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Autore: Neko no Yume    23/05/2013    4 recensioni
Fronte occidentale, la Marna a pochi chilometri e il frastuono degli eserciti che rimbomba ovunque.
Un respiro appena accennato e tremolante sotto una divisa tedesca, nemica.
Probabilmente i militari che presidiavano il suo ospedale l'avrebbero finito seduta stante, ma Sharon non era arrivata fin lì per mietere vite.

Poi, la mattina.
(wwi storical au; il titolo potrebbe o no essere una semi-citazione letteraria)
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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La prima cosa che vide nello svegliarsi fu il vuoto accanto a sé.
Era ancora nella tenda di Vincent, nonostante se ne sarebbe voluta andare già da molto.
Ricordava che lui le aveva sussurrato di restare e per un attimo, un breve istante della cui esistenza era arrivata lentamente a dubitare, Sharon aveva sentito riverberare nella sua voce la stessa sofferenza che provava lei tutti i giorni.
Solo per quell'attimo aveva sentito di non essere sperduta in un mondo di bende insanguinate ed esplosioni, poi la nausea aveva preso il sopravvento e l'aveva costretta a voltarsi dall'altra parte.
Si aspettava che il medico stesse ancora dormendo, ma era sola nel letto.
Tanto meglio.
Si rivestì in fretta, stringendosi nella divisa come un passero infreddolito, per poi affrettarsi ad uscire da quel luogo ormai claustrofobico.
Inspirò a pieni polmoni l'aria frizzante del mattino e si godette la sensazione del freddo che le pungeva il viso e i polmoni, mentre la luce del sole appena sorto le faceva socchiudere le palpebre.
L'idea di entrare nella tenda principale e imbattersi nel dottor Nightray non le piaceva affatto, ma non poteva abbandonare i suoi pazienti a loro stessi, non poteva abbandonare Xerxes.
Strinse i pugni e si fece largo nell'ospedale, iniziando il suo solito giro di controlli di routine.
Gli effetti dell'attacco del giorno prima si erano già fatti sentire e la sala era affollata fino all'inverosimile di soldati in condizioni più o meno gravi, gemiti soffocati e infermiere frenetiche.
Sharon deglutì istintivamente, poi si tirò su le maniche della camicia e iniziò ad analizzare con occhio critico i suoi pazienti, appuntandosi i nomi di chiunque fosse stato abbastanza in forze da poter essere trasportato verso altre strutture di riabilitazione più interne.
Finite le visite più leggere, si dedicò ai nuovi arrivati che erano ancora in attesa di assistenza e tagliò, disinfettò, ricucì finché non le si appannò la vista.
Era nel bel mezzo di un'operazione piuttosto complicata (togliere un proiettile dal braccio di un ragazzo), ma per fortuna aveva praticamente finito e riuscì a portare a termine l'estrazione senza fargli male.
Il giovanissimo soldato in questione la scrutò con aria scettica da sotto una frangia scura e decisamente troppo lunga mentre gli tamponava la ferita.
"Non dovrebbe prendersi una pausa?" suggerì. "Tanto ormai l'emergenza è passata."
La crocerossina annuì trasognata, rendendosi conto che il nuovo arrivato era ricoverato davanti al lettino di quella mina vagante di Elliot e, di conseguenza, a pochi passi dal lettino di Break.
Ignorò di proposito lo sguardo assai poco raccomandabile che si scambiarono i due inglesi e che non prometteva niente di buono, per dirigersi fino al posto dello straniero.
Xerxes aveva la fronte ancora calda e una macchia rossa sulle bende in prossimità dell'occhio ferito, ma il respiro era regolare.
Sharon si affrettò a rifargli un bendaggio nuovo e alla fine del processo si accorse di averlo svegliato.
Non riuscì a trattenere un lieve sobbalzo, al quale il tedesco rispose con uno dei suoi soliti sorrisetti, che però sfiorì nell'accorgersi delle condizioni dell'infermiera.
"Fräulein!" esclamò con un'energia di cui la crocerossina non l'avrebbe mai ritenuto capace in quelle condizioni. "Ha il viso pieno di graffi!"
In effetti al momento non doveva avere una gran bella cera, riusciva quasi a percepire il pallore del suo stesso viso, le occhiaie, i capelli scarmigliati e le guance graffiate dai rami del giorno prima.
Per non parlare del dolore alla caviglia, ma Break non era tenuto a saperlo.
"Non è niente, davvero," si affrettò a rassicurarlo.
Il soldato non parve persuaso e stava per protestare ancora, quando un improvviso giramento di testa convinse Sharon ad acciambellarsi sul pavimento accanto al suo letto, la testa e gli avambracci posati sul materasso a un soffio dal suo viso.
"Non osare farmi la paternale, Xerx," lo avvisò in tono tra il duro e lo scherzoso. "Qui sei tu quello messo peggio."
