Capitolo XVI
Appuntamento col Destino
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
Quando videro
il giardino antistante rimasero a bocca
aperta: un prato verdissimo perfettamente curato si apriva davanti a
loro,
punteggiato da siepi e alberi sapientemente potati. Sulla sinistra il
Beaulieu
River formava una larga ansa e nello specchio d’acqua nuotavano coppie
di
anatre.
Il giardino,
ma definire così quell’immenso spiazzo erboso
era solo riduttivo, correva tutto intorno al palazzo e sconfinava nelle
rovine
della Beaulieu Abbey.
L’ingresso
era aperto e una scolaresca in attesa giocava
con i cannoni posti ai lati del ponte levatoio.
Entrarono in
un ampio vestibolo dove le pareti erano
interamente ricoperte da quadri degli antenati di Lord Montagu. A
terra, una
moquette rossa a disegni dorati sembrava ispirata alle mattonelle che
una volta
avevano formato il pavimento della Beaulieu Abbey, le cui rovine,
comprese
entro il perimetro della proprietà della Palace House, si trovavano a
poca
distanza.
Oltre ai
quadri ad olio, di cui uno ritraeva il padre di
Milord in divisa militare, spiccavano anche vecchie fotografie
risalenti, con
tutta probabilità, ai primi del ‘900 e che riproducevano i membri della
famiglia. Nella stessa stanza c’era anche un armadio a muro dalle cui
vetrine
si potevano ammirare cimeli appartenuti ai Montagu.
Un ingresso
ad arco divideva il vestibolo da un’altra
camera dalla quale si dipartiva uno scalone che portava ai piani
superiori.
Non appena
entrò in quella stanza, a Mac sembrò di esservi
già stata, non solo ma il nome Montagu le faceva riaffiorare alla mente
il
ricordo, peraltro indefinito, di qualcosa. Le pareva di averlo già
sentito
altrove, ma non ricordava dove… esternò queste sue sensazione ad Harm:
“Mi prenderai
per visionaria” scherzò.
“Per nulla”
rispose, “anche a me questo nome dice
qualcosa. Andiamo avanti e vediamo se riusciamo a risolvere il mistero.”
Oltrepassarono
la porta ad arco e sulla destra videro che
si apriva un’austera quando grande sala da pranzo. Vedendoli così
incuriositi,
un impeccabile butler
si avvicinò:
“Stupefacente
vero?”
“Già” rispose
Mac, “ma anche molto strano. L’arredamento
di questa stanza mi pare essere in netto contrasto con tutto il resto,
per
quanto poco possiamo avere visto sino ad ora” osservò.
“
“E’ ancora in
uso?” volle sapere Harm.
“No, questa
parte della Palace House è aperta al pubblico
e non viene più utilizzata dalla famiglia che vive nell’altra ala del
Castello.”
“Spazio non
ne manca davvero…” osservò Harm guardandosi
attorno e pensando alla grandezza del Castello.
“Al piano
superiore cosa c’è?” chiese Mac.
“
Harm e Mac
salutarono calorosamente l’anziano signore e ne
seguirono il consiglio, avviandosi verso la scalinata.
Ma prima di
poter salire si accorsero che, proprio alla
base dello scalone, si apriva un’altra stanza. Entrarono e con sommo
stupore notarono
che era completamente tappezzata di seta azzurra e che tutto
l’arredamento era
di marcata ispirazione cinese, o comunque orientale.
Anche qui
parecchi ritratti alle pareti e un camino in
pietra che era uno splendore. Dall’aria che si respirava in quella
stanza
doveva essere stata una delle più usate in passato, anche per la
splendida vista
che aveva sul giardino e per le grandi finestre a bovindo che la
rendevano
molto luminosa.
Uscirono e
salirono al piano superiore. Sulla parete a
fianco della scala v’erano appesi ancora molti ritratti a olio degli
antenati
dei Montagu, alcuni indossavano le gorgiere tipiche del regno di
Elisabetta I,
famosa per l’eccessiva austerità della moda da lei stessa introdotta,
altri
vestivano abiti di foggia settecentesca ed ottocentesca.
“Di tutti
questi quadri, quello che mi è piaciuto di più
si trova al piano terra, all’ingresso” disse Mac.
