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Autore: Sophie_Wendigo    26/05/2013    1 recensioni
-È irrazionale Sherlock, è irrazionale.- Si ripeteva ad occhi chiusi l'investigatore.
“Sarò ancora qui quando li riaprirai, se è a quello che stai pensando!” disse il criminale, accennando ad una risata.
Genere: Erotico, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty , Sherlock Holmes
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Bondage, Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sherlock Caramel'
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Sherlock, seduto al tavolo del ristorante, stava annegando nelle parole di Jim e nell’alcol. La sua mente aveva rinunciato ad opporsi, tanto era annebbiata dall'aroma di vini e liquori e cullata dai discorsi ancora sufficientemente lucidi del criminale, anch’egli vicino al limite del suo leggendario autocontrollo.
“Questo era buonissimo! Cos’è?” chiese sorridendo con voce impastata il detective, allungando le mani verso il collo della bottiglia, colpendo però in pieno il centro tavola.
Jim lo riprese appena in tempo, afferrando anche il liquore e sottraendolo alle sue falangi.
“Io direi che per stasera può bastare così.”
“Ti metti a fare il moralista adesso?! Non è da te… un altro goccio, uno solo.”
“Questo non è da te.”
“Sei tu che hai un pessimo ascendente su di me.” Bofonchiò abbandonandosi sulla sedia.
“Lo credo anche io. Adesso forza, alzati.”
“No.”
“Non fare il bambino.”
Sherlock non si mosse, allora Jim girò attorno al tavolo, tirando indietro la seggiola su cui era seduto, allontanandola da tavolo con una forza di cui non lo avrebbe ritenuto capace.
“Non costringermi a buttarti giù da lì, alzati da solo, dignitosamente se possibile.”
Il detective rise appena, poi si alzò, o almeno fece un tentativo, considerato che dovette appoggiarsi al banco per restare in piedi.
“Non è decisamente da me questo… fortuna che non sono ubriaco.” Disse, scoppiando a ridere. Il criminale scosse il capo, prendendolo sotto braccio, ma il ricciolo si scostò subito. “Faccio da solo. Sto bene.” Farfugliò, barcollando verso l’uscita.
“Oh dio, Sherlock aspettami!” gridò, lanciando su tavolo una mazzetta di banconote e raggiungendo l’uomo, ormai fuori, trovandolo intento a livellare i ciottoli che ricoprivano il selciato, illuminato dai fari della macchinona nera.
Jim tirò un sospiro di sollievo: non immaginava che potesse bastare qualche bottiglia di vino per ridurlo così, lo faceva più resistente, invece si sbagliava, probabilmente la mattina dopo non si sarebbe neppure ricordato che avevano cenato insieme.
Lo raggiunse e lo guidò verso la macchina, ma di nuovo si divincolò dalla sua presa.
“Ce la faccio benissimo da solo!” gridò Sherlock riprendendo a camminare in direzione della portiera aperta, ma inciampò nei suoi stessi piedi, e per poco non finì faccia a terra, ma Jim lo afferrò appena in tempo.
“Lo vedo.” Disse, ridendo appena. Anche lui aveva bevuto, e sebbene sopportasse meglio l’alcol, una ventina di assaggi si fanno pur sempre sentire.
“Devo fare pipì…” sussurrò Sherlock al suo orecchio, ancora stretto fra le sue braccia.
“Riesci a tenerla? Ora ti riporto a casa.”
“No. Ci metto un attimo.” Disse il detective, assumendo un’aria vissuta. Ciondolò fino ad un cespuglio e si calò i pantaloni.
“Dio, Sherlock! Dentro c’è il bagno!”
“Qui fa più fresco.”
“E’ una cosa disgustosa.”
“E’ solo acqua, urea, cloruro di sodio, azoto, urobilina, ammoniaca…”
“Può bastare, il concetto è chiaro. Hai finito?!”
“Credo… Sì, finito.”
 
Il viaggio parve più corto ad entrambi, quando il portone di Baker Street fu vicino, Jim scese dalla macchina e attese che Sherlock facesse lo stesso.
“Grazie mille per la cena!”
“Vuoi che salga con te?”
Il detective scosse il capo, si voltò e camminò in direzione della porta, finché non incespicò di nuovo, rischiando di cadere ancora.
Il ricciolo si lamentò per tutto il breve tragitto, accompagnato da Jim: dalla porta di casa, alla sua stanza.
“Bene Sexy, serve altro?”
“No, non dovevi salire.”
“Guarda che non ho la peste.”
“Non dovevi salire e basta.”
“Va bene. Me ne vado Tesoro.” Detto questo, il criminale si avviò alle scale, ma un grido di rabbia repressa lo raggiunse, così tornò indietro, affacciandosi alla porta della camera.
Sherlock era con le spalle contro l’armadio, alle prese con una sfida immane: sbottonarsi la giacca.
Jim non poté trattenere le risate quando si arrese, quindi si avvicinò silenziosamente e lo prese per mano.
“Sono i bottoni che non vogliono stare fermi! Ce la faccio anche da solo.” Disse il ricciolo col broncio.
“E’ la quarta volta che lo dici stasera.” L’uomo lo guidò fino alla sponda del letto, dove lo fece sedere, spingendolo poi giù senza il minimo sforzo e, ignorando tutti i suoi lamenti, puntò un ginocchio sul materasso, accanto ai suoi fianchi, sovrastandolo e iniziando a slacciare bottone dopo bottone.
Sherlock smise subito di brontolare, quasi rapito dalla sua espressione serena, illuminata appena dalla fioca luce della lampada sul comodino.
Non lo aveva mai visto così.
 