Il tedesco aveva aperto le labbra screpolate per protestare, tuttavia l'improvvisa vicinanza della crocerossina lo sorprese a tal punto da zittirlo.
Rimase in silenzio a osservarla, poi allungò una mano verso la guancia più graffiata e indugiò a un soffio dalla sua pelle, come a chiedere il permesso.
L'infermiera perse un battito, o forse anche più di uno, ma rimase immobile e inclinò appena il capo quando avvertì il tocco rovente delle dita dell'altro sui suoi graffi.
Erano così diverse da quelle di Vincent, così tremanti e accaldate, che Sharon dovette fare appello a tutta la forza d'animo che le era rimasta in corpo per non piangere di nuovo.
“Oggi c'è un bel sole,” disse invece, mentre l'uomo continuava a seguire i contorni arrossati dei graffi. “Vorrei che lo vedessi anche tu.”
Rimasero in silenzio per un po', col biancore della mattina che filtrava attraverso le rudimentali finestre dell'ospedale, poi Break si fermò e le appoggiò il palmo della mano sulla guancia.
“Perché sono qui,?” chiese in tono improvvisamente serio. “Siete in una situazione d'emergenza e io non sono neanche inglese.”
L'infermiera resistette a fatica all'istinto di correre via, al riparo da quell'occhio rosso che esigeva verità che lei non poteva rivelare, verità sepolte sotto una coltre di lenzuola sfatte.
“Non siamo messi poi così male,” cercò di giustificarsi, sapendo lei stessa che lui non le avrebbe creduto.
Infatti il cipigliò di Xerxes si indurì ulteriormente e il tedesco si puntellò sul braccio libero per osservarla più da vicino.
Fräulein,” la chiamò di nuovo, con maggiore insistenza.
Sharon deglutì a vuoto, lo sguardo che vagava per la stanza incapace di reggere il contatto visivo.
Incrociò un paio di iridi eterocrome, le stesse che la notte prima l'avevano frugata in ogni punto, bruciata e derisa, e soffocò un singhiozzo.
Il soldato seguì il suo sguardo e si irrigidì visibilmente; la crocerossina avrebbe potuto giurare di aver sentito lo scatto delle sue mascelle che si serravano.
Poi il dottor Nightray si allontanò e lui tornò a concentrarsi su di lei, sebbene l'aria indagatrice fosse stava sostituita da una sconvolta, smarrita come quella di un bambino.
“Che cosa hai fatto?”
La domanda risuonò più forte di un colpo di fucile nell'aria immobile, squarciandole le orecchie, poi la testa di Break ricadde sul cuscino e lo straniero si lasciò trascinare nell'oblio di un sonno che Sharon si augurava fosse senza sogni.
Una parte isolata del suo cervello si rendeva conto che le aveva appena dato del tu, ma non riusciva a esserne felice quanto avrebbe voluto; l'angoscia che aveva sentito incrinargli la voce le serrava ancora la gola.
Cercò di cacciarla via lavorando e applicò un asciugamano umido sulla fronte di Xerxes, poi tornò ad accovacciarsi accanto a lui.
Che cosa aveva fatto?
Era andata a letto col suo superiore per poter salvare la vita di un uomo.
Perché l'aveva fatto?
Perché non sopportava l'idea di lasciare un ferito al suo destino solo per il colore della sua divisa.
Chiuse gli occhi e conficcò le unghie nella stoffa del materasso, perfettamente consapevole del fatto che le sue ragioni andassero ben oltre.
Non voleva trovarsi lì quando l'altro si fosse svegliato, ma allo stesso tempo non aveva la forza di allontanarsi da lui e il suo respiro affannato nelle orecchie leniva il dolore che sembrava volerla lacerare, cancellare le conseguenze della notte prima anche se solo per poco.
Le bastava quello, le bastava un po' di riposo.
Qualche minuto e poi torno a lavoro, si ritrovò a pensare confusamente, per poi crollare accanto a Xerxes.
Sognò (o forse si era svegliata per un attimo, non avrebbe saputo dirlo) di sentire il tocco delle mani dell'uomo che le carezzavano i capelli e le sue labbra seccate dalla febbre che le baciavano la fronte in un gesto protettivo e disperato.
A svegliarla fu qualcuno che la scuoteva per le spalle con neanche metà della dolcezza del suo sogno.
Mise a fuoco con qualche difficoltà e si rese conto di avere davanti Alice, affiancata da un Oz che sembrava diviso tra la voglia di fare come sempre il provolone con la ragazza e la necessità di mantenere il suo ruolo.
“Ci servirebbe il tuo aiuto per caricare i feriti meno gravi sulle ambulanze,” le comunicò la sua collega senza mezzi termini, sebbene dal suo sguardo trapelasse una certa preoccupazione.
