considerarlo importante.
“Lo
so Kahl, cosa credi? Lo so che vuoi rovinare ogni cosa nella mia
vita! Ma non credere che io te lo lasci fare senza pagare il conto!”.
Butters sta tranquillamente entrando a scuola nei suoi abiti
tinta pastello, col solito sorriso da rivolgere a chiunque conosce.
Tuttavia quando l'imponente voce di Eric si leva nel corridoio, non
c' è più posto per un sorriso sulle sue labbra.
Doveva immaginarlo,
aveva peccato d'ingenuità credendo che tutto fosse finito con quel
pianto la sera prima.
Si guarda intorno, agitato, cercando una
soluzione, qualcuno come Kenny che con una stupida battuta può
placare gli animi, ma... oh già, Kenny è stato investito da una
bici ed è in ospedale. Spetta a lui farsi avanti, nella sua
tremolante ed incerta natura, spintonando – come non è solito fare
– i curiosi che aspettano la rissa, che si augura Butters, non
accada.
“Eric! Eric! Madonnina, ti prego, calmati...”
prima che Kyle si avvicini, si porta davanti a Cartman,
allontanandolo.
“Eccoti Butters! Dì un po' a Kyle che noi
sappiamo quello che ha fatto! Digli come l'hai visto esercitarsi nel
fare esplosivi!” Butters è prossimo ad andare nel panico,
esattamente come Tweek che a pochi metri da loro – angosciato per
una presunta rissa – con le mani tra i capelli scappa urlando,
attirando l'attenzione anche dei pochi che non sanno cosa sta
accadendo.
“Eric, sai
benissimo che non è-” ma non fa in tempo a finire la frase che la
voce di Kyle lo spaventa. E' gelida.
“...hai davvero sparso tu
questa voce Butters?”.
Kyle è sempre stato buono con lui –
ok, ogni tanto ha fatto lo stronzo, ma meno degli altri – e di
fronte a una grave accusa come quella, Kyle ha tutte le ragioni per
riempirlo di pugni e calci, anche di appenderlo per le mutande
all'asta della bandiera della scuola.
“N-no, io ho solo
detto quello che che facciamo nel club di chimica e...”
Kyle non gli da tempo per spiegarsi ulteriormente, in fondo neanche l'ha davvero ascoltato.
“Proprio
degno di una strachecca”.
E
gli volta le spalle, pensando che è meglio raggiungere l'aula di
scienze per non perdere la lezione e non essere troppo al centro
dell'attenzione. Lui non è come Cartman, lo stesso Cartman che in
quel momento ride dell'appellativo che ha dato a Butters.
'Coglione', pensa
di Eric Cartman strattonando Stan, prima che si cacci in qualche
guaio, ma a quanto pare non è così fortunato quel giorno.
“Gli
studenti Kyle Broflovski ed Eric Cartman sono attesi in presidenza”
annunciano squillanti, e ripetendosi, le altoparlanti.
Giura a se
stesso che un giorno o l'altro ammazzerà Eric Cartman.
La Preside
Vittoria, in quanto direttrice della scuole medie e delle poco
distanti scuole elementari, ha grandi responsabilità in quanto
educatrice e non solo. E non ha il lusso, per quanto conosca bene i
suoi polli, di ignorare se Eric Cartman urla nei corridoi della
scuola che Kyle Broflovski ha giocato con degli esplosivi in città,
causando dei guai che hanno lasciato due feriti, soprattutto non può
ignorare la questione dato che un colpevole non è stato ancora
trovato ed esso poteva nascondersi proprio nella sua scuola.
Dopo però
un'ora di dialogo con Cartman e Broflovski era stato chiaro come il
sole che Cartman basava sul nulla le sue accuse; la signora Preside
anzi fu piuttosto irritata dal fatto che il suo problematico pollo
avesse così tanta fantasia e voglia di giocare, macchiando la
reputazione sull'orgoglio fatto persona del suo istituto, ovvero
Kyle. Si sentì mortificata per aver dato peso alle accuse di Eric e,
sperò in cuor suo, che Sheila Broflovski – ancora fiera
rappresentante dei genitori – non venisse a sapere di questa
storia. Come se Kyle non vedesse l'ora di parlare con la sua
iperprotettiva madre di quel che accadeva tra lui e Cartman.
Il
caso fu così da archiviare per la Preside, ma non per Cartman,
seriamente convinto della sua accusa, diventata ormai l'ossessione di
quella settimana. Bastava chiudesse gli occhi perché vedesse la
scena, come fosse stato testimone, perfetta, senza incongruenze.
“Eric, dovresti smetterla non è stato Kyle, lo sai bene.
Così non fai che...”.
“Taci Butters”.