“Alludi al
ritratto di Lady Pearl?”
“Sì. Mi è
sembrato molto naturale e poco austero.
Oltretutto Milady era davvero una gran bella donna in gioventù. Ma c’è
di più,
mi sembra d’averla già vista da qualche altra parte…” aggiunse
perplessa.
Giunsero in
cima allo scalone, per fortuna la gente che
affollava il Castello scendeva, mentre loro salivano. Quando arrivarono
al
secondo piano le sale erano vuote e silenziose e i loro passi
risuonavano sulla
moquette che ricopriva un antico parquet di legno pregiato, stando a
quanto
dicevano alcune targhe. Nella stanza che si apriva immediatamente alla
loro
destra, chiamata Upper Drawing Room, la tappezzeria a foglie dorate
riproduceva
la croce e la corona della Beaulieu Abbey nonché lo stemma della
famiglia
nobiliare, e grosse mensole di pietra reggevano le armi di alcuni degli
antenati di Lord Montagu i cui fasci erano dorati con le stelle e le
lune delle
armi della famiglia Scott.
Il piano nel
centro della stanza era un esempio fine di un
Broadwood dell’inizio del 1818.
Una targa,
posta al centro del piano così recitava: “I
visitatori di questa stanza e di quella adiacente, a volte percepiscono
odore
di fiori e odono canti gregoriani, ma non c'è nulla da temere. A
Beaulieu
questi sono fenomeni psichici ben noti!”.
All’improvviso
Mac, che stava ammirando tutti questi
preziosi arredi, si sentì strattonare per la manica del Barbour.
Si voltò e
vide Harm che sorrideva sotto i baffi, la
classica espressione del gatto che ha appena mangiato il topo e l’ha
fatta
franca.
“Cosa sai che
io non so?” chiese pur conoscendo già la
risposta.
“Seguimi e lo
scoprirai” rispose enigmatico.
Rassegnata lo
seguì. Tormentarlo di domande non sarebbe
servito a nulla se non a fargli fare ancor di più il misterioso per
farla
morire di curiosità. Uscirono dalla sala che godeva di una fantastica
vista sul
parco sottostante e si ritrovarono ancora in cima allo scalone.
“Ebbene?”
domandò un po’ seccata, ma anche impaziente.
“Alza gli
occhi Colonnello e dimmi cosa vedi” rispose Harm
mentre il sorriso da sornione diventava a trentasei denti,
illuminandogli lo
sguardo.
Mac fece
quanto consigliato.
“Oh mio Dio!”
esclamò più stupita che mai portando una
mano alla bocca. “Non ci posso credere!”
Si avvicinò
al ritratto per leggere meglio il nome sulla
targhetta di ottone, non ancora del tutto convinta di ciò che aveva
davanti.
“Ma è
davvero…” disse voltandosi verso di lui lo sguardo
illuminato da una luce incredula come di chi abbia ritrovato un vecchio
amico
dopo anni, e stenti a credere che egli sia lì in carne ed ossa.
“Direi di sì”
le rispose con somma soddisfazione: ancora
una volta era riuscito a sorprenderla.
Sopra di
loro, impressa sulla tela, ritratta nel pieno
fiore degli anni e della bellezza, stava Lady Sarah Jane Montagu.
“E’ proprio
lei. Deve esserlo, non ci sono molte altre
Lady Sarah Jane Montagu descritte nel diario di un Conte francese di
metà
Ottocento” osservò Mac ricordando all’improvviso il perché quel nome le
fosse
così tanto familiare.
“Sai che un
po’ ti somiglia?” disse Harm. “Avete lo stesso
sguardo indomito, la stessa luce di determinatezza e lo stesso
portamento
fiero. Sei sicura di non essere una sua discendente?”
Mac si voltò
verso di lui, fissandolo con aria stranita.
Era sbigottita dalle sue parole, non le aveva mai rivolto dei
complimenti così
smaccati. E con quell’aria seria per di più! Apprezzò le sue parole, ma
non
fece commenti ulteriori limitandosi ad un: “Niente affatto Capitano:
bisnonna
indiana Cherokee, bisnonno paterno Cherokee capo indiano, e nonna
iraniana,
ormai dovresti saperlo. Per cui, come vedi, le mie ascendenze non hanno
nulla a
che vedere con la nobiltà inglese di metà Ottocento”.
