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Autore: Cathy Earnshaw    22/05/2013    4 recensioni
"Era una calda serata estiva, di quelle che restano incollate addosso con il loro profumo di fiori e di rosmarino, con il frinire delle cicale, con le risate degli amici. Tutta la popolazione della piccola cittadina di Pothien si era riunita nella piazzetta principale. La musica colorava con le note eteree dell’arpa le serate del Nord della Terra dei Tuoni, e i cantori narravano le loro storie affascinanti a chiunque le volesse ascoltare."
Non è un'introduzione, lo so..ma credetemi se vi dico che è ancora tutto troppo vago anche per me per poter scrivere un'introduzione coerente ;) Vi piaciono i racconti con maghi, elfi, duelli e lunghi viaggi in terre desolate? Benvenuti nella Terra dei Tuoni, amici!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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«Oltre non ti posso accompagnare, Li’» disse Abby smontando da Luce.
Liam alzò gli occhi alle imponenti moli degli alberi che proteggevano il Reame Eterno. La luce dell’alba filtrava dalle nubi che iniziavano a disperdersi.
«E se dovessi perdermi?» mormorò con una vaga apprensione che gli chiudeva lo stomaco.
Lo stregone scoppiò a ridere.
«Non ti perderai. Anche perché gli elfi ci impiegheranno davvero poco a catturarti, una volta entrato nel loro territorio, sì?»
Il mago deglutì.
«Quando ti chiederanno chi sei, con chi stai e che cosa vuoi, dì loro la verità. Non vale la pena di mentire, non hai nulla da perdere, e se saranno ligi al dovere rispetteranno l’impegno che hanno preso con Ruben. Io ti aspetterò a Nihil.»
Annuì e prese un bel respiro.
«Beh, in bocca al lupo, mago» concluse Abigail.
Liam sferzò il cavallo e lasciò che la vegetazione rigogliosa lo inghiottisse.
 
Il bosco che celava il Reame Eterno era luminoso nonostante il sole non filtrasse tra i rami. Baio procedeva spedito, senza dare segni di nervosismo, particolare che infondeva una certa tranquillità nel mago. Se quel “fifone-mangia-carote-a-tradimento” del suo cavallo non aveva paura, significava davvero che si poteva stare rilassati. Anche se doveva riconoscere che era stato proprio lui, il ronzino ingrato, a portarlo da quei pazzi assassini degli Unicorni…meglio non pensarci! Riassumendo: Lukas nelle mani di Micael, Irthen addormentato, orchi ovunque, un drago a spasso e uno stregone alle porte del bosco, che aspettava proprio lui. Al pensiero, gli scappò una risatina isterica.
«Bel casino, Li’» commentò tra sé e sé, con un insano compiacimento.
Il sentiero di ghiaia si inoltrava sempre più nella vegetazione e non dava segno di scomparire, come se, ogni giorno, qualcuno si fosse curato di mantenerlo in ordine e ben visibile. Nessuna biforcazione che potesse trarre il viaggiatore in inganno, nessun ramo fuori posto.
Con il trascorrere lento delle ore, Liam iniziò a domandarsi se fosse normale il silenzio totale che lo circondava. Possibile che nessun uccello cantasse, che nessuno scoiattolo si spostasse dal suo ramo ad un altro, che nessuna presenza, né amica né ostile, fosse comparsa per sincerarsi delle intenzioni del visitatore? Dov’erano gli elfi? Secondo Abby, quel sentiero l’avrebbe condotto dritto dritto alla Baia, ma se si fosse sbagliata? Se si fosse perso e fosse morto di stenti in quel bosco immobile, sempre uguale a sé stesso? Che ne sarebbe stato di Irthen? E di Chloé, di Amina…?
«Smettila di fare il melodrammatico, Liam. Abigail dice che la strada è questa, e fino ad ora non ha sbagliato un colpo, perciò non sbaglierà proprio questa volta.»
