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Autore: darkronin    24/05/2013    1 recensioni
Era passato solo un anno e mezzo da quando il mondo era cambiato. Eppure, quasi non riusciva a ricordare come fosse la vita, prima.
Fantasmi impalpabili, ombre traslucide, angeli lattei, spie robotiche.
Loro erano ovunque, in ogni luogo. Erano un vero incubo. Almeno, per quelli come lei: la livrea dell'uomo che la seguiva ovunque andasse dimostrava questa sua diversità.
Non poteva sapere se lui (ammesso che non si trattasse di un'altra illusione) si scollegasse mai dal suo cervello, se fosse un programma informatico o che altro.
Solo, lo vedeva sempre.
Gli Akero erano figure che potevano mettere soggezione nelle menti più deboli, ispirando un senso di paura o di totale venerazione: postura marziale, assenza di mimica e gestualità corporea, sguardo fisso... Gli occhi... o meglio, una banda orizzontale riflettente che percorreva in tutta la larghezza quella che poteva essere definita la testa di un essere antropomorfo.
Forse il loro aspetto era solo uno stratagemma accuratamente studiato per interagire meglio con la popolazione.
Forse la rigidità ad esso associata era il dettaglio che trasmetteva maggiore inquietudine: nessuno sapeva cosa potesse nascondersi dietro quella maschera.
Non rivelavano mai la loro vera natura né le loro intenzioni.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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22. Memories
And Tales






Una volta varcata la soglia, Birger e Azzurra, notarono che nulla di strano era avvenuto nella stanza rispetto a poche ore prima. Né c'era qualche strano figuro addizionale.
Erano state portate delle brande supplementari ed era cambiata la disposizione di quelle che c'erano già. Mat-mon giaceva ancora privo di coscienza in un letto nell'angolo più appartato; davanti a lui, Han continuava imperterrito a smanettare sui suoi computer, alle cui spalle era stato sistemato un giaciglio già ingombro di incartamenti e aggeggi vari che Azzurra non seppe identificare. Dall'altra parte della porta erano sistemati un letto vuoto e quello di 24, che era addossato alla vetrata che dava sul corridoio. Centralmente, infine, uno accanto all'altro, c'erano due giacigli vuoti. Loki si era arrampicata su uno di quelli e, con abilità sorprendente, riusciva a incastrare un telo sui pannelli del soffitto.
Nessuno di loro, per motivi diversi, si accorse dell'ingresso dei due fino a che una dolce melodia si diffuse nell'aria. Allora Loki smise di saltellare per gustare quella sinfonia. Chiuse gli occhi per assaporare l'esperienza ma il gracchiare di una voce sintetica, e la pronta rispostaccia di Han, la fecero girare di scatto.
-Signore, è già suonata la ritirata sotto coperta... dovrebbe mettere tutto in stand-by e coricarsi...- disse la voce metallica
“Ma vaffanculo Edwin! Ho detto che salto il turno, te lo vuoi ficcare in quei tuoi circuiti spanati? Non mi succede nulla, avanti...continua a processare che voglio venirne a capo il prima possibile...”
“Ciao, Birger!” aveva salutato Loki, saltando agilmente giù dal materasso “Avete fatto un bel giro?”
“Istruttivo...” rispose lui, seguendo lo sguardo dell'accompagnatrice che, a sua volta, fissava il proprio Akero con aria angosciata.
“Siete qui, allora...” borbottò Han girando su se stesso mentre fulminava con un'occhiata il trespolo che, solo poche ore prima, era stato il cameraman della loro precedente riunione. “Tu lavora!” quello chinò una serie di pinze con fare rassegnato, quasi fossero state l'equivalente di una testa, si voltò e continuò a trafficare per i fatti suoi.
“Non sapevamo dove altro andare...” rispose Azzurra facendo spallucce: un posto valeva l'altro, in effetti.
