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Autore: Shannonwriter    23/05/2013    2 recensioni
La mia è una specie di rivisitazione della storia di Alice In Wonderland in chiave moderna che però non segue necessariamente gli avvenimenti narrati nei libri o nel cartone. Alice ha diciassette anni e vive a New York. Apparentemente ha tutto quello che le serve, è stata ammessa alla Juilliard e potrebbe diventare una grande pianista un giorno, allora perché non è contenta? L'unico a stare sempre dalla sua parte è Hartley, il suo migliore amico. è buffo, uno spirito libero e un giorno si presenta con un cilindro in testa che, sostiene, potrebbe aiutarla perché è magico. Ma sarà vero? E c'è qualcosa di più di una semplice amicizia tra Alice e Hartley? Scopritelo leggendo (è la mia prima originale, omg!).
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Quella sera Alice era riuscita a mala pena a toccare cibo a cena. Troppe cose le giravano per la testa, la Juilliard, il comportamento di sua madre, per non parlare di quello di Hartley. Giorno dopo giorno tutto si accumulava sulle sue spalle. Dopo mangiato si ritirò nella sua stanza e si infilò subito la sua camicia da notte preferita, quella azzurra coi ricami di pizzo e si lasciò cadere sul soffice letto esausta. Trovò subito ad aspettarla il suo fedele coniglio di peluche, se lo strinse al petto e accarezzandolo rimase a fissare il soffitto. Un osservatore esterno avrebbe giudicato la sua vita perfetta, o qualcosa che ci va molto vicino comunque. Era più che benestante, viveva in un appartamento di lusso, frequentava una scuola prestigiosa e la Julliard l'aveva accettata. Che cosa poteva volere di più? E che cos'era che la rendeva così insoddisfatta nonostante tutto? Una parte della risposta ce l'aveva: le mancava suo padre. Da quando se n'era andato quattro anni prima era come se nel suo cuore si fosse formata una crepa. Faceva un male bestiale all'inizio, non riusciva a credere che avrebbe vissuto senza di lui da quel momento in poi. Se solo non si fosse trovato in quella dannata banca quella mattina, se solo quei rapinatori non avessero puntato il fucile contro di lui...perché era dovuto capitare proprio a suo padre? Ora che lui non c'era Alice sentiva spesso di non avere davvero una direzione perché senza quella parola di appoggio e incoraggiamento da parte sua non si sentiva a posto con se stessa. Sua madre non era un valido aiuto. La maggior parte delle volte rifiutava di parlare del marito e tendeva a voler tenere sempre sotto controllo ogni aspetto della vita della figlia. Di conseguenza di fronte a severità e rigidità Alice non poteva fare a meno di sentirsi intimidita. E andava anche bene, non voleva litigare con lei, per questo la accontentava sempre ma quando toccavano l'argomento Hartley...
Un colpetto alla porta la fece mettere seduta. “Avanti” disse.
La porta si aprì piano e sua madre entrò nella stanza. Neanche le avesse letto nel pensiero. Si sedette sul letto accanto alla figlia. “Ti sei divertita oggi?”
'Divertita' non era proprio il termine che avrebbe usato ma Alice fece finta di niente. “Certo, e tu?”
“Ovviamente mi ha fatto piacere mostrare ai miei amici quanto è speciale la mia bambina” rispose tendendo le labbra rosse in un sorriso. La signora Abrhams si assicurava di avere sempre un aspetto impeccabile, dentro e fuori casa. Era come se lasciando che il mondo la vedesse senza trucco o coi biondi capelli scompigliati la sua vita si sarebbe potuta incrinare.
“Bene. Ha fatto piacere anche a me” la assecondò Alice.
Forse per una volta la signora Abrhams non era convinta delle parole della figlia o forse era entrata già con l'intento di mantenere la promessa fatta poche ore prima ma stava il fatto che una tempesta stava per scatenarsi.