Tornò poi a
fissare il ritratto: “Chissà come è finita la
sua storia” si chiese, parlando più a se stessa che a lui, “se dopo
aver
lasciato André sulla Medea l’abbia ritrovato, se si siano sposati…”.
Sospirò
guardando la tela quasi che, da un momento all’altro, Lady Sarah
potesse
animarsi e scendere dalla cornice nelle sue eleganti crinoline azzurro
pallido
e, sedendo nella Drawing Room o nella Private Dining Room, raccontare
loro la
sua vita straordinaria davanti ad una tazza di vero the inglese.
Harm vide
l’aria sognante che si era dipinta sul volto di
Mac ed ebbe l’impulso di abbracciarla, stringerla a sé e sussurrarle
che
l’amava perdutamente.
Non poteva
sapere che in quello stesso punto, due secoli
prima, un altro uomo, vedendo una donna piangere, aveva pensato le
medesime
cose…
Ma Sarah si
riebbe dalla momentanea trance romantica e,
tornando il pragmatico Marine di sempre, gli propose: “Cerchiamo una
biblioteca, in un posto così ce ne deve essere una per forza, e vediamo
se ci
sono libri che parlano di lei”.
“Mac non
possiamo metterci a curiosare in giro” la
redarguì. “Scordi che questa è solo in parte una proprietà aperta al
pubblico.”
“Uh uh” lo
prese in giro lei, “allora è vero che la
promozione ti ha reso meno cow boy… ”
“Non è così”
si difese. “Non mi piace essere colto in
flagrante da un Milord. Che figura ci faremmo?”
“O,
piuttosto, dì, che figura ci faresti TU. Il Capo della
Procura Militare delle Forze Navali in Europa, scoperto mentre fruga
nella
biblioteca di un attempato Lord inglese. Già davvero molto
disdicevole…”
proseguì Mac il tono sussiegoso degno di una gran dama dell’Ottocento
prendendolo
in giro atrocemente ma divertendosi un mondo nel farlo.
Harm non
disse nulla, la prese per mano e la condusse via,
prima che ponesse in atto lo “scellerato” proposito.
Si diressero
verso un altro salone, che aveva tutta l’aria
di essere una sala da pranzo per bambini. Al centro un tavolo rotondo
sul quale
erano posati alcuni giocattoli d’epoca.
Mac era
elettrizzata, adesso capiva il perché di quella
continua sensazione di dejà-vu che la tormentava da quando era arrivata
a
Beaulieu e aveva messo piede nel Castello. Quelli erano i luoghi in cui
era
nata e cresciuta Lady Sarah, la protagonista di quell’incredibile
avventura a
Vienna e che era fuggita sulla nave comandata dall’Ammiraglio
Blackbird.
Girando per le stanze della Palace House le pareva quasi di vederla
camminare
fra quelle mura che un tempo erano appartenute alla sua famiglia. Quasi
quasi
sperò che di notte il suo fantasma, nella migliore tradizione dei
castelli
inglesi, si aggirasse nelle sale.
In quel
momento si trovavano nella Private Dining Room.
Questa
stanza, recitava la placca descrittiva, un tempo faceva
parte delle cappelle gemelle della parte a Nord del vecchio Castello,
successivamente divise dopo
La
pannellatura di lino viene dalla Camera dei Comuni dopo
che molta parte di essa venne distrutta dal fuoco in 1834. Il dipinto
posto
sopra il camino raffigurava John, Marchese di Morthermer, unico figlio
di
George, Duca di Montagu, ritratto durante il suo Gran Tour in Italia,
dal quale
riportò le deliziose vedute di Napoli dipinte da Antonio Joli, che si
trovavano
appese alle pareti.
In fondo alla
stanza, vicino al caminetto, si apriva una porta
e ne varcarono la soglia, ritrovandosi così in una biblioteca. Dietro
di loro
l’uscio si richiuse rivelandosi essere un falso scaffale colmo di
libri. Nella
nuova stanza, il parquet era coperto da preziosi tappeti, alle pareti
alti
scaffali che giungevano sino al soffitto a cassettoni, carichi di
volumi. A
destra, rispetto all’ingresso, faceva bella mostra un’antica scrivania
accanto
alla quale stava una lampada a stelo lungo che proiettava una calda
luce
ambrata.