Han annuì, compiaciuto “Meglio così... mi aiuterete a finire il lavoro”
“Lavoro?” domandò Birger interessato. Azzurra, invece, andò a buttarsi a peso morto sul letto accanto a 24
“Ho analizzato i dati che ci ha fornito la tua Akero... Effettivamente non sembrano alterati... ora stavo cercando di capire da dove partire per studiare questa immensa mole di dati...” disse alzandosi e andando a osservare da vicino lo strano cristallo su cui Edwin si stava affaccendando, scandagliandolo con un raggio laser. “Se così fosse, ci sarebbe una qualche incongruenza, da qualche parte, invece...” scosse la testa “Dunque, dicevo: ho bisogno di voi per capire cosa, come, quando e perché...il Blue Beam, le vostre reazioni, etcetera. Registreremo tutto, cosicché anche le altre comunità possano avere gli stessi dati su cui lavorare...”
“Una specie di intervista?” domandò il norvegese già esaltato “Io sono pronto”
“Dovresti rispondere anche tu...” Disse Han, rivolto ad Azzurra, con tono seccato.
“Eccomi!” rispose tirandosi su e poggiandosi sui gomiti
“Allora...” cominciò Han sfogliando un blocco notes su cui erano appuntate delle domande che doveva assolutamente rivolgere loro “Ed ci sei o stai giocando?” disse poi rivolto alla macchina, senza sollevare lo sguardo dai suoi fogli
-Sì, signore, la registrazione è già partita- rispose quello, con una calma che solo una macchina poteva dimostrare.
“Bene... anzitutto... i nomi. Perché li avete chiamati così? Comincia Birger...”
“Loki è il dio dell'inganno norreno.” rispose quello, prontamente.
“E' un uomo...” gli fece notare, giustamente, Han
“Sì, certo... Ma lei non era facilmente identificabile come femmina.. voglio dire.. guardala.. ”
“Sì, l'ho vista...e per quanto scarsa, ho subito pensato fosse una donna. Basta osservarle il culo – perdona...” disse alzando le mani “Sappi che non vuole essere una molestia ma una semplice osservazione antropometrica – e dimmi che è secco e piatto come quello di qualunque uomo. La struttura ossea, poi, è visibile lontano un miglio: vita stretta e fianchi più larghi che non scendono a colonna... forse sei tu che sei abituato ai donnoni del nord...” lo pungolò Han, maligno.
“Può essere...” rispose quello senza offendersi “Ad ogni modo, Loki è il dio dell'inganno, è astuto, camaleontico ed è un grande inventore. Tutte caratteristiche che io vedevo in lei. C'è anche da dire che rappresenta il male necessario per mantenere l'equilibrio cosmico. In un certo senso, è la loro missione. Inoltre è ambiguo e si atteggia da donna. Quindi, quando me la sono trovata di fronte... beh... ho pensato davvero, come volevano farci credere, che fosse una divinità. Anche se la cosa non mi convinceva.”
“Di questo parleremo dopo. Tu, invece?” disse rivolgendosi ad Azzurra.
“24 è semplicemente il livello di pericolosità. Come già detto al gruppo che mi ha soccorso, noi per loro siamo un numero e allora volevo che lo stesso valesse al contrario. Secondo la smorfia, poi, il 24 rappresenta la guardia. E poi, mi stava incollato 24 ore su 24. Non sono brava a dare i nomi. Più semplice è, meglio è.” si giustificò.
“Il tuo cane e il tuo cavallo?” domandò Han perplesso “Chi ha dato loro i nomi che hanno?”
“Soraya è semplicemente la razza di pony. Arek è un bastardino e il nome è quello che gli era stato assegnato nel canile dove l'ho preso. Se, ad esempio, avessi avuto un cucciolo di Jack Russell da battezzare, probabilmente l'avrei chiamato Jack.” rispose annoiata
“Che fantasia...” fu il commento sprezzante di Han “Ti sei proprio sprecata... Per il 19, qualcuno sa niente?” disse guardando Mat-mon.
Tutti si guardarono vicendevolmente, domandandosi, con lo sguardo, se l'altro sapesse nulla.
Dopo qualche istante di silenzio, fu 24 a rispondere “Zoe gli aveva dato quel nome prendendolo direttamente dall'ebraico matmon, la ricchezza, che, secondo alcuni, sarebbe l'origine etimologica di Mamona. Da Mamona, la personificazione del profitto, discende il Gatto Mammone che, a sua volta, è stato modello ispiratore per Cheshire...lo Stregatto” specificò in italiano, a beneficio di Azzurra che lo guardava stralunata.