Già, Abigail. Per qualche assurdo motivo, il racconto della sera prima non l’aveva sconvolto come avrebbe umanamente dovuto. Insomma, di fronte alla tranquillità con la quale la strega gli aveva detto di aver massacrato suo padre e mezzo parentado, nel piano delle capacità mentali, avrebbe dovuto inorridire. Invece non poteva fare altro che prendere atto della velata malinconia che quello scenario gli aveva infuso, e di una innegabile compassione. Sì, perché non gli era difficile immaginare con quali aspettative una giovane Abigail fosse tornata a casa, dopo un lungo e pericoloso viaggio compiuto in completa solitudine, e quanto grande dovesse essere stata la vergogna, la delusione e, poi, la rabbia per l’ingiusto trattamento riservatole dal cosiddetto Sapiente. Anche se una reazione simile e uno spargimento di sangue di tale portata non potevano essere in nessun modo giustificati e tollerati, il mago non poteva evitare di sentirsi solidale. Dopotutto, da più di cento anni lo stregone pagava il suo crimine con la solitudine.
“Adesso sai come è cominciato tutto, Liam. Soddisfatto?”
Sospirò. Anche Irthen faceva le spese della superstizione del padre di Abby. Si strinse le tempie tra gli indici.
«Sto impazzendo del tutto, Baio…»
Estrasse la borraccia e bevve un minuscolo sorso d’acqua, giusto per schiarirsi le idee. Quando riportò gli occhi sulla strada, trovò il sentiero sbarrato da una fitta siepe di bosso.
«Ma che caz-»
«Liam di Pothien, benvenuto nel Reame Eterno.»
Una voce riverberò tra le foglie e i tronchi, come amplificata, come se ad ogni rimbalzo acquisisse tonalità diverse. Liam resistette all’impulso di sfoderare la spada. Il proprietario della voce era indubitabilmente un elfo e, considerato il motivo della sua visita, il mago non poteva fare altro che fidarsi.
«Grazie» rispose. «Sai perché sono qui?»
Il silenzio si protrasse, facendogli temere che non avrebbe mai ottenuto risposta. Infine, lo scricchiolio della ghiaia alle sue spalle lo costrinse a far voltare Baio.
Un cavallo dal manto scuro e lucido era comparso nel mezzo del sentiero, e portava sul dorso una figura incappucciata.
«Chi sei?» mormorò Liam, spaventato.
Due mani candide fecero scivolare il cappuccio giù dai capelli neri, rivelando un viso eccessivamente giovane per quegli occhi blu che vi spiccavano.
«Sono Prinforn. Oliandro ci ha avvertiti del tuo arrivo.»
La voce adamantina dell’elfo calmò immediatamente i nervi del mago, che sospirò.
«Potete risolvere il mio problema?» domandò, cercando di soffocare la speranza, mentre lo stomaco si chiudeva.
«Seguimi, ti accompagnerò a Lumia. Il figlio del Governatore è responsabile e affidabile, ma di certo non ha il dono della sintesi. Il suo messaggio non era molto chiaro» concluse con aria leggermente imbarazzata.
Liam si lasciò scappare un sorriso al pensiero di che razza di messaggio potesse essere arrivato a Re Horlon.
Il cavallo nero oltrepassò Baio e l’elfo alzò le mani, i palmi rivolti alla siepe, che si ritrasse tra i crepitii. Prinforn si mise in marcia e Liam lo seguì, incitando Baio e domandandosi quale elfo avesse simili poteri.
 
«Che cosa farai quando il mago tornerà con la soluzione al suo problema? Sempre che una soluzione esista…»
Abigail si mordicchiò un’unghia mentre misurava la stanza a larghi passi. Non ci voleva. La visita di Caleb non ci voleva.
«Lo sai, mi piace improvvisare» rispose.
«Abbiamo visto dove ci ha portati la tua improvvisazione» sibilò lo stregone.
Abigail si fermò e strinse la mano a pugno. Caleb gemette e cadde in ginocchio, stringendosi il petto.
«Le tue ferite sono ancora recenti, dolcezza, non provocarmi. In questo momento sono in vantaggio. E ci tengo a ricordarti che è tutta colpa tua se è successo quello che è successo. Se tu non avessi portato Li’ così vicino alla Cascata, non ti avrebbe schiacciato come una pulce…»
Caleb batté il palmo della mano sul pavimento di legno della locanda e Abby si piegò in due, le mani alle tempie a cercare di fermare quel dolore insopportabile.
«Li’?! Cos’è, avete fatto amicizia?! Sarò anche ferito, ma sono pur sempre lo stregone più antico.»
Si trasse in piedi e strinse le dita intorno al collo della ragazza.
«Ricordati da che parte stai, Abby.»
Abigail lo allontanò con una spinta.