Al centro
della stanza comode poltrone di panno piuttosto
consunte riscaldavano l’atmosfera dandole quel tocco di intimità che la
faceva
assomigliare ad un ambiente molto “vissuto”. Fu proprio quell’aria di
vita
vissuta a fare scattare il sospetto nella mente di Mac: “Non è che per
caso siamo
capitati nella parte non aperta al pubblico?”.
“La porta era
aperta. Se questa stanza facesse parte
dell’ala privata del Castello l’avremmo trovata chiusa” le rispose Harm.
“Ottima
deduzione avvocato, dopotutto lo smalto non l’hai
ancora perso fra le scartoffie…” lo prese bonariamente in giro lei.
“E poi non
eri tu quella che cercava una biblioteca?” le
ricordò ignorando la battuta.
“Eh già.”
Mac si fregò
mentalmente le mani e si mise all’opera
curiosando fra gli scaffali cercando un qualsiasi indizio che la
riconducesse a
Lady Sarah, mentre Harm, scuotendo la testa in segno di resa, l’aiutava
“lavorando” sulla parete opposta.
D’un tratto
un leggero colpo di tosse li avvertì che,
oltre a loro, nella stanza c’era anche una terza persona.
Si voltarono
di scatto.
“Credo che
abbiate… come dire… sconfinato?” disse il nuovo
venuto.
Riconosciuto
Lord Montagu nell’alto signore che stava loro
davanti per averne visto il ritratto nella sala che precedeva
“Non sapevamo
che fosse la parte privata del Castello
Milord” disse Mac. “Ci trovavamo nella Private Dining Room e la porta
che
conduceva qui era aperta, per cui abbiamo supposto che la biblioteca
fosse
aperta al pubblico” proseguì gettando un’occhiataccia ad Harm, il quale
le
rispose con un’alzata di spalle come a dire “E come lo potevo sapere?!”.
“Probabilmente
mia figlia deve aver pensato che l’orario
delle visite fosse terminato e l’ha lasciata aperta.”
“Togliamo
immediatamente il disturbo Milord” intervenne Harm.
Ma Mac lo fermò prima che uscisse: se c’era qualcuno che poteva fornire
maggiori spiegazioni su Lady Sarah quello era proprio quel simpatico
signore di
mezza età dai lineamenti gentili. Pertanto s’azzardò: “Milord sono
molto
incuriosita da un ritratto appeso nella galleria sulle scale…”.
Harm le
strinse il braccio. Negli occhi una muta
preghiera: “Per favore Mac….”, ma lei, da bravo Marine qual era, non si
diede
per vinta e attese una risposta dal nobiluomo.
“Quale
sarebbe?” chiese alfine quest’ultimo.
“Quello di
Lady Sarah Jane Montagu” rispose. “Vede, io e
il mio collega tempo addietro ci siamo “imbattuti” in una dama che
portava lo
stesso nome e…” in breve raccontò dello strano caso che aveva coinvolto
l’Ammiraglio Blackbird e anche loro due.
“Mai e poi
mai avrei immaginato che l’avventura vissuta a
Vienna della mia antenata avrebbe potuto finire tra le carte di un caso
affidato alla Procura della Marina Militare Americana!” esclamò Lord
Montagu sinceramente
divertito dalla scoperta.
“Ebbene”
proseguì sedendosi in una delle poltrone e
invitando Harm e Mac a fare lo stesso, “credo che abbiate diritto di
conoscere
le vicissitudini della mia famiglia, salvata proprio grazie ai buoni
uffici di
Lady Sarah Jane, figlia di Lord David J. Montagu, Lady Thornton,
Duchessa di
Lyndham.”
“Oh no!” lo
interruppe Mac. “E io che pensavo avesse sposato
il Conte D’Harmòn!”
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
Una carezza
sul viso lo svegliò da sogni dolci
e arditi, gli stessi che faceva ogni notte, da mesi e mesi ormai.
E come ogni
mattino, temeva il risveglio. Con
il risveglio quei sogni sarebbero sfumati e con
essi la gioia che gli avevano procurato.