“Che cavolo è il Gatto Mammone?” domandò divertita
24 la ignorò e proseguì la sua spiegazione “Mat è un tipo espansivo e sempre sorridente...”
“Cheshire” echeggiò Birger, annuendo
“Sì... ma il Gatto Mammone, nelle terre limitrofe al sud Italia, quindi anche in Grecia, rappresenta il demonio. Nelle terre d'oltremare, in particolar modo in Egitto, dove è derivato della antica devozione agli animali, maimòne rappresenta, invece, qualcosa che è di buon auspicio. Da quello che so o che ho dedotto, Zoe provava un sentimento ambivalente: lo odiava per essere l'invasore ma ne amava anche la gentilezza, al punto da abbreviarlo in Mat, appunto, nome tutto umano.”
Han rimase sbalordito da quella spiegazione che sembrava un fiume in piena. Scosse la testa: era un Akero, non avrebbe dovuto meravigliarsi. E se i dati che Loki si era scaricata nel cervello avevano saturato un intero cristallo, non poteva aspettarsi di meno dalle conoscenze che quegli esseri avevano al di fuori di qualche dato rubato. “Chiederò conferma a Kemal o a Fatema...e anche ad Akira, quando si sarà rimesso” rispose semplicemente. “Ma procediamo oltre. Le vostre origini? Comincia sempre Birger”
“Intendi il mio background? Credo che il dato più rilevante sia il fatto che i miei genitori siano entrambi sciamani: mio padre, di origine Sami, è un ricercatore e giornalista e ha ereditato da mia nonna la carica; mia madre, invece, apparteneva sia alla tribù nord americana dei Cheyenne che a quella dei Sioux, frutto di un matrimonio politico, se così si può dire, in uso dalla fine del XIX secolo, quando le diverse tribù delle praterie si trovarono a dover far fronte comune contro l'uomo bianco. Sono stato esiliato nella periferia più settentrionale della Norvegia in quanto, con il Blue Beam, loro hanno trovato la conferma della loro vicinanza spirituale mentre io... Io ho praticamente bestemmiato, deludendoli profondamente...”
“Non ti seguo...” ammise Han
“Mio padre e mia madre mi ripetevano sempre che ciò che li aveva uniti erano state le radici comuni e la reciproca comprensione: da una parte un popolo sterminato al Send Creek, dall'altro la deportazione nell'Europa meridionale per le diverse esposizioni universali o lo studio sistematico e razzista del genoma, ancora alle soglie del XXI secolo. Mio padre, nel '75, era piccolo ma rimase traumatizzato dalla sterilizzazione femminile di massa in cui rimase coinvolta anche sua sorella. Per non parlare della superstizione legata alla lontana cultura Komsa: a metà del secolo scorso, per la follia tedesca della ricerca di sacre reliquie, i Sami furono torturati al fine di ottenere qualche informazione. Sono storie che non si raccontano e che, credo, nei libri di storia non siano mai comparse.
Ancora, loro – i miei genitori – hanno una grande considerazione di quello che vivono in sogno: dono che io non ho ereditato.
Già prima del Blue Beam mi ero dimostrato scettico nei confronti di qualunque religione: com'era possibile che due culti così lontani tra loro fossero poi così simili? Cominciai, quindi, ad appassionarmi all'argomento, portando avanti i miei studi in parallelo con quelli ufficiali sulle telecomunicazioni. Ironico, non trovate? Alla fine, a ben vedere, tutto ruota attorno alla comunicazione: prima gli sciamani, intermediari tra gli dei e l'uomo, poi i giornalisti e quindi i supporti multimediali.”
“E il rally?” lo incalzò Han
“Un passatempo...” rispose in un'alzata di spalle
Han lo guardo storto “Eri uno dei campioni della Camel Trophy e della Parigi-Dakar... solo un passatempo?”
“Proprio così... questo devo averlo preso dalla parte di mia madre. Nel mio sangue, in fondo, scorre qualcosa di Cavallo Pazzo...”
“Dicevi del Blue Beam...” lo incalzò l'hacker
Birger si adombrò “Quando venne, io esposi il mio scetticismo con veemenza. Tutto attorno a me vedevo solo gente impazzita – o lobotomizzata – che si prostrava in ginocchio alla venuta degli dei. I miei genitori non tollerarono oltre le mie idee blasfeme e, con il placet di tutta la comunità, se non di tutta la nazione, venni isolato nel tugurio vicino al Neidenelva.”