Nessuno
può levargli quell'idea dalla testa. Ed ha solo un'altra scusa per
non potergli togliere gli occhi di dosso.
Dovrà tradirsi,
pensa, potrebbe anche coglierlo con le mani nel sacco, così da poter
dire di conoscere il suo segreto; tutto sarà poi migliore, lui starà
meglio. Potrà tornare al KFC e mangiare ancora le sue adorate alette
di pollo, immergendole nella salsa che tanto ama, in cui avrebbe di
nuovo voluto farci il bagno, come era successo anni prima con Kyle,
uno dei quei pochi momenti intimi che avevano condiviso e che – lo
sapeva! – Kyle voleva dimenticare, eliminare, al punto di far
saltar in aria l'origine di quel “male”, che – nonostante lo
giudichi così l'ebreo – Eric sa che non è stato un male. Kyle è
stato in qualche modo felice, una felicità che però vuole negarsi
al punto di essere estremo e... Eric non glielo vuole permettere.
Può eliminare
le tracce, i fili che li legano, ma non lui che – anche con la
forza – riallaccerà quei fili, potrebbe... fare qualsiasi cosa,
pur che Kyle rimanga parte integrante – oltre che fondante –
nella sua vita, non gli può perdonato l'esorcizzare il loro vissuto,
non gli permetterà di esser solo un fantasma.
E' carne che vuole altra carne.
“Si può sapere cosa diamine vuoi da me? Devo denunciarti per stalking?” Kyle è un ingenuo, rasenta il ridicolo urlandogli quelle cose dopo ben nove giorni in cui Cartman non gli ha tolto gli occhi di dosso e seguito a distanza ovunque andasse.
E' un estremista,
dovrebbe saperlo, e per tanto estremi sono i suoi metodi.
“Kahl,
non fare la primadonna. Solo perché tu uscendo di casa mi hai
trovato davanti casa tua, non significa che io son qui per te.
Significa solo che non ti sei pulito bene”.
Lo prende in
contro piede con l'ultima frase. Seguire i discorsi di Cartman,
spesso è alquanto difficile. “Cos- ...pulito?”.
“La
sabbia, nella tua vagina Kyle. Ti prude e per questo sei acido”.
Mosè solo sa come non gli metta le mani al collo. Quello
stronzo... prima o poi lo avrebbe ammazzato; più prima che
poi se continuava di quella linea.
L'unica cosa che può
fare, per la sua salute mentale, è passar oltre ed ignorarlo: ha un
Sabato sera libero e non lo vuole certo sprecare incazzandosi con
quel coglione. Vuole passar da Stan e star con lui, insieme avrebbero
trovato un modo per passare quella serata.
“Ehi Kahl, ti va
di andare al cinema? ...ho un biglietto in più per Thor” affonda
le mani nelle tasche, mentre lo scarpone scava nella neve, cercando
di distrarsi dall'ansia che non gli procura altro che gastrite. E
quando Kyle si volta, sussulta appena Eric nel vedersi rivolta
un'occhiata maliziosa.
“Non eri qui davanti per puro caso
Culone?”.
“Ovvio”.
“Con un biglietto in più
per il cinema, pronto ad offrirmelo?”
“Te l'ho detto che
sei una primadonna, ebreo” Eric stesso si stupisce di quanto sappia
mostrarsi calmo e coglione in un momento simile, con gli occhi di
Kyle fissi su di lui, stavolta liberi dagli occhiali.
“...non sei stato
di certo tu il mio primo pensiero, volevo invitare
Butters...”.
“Invitalo” taglia corto Kyle, tornando sui
suoi passi.
“Ma...” riprende con tono più alto “...un
certo ebreo è alquanto nervosetto e ho pensato, visto che sono un
animo gentile, di invitar lui”.
Arrossisce leggermente finendo
frase. Nulla però che possa esser sospetto, è il colore di un
pizzico, un colore che il freddo giustifica e, comunque, Kyle cammina
lontano da lui.
Potrebbe anche piangere, non lo noterebbe.
“Di
certo non risolverei il mio problema di nervi uscendo con la causa di
essi”.
Eric
non accetta il tono di strafottente superiorità di Kyle e pensa di
giocare il suo Jolly.
“Dillo che ti rode il culo perché ho
pensato prima a Butters!”.
Colpito o meno, Kyle si ferma,
e... lo guarda di nuovo. Gli fa inevitabilmente male il petto.
“Sei assurdo Cartman! Ma che diamine hai nella testa? Mi
accusi, mi spii, mi segui, mi inviti, poi dici che son geloso... fai
tutto tu e pretendi anche che io debba darti retta?”.
'Fai
qualsiasi cosa, anche gli insulti vanno bene, ma guardami'.