“C'è qualcosa di cui ti vorrei parlare, mi sembra inutile ormai continuare a girarci intorno” annunciò cambiando tono, era troppo formale, quasi come quando Alice la sentiva parlare d'affari al telefono. “Quel ragazzo, Hartley Jacobs” iniziò la donna confermando i sospetti di Alice. “Vi ho visti ballare oggi”.
“Si” disse Alice irrigidendosi.
“So che passate molto tempo insieme, più di quanto tu mi racconti” proseguì la signora Abrhams. Da come lo diceva era più un dato di fatto, non la stava ancora rimproverando, tuttavia Alice si sentiva sempre più a disagio. Annuì.
“Ti ho lasciato fare, so che sei coscienziosa. Ti ho lasciato fare anche sapendo della sua particolare...situazione
Ecco che lo faceva di nuovo. Odiava quando si riferiva così a Hartley, come se si dovesse vergognare di qualcosa. Alice strinse i pugni.
“è anche più grande di te...”
“Solo un paio d'anni mamma!” scattò Alice. “E allora? Qual'è il punto?” chiese innervosita.
La signora Abrhams sospirò. “è ora di tagliarlo fuori dalla tua vita, cara. L'anno prossimo andrai al college e vedrai, ti farai un sacco di nuovi amici” disse tranquillamente.
Alice spalancò gli occhi. “Vuoi che io abbandoni Hartley? Perché??”
“Lo sai, Alice. Non fare finta di non capire.”
Alice sbuffò sconcertata. “E invece proprio non capisco, mamma! Che cos'ha Hartley che non va? È un bravo ragazzo, è solo che non ha il reddito che abbiamo noi. E allora? Lo rende una persona brutta?” scoppiò.
Sua madre non sembrava troppo impressionata. “Ecco, è esattamente quello che volevo dire.”
“Cosa??”
“Questo, Alice” disse la donna più decisa. “Come lo difendi, come ti scaldi se si parla di lui. E ti ripeto che oggi vi ho visti ballare”
Alice non trovava un senso in quel discorso. “Non ti seguo.”
“Ti stai innamorando di lui, Alice. O forse è già troppo tardi” commentò guardando la figlia come se fosse un cane randagio. Ad Alice non piaceva e non era affatto d'accordo. “No, io non-- ti sbagli” si oppose debolmente. Che volesse ammetterlo o meno però sua madre aveva toccato un tasto delicato il che le aveva regalato un piccolo vantaggio nella conversazione. Allungò una mano e la poggiò sul ginocchio della figlia. “Che madre sarei se lasciassi che quel ragazzo ti portasse fuori strada?” riprese in tono più accomodante. “Tu diventerai qualcuno, Alice. Una grande pianista. Ma lui ti distrarrà se gli doni il tuo cuore. Forse non lo vorrà nemmeno, ci hai pensato?”
Alice trasalì. Era pronta a ribattere che no, Hartley non l'avrebbe mai ostacolata ma quando aveva detto che lui avrebbe potuto rifiutare il suo cuore...perché si sentiva un peso sullo stomaco?
“Pensaci Alice. Vale la pena di stare con uno come lui?” chiese la madre.
Si. Si che ne valeva la pena. Perché Hartley era l'unico al mondo che la capiva, l'unico che era in grado di trasformare una grigia giornata piovosa in un'occasione per cantare sotto la pioggia, letteralmente, anche se era stonato; era l'unico a farla sorridere quando aveva la luna storta, a portarla in parti di New York che non aveva idea esistessero, l'unico che sapeva che cosa significava sentirsi un po' tristi il giorno del proprio compleanno perché manca qualcuno di importante a festeggiarlo con te. E poi a nessun altro piaceva il gelato alla stracciatella come a loro due, ne era certa. Ma avrebbe detto tutte quelle cose a sua madre? No, tanto non avrebbe compreso. Sarebbe stato meglio fare come tutte le altre volte, sorridere e fingere di essere sulla stessa pagina.
“Ci penserò mamma.” le disse seguendo il copione.