Sharon si limitò ad annuire e scattare in piedi, cercando di ignorare giramenti di testa e dolore alla caviglia, poi seguì gli altri due verso i soldati che aspettavano di essere trasferiti altrove.
Nell'uscire dalla tenda si rese conto di aver dormito fino a pomeriggio inoltrato e si sentì arrossire per la vergogna.
Che diavolo stava facendo?
Per rimediare continuò a dare una mano alle operazioni di trasporto finché non fu più possibile continuare a causa del buio, quindi tornò ad aggirarsi tra le brandine per accertarsi che le condizioni dei nuovi arrivati fossero stabili, o perlomeno sopportabili.
Somministrò dell'antidolorifico a Elliot, che non mancò di strepitare qualcosa su quanto lui non avesse assolutamente bisogno di medicinali e suscitare l'ilarità del ragazzo a cui l'infermiera aveva estratto il proiettile dal braccio quella stessa mattina.
I due si scambiarono alcuni commenti coloriti dalle due sponde della corsia, ma sembravano abbastanza innocui da poter essere lasciati alle proprie schermaglie senza pericolo.
La crocerossina passò davanti al letto di Break a passo svelto, troppo spaventata dalle domande che lui avrebbe potuto rivolgerle per fermarsi a controllare il suo stato di salute, per poi fare cenno a Echo di tenerlo d'occhio per lei.
L'altra rispose con un cenno d'assenso, lasciando Sharon libera di dirigersi verso il suo alloggio.
Si lasciò scivolare la divisa di dosso con un brivido di disgusto nel ricordare la notte precedente e la calciò in un angolo della stanza prima di avvolgersi nelle coperte in cerca di una protezione che aveva perso ormai da tempo o che forse non aveva mai avuto.

Dormì poco e male: Reim le aveva chiesto di aiutarlo con il turno di notte per lasciar riposare le altre e lei non aveva saputo rifiutarsi.
Anche perché aveva la sensazione che senza il respiro di Xerxes accanto a sé sarebbe stata preda degli incubi.
L'ospedale al buio le aveva sempre trasmesso un senso di tranquillità che non sapeva spiegarsi: i gemiti dei feriti si attenuavano fino a diventare sospiri, mentre il chiaro di luna e le lampade a olio diffondevano una luce tremolante e azzurrina su quei volti emaciati finalmente tranquilli nel sonno.
Il dottor Lunettes le venne incontro con un sorriso stanco e un saluto appena accennato a cui lei rispose debolmente.
Il medico la istruì a bassa voce sui suoi compiti, poi si fermò a guardarla in silenzio.
“Tutto bene?” si informò, nonostante una domanda del genere avesse perso qualsiasi significato precedente in un luogo come il loro ospedale.
Sharon annuì senza convinzione.
“Non preoccuparti,” gli sorrise. “Non è niente.”
Si allontanò da lui, immersa nel silenzio surreale della notte, con l'improvvisa consapevolezza che Reim fosse l'unico dottore di cui si fidasse.
Forse perché era sempre stato gentile con lei, come un fratello maggiore.
O forse semplicemente perché gli esseri umani hanno bisogno di appigli.
Dato che tra i suoi doveri c'era anche quello di controllare Xerxes, l'infermiera decise di cominciare da lui.
Sembrava sempre più pallido, ma almeno la ferita non dava segni di infettata o riaperta e il bendaggio usato non era più macchiato di sangue.
Glielo sostituì comunque, per poi detergergli il sudore dal viso con una pezza umida di cui si servì anche per tamponargli le labbra disidratate.
Lo straniero si agitò nel sonno e Sharon si chinò verso di lui, sfiorandogli la punta del naso con il proprio.
Rimase così per qualche secondo, in attesa che le visioni che lo stavano attanagliando svanissero, senza avere la minima idea di cosa fare.
Intanto mormorava una vecchia ninnananna nella speranza che lui la sentisse.









Yu's corner.
Buh, eccomi qui ad aggiornare!
Ringraziate il mio professore di latino in malattia che mi ha permesso di prendermi il pomeriggio libero per completare la stesura. (?)
Questo capitolo mi è sembrato un po' statico rispetto ai precedenti, forse perché è in effetti un capitolo di transizione.
Ad ogni modo, spero che a voi miei cari lettori sia piaciuto!
Film mentali dell'autrice a parte, indovinate chi è il nuovo soldato con la frangia chilometrica che punzecchia Elliot?
SIGNORE E SIGNORI, SPIEGATEMI COME LIBERARMI DELLA ELLIOTLEO VI PREGODBKSGAK-
Sigh, sono senza speranza alcuna.
E detto questo vi lascio, ringraziando tanto chiunque leggerà e commenterà.
Bye bye,
Yu.
  
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