Stringe i pugni nella felpa, cercando di non veder rosso, ma
bianco. Il color tanto candido che ricorda la luce e che – per
definizione – è la negazione di ogni colore. E' qualcosa che lo
mette a suo agio, per questo ama la neve e la calcia, tutto sembra
andar meglio quando lo fa, sembra quasi non abbia i nervi a fior di
pelle.
“Stan è con Wendy, e Kenny è, al solito, a
rimorchiare. Quindi mi fai inevitabilmente pensare che stai
elaborando qualche ordigno. Stavolta dove lo metterai? Sotto casa
mia?”.
“Cielo Cartman, basta con questa storia!” esplode
e torna indietro, avvicinandosi quasi minaccioso a Eric.
Ha i brividi
sotto la felpa rossa Eric e non dal terrore; deve mordersi le labbra
per non sorridere. Quella la chiama armonia.
“Non sono
stato io, non ne avevo motivo e non ho le conoscenze per farlo,
altrimenti davvero ti farei esplodere pur di non sentire tutte queste
tue stronzate. E tu lo sai benissimo che non sono stato io! Quindi
perché lo fai? Perché non mi lasci in santa pace?”.
Abbassa
il volto Eric, Kyle lo studia con sguardo severo, pronto stavolta a
prenderlo a pugni nel caso spari un'altra delle sue assurdità.
Invece Eric lo sorprende ancora: assurdo, ma serio allo stesso tempo;
destabilizza Kyle lasciandolo senza parole nell'imbarazzo
dell'incomprensione.
“E' la stessa domanda che mi pongo io
Kyle. Me lo sono chiesto quando ho ucciso quello scarafaggio. Doveva
essere una cimice, tu sei bravo con queste cose da geek...” quando
alza lo sguardo Kyle fa un passo indietro. Cartman è pallido e gli
occhi sono quelli del rettile che tanto teme.
Eric Cartman è un animale a sangue
freddo?
...Kyle di certo no
e trema, per il freddo, per la neve – anche se è Aprile – e per quello che ha davanti. Ha
bisogno della sua giacca, della sciarpa e del cappello. Ma non sono
abbastanza.
“...invece sei sempre nel posto sbagliato
quando dovresti esserci e ci sei nei momenti sbagliati. E poi dai a
me la colpa, io poi sono quello sbagliato...” non si vergogna di
versare lacrime, ma in realtà neanche ne è cosciente. Non è
piangere quello, ma sanguinare, stupidamente.
C'è il cuore che
batte forte, trema, ma non i suoi muscoli; è rigidamente composto,
con gli stivali ben affondati nella neve.
“...se quello
scarafaggio non era una cimice e tu non hai messo quell'ordigno al
KFC, chi è stato? Non ha senso così, ma io lo so che c'è, che
centri tu, perché...”
“Cartman! Smettila!” la voce
incerta e macchiata dal panico ferma il tempo, recidendo il filo dei
pensieri.
Eric dovrà
ritrovare quel filo e sarà dura, ma troverà l'estremità a cui
legarlo; sarà un'estremità diversa probabilmente, ma non importano
le deviazioni di linea, il percorso è sempre lo stesso, il traguardo
è la partenza, è un unica cosa, una ragnatela dalla forma che
conosce bene e che continuerà a tessere perché è l'unica sua arma
e scudo, è la sua casa, lì, quando chiude gli occhi e il mondo si
spegne.
“...non... non ho idea di cosa tu stia parlando, ma
non sono stato io e non c'è nessun motivo per piangere, idiota!”.
Lo sa, sa perfettamente che per lui è solo un idiota. Si
sente un po' come la neve sotto la luce, non fa male, semplicemente
scioglie.
Stringe i biglietti del cinema nella tasca e poi li tira fuori, li getta a terra con sprezzo, quasi fossero sporchi.
“Usali pure, tu,
col tuo super-miglior amichetto del cazzo. Non era per Butters il
secondo biglietto, non era per nessuno, era solo per...” gli occhi
lucidi sfocano tutto, compreso quel che c'è scritto sul biglietto,
non vede più titolo e posti, anche se la sua mente sa perfettamente
cosa c'è scritto su di essi.
“...che schifo” e lo dice
guardando in faccia Kyle. Nessun pentimento.
Kyle è lì, eppure
è come se non ci fosse. Era sempre quello il problema, quello che
faceva male, avere solo una parte di quel che desidera.
“C-Catman...” lo chiama, stavolta con l'intenzione di calmarlo davvero perché capisce e non è sua intenzione far così lo stronzo, semplicemente... è sempre colpa di Cartman se lui si comporta così.
Ma Cartman ormai ha fatto dietro-front.
*
Dopo
lo slam violento della
porta, vola una scarpa contro la finestra e poi entra, furioso,
calciando il comodino e facendo cadere sveglia e lampada.