Riluttante
decise di aprire gli occhi e scorse un’immagine
china su di sé.
Non appena
mise a fuoco quell’immagine, sorrise
dolcemente, ricordando che ciò che credeva d’aver sognato, quella notte
si era
trasformato in realtà: lei, finalmente, era stata sua.
Stava per
accarezzarla e avvicinare a sé il suo
volto per baciarla, quando si accorse di non avere più la benda a
coprirgli
l’occhio. Istintivamente sollevò una mano per cercarla, finché non vide
che era
nelle sue mani.
Non disse
nulla. Si limitò a fissarla.
Anche lei lo
guardò e Nicholas non riuscì a
capire che cosa stesse passando nella sua mente. La vide esitare un
attimo,
quasi a decidere il da farsi. Stava per dirle qualcosa, quando lei
sorrise e
subito dopo parlò, ormai convinta che fosse giunto
il momento di giocare a carte scoperte.
“Nessuna
cicatrice. E il tuo occhio sembra
vederci benissimo. Perché la porti?”, chiese con tono allegro,
sventolandogli
la benda nera davanti agli occhi; quindi, senza neppure lasciargli il
tempo di
rispondere, gli diede il buongiorno e lo fece seguire da un lungo bacio.
Si staccò
dalle sue labbra, ma continuò ad
accarezzargli la guancia:
“Per questa
facciamo qualcosa”, disse
riferendosi alla folta barba che gli ricopriva buona parte del viso.
Lui
continuava ad osservarla, sempre in
silenzio.
“Mi piaci con
la barba, ti regala un aspetto se
possibile ancora più distinto, da vero Lord inglese. Ma se la facessi
accorciare e sfoltire un po’, come detta la moda, sono sicura che
torneresti ad
avere anche quell’aria un po’ sfrontata e impertinente che mi è sempre
piaciuta
tanto. E poi… via questa benda! Posso fare a meno del tuo ciuffo
ribelle, ma
voglio poterti guardare in entrambi gli occhi. Sai bene quanto adoro i
tuoi
occhi…”
Detto questo
si alzò dal letto.
“Dove vai?”
chiese lui.
Lei si voltò
a guardarlo, splendida nella sua
nudità.
“Conte
D’Harmòn, se non ricordo male, avevamo
ancora un patto da mantenere: un duello con la spada e una cavalcata
nei boschi
di primo mattino. Vado a prepararmi. Non vorrei farvi attendere oltre”,
gli
disse provocante.
Sorridendo,
lui si allungò verso di lei,
catturandole un polso.
“Vieni qui…”
mormorò, facendola cadere tra le
sue braccia.
S’impossessò
della sua bocca, baciandola
intensamente e scoprendosi immediatamente pronto a fare di nuovo
l’amore con
lei.
Non ne aveva
mai abbastanza di sua moglie.
Durante la notte si erano amati più volte eppure non riusciva a
saziarsi a
sufficienza.
“Ti voglio,
Sarah…” sussurrò, spostandosi di
lato e imprigionandola sotto di sé.
“Ma… la
cavalcata? E il duello?” cercò di
protestare lei, mentre un sorriso le increspava gli angoli della bocca.
“Domani.
Abbiamo atteso per oltre un anno…
possiamo attendere un giorno ancora…” rispose, intercalando alle parole
baci e
carezze sulla sua pelle morbida e invitante.
“Questo,
invece, non può attendere…”
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
All’esclamazione
colma di delusione di Mac, Lord Montagu
non seppe trattenere una risata di gusto. Lei se la prese un po’, ma si
accorse
che Milord non si stava prendendo gioco di lei.
“Gradite
qualcosa da bere prima che cominci il mio
racconto?” chiese.
Prima che
Harm e Mac potessero obiettare alcunché disse:
“Mettetevi pure comodi, sarà una storia lunga”.
“Quand’è
così” replicò Harm, “quello che prende Milord per
me va benissimo.”
“E lei
Colonnello? Gradisce qualcosa?”
“Della
semplice acqua tonica andrà benissimo.”
Lord Montagu
suonò un campanello d’argento che emise un
sommesso scampanellio, ma tanto bastò perché, come comparso dal nulla,
si
materializzasse un maggiordomo.
“Due sherry e
un’acqua tonica Everly” disse con garbo
Milord.