La donna apparve soddisfatta. ”Bene, so che farai la cosa giusta.” e con questo lasciò la stanza. Non una buonanotte, non un'altra parola. Alice si stese nuovamente sul letto, esausta. Pregò che in qualche modo le cose si sarebbero sistemate, che sua madre presto le avrebbe lasciato prendere le sue decisioni. L'alternativa era terribile: la solitudine. Questo avrebbe ottenuto senza Hartley al suo fianco. Fu il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi e sognare di un tempo non troppo lontano.

~
 

Alice conosceva Hartley da circa due anni. Era un po' buffa la storia di come si erano incontrati. Lei non usciva mai di casa senza qualcuno accanto, che fosse sua madre, la tata o anche l'autista della loro auto che faceva in un certo qual modo anche da guardia del corpo. Alice come ogni altro abitante di New York non poteva fare a meno di subire il fascino della città ma allo stesso tempo all'età di quindici anni la conosceva molto poco. Il motivo era che da quando suo padre era morto la madre le aveva inculcato l'idea che il mondo fosse pieno di pericoli e quindi New York fosse un nido di criminali e rapitori. Era normale avere paura che le succedesse qualcosa dopo aver perso il marito in maniera tanto tragica ma non era comunque una scusa valida per nascondere a Alice quello che invece c'era da scoprire e ammirare. Infondo al cuore la ragazza sapeva che non poteva continuare così e un giorno decise che avrebbe fatto qualcosa a riguardo. Senza dire niente a nessuno riuscì a uscire di casa da sola per andare a prendere il tè a casa di una sua compagna di scuola, Bethany Laverne. Non c'era niente di cui aver paura, si ripeteva, sarebbe arrivata senza problemi a raggiungere la sua meta senza l'aiuto di nessuno. I mezzi pubblici servivano a questo. Così prese la metro ma, nonostante le buone intenzioni, finì col perdersi lo stesso. Non sapeva come potesse essere successo ma probabilmente la colpa era del suo scarso senso dell'orientamento. Si ritrovò a piangere su una panchina del Central Park, un posto che almeno conosceva un po' visto che suo padre ce la portava spesso, senza cellulare e senza un'idea di come tornare a casa. Per non parlare di come avrebbe reagito sua madre.
Poi un ragazzo le sedette accanto, al lato opposto della panchina. Indossava pantaloni larghi con le tasche e una maglietta più grande di lui di un paio di taglie. I capelli castani erano un groviglio indistricabile ma la cosa che più catturava l'attenzione erano i suoi occhi. Verdi e limpidi, gentili. Quegli occhi guardavano Alice con curiosità e apprensione. Quando lei sollevò la testa e lo vide nella sua visuale appannata si mise subito in allerta. Chi era? Voleva farle del male? Le era stato detto e ridetto che non ci si poteva fidare degli sconosciuti perché non si sa mai che cosa abbiano in mente. Ma quel ragazzo non era così. Le aveva passato un fazzoletto pulito con delle ostriche disegnate sopra. Bizzarro, pensò Alice. Lui le chiese che cosa c'era che non andava, se poteva fare qualcosa per aiutarla. Alice rimase guardinga ma gli disse che si era persa e che ormai era tremendamente in ritardo per il suo appuntamento. Allora il ragazzo le sorrise e le rispose che le avrebbe indicato lui la strada, conosceva New York da cima a fondo e non sarebbe stato un problema dirle dove andare. Lei lo ringraziò sorpresa della sua gentilezza ma gli spiegò un po' in imbarazzo che sapeva l'indirizzo, solo non riusciva a trovarlo da sola. Si aspettava che quel tipo avrebbe riso di lei, che l'avrebbe presa in giro ma ancora una volta la sorprese. Rise sì, ma non per schernirla. Le porse la mano e le offrì di accompagnarla personalmente, poteva smettere di piangere. Alice sentì un campanello d'allarme risuonarle in testa 'Attenta! Potrebbe essere pericoloso! Potrebbe portarti via, farti male!' ma dall'altra parte non riusciva a credere che quel viso cortese potesse essere solo dipinto. Così gli disse “Non ti conosco nemmeno, come potrei venire con te?” al che lui sogghignò e rispose “Mi chiamo Hartley e tu?” Hartley, un nome così insolito. Le ricordava la parola 'heart', cuore. “Alice” si presentò lei. “Ok Alice, lo vuoi bere o no questo tè oggi pomeriggio?” chiese ancora in attesa che prendesse la sua mano. Alice si alzò dalla panchina e nascose le braccia dietro la schiena. Gli fece cenno di sì con la testa però e insieme si incamminarono verso casa di Bethany Laverne.