La luce
della ragione si è spenta in Eric nel momento stesso in cui ha
gettato a terra i suoi guantoni da box, incarnati nei biglietti per il
cinema.
Si leva anche l'altra scarpa e la getta contro la parete,
e poi lo segue a terra anche il pesante maglione. Si avventa sulla
scrivania, prendendo la cornice che ritrae lui e Kyle insieme a Stan
e Kenny, una foto scattata durante la gita della prima media, davanti alle
cascate del Niagara.
“ti odio, ti odio, ti odio...”
sibila con in corpo il veleno di un serpente. E poi getta via la
cornice, rompendola, coprendo di vetro il tappeto vicino al letto.
Potrebbe anche passarci sopra e farsi male, ma non lo noterebbe, sta
già piangendo per ben altre ferite.
Ma non è finita lì, non è
sufficiente.
In pochi secondi tutti i suoi cd sono a terra, il suo
scaffale è liberato. Calpesta con rabbia Disintegration e tutta la
restante discografia dei The Cure, la chiama merda, sottovoce, mentre
vede rosso, rosso dappertutto e ha bisogno di incornarlo, di chiamare
quella roba merda, tutto... tutto quello che c'è in quella stanza.
Finiscono a terra le saghe fantasy di Tolkien, le espansioni di
World of Warcraft,
montagne di videogiochi, le scatole dei giochi di ruolo firmate
Dungeon&Dragons, e
album fotografici che, all'impatto si aprono e... mostrano Kyle.
Calpesta quell'immagine non potendola perdonare.
Doveva essere
stato lui a mandare quello scarafaggio...
Doveva essere lui ad
aver messo quell'esplosivo al KFC...
Tutto aveva un senso, la suacollocazione
era giusta, non poteva sbagliare, perché era lì,
intorno a lui, sotto ai suoi piedi ora, nel caos creato da
lui, conosceva l'ordine, i fili erano sempre lì, legati
alle sue dita,
potevano disperdersi le altre estremità, ma sempre avrebbero
figurato
lo stesso senso. Per questo Kyle non poteva sfuggirgli, poteva
prevedere le sue azioni perché era abituato al suo spazio
vitale,
perché era circondato da lui... non poteva che essere
così.
Chiudendo gli occhi lo vedeva, nitidamente: Kyle che metteva uno
scarafaggio spia dentro la sua stanza, Kyle che preparava un ordigno,
per poi metterlo in un orario insospettabile davanti al KFC che lui
tanto amava, così da farlo davvero incazzare. Era così, come
immaginava lui.
Altrimenti Kyle... dov'era? Dov'era sempre stato?
running around and following me
but you don’t, oh, dare, now
Apre
gli occhi, umidi, e crolla su Kyle sorridenti.
Ha un lungo
brivido, che sale su tutta la colonna vertebrale.
E lui
dov'è? - Guarda il proprio
riflesso, ma non riesce a vederlo nitido, la sua vista è offuscata
dalle lacrime. Ma le lacrime mostrano esattamente come stanno le
cose.
more then I ever wanted to
E
marcia sulla sua realtà, uno spazio nero e confortevole, che accoglie
con sollievo, che nasconde riflessi e realtà. E va bene così, anche
se nulla va affatto bene.
E lo vede all'orizzonte dei suoi sogni,
e gli perdona tutto.
Gattona verso di lui Kyle, con vestiti candidi che
dominano lo spazio del buio. E' come una stella, dell'importanza del
Sole, e non può che ruotare intorno a lui e far dipendere la sua
vita.
Sciocchi coloro che non comprendono la bellezza del buio; in esso tutto diventa più chiaro e confortante. Non nega il suo
amore per il bianco però, non potrebbe mai. Li ama in pari misura,
come ama se stesso e Kyle, che sono come bianco e nero e, al loro
interno hanno ciascuno un po' dell'altro. Vorrebbe farsi tatuare il
Tao solo per questo.
E quando Kyle lo sovrasta sente un battito
mancargli, con un po' di fantasia vede uscire il cuore dal suo petto ed
esser inghiottito dal cespuglio rosso di Kyle, che gli sorride, come
nelle sue foto.
E poi gli porta le mani alla gola.
“Il
mio piccolo mostro...”
E' l'unica cosa che riesce a dire
Eric trasognante, prima che la stretta abbia maggior forza.
E
rinasce nella realtà, tra Kyle sorridenti che non muovono un dito.
alone on the floor.
Il
lunedì mattina la realtà cambia dal canale bianco e nero, al canale
a colori in HD, quando sul suo banco vede tre facce di Abramo
Lincoln.
“Se non vuoi dei biglietti, almeno pretendi che
te li paghino”.
Timidamente Eric alza lo sguardo su Kyle.