«Non temere, non lo dimentico. Piuttosto, dovresti mandare quell’idiota di Rafik da Djalmat. Non mi piace questo scorrazzare di orchi a nostra insaputa. Così come non mi è piaciuto il volo radente della mega-lucertola di ieri.»
Caleb annuì.
«Hai ragione, non è un buon segno. Non mi va fare lo schiavetto ai draghi.»
Con una smorfia, lo stregone scomparve.
Abigail sospirò e posò i palmi sul bancale della finestra. La piccola locanda alla periferia di Nihil non le sembrava più tanto accogliente.
 
L’elfo volle sentire il racconto di Liam circa gli eventi che lo avevano portato lì, nel Reame Eterno, e non nascose la sua perplessità in merito alla presenza di Abigail appena fuori dal confine. Il mago non si era aspettato nulla di diverso, e non aveva alcuna intenzione di fornire retroscena. Anche perché, lo sapeva, le ragioni che stavano alla base della sua scelta di non liberarsi di lei quando ne avrebbe avuta l’occasione suonavano troppo flebili anche alle sue stesse orecchie. Tuttavia, Prinforn oppose una resistenza più debole del previsto, e proseguì la sua marcia verso la Baia delle Sirene.
«Senti, amico, che tipo è il Re?» domandò improvvisamente Liam, assalito da uno dei ciclici attacchi d’ansia.
Prinforn sorrise.
«Il Re? Beh, diciamo che è un elfo abbastanza disponibile. Ma è indegnamente vecchio, e come tutti i vecchi ha la testa dura e a volte è un po’ logorroico.»
Liam si rabbuiò.
«Significa che potrebbe non aiutarmi?» domandò.
«Oh, no, significa che a volte riesce ad essere acido quasi quanto Rowena…d’altra parte è sua nipote, avranno pur qualcosa in comune.»
«Rowena è nipote di Horlon?!» esclamò Liam.
L’elfo portò gli occhi su di lui.
«Non lo sapevi? Glenndois e il Re sono fratelli.»
Liam scosse il capo. Ottimo, aveva insultato fratello e nipote del millenario Re degli elfi.
«Non perderti nelle preoccupazioni non strettamente contingenti, Liam. Presta attenzione alla strada» ammonì Prinforn. «Non potrò accompagnarti sulla via del ritorno, e presto inizieranno a comparire le prime biforcazioni. È inutile che ti dica che se dovessi perderti qui sarebbe un bel guaio…»
Il mago deglutì a vuoto. “Bel guaio” era un eufemismo. Un grande eufemismo.
 
Notte praticamente insonne. L’ideale prima di una battaglia. Aqua si sporse oltre il ciglio della riva e si sciacquò il viso con l’acqua fredda del Llatas. Del drago non si era più vista nemmeno l’ombra, ma non potevano escludere che sarebbe tornato in caso di conflitto. Quanto veloce poteva volare una creatura con ali così grandi?!
«Hai fatto bene a spronare il Maestro a schierare i pedoni. Non ti credevo così temeraria, Aqua» disse Erika sedendosi accanto a lei.
Aqua tese la mano a sfiorare la superficie liquida, tentando di reprimere l’irritazione. Possibile che tutti la credessero ornamentale? Solo Amina si rendeva conto che non necessariamente essere silenziosi equivaleva ad essere stupidi? Certo, nessuno la conosceva bene quanto lei, era stata la sua maestra, la sua confidente, una sorella maggiore…ma possibile che dovessero crederla tutti una persona priva di inventiva?! Quegli orchetti si avvicinavano velocemente, e presto avrebbero messo a ferro e fuoco la campagna di Natìm. L’aveva già visto accadere, e quando aveva lasciato Madian in compagnia di Ruben si era ripromessa che non sarebbe più stata una semplice spettatrice della tragedia.
Staccò gli occhi dallo scorrere dolce del fiume e mise a fuoco Erika, che la guardava con un filo di apprensione. Sospirò.
«Questo perché siete tutti fissati con quel Liam. “Ci serve Liam, Liam è potente, Liam è carismatico, Liam è bello”…che noia.»
Erika si irrigidì.
«Nessuno pensa che tu non sia alla sua altezza» mormorò sulla difensiva.
«Non mi interessa il tuo parere, tanto meno quello di Ruben.»
Socchiuse gli occhi. Concentrandosi sul contatto con l’acqua poteva intravedere, sfocata, la sagoma di un gruppetto di orchi che, più a Ovest, lavava le armi sporche di sangue nel fiume. Interruppe bruscamente il contatto e balzò in piedi.