“Subito M’lord” rispose il
maggiordomo e, silenzioso
com’era venuto, se ne andò per essere di ritorno pochissimi minuti dopo
reggendo un vassoio d’argento con tre bicchieri di cristallo che posò
sul
tavolino posto al centro delle poltrone.
“Occorre
altro M’lord?”
chiese.
“Per il
momento nulla. Grazie Everly.”
“Dove eravamo
rimasti?” si rivolse ai due.
Mac ebbe la
risposta pronta, era troppo impaziente di
conoscere la storia di Lady Sarah per strasene zitta e buona, anche di
fronte
ad un Lord inglese: “Doveva raccontarci di Lady Sarah e del Conte
D’Harmòn”
disse.
Harm era
rimasto in silenzio, godendosi la scena. Mac
sprizzava curiosità da tutti i pori, era una vera gioia vederla.
“Dunque…”
cominciò il suo racconto Lord Montagu, mentre
fuori le ombre del pomeriggio cominciavano ad allungarsi.
L’antico
orologio da tavolo scandì le otto, ma Lord
Montagu non aveva ancora terminato di raccontare la storia di Lady
Sarah.
L’anziano gentiluomo, udendo i rintocchi, si rese conto dell’ora tarda
e,
interrompendosi per un attimo, scosse nuovamente il campanello
d’argento.
Come era
accaduto qualche ora prima, Everly si
materializzò dal nulla.
“Per favore”
disse Milord rivolgendosi al maggiordomo, “avvisa
in cucina che stasera avremo ospiti.”
“Certo M’lord” rispose
l’uomo e se ne andò.
Harm e Mac
fecero per protestare, ma Lord Montagu prevenne
ogni loro contestazione: “Come vi accennavo quest’oggi, è una storia
lunga, per
cui avrei molto piacere che vi fermaste in modo da conoscere la mia
famiglia e
saperne qualcosa di più sulla vita di Lady Sarah. Del resto ho l’onore
di avere
come ospiti il Capo della Procura Militare delle Forze Navali in Europa
e il
Comandante di un ufficio della Procura Militare negli Stati Uniti.
Altresì dopo
cena avrei piacere di mostravi i diari di mio nonno. Sono certo che lì
la
vostra curiosità troverà soddisfazione”.
I due
ufficiali si
guardarono: quando mai sarebbe ricapitata l’occasione di cenare con un
Lord?
“Il nostro
abbigliamento non è molto consono Milord”
osservò Harm indicando se stesso, che indossava jeans e un maglione
sportivo, e
Mac anch’essa vestita casual.
“Infatti”
intervenne quest’ultima. “Se per voi non è
troppo incomodo preferiremmo tornare in albergo a cambiarci. Stamani
non
avremmo certo previsto di cenare con un Pari d’Inghilterra.”
“Oh, quante
storie…”
E con questo Lord Montagu chiuse la questione
dell’etichetta.
La cena era
squisita e altrettanto lo fu la compagnia di
Lord Montagu e della sua famiglia deliziosa. Erano persone molto alla
mano, pur
essendo nobili.
Al termine
della cena Milord, come promesso, mostrò loro i
diari del nonno e fu la lettura di quei diari a fare comprendere a Harm
e Mac
il mistero di Lady Sarah e del suo matrimonio con Lord Thornton, futuro
Duca di
Lyndham.
Ripresero la
via del Masters Builders’ House Hotel che era
mezzanotte passata, ognuno immerso nei propri pensieri. La storia
raccontata da
Lord Montagu aveva colpito profondamente entrambi, più di quanto essi
stessi
avrebbero ammesso.
Mac si era
scoperta a voler essere come Lady Sarah capace,
nonostante tutto, le sue paure, i suoi dubbi, i suoi timori, di
affidarsi
completamente ad un uomo, l’uomo che l’amava e che lei stessa aveva
scoperto di
poter amare, pur avendo paura dell’ignoto. Invece lei stava scegliendo
la
strada più facile: Clayton.
Arrivarono in
albergo e si diedero la buonanotte; dopo
averla salutata, tuttavia, Harm non si ritirò subito nella propria
camera, ma
scese a bere qualcosa, a sua volta turbato dagli eventi della giornata.