Ha gli occhiali e dietro le lenti ostenta prepotenza; ha il classico
bagliore di chi sa di essere nel giusto.
“Tu... sempre che
sai qual'è la cosa giusta da fare, eh?” è calmo il suo tono e
Kyle non si scompone, rimane fermo con i quindici dollari in mano.
“Vorrei sapere cosa ti garantisce di essere sempre nel giusto,
di essere quello che mai sbaglia e che può fare da maestrina agli
altri” Kyle non vuole la polemica, evita, gli lascia i soldi sul
banco, pronto a girar i tacchi e tornare al suo posto, ma... ad Eric
non va bene che si defili in questo modo.
“Guarda che andar
dire agli altri cosa è giusto o sbagliato ed esser pronto a
rispondere correttamente ad ogni domanda dei professori, non ti
conferisce un'aria da intellettuale” e sa di averlo punto, che Kyle
si scaglierà contro di lui con qualche divertente – quanto
spropositata – reazione.
“Al massimo, con quegli occhialetti,
potresti sembrare una di quelle segretarie che si mettono a novanta
nei porno e...”.
Si aspettava urla, un pugno dritto sul
naso, che gli sbattesse la suola delle scarpe sui denti, che gli
facesse volare il banco, che gli schiacciasse un libro in testa, ma...
non uno schiaffo.
Acquisisce un'intensa tonalità di rosso, e non
solo sulla guancia offesa.
“K-Kahl...?”.
Non
ottiene alcuna risposta, né alcuna attenzione; torna al suo posto
incurante della tempesta che ha scatenato sotto la pelle di Eric.
Strofinandosi la guancia, quasi accarezzando lì dove il palmo di
Kyle l'ha toccato, Eric ricorda che qualche mese prima una ragazza
aveva schiaffeggiato Kenny nei corridoi e l'amico, dopo qualche
momento di silenzio, aveva mostrato un sorriso ebete per
tutto il giorno che... gli aveva dato alquanto fastidio, finché non
si era deciso a spiegarsi: “quando una ragazza ti dà uno schiaffo
è perché l'hai ferita, c'è rimasta male per qualcosa che hai fatto
e non si aspettava perché... gli piaci. Anzi, gli piaci un casino”
aveva pensato che fosse pazzo, se non fosse che dopo una settimana
Kenny e quella tizia si erano messi insieme. Era durata un mese quella
storia, ma non era questo il fatto importante.
Kyle non è una
ragazza, ma non cambia che per lui – sotto i pantaloni –
l'ebreo ha senza dubbio una vagina.
“Quindi... è
timido...” farfuglia tra se e se, con un sorriso che può far
invidia a quelli di Jim Carrey.
Non appena Kenny mette piede
in classe, Cartman prende lo zaino travolgendolo e lo porta via urlando
ai compagni che lui e McCormick saranno impegnati in un progetto di
scienze sociali e non possono pertanto seguire la lezione di letteratura.
“Cos- sei impazzito Cartman?”.
“Ti offro tutto
quello che vuoi dal Burger King”.
“Cosa? Oddio... la Terra
sta per essere dominata di Cthulhu, vero? Beh se è così preferirei
passare gli ultimi momenti tra le tette di-”.
“...puoi
prendere anche un doppio menù extra-large”.
“Ti seguirò
fino in capo al mondo!”.
“Non ne avevo dubbi”.
Ha evitato per tutto il giorno di avvicinarsi alla scuola e
qualsiasi posto poteva frequentare Kyle, costringendo –
piacevolmente – Kenny a stare con lui e a farsi dire qualsiasi cosa
sugli schiaffi e le ragazze acide e beh... Kenny ha parlato per ore,
senza porsi troppe domande, incantato dal cibo. Non è certo abituato
a mangiar così tanto, né a farsi offrire un pranzo.
Messo
piede dentro casa però Eric non è più così convinto che quello
che Kenny gli ha detto sia adattabile a Kyle; può accordare su
qualcosa, ma non su tutto e questo da un lato lo fa sentire
sollevato. Kyle è speciale.
Si lascia cadere sul letto
stringendo il cuscino, in un atto infantile e per certi versi
femminile. Vorrebbe gridare al mondo, ma allo stesso tempo per lui il
mondo non esiste, è lì, riordinato, ricostruito, riparato con
nastro adesivo e colla. E va bene così. Va bene soffocare sorrisi
nel cuscino.
E dopo cena sente il bisogno di chiudersi in camera,
portare il laptop sul letto e cercare Kyle nella realtà virtuale.
Non gli interessa parlare con lui o commentare i suoi stati Facebook,
va bene soltanto vedere cosa sta facendo.