“Se eri isolato, come occupavi il tempo?”
“Studiando. Sapere è potere, no? Quindi mi dedicai alla mia seconda passione, quella che avevo portato avanti parallelamente agli studi più seri: la filologia. Compito assai difficile quando le tue fonti sono inaccessibili perché sei confinato al limite del mondo abitato e la rete è stata censurata ed epurata dai dati scomodi.”
Han annuì “Motivo per cui ancor oggi i dati sensibili -la verità- stanno a ingiallire sulle pagine di carta di fascicoli chiusi in scatoloni ammassati negli sgabuzzini delle basi militari. Ma la filologia non è proprio una materia superficiale...” gli contestò Han
Azzurra l'aveva ascoltato rapita. Non aveva mai pensato a quanto i supporti multimediali potessero essere vulnerabili.
“Affatto: richiede attenzione, rigore e un briciolo di intelligenza. E tanta, tantissima, conoscenza, per meglio interpretare i testi su cui si lavora. Ma rispetto ai codici di programmazione per me era come salire sulle giostre”
“Bene... Azzurra?”
“Devo proprio?” domandò seccata.
“Se non vuoi, chiedo a lui...” disse Han, indicando 24 con un'alzata del mento
Azzurra sbuffò. Fece mente locale e cominciò a raccontare, tenendo come falsariga i punti trattati dal norvegese. Si rendeva conto che lei, paragonata a Birger, non era che un'insipida ragazzina: priva di solide radici culturali, priva di convinzioni così forti, priva di una cultura abbastanza vasta da poter dire tranquillamente di aver fatto le sue scelte in modo ponderato. Si sentiva una stupida, per niente eccezionale. E, sempre più, si domandava come fosse possibile che lei fosse ritenuta tanto pericolosa. “Sono nata in Italia, da genitori italiani – papà veneziano mamma milanese –, nonni friulani da una parte e milanesi, ancora, dall'altra.
Loro sono scienziati. Non so su cosa lavorino di preciso... Papà è un ingegnere. O un biologo. Forse tutt'e due, non l'ho mai capito: come passioni ha sempre avuto quella di trafficare su vecchi congegni analogici rotti – ferrivecchi li chiama mia madre – e in mezzo a mille alambicchi, provette, microscopi... Mamma, invece, è una semiologa, insegna all'università e ha pubblicato anche qualche articolo. Nulla di più”
Nulla di più?” le fece eco Han, divertito e sarcastico.
Azzurra non capì il suo tono polemico. Evidentemente sapeva qualcosa che a lei sfuggiva ma sorvolò “Per lavoro, mio padre, era chiamato spesso in giro per il mondo a tenere conferenze o qualche lezione e noi lo seguivamo... Si può dire che abbiamo girato il mondo, anche se come semplici turisti. Per qualche periodo, quand'ero piccola, ricordo di aver passato parecchio tempo a bordo di una nave, credo. Era un'enorme città galleggiante, ma potrei sbagliarmi...”
Han, stranamente annuì con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra “Il Blue Seed, certo...” disse prendendo nota e invitandola a continuare.
“Mamma ne approfittava per fare ricerche lampo. Io ero spesso mollata da sola in giro per le città dove finivamo. A scuola non avevo problemi: alla vigilia delle partenze, i prof mi caricavano di compiti e di temi che avrei studiato da sola e su cui sarei stata esaminata al mio rientro.”
“Con in tablet, immagino, non sarà stato nemmeno un problema di spazio o peso...” commentò Han rigirandosi tra le dita la matita appuntita con cui giocherellava. Uno strano residuato di tempi lontani.
“Certo” fu la risposta perplessa di Azzurra
“Altri tempi...” mormorò “E il cane?” domandò, conoscendo già la risposta.
“Arek veniva sempre con noi. Soraya, invece, la portavamo in un maneggio dove veniva tenuta libera ma sorvegliata, insieme a tanti altri cavalli.”
“I tuoi studi, quindi? Scientifici o umanistici?”