Aveva
trascorso ore bellissime con lei e si era reso conto d’amarla ancora.
Amava
anche Belinda, ma era diverso: non l’amava a sufficienza da smettere di
amare
Mac. Neppure un oceano di distanza e un'altra donna erano riusciti a
fargliela
dimenticare. E non sarebbe mai successo.
Pensò al
racconto di Lord Montagu, a come un uomo era
stato capace di riconquistare la donna che amava e si disse che non
sarebbe
stato da meno di un nobile europeo di metà Ottocento. Tornò sui suoi
passi e
bussò alla sua porta.
“Abbiamo un
discorso in sospeso” , esordì Harm, quando lei
gli aprì.
“Abbiamo
cosa? Harm hai bevuto per caso?”
Non diede
segno d’averla ascoltata ed entrò.
“Sono stanca,
Harm. Per favore mi vuoi dire cosa c’è di
tanto importante da parlarne proprio ora?”
“Te l’ho
appena detto: abbiamo un discorso in sospeso.”
Mac sospirò,
appoggiandosi alla porta chiusa: “L’Inghilterra
deve averti dato alla tesa, oppure la promozione… o è stato il racconto
di Lord
Montagu?”.
“Dobbiamo
parlare.”
“E di cosa?
Non abbiamo più nulla da dirci. Ci sono state
le occasioni giuste per farlo ma non sono mai state sfruttate… ora non
puoi
pretendere di ‘parlare’ solo perchè non ti va giù l’idea che mi sposi
con Clay…”
Harm le si
avvicinò. Era talmente bella con addosso solo
quella vestaglia di seta color panna!
Le sfiorò la
guancia con una carezza: “Sei talmente
bella…” mormorò.
“Harm, per
favore, cerca di essere ragionevole. Sto per
sposarmi, mi sono impegnata ad amare e rispettare un solo uomo, e
quell’uomo
non sei tu” disse Mac quasi in una supplica portando la mano sinistra
davanti
al viso affinché lui potesse vedere l’anello.
Egli intuì il
significato di quel gesto e, per un attimo,
si riebbe. Ma fu solo un attimo, appunto. Posò lo sguardo sulle labbra
di lei e
ne immaginò il gusto e la morbidezza. Vide il suo petto alzarsi ed
abbassarsi
al ritmo del respiro ed immaginò di far scorrere le sue mani su quella
pelle di
seta.
Nella
penombra creata dalla sola abat-jour posata sul
comodino, Mac stava combattendo la battaglia più dura della sua avita.
L’uomo che
aveva sempre voluto, l’unico che avesse mai
amato con tutto l’ardore di cui era capace, il solo di cui si fidasse e
che non
le aveva mai mentito era lì davanti a lei con un’espressione tale sul
viso
quale non gli aveva mai visto.
Lesse in
quegli occhi il desiderio di lei e ne ebbe paura,
lesse l’amore e ne fu terrorizzata.
Era troppo
tardi ormai. Aveva preso un impegno ed
intendeva onorarlo fino in fondo, aveva deciso che con Harm proprio non
era
possibile costruire un futuro ed ora… ora lui stava rovinando tutto
come al
solito arrivando all’ultimo minuto, provò rabbia e gli occhi le si
riempirono
di lacrime. Non poteva arrogarsi il diritto di trattarla in quel modo
solo
perché era geloso, solo perché non poteva averla.
“Cosa vuoi da
me?” domandò cercando di appiattirsi contro
la porta di robusta quercia inglese, come se volesse divenire tutt’uno
con essa.
“Perché non mi lasci andare? Perché non accetti la realtà e..”
Fu
interrotta: “Perché non posso fare a meno di te”
prendendola per le spalle e avvicinandola a sé.
Percepì il
calore del suo corpo, sentì i suoi muscoli
sotto di sé, le parve quasi di vedere la sua anima che disperatamente
cercava
di trovare le parole giuste, quelle che aveva sempre sognato di
sentirsi dire
sin dal loro primo incontro. E si abbarbicò a lui, mentre sentimenti
che
sperava di aver dimenticato tornarono ad invaderla, privandola d’ogni
forza di
volontà.
Si lasciò
andare alla corrente, senza scampo.