E nel momento che
nota sta rispondendo a domande su ASK, in modo cortese e simpatico,
invidia tutti coloro a cui rivolge quei toni, tutti tranne lui. Ogni
tanto si nasconde dietro l'anonimato per avere l'illusione che Kyle
sia gentile con lui, ma non lo fa spesso per non farsi del male.
Decide di scrivergli anche lui qualcosa, una domanda scema, senza
anonimato.
“Porti gli occhiali perché sei
diventato miope a forza di passare la tua esistenza su
internet?”.
Si tocca la
guancia sinistra, la guancia che Kyle ha colpito quella mattina,
cullandosi nell'illusorio piacere che sia ancora viva quella
sensazione. Il pensiero lo fa sorridere, ancora.
Scrive ancora a
Kyle, aggiungendo l'anonimato stavolta.
“Hai degli
occhi bellissimi”.
Vorrebbe
tanto che Kyle capisse.
Fissa con
astio la domanda firmata da Cartman.
Quello stronzo... ancora gli
bruciano le parole di quella mattina, e lui che voleva solo essere a
pari, avrebbe dovuto sfruttare quei biglietti invece di averli ancora
lì, sulla scrivania. Stan sarebbe entusiasta di andare a vedere
Thor!
Fa per cancellare la domanda, quando ne vede notificata
un'altra. Dev'essere una nuova stronzata di quel coglione, ma clicca
per aggiornare e...
“Hai degli occhi
bellissimi”.
E' solo un
attimo, ma si sente scottato.
Nota che il messaggio è anonimo
e si sente stupido per aver letto mentalmente quella frase con la
voce di Cartman.
Il suo imbarazzo per quelle parole si modera.
Ripensa all'offesa di quella mattina, ripensa meglio alle
battutine sugli occhiali che Cartman ha fatto da quando li ha indossati in
autunno.
Che quel coglione lo offenda perché i suoi occhi....
-no, non è possibile, la gentilezza non si accosta al nome Cartman,
che è soltanto un coglione.
E si rimprovera di stupidità per
esser deluso.
“Kahl, mi dispiace. Ho sbagliato”.
Cade la forchetta
dalla mano dell'ebreo che guarda – totalmente allibito – quello
che non può essere Eric Cartman, ma un alieno che sta prendendo il
suo posto a mensa.
Lancia una veloce occhiata a Stan, e vede il
suo stesso stupore sul volto dell'amico, mentre Kenny è troppo
impegnato col suo petto di pollo, per potersi stupire.
Eric, dal
canto suo, ancora non si è avventato sul pranzo – come è solito
fare – ma è lì, seduto, fermo, incredibilmente serio e... lo
guarda con un'intensità tale da farlo sentire a disagio. Kyle ignora
quante ore Eric ha impiegato per formulare quella frase, ignora il
fatto che non ha dormito molto, ignora che è dalla mattinata che è
si è tenuto lontano solo per trovare il coraggio di dirlo in un
campo neutro, nel quale Kyle non può scappare, davanti al miglior
piatto della mensa scolastica: petto di pollo accompagnato da purè
di patate e carote lessate.
L'unica cosa di cui Kyle può
esser certo è che Cartman sta aspettando una sua qualsiasi parola.
Gliela deve.
“Come scusa?”
Ed Eric sospira, perché
detesta quando Kyle fa il finto tonto.
“Ho detto che mi
dispiace” abbassa lo sguardo sul purè “...ho sbagliato...” ma
si riprende subito, perché vuole che legga nei suoi occhi “...mi
son meritato quello schiaffo, ho fatto solo che il coglione” e la
frase attira l'attenzione di Kenny al fianco di Cartman, il quale non
può trattenersi dal ripetere “schiaffo?”
per poi soffocare una risata e girarsi dall'altra parte sotto lo
sguardo stralunato di Stan.
Kyle vorrebbe dire qualcosa, ma il
punto è che non ci sono parole per commentare quelle scuse che, sì,
si merita, ma non si aspettava e... il ricordo dello schiaffo lo
imbarazza alquanto, quasi più delle parole che Cartman gli aveva
rivolto.
“...non mi aspetto nulla, volevo solo ascoltassi
e...” mezza verità. Vorrebbe una parola gentile da Kyle, ma sa che
è pretendere troppo e tira fuori dalla tasca la parte più difficile
di quel confronto unilaterale: i soldi del biglietto del cinema.
“...non volevo neanche che mi pagassi i biglietti,
erano...”
vede con la coda dell'occhio Kenny alzarsi e mormorare qualcosa a
Stan a proposito di Wendy e Bebe “...un regalo” e lascia le
banconote al fianco del vassoio di Kyle, mentre nota quello di Stan
levarsi, seguito da Kenny che lo sta costringendo a lasciare il
tavolo. Se fosse il suo tipo, e non il suo migliore amico, Eric lo
bacerebbe per il tempismo, per essere l'unico sveglio dei suoi amici.