«Orchi poco lontano. Andiamo, Erika.»
Tenendo la gonna lunga sollevata per non inciampare, Aqua si precipitò al loro accampamento, ma si bloccò appena fu in vista della tenda. Timothy stava in piedi, lo sguardo fisso, la testa che dondolava leggermente avanti e indietro. Aqua deglutì, aveva già assistito a scene simili, il ragazzo stava ascoltando qualcosa nell’aria. Si avvicinò silenziosamente e si affiancò a Debrina, che osservava in disparte. Erika le raggiunse, con il fiato corto.
«Che succede?» ansimò.
Aqua accennò al ragazzo, che in quel momento si riscosse e si volse verso di loro con gli occhi sgranati.
«Orchi. Si stanno avvicinando. Sono…sono…» farfugliò Timothy.
«Tre miglia a Nord-Ovest, sulla riva del Llatas» concluse Aqua.
Debrina annuì.
«Prepariamoci, allora.»
Timothy si precipitò nella sua tenda e Aqua lo seguì. Si fermò sulla soglia. Non era brava a incoraggiare, non lo era mai stata, maledizione. Quanto rimpiangeva l’assenza di Amina e di Kostantin in momenti come quello…
Il ragazzo si lasciò cadere sullo stuoino con la testa tra le mani.
«Tim.»
Alzò gli occhi su di lei. I soliti occhi sgranati. Aqua sospirò.
«Qualunque cosa ci dica Debrina…tu lo sai, noi lo sappiamo che siamo all’altezza della situazione. Tu ed io possiamo dare il nostro contributo, non sei d’accordo? E togliti quella faccia da allocco!» sbottò lanciandogli addosso uno straccio. «Non sei l’ameba che dice lei» concluse voltandogli le spalle e lasciando la tenda.
Ribollendo di irritazione, raccolse velocemente le cose che avevano dislocato qua e là per l’accampamento: una pentola, il bollitore per l’acqua, un telo. Poi si unì agli altri e, insieme, si prepararono a dare battaglia. Un piano, per quanto puerile, ce l’avevano, e avrebbero venduto cara la pelle.
 
Non dovettero attendere troppo nell’incertezza. Gli orchi emersero dalla nebbiolina del mattino, comparendo all’imboccatura della strettoia, armati fino ai denti. Aqua trattenne il respiro. Erano meno del previsto. Un avamposto, forse?
«Dede, stanno arrivando!»
La voce tremante di Timothy fendette il silenzio inquieto, e i maghi si disposero all’attacco.
«Attenzione alle frecce» ammonì Debrina. «Ricordate il piano, ricordate che il ruolo di ognuno di voi è fondamentale per la riuscita.»
“Evitare il dispendio inutile di energie” si ripeté Aqua, mentalmente.
Lei ed Erika avevano la possibilità di attingere, rispettivamente, dal Llatas e dal Bosco Lossar, ma Debrina e Tim rischiavano di rimanere a secco se non avessero centellinato gli incantesimi, in assenza di una fonte naturale di calore e di vento.
L’orco che apriva la fila puntò l’arco verso di loro. Il tempo sembrò fermarsi. Poi scoccò.
Timothy alzò una mano e la freccia deviò bruscamente, finendo a conficcarsi lontano. L’orco grugnì un ordine e la schiera spiccò la corsa.
«Adesso!» gridò Debrina.
Erika posò le mani sul terreno, il suolo tremò e una voragine si aprì, inghiottendo un buon numero di creature. I ranghi si scomposero, mentre una lingua di fuoco creata da Debrina impediva ai nemici la ritirata. Qualche freccia si levò ancora verso i maghi, ma Timothy continuò a deviarle, una ad una. Aqua prese un bel respiro e si concentrò sul fiume. Influì sulla corrente, facendo in modo che le onde alte si abbattessero sull’imbuto di terra in cui Debrina ed Erika avevano fatto convergere gli orchi.
«Non spegnere il fuoco, Aqua.»
La voce della maga le giunse lontana. Aqua prese un lungo respiro, cercando di fermare il sibilo alle orecchie, sintomo dell’energia che stava bruciando troppo velocemente. Non credeva che deviare il Llatas sarebbe stato tanto faticoso.
«Che cosa devo fare?» domandò.