Contro ogni aspettativa, quando Jim prese le due ali del papillon, non lo disfece, bensì lo aggiustò, sfilandolo con attenzione dal colletto della giacca, in modo da poterla togliere senza rimuovere anche l’accessorio.
“Consideralo un altro regalo Sexy, ti sta molto bene.” Così riprese a sganciare i bottoni, lasciando sfiorare distrattamente le sue falangi sul petto chiaro del compagno, inerte sotto di lui.
Quando ebbe finito, posò l’indumento bianco in un angolo del letto e, sollevandosi appena, si concesse quasi inconsciamente un ultimo sguardo sul suo corpo nudo, eccezion fatta per il fiocco nero, ancora stretto attorno al collo, che lo rendeva così dannatamente seducente.
Sorrise, poi si abbassò di nuovo su di lui, avvicinandosi al bordo dei pantaloni.
Ci volle un istante perché Sherlock si risvegliasse dal suo torpore, avvertendolo scivolare sul suo corpo: si dimenò con violenza e, nonostante Jim fu preso alla sprovvista, lo tenne fermo delicatamente, cercando di farlo zittire, visto che aveva iniziato ad urlare.
“Mi rompi i timpani così, stai starnazzando come un’oca! Fermo.”  L’ultima parola risuonò pressoché come un ordine, e il ricciolo obbedì, quasi intimorito. “Che diavolo succede?” chiese il criminale, addolcendo il tono.
“Niente, assolutamente niente. Davvero, niente. Solo che, ecco… faccio da solo, ce la faccio...” Balbettò il detective.
“E siamo a cinque! Sei ubriaco fradicio, lascia fare a me.”
“No! No! Aspetta! non…” la voce gli morì sulle labbra quando sentì Jim irrigidirsi appena all’altezza del suo pube. Dal suo basso ventre, sollevò il volto, puntando uno sguardo indecifrabile su Sherlock, che pareva un misto fra il terrore e l’imbarazzo.
“Ops.” Sussurrò sogghignando maliziosamente l’uomo. “Non c’è problema, sei ubriaco, capita…” continuò quasi con dolcezza, ignorando l’evidente e inconfondibile rigonfiamento dei suoi pantaloni, riprendendo a slacciare i tre bottoni e a far scendere la zip.
Subito dopo si alzò, nel nuovo silenzio che si era creato nella stanza, inginocchiandosi e sciogliendo le scarpe del detective, posandole poco più in là; poi, risalendo sul letto, fece scivolare via i pantaloni grigi del completo, trovando sotto di se uno Sherlock seminudo, imbarazzato e rigido come un pezzo di legno.
Sorrise, slittando di nuovo sul suo corpo, col preciso intento di provocarlo, fermandosi all’altezza del suo viso.
“Non è da me, non mi ecciti! Sei un uomo, non puoi eccitarmi! E sei James Moriarty, io ti odio, sei il mio peggior nemico, come potresti… insomma, è ridicolo!” Il detective quasi non prese fiato, disse quelle parole d’istinto, come a voler erigere una barriera fra i loro due corpi, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi occhi neri, che lo fissavano, quasi stessero cercando di ipnotizzarlo e sedurlo.
“Non devi giustificarti: tu sei ubriaco e io sono il dio del sesso. E’ normale.”
“No, non lo è.”
“In effetti no. Ma cosa c’è di ordinario quando si parla di noi?” chiese Jim sorridendo, spostando il peso del corpo sull’avambraccio sinistro e, avvicinandosi irrimediabilmente a lui, accostò le labbra al suo orecchio. “Buona notte Holmes.” Sussurrò l’uomo intrecciando per un istante le dita nei riccioli del detective.
Sherlock non riusciva a muoversi, era paralizzato.
Sentiva il suo corpo caldo premuto contro il proprio, il suo odore dolciastro gli pizzicava il naso, più inebriante di qualsiasi liquore…
Quando si allontanò dal suo viso e poté vedere di nuovo le sue labbra rosee e appena dischiuse, sollevarsi appena e raggiungerle fu una necessità.
Intrecciò la sua lingua alla sua, si aggrappò alle sue labbra, inspirando con violenza il suo odore e assorbendo senza ritegno il suo sapore.
I muscoli tesi dell’addome vibrarono per lo sforzo, ma non si allontanò, aveva bisogno di quelle labbra, erano il suo ossigeno in quel momento.
Jim lo accolse come se nulla fosse, come se sapesse che prima della fine lo avrebbe fatto, qualcosa di tremendamente stupido era la sua firma, e la attendeva a gloria.
Dopo pochi secondi, si allontanò, e gioì dei suoi tentativi di raggiungere ancora la sua bocca.
Si alzò e lo guardò per qualche secondo: immobile, con le labbra arrossate e dischiuse, il respiro affannato, seminudo su quel letto, con gli occhi fissi nei suoi, occhi vuoti, che chiedevano solo elemosina d’amore e fisicità.
Quando si fu saziato della sua figura, passò inconsciamente la punta della lingua sulle labbra, si girò e scomparve oltre la porta, scendendo ed entrando nella sua auto.
 
Sherlock rimase immobile, incapace di fare qualsiasi cosa, anche di pensare.
Tutto il suo corpo era pieno solo di lui, del suo sapore, che adesso gli impastava la bocca.
Rimase immobile, per un tempo indefinito fissò il soffitto, poi crollò addormentato.
Eccolo, il paradosso che aspettava, ma sperava di averlo già dimenticato il mattino seguente…
  
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