Lo prenderà in giro dopo Kenny, e gli farà una valanga di
domande, ma non
gli importa, quello di cui gli importa è davanti ai suoi occhi.
“No, Cartman non rivoglio i soldi!”.
“E' stato
il tuo un gesto non richiesto, non il mio. Basta che... il film ti
sia piaciuto”.
“In verità non ho visto quel film”
l'assenza di Stan in un certo senso gli facilita le cose, è
imbarazzante rispondere, ma con il suo miglior amico presente – e
con Kenny – sarebbe stato ancor più imbarazzante.
Si chiede
Cartman come possa interpretare quella frase e la sua incapacità di
guardarlo negli occhi, ma pensa che in fondo va bene qualsiasi
interpretazione, non ne esiste una corretta o una sbagliata.
“Oh,
pensavo ti piacesse Thor” e non nasconde una nota di delusione
Cartman.
“Mi piace infatti” recupera la forchetta Kyle e
riprende a mangiare. Non vuole che l'atmosfera sia più strana di
quello che è, né desidera eventuali curiose occhiate, stanno solo
parlando.
Una conversazione che sta provocando violente
sensazioni sotto la pelle di entrambi.
Eric si morde il
labbro, guardando con occhietti da gufo Kyle, perché... non vorrebbe
aver capito male, ma... gli sta spianando il terreno? O si sta
sadicamente vendicando?
“Allora dovrem-” si rimangia la parola
errata, sperando che Kyle sia più attento al sapore del pollo che al
suo errore “-potremmo andarci insieme, se... se non sai con chi
andare”.
Kyle per poco non si strozza.
Mangiare conversando
con Eric Cartman non è la più saggia delle idee, ed Eric lo sa, per
tanto cerca di rimediare a quell'opprimente imbarazzo che non
dovrebbe esserci tra loro, nonostante sia giustificato.
“E'
solo un'idea, per... perché ecco... io mi son scusato, e vorrei
accettassi le mie scuse, ma se non vuoi farlo a parole ecco si
potrebbe andare al cinema, o... o...” è quasi nel panico, ha quasi
voglia di fuggire, ma non può, non può sotto lo sguardo di Kyle che
finalmente ha incontrato il suo.
Vuole dire qualcosa che piace
fare a Kyle e non a lui, da fare insieme, e... lo studio è l'unica
cosa che gli viene in mente. La matematica su tutte.
“...o
potremmo fare i compiti, magari potresti darmi una mano
in matematica” perché a Kyle, lo sa, piace tanto fare il maestro
della situazione, quanto gli piacciono i numeri e con un abbozzo di
sorriso accompagna la sua proposta.
“...darti una mano in
matematica?” lo chiede come caduto dalle nuvole.
“Sì”
risponde credendola una domanda retorica. Crede male, molto male.
“Sei incredibile!” il modo in cui lo dice è tutt'altro
che un complimento ed Eric sussulta, ma non proferisce parola.
“Non
c'è una volta che tu non faccia qualcosa per scopo! E pensare che
avevo quasi creduto alle tue scuse”.
“Cos-... aspetta che
intendi dire?”.
“Cartman evita di farmi incazzare”
sussurra prima di mettersi in bocca una generosa forchettata di
carote.
“Ma non sto facendo nulla per scopo!”.
“E
l'aiuto in matematica come lo chiami?”.
“L'ho detto solo
perché a te piace matematica” e lo dice candidamente, pensando
che non verrà frainteso una seconda volta, ma è solo una vana
speranza.
“Cartman!” lo richiama “se vuoi un aiuto
dillo chiaramente, piuttosto di fingere di essere gentile e
pronunciare delle scuse tanto profonde quanto poco credibili” è
acido il tono ed alto abbastanza da innervosire il suo
interlocutore.
“Non voglio alcun aiuto, era solo
un'idea!”.
“E troppo tardi per salvarsi in extremis e sai
una cosa, rendi la situazione ancora più irritante”.
“Dannazione
Kyle! Ma perché non ascolti?” cerca di riprendere la calma “non
me ne frega niente del fare matematica, o andare al cinema. Sono
onesto e ti sto dicendo che mi importa solo...” quel che importa a
Cartman non importa a Kyle, che non vuole ascoltare, testardamente
convinto, spaventato dall'effetto che quelle scuse gli avevano fatto
e alle quali aveva quasi creduto.
Se potesse credere davvero in
Cartman il mondo sarebbe diverso, fuori e dentro di lui, ma è
abbastanza ostinato nella posizione che tutto ciò sia impossibile;
ha ragioni validissime per non essere in torto, anche se dovrebbe
sapere che la logica non funziona con Eric Cartman.