Fu così che Hartley smentì ciò che le avevano sempre detto; ogni tanto ci si può fidare, devi solo stare un po' attenta. Durante il viaggio in metro Hartley l'aveva fatta ridere a crepapelle con indovinelli e storie divertenti e Alice si accorse che era da troppo tempo che non si sentiva così rilassata e a suo agio con qualcuno. Nemmeno a casa sua era più così. Giunta a destinazione quasi non voleva più salire in casa di Bethany, un po' perché aveva veramente fatto tardi ma soprattutto perché passare un quarto d'ora con Hartley era stato molto più bello. Così decisero di non perdersi di vista. Diventarono velocemente amici e lei imparò a conoscerlo. Viveva in un istituto ai tempi e contava i giorni che lo separavano dal suo diciottesimo compleanno per potersene andare per sempre. Una volta faceva una vita agiata proprio come la famiglia di Alice ma quando suo padre, Doyle Jacobs, morì di una brutta malattia, la madre Michelle non la prese affatto bene; perse la ragione e dovettero ricoverarla in un'ospedale psichiatrico. Hartley aveva quattordici anni e nessuno che volesse occuparsi di lui dopo che la storia dei suoi genitori si era diffusa, così finì in istituto. Una cosa era certa, lui odiava quel posto. Pareva non riuscire a starci per più di qualche ora, poi svicolava via per incontrarsi con Alice e farsi un giro insieme. Per questo motivo la Signora Abrhams così come la società bene di New York non vedevano di buon occhio Hartley; secondo loro era un reietto che un giorno avrebbe potuto perdere la testa proprio come la madre. Alice trovava tali illazioni semplicemente assurde. Doveva tanto a Hartley, era stato lui a insegnarle come muoversi nella giungla urbana, a scovare i ristoranti migliori, ma più di tutto gli era riconoscente solo perché c'era. Senza la sua amicizia sarebbe rimasta rinchiusa in una teca di vetro per sempre, non avrebbe mai fatto qualche passo in più per superare la morte del padre e is sarebbe sempre sentita incompresa. In poche parole, la sua vita era l'ordinato progetto di qualcun altro e Hartley era arrivato a scombinarlo da cima a fondo. La gente lo giudicava senza sapere niente di lui ma se solo l'avessero conosciuto come lo conosceva lei avrebbero cambiato idea, avrebbero visto il suo cuore. Perché era così difficile?



Note: hello! Ho notato che la mia storia è finita nelle seguite e nelle ricordate di qualcuno quindi non dev'essere così male, giusto? Vi ringrazio per averla aggiunta :) Detto ciò, questa era la storia di come è iniziata l'amicizia tra Alice e Hartley, opinioni? Credo che dovrei anche precisare un paio di cose: la prima, sto cercando di infilare ogni volta che posso dei riferimenti che rimandino alle caratteristiche dei personaggi tradizionali e spero si stiano capendo (esempio, se Hartley è il Cappellaio Matto della storia il fatto che sua madre sia impazzita ha un senso), la seconda è che ho contrassegnato la storia anche come fantasy e anche se non è ancora successo niente di magico ci arriverò, quindi non pensate che ci sia qualcosa che non quadra. Ok, alla prossima ;)

   
 
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