“Scientifici. Ho scelto biologia. Le diavolerie di mio padre mi hanno sempre affascinato. Anche se poi ho scoperto che c'era ben poco di romantico nelle colture da preparare e studiare. Ma, d'altronde, non ho mai avuto una gran passione per le cose scritte. Poi sono arrivati loro e avevo deciso di specializzarmi in astrobiologia. E poi di ricominciare con ingegneria per arrivare alle nanotecnologie”
“Nessuno dei due mi ha accennato a nulla di artistico o psicologico...” constatò Han fissando il suo foglio
“Direi che essere un capo spirituale ha qualcosa a che fare con la psicologia. Certo, non a livello dei preti di paese...” replicò Birger “E sull'arte...” continuò roteando gli occhi in cerca di una risposta “Beh... c'è una certa dose di artisticità nel preparare i riti, gli addobbi e tutto quello che gli va dietro. Non come nei posti strettamente mediterranei. So che lì era usanza, ad esempio, decorare le strade con festoni e realizzare immagini con fiori freschi sulla strada...”
“Non ovunque” rispose Han, prima di focalizzarsi sulla ragazza “Ma sì, ti posso dar ragione, pensando anche ai mandala buddisti: arte e religione, come religione e politica, vanno spesso a braccetto”
“Immagino che le App del tablet non contino. E non so nemmeno impugnare una matita. Quanto a livello psicologico...vorrai scherzare, spero. Cercare di capire gli altri? Quegli altri che mi rifiutano?”
Han mugugnò qualcosa e scarabocchiò sul blocco notes, quindi continuò con il suo interrogatorio. “Perché eravate così ostili ai nuovi venuti?”
“A differenza dei miei genitori, che trovavano miracoloso il fatto che popolazioni diverse avessero così tante cose in comune nel loro patrimonio religioso, io ho sempre pensato ci fosse qualcosa di estremamente sospetto. Permettimi un excursus, per farti capire cosa intendo.
Io credo nelle fate urlava Peter Pan per salvare la vita della sua preziosa assistente.
I want to believe recitava lapidaria la scritta bianca del poster che Mulder aveva alle spalle. Per non parlare del noto Credo cattolico.
Io ero ribelle già da piccolo, mal sopportavo la costrizione degli abiti, della società e da adolescente son stato un teppista, non lo nascondo...”
“Spiega molte cose...” confermò Han ripensando al divertimento che gli aveva letto negli occhi mentre attaccava, con Loki, le forze dell'ordine che cercavano di bloccarli.
“Non mi è mai piaciuto obbedire alla cieca, senza capire dove stavo andando, almeno approssimativamente.” continuò Birger “Perché si obbedisce solo a qualcuno in cui si crede, in cui si ripone fiducia. Ma...cosa vuol dire fidarsi o avere fiducia in qualcuno? E' la speranza che quello che ci viene detto, con argomentazioni abbastanza plausibili, sia vero. E cosa vuol dire credere? Essere persuasi che quello che ci viene detto sia vero.
Sfumature.
Peccato che io non mi fidi, a prescindere, di nessuno, non do niente per scontato o assodato se non quello che constato in prima persona. E nemmeno quello, perché i sensi potrebbero trarmi in inganno: sono pronto a mettere sempre tutto in discussione. Certo, mi fido del prossimo e vedo il buono anche dove in realtà non c'è ormai più nulla da salvare. Forse può sembrare contraddittorio... Comunque, suppongo di essere nato senza quel fantastico dono che è la Fede... che è tutt'altra cosa.
Mi piacerebbe pensare che quello che sogno possa essere reale. E, accantonando gli Akero, che meritano una trattazione a parte, sono sempre stato convinto che esistessero altre forme di vita. Non parlo dell'universo: quello è così vasto che sarebbe presuntuoso pensare di essere l'unico pianeta ad aver sviluppato forme di vita intelligenti. E cosa intendiamo con intelligenza? E' un altro punto in cui scavare perché le formiche coltivano, allevano e sono socialmente organizzate gerarchicamente...non è forse intelligenza anche quella? No...io parlavo di altre vite qui, sulla terra. E non vedevo perché questi esseri altri avrebbero dovuto essere per forza antropomorfi. Come non riuscivo a farmi bastare, come giustificazione, il topos della vergine madre di un dio che è uno e trino, o la ricorrenza di pantheon che erano uno il calco dell'altro, medesimi riti, medesime storie riadattate per i luoghi in cui si innestavano. Per non parlare dei calendari. Dai babilonesi agli indù, dagli egizi alle religioni messianiche.