“Sai che
ti dico Cartman?” lo vede alzarsi e prendere il vassoio in mano.
Sta di nuovo scappando.
“Che spero le tue insufficienze non ti
facciano passare l'anno, in modo che la tua stupidità ti sia da
lezione. E, francamente, spero proprio di iniziare le superiori senza
le tue idiozie a rovinarmi l'umore” e senza aspettare una risposta
si volta e va ad unirsi a Stan e Kenny, vicini a Wendy, Bebe e Red.
Cartman è tipo da avere sempre l'ultima parola, un vaffanculo
spassionato o una bestemmia, a seconda dei casi e dei toni, ma
stavolta non ne ha.
Apre solo la bocca per il suo pranzo.
C'è
un'amarezza nuova nella sua bocca, non causata dal cibo.
Pensa a
quegli album di foto che ha su Kyle, foto scattate per la maggior
parte all'insaputa, momenti in cui ha catturato sorrisi ed
espressioni allegre quando in compagnia, eppure... le foto di lui
solo, lontano dal resto del mondo, non ritraggono alcun sorriso.
Eric
pensa che non c'è nulla di male a mostrare un sorriso o
un'espressione serena quando si è soli, mettere il broncio non ha
senso, ma forse per Kyle è... inevitabile?
Pensa che dev'essere
così, per il suo modo di scappare da qualcosa che potrebbe renderlo
felice. Non lo capisce, non capisce se ha paura di esser felice o
provare qualcosa di nuovo.
Chiude gli occhi cercando un sapore
migliore in quella carne, riflettendo sulla prima espressione di Kyle
alle sue scuse, un palese imbarazzo che lo fa credere di essere
importante, perché lui stesso ha fatto i primi passi per accorciare
le distanze.
Che sia poi
scappato subito è un'altra storia, ma non crede sia stata una fuga
felice, gli basta lanciare un'occhiata un po' di tavoli avanti per
vedere un Kyle dallo sguardo spento e distante.
Forse, non è solo
presunzione la sua.
E mettendo
erroneamente piede in una pozzanghera “oh, cazzo!”, realizza
esser ormai Aprile; la primavera è arrivata da un bel pezzo e non se
ne era accorto fino a quel momento.
Non si era accorto dei
germogli, lì dove la neve lascia spazio all'erba, e non si era
accorto di cosa è germogliato dentro di lui.
Alza lo sguardo
verso il cielo e ripensa agli occhi di Kyle, che lo fanno sentire
come neve al Sole.
that makes it all clear
makes it all…
E
pensa ci sia qualcosa di fastidioso nell'aria, che non sono i
pollini.
Pensa e ripensa a tutta quella rabbia, mista a
tristezza, a farfalle nello stomaco, a sospiri e a figure da merda.
Si è sempre comportato così, non è niente di nuovo, l'etichetta da
coglione ce l'ha da un bel po', solo che ora è diventata irritante e
– per la prima volta – vorrebbe tornare indietro nel tempo e
rimediare alle troppe cose stupide che ha fatto.
Vorrebbe che Kahl
sapesse che è stato sempre e solo lui la causa di tutto.
hey, do you know
what this is doing to me?
Pensa
sia disturbante la primavera, esattamente come l'adolescenza.
Esattamente come si sente lui in quel momento.
Non c'è nulla
di tenero in questa stagione, nei suoi germogli e nel suo rigoglio, i
semi si spaccano e il bocciolo si fa spazio tra la terra con forza
per uscire, per vedere la luce, toccare aria. C'è violenza nel
fiorire.
E stringe i pugni, prendendo un bel respiro, per
controllare quello che ha dentro, una creatura indefinita da tratti
angelici e mostruosi, una creatura di varie cromature, chiare e
scure.
Chiude gli occhi, per vederla, per affrontarla, per
acquietarla, sussurrando parole confuse che siano nenia convincente
per quel che dimora in lui e che prende la forma di Kyle, immagine
che lo fa sentire egualmente a disagio come a suo agio, dipende
dall'ora del giorno. E al momento non sa quale sia il suo stato
d'animo.
“Ciao Eric! Ti va di di tornare a casa insieme?”.
Irrompe Butters con allegria, portandosi al fianco
dell'amico, di cui nota l'aprirsi lentamente gli occhi. Gli sembra
abbiano un colore diverso, alla luce sembrano oro, ma non è un
colore luminoso, è freddo.
“Va bene Kahl” gli risponde
avanzando con un sorriso spensierato, leggero...
E come Eric
avanza, Butters indietreggia.
“Kyle?”.
Indietreggia ancora
e si guarda intorno.
Sono solo loro e neve sciolta, pozzanghere e
macchie di prato in fiore.
“...Eric, dov'è Kyle?”
here…
here. In my head.