Harm avvertì
il suo cambiamento e la strinse a sé ancora
più forte, staccandola dalla porta alla quale Sarah sì era incollata,
impaurita
e spiazzata.
La sentì
contro di sé mentre si lasciava andare e il suo
corpo rilasciava tutta la tensione accumulata.
Erano due
anime erranti che si erano ritrovate dopo un
lungo viaggio, due pellegrini che avevano raggiunto un traguardo,
ancorché la
strada da percorrere fosse ancora lunga.
Harm respirò
il suo profumo, respirò la sua paura e il suo
desiderio.
Mac alzò il
viso verso di lui, lo fissò intensamente
vedendolo per quello che era e cogliendo una sfumatura di disperazione
in
quello che stava facendo: non era gelosia, la sua, non era indispettito
perché
stava per sposare una persona che lui non poteva soffrire. Harm
l’amava. Sul
serio. E se avesse compreso che lei davvero voleva unirsi per la vita
con Webb,
l’avrebbe lasciata andare. Perché l’amava e l’amore fa fare sacrifici
per la
felicità di chi si ama. Piuttosto che renderla lui stesso infelice
l’avrebbe
lasciata ad un altro.
Egli la
teneva stretta, le sue mani si erano spostate
sulla vita e Sarah avvertiva il contatto attraverso la sottile stoffa
della
vestaglia. Le sembrava che in quel preciso punto del suo corpo la pelle
si
fosse improvvisamente ustionata.
Quella
sensazione l’aveva mai provata fra le braccia del
suo futuro marito? Quel misto di caldo e freddo, paura, desiderio e
aspettativa,
le aveva mai conosciute quando Clay l’abbracciava o la baciava?
“No” rispose
a se stessa.
E la corazza
si sbriciolò definitivamente lasciando che i
sentimenti repressi fluissero liberamente.
Si baciarono
e Mac provò un brivido così intenso da farla
tremare, ma non si staccò. Anzi insistette in quel bacio, quasi volesse
dirgli
tutto ciò che non riusciva a comunicare a parole.
Inconsapevolmente
si diressero verso il letto, ma a poca
distanza Harm si fermò, sciogliendosi dall’abbraccio e dal bacio.
“Sarebbe un
errore” disse carezzandole il volto nel suo
solito gesto.
Con una punta
di cinismo lei si chiese se facesse la
stessa cosa anche con Belinda. Ma sapeva che non era così, quel gesto,
quell’espressione erano riservati a lei sola.
“Perché?”
chiese persa ancora nel suo bacio, con il sapore
delle sue labbra in bocca.
“Perché è
l’emozione del momento. Potremmo pentircene.”
“Mister
razionalità” ironizzò sedendosi sul letto. Per un
attimo le era sembrato che i suoi sogni più sfrenati stessero per
avverarsi, e
ora si dava dell’imbecille per avergli permesso di giungere a tanto. Ma
un moto
di ribellione la indusse ad esigere ciò che agognava da tempo. Si
sentiva come
se avesse superato una linea immaginaria di non ritorno. Non poteva, e
non
voleva, tornare indietro.
“Non puoi
decidere razionalmente certe cose Harm” lo
rimproverò.
Lui le si
sedette accanto: “Mi costa farlo Sarah. Vorrei
averti ora, vorrei averti per sempre, ma…”.
Lei non gli
diede il tempo di portare a termine la frase.
Assetata di
lui come un vampiro gli saltò addosso
baciandolo con forza e costringendolo a togliersi gli indumenti.
Con pochi
gesti veloci si liberò di tutto ciò che aveva
indosso, per la verità molto poco, mentre il fuoco del desiderio troppo
a lungo
represso esplodeva in lei come un’atomica.
Lo possedette
come una furia, come a volersi vendicare di
quell’attesa così lunga, come per affermare il suo diritto di
appropriarsi di quell’essere
umano che stava sotto di lei e si muoveva a sincrono dapprima
lentamente, poi
sempre più veloce fino a quando la terra intera non scomparve e
rimasero solo
loro due, i cuori uniti in un solo battito, i respiri ansanti e i corpi
spossati.
Nell’attimo
del sublime aprì gli occhi e lo guardò, e ciò
che vide la fece sentire un tutt’uno con lui le fece capire che le
affinità
elettive non si possono