E qui veniamo al Blue Beam Teniamo sempre da parte il fatto che loro siano qui. Questi erano i miei ragionamenti prima.
Antropomorfi, dicevo. Certo, la posizione eretta, comoda etc... e perché dovrebbero avere solo due gambe? Perché non avere molte paia di braccia come la dea Kalì? O essere dotati di multi tentacoli o più occhi come le mosche? Probabilmente, mi dicevo, ci sfuggono perché guardiamo nella direzione sbagliata. D'altronde, a ben vedere, anche un cane o un gatto potrebbero essere alieni, no? Non sono 'altre forme di vita intelligente' rispetto a quella umana? Mi è sempre sembrato, e mi sembra, troppo banale.
Eppure... folletti o alieni che fossero..io avrei voluto vederli...
Credevo che sarei stato felice se anche avessi avuto qualche difetto al nervo ottico che mi avesse fatto percepire una realtà diversa o un cervello che elaborasse le informazioni a modo suo: la follia o il vedere fantasmi non è altro che questo. Avrei voluto poter dire di essermi lavato così tanto il cervello da essermi autosuggestionato. Eppure... continuavo a non vederli. Pur restando scettico e scientifico, a modo mio, credevo. Non ciecamente come avrebbero voluto i miei o i guru di qualunque fazione: non sono un fanatico. Ho semplicemente le mie convinzioni a farmi compagnia. Convinzioni che mi hanno portato più rogne che altro. Ma non rinnego nulla.”
“Quindi?” lo incalzò Han dopo quella lunga tirata “Il Blue Beam doveva rispondere proprio a quelli come te... non capisco...”
“Questo è stato il suo tallone d'Achille” disse il biondo riprendendosi da quella lunga filippica “Era troppo precisa: sembrava studiata apposta per convincere tutti. Il fatto che il messaggio sia arrivato a tutti contemporaneamente, convincendo tutti delle rispettive posizioni, senza scontentare nessuno, mi ha messo in allarme.”
“Capisco” disse Han con un cenno affermativo della testa. Quindi guardò Azzurra, in attesa del suo contributo
“Se lui è, praticamente, agnostico, io sono atea. Non credo né agli dei, né ai folletti, né agli ufo, né alle varie teorie strampalate che girano in rete. E non dico che non siano affascinanti. Di volta in volta mi sono lasciata cullare da questa o quell'idea. Ma semplicemente, doveva esserci una spiegazione razionale. Soprattutto, diffido di una cosa quando tutti sono convinti che sia la strada giusta. Quando un argomento serio finisce sulla bocca di tutti, al bar, secondo me è segno che non è più attuale. Che lo era forse vent'anni prima.”
“Hai una grande esperienza...” commentò sarcastico Han
Azzurra lasciò correre, segnandosi, però, l'ennesima occasione che l'altro non si era lasciato scappare di comportarsi da cafone “Quanto basta per farmi la mia idea, giusta o sbagliata che fosse”
Han annuì “E ora, l'ultima domanda da centomila dollari – poi abbiamo finito – per ora. Com'è stato il Blue Beam? Noi ne abbiamo solo testimonianze edulcorate, rimbalzate dai network, entusiasti dell'evento così spettacolare.” domandò preparandosi a vivere per interposta persona quei ricordi che dovevano avere un retrogusto magico. Almeno in chi li aveva vissuti direttamente.




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Nello scorso capitolo, mi sono dimenticata di segnalarvi che la storia di Han che si installa il chip infetto nel braccio e va a infettare i sistemi di mezzo mondo è storia vera. Posso dire che la sua figura sia modellata sullo scienziato inglese Mark Gasson.

Quanto al Blue Seed, è anch'esso un progetto reale. Se vi interessa questa città galleggiante zeppa di scienziati, qui trovate tutte le info.

E oggi abbiamo parlato di come siano arrivati al famigerato Blue Beam. La prossima volta scopriremo cosa diavolo è stato.
Buona lettura a tutti.
E grazie ancora a chi mi segue con tanta fedeltà: vi voglio bene!
   
 
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