Erika mormorò qualcosa di incomprensibile, mentre un nuovo crepaccio inghiottiva altri nemici. La linea di fuoco strinse di più i superstiti.
«Non lo so, ma fai qualcosa!» sibilò Debrina.
«Tim, aiutami!» implorò Aqua, in preda al panico.
Qualcosa nel piano non aveva funzionato bene, forse se li avessero spinti verso l’acqua sarebbe stato più semplice.
«Tim, ho bisogno di vento, di vento che sollevi le onde prima che si abbattano su di loro.»
«Che cosa hai in mente?» domandò Erika.
«Lasciami provare. Pronto Tim?»
Timothy annuì.
Aqua continuò a spingere il fiume sugli orchi, e l’incantesimo del ragazzo innalzava l’acqua alta sulle loro teste. Con uno sforzo che le fece girare la testa, Aqua cristallizzò gli schizzi, perché piovessero sugli orchi come lame di ghiaccio.
Dalla massa, si levarono grugniti e gemiti, segno che l’attacco era andato in porto. Ripeterono l’operazione più volte, fino a che Timothy non si lasciò cadere sulle ginocchia, ansimante.
«Mi dispiace…io non…non ce la faccio più» farfugliò.
«Sei stato fantastico, Tim» sospirò Aqua, stremata.
«Ora tocca a noi, Dede, chiudere la partita» disse Erika.
Debrina annuì e Aqua represse un brivido di inquietudine.
L’aria si surriscaldò sensibilmente e le lingue di fuoco avvolsero gli orchi, mentre il terreno si sgretolava sotto ai loro piedi, facendoli precipitare nel vuoto.
Quando l’ultimo grido si spense, Debrina si sedette per terra e le fiamme languirono prima di spegnersi del tutto. Erika vacillò, ma riuscì a reggersi.
«Dovremmo andare a controllare…» mormorò.
Timothy la guardò implorante, Debrina sembrava sul punto di svenire.
«Ci vengo io» disse Aqua, traendosi faticosamente in piedi.
Coprirono sostenendosi a vicenda le poche centinaia di metri che le separavano dal campo di battaglia e trattennero il respiro. Sul terreno irregolare e martoriato giacevano corpi carbonizzati e trafitti a morte. La terra era inzuppata di acqua e sangue dove non era stata lambita dal fuoco.
Erika non riuscì a trattenere un conato di vomito. Aqua se l’era aspettato: una maga legata alla Terra non poteva accettare pacificamente di fare scempio di una qualsiasi creatura vivente. Distolse lo sguardo e lo portò sul Llatas, il cui corso era tornato placido e regolare.
Era una fortuna che orchi, orchetti e affini non si fossero organizzati per attaccare tutti insieme. Nel complesso, la loro strategia si era rivelata un completo fallimento, troppo dispendiosa dal punto di vista energetico e troppo poco efficace per quanto riguardava i danni. La lingua di terra che si allargava tra la riva del fiume e il Bosco degli Unicorni era stretta, ma non abbastanza per un’azione del genere. Avrebbero dovuto apportare delle migliorie al campo di battaglia. Sbagliando si impara, diceva sempre Amina. E loro ne avevano parecchio, di margine di miglioramento. Sfortunatamente avrebbero imparato qualcosa anche i loro nemici. Era improbabile che potessero contare di nuovo sulla disorganizzazione o sui numeri esigui. E poi c’era la questione del drago…come si poteva abbattere un drago?
Aqua sospirò. Alla faccia dei risultati scadenti e della spossatezza, la battaglia l’aveva galvanizzata.
«…e la partita è appena cominciata!» canticchiò saltellando tra i cadaveri, preda di un improvviso moto di euforia.
 
Liam sobbalzò e fermò Baio con un brusco strattone alle redini. Anche Prinforn fermò il suo cavallo.
«Che cos’è stato?!» domandò il mago. «Qualcuno sta combattendo? Ho sentito…ho sentito come una concentrazione altissima di energia…»
L’elfo annuì gravemente.
«Temo di sì, temo che ci sia stato un combattimento. Mi meraviglia che tu l’abbia percepito, Liam, è stato parecchio distante. Credo di sapere di cosa si tratta.»
Liam attese per qualche momento che continuasse, ma il silenzio che si protraeva lo costrinse a domandare spiegazioni.
«Sembra che Ruben abbia iniziato a muoversi. Ha mandato dei contingenti a presidiare Natìm ad Est e ad Ovest, mentre lui si occupa di cercare alleanze tra i civili. Gli orchi che hai incrociato venendo qui si stanno spostando verso le città del Nord, e il primo gruppo deve essersi scontrato con i maghi.»
Liam si incupì.
«Speriamo non ci siano stati problemi…» mormorò.
«Non preoccuparti di questo, Liam. Pensa alla strada.»
Liam si concentrò. Superarono il terzo bivio.
“Al terzo, diritto” si disse.
La giornata di viaggio trascorse lentamente. Prinforn era un tipo di poche parole, e il mago non era dell’umore giusto per obbligarlo a fare dialogo. Il bosco si diradò appena, e piccoli capanni iniziarono a comparire qua e là, tra il verde. Poi, il sentiero prese a dividersi sempre più spesso, e i fruscii tra il fogliame suggerivano la presenza di qualche osservatore silenzioso.
Finalmente, una porta di legno completamente tappezzata d’edera si stagliò nel mezzo della via, e i due si fermarono.
«Eccoci, Liam. Questo è l’ingresso del Porto. Ti prego di portare pazienza se gli abitanti ti dovessero osservare insistentemente, sono centinaia di anni che non vedono un essere umano camminare tra le loro case. Tu limitati a seguire me. C’è una nave che ci aspetta e che ci condurrà direttamente a Lumia.»
Il portone si aprì e il mago trattenne il respiro.
Una costellazione di case di legno e di lanterne dalla luce soffusa davano un tocco di magico ai moli, ai quali erano ormeggiate barche lunghe e sottili. Decine di occhi si posarono sul mago e sul suo anfitrione, e li osservarono con curiosità. Liam cercava invano di trattenersi dal volgere la testa a destra e a sinistra come un bambino, per saziarsi della vista di quelle creature magnifiche e immortali. Prinforn fece strada verso la barca più grande, accanto alla quale stava un elfo biondo, che li salutò chinando il capo e li aiutò a salire a bordo. Puntò il remo contro la banchina e la barca si staccò lentamente dal molo. L’acqua scura e immota la cullava verso le luci della grande isola poco lontana.
«Ci siamo, dunque. Quella è Lumia…» mormorò tra sé e sé.
L’elfo gli posò una mano sulla spalla e sorrise. Poi si volse al traghettatore.
«Possiamo aumentare la velocità?»
«Possiamo» rispose quello. «Ma non vorrei che i cavalli si spaventassero.»
«I cavalli» ripeté Prinforn, come rivolto a sé stesso.
«Maestà? Dunque, che devo fare?» incalzò l’elfo.
Liam quasi cadde in acqua per la sorpresa. Sperando di aver capito male, si volse verso la sua guida e balbettò:
«Co-come ti ha chiamato?!»
Prinforn sorrise, divertito.
«Maestà. Mi ha chiamato Maestà, Liam. Perdonami se non sono stato onesto» disse.
Liam sgranò gli occhi.
«Perché?!»
«Perché volevo conoscerti per come sei quando abbassi la guardia, mago, e di certo non l’avresti fatto se avessi saputo di trovarti davanti al millenario Re degli elfi…e poi, lasciamelo dire, anch’io ho bisogno di svagarmi ogni tanto!»
“Beh, che ha la testa dura te l’ha detto, no?” sghignazzò la vocina nella sua testa.
Alla lista delle cose infelici fatte nelle ultime settimane, aggiunse aver chiesto a Re Horlon informazioni su sé stesso.
«Beh…» commentò con un filo di apprensione «se mi stai portando a Lumia, significa che non sono poi così male, giusto?»
Horlon scoppiò a ridere.
«L’aveva detto Oliandro che sei uno spasso! Adesso goditi il panorama, mago, tra qualche minuto attraccheremo.»
Liam tornò a concentrarsi sull’isola che spiccava nella luce dorata del tramonto. A quanto pare stava diventando un’abitudine prenderlo per i fondelli…
 



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Io già me li immagino, i pochi lettori che mi saranno rimasti - sempre che ne siano rimasti - che tirano accidenti per tutte le cose che (giustamente) non capiscono e non si ricordano! Oh ragàs, scusate i miei tempi imbarazzanti, giuro che non è colpa della pigrizia!
*Occhioni lucidi e mestolino*
Scusatemi! Non ci provo neanche più a promettere aggiornamenti rapidi...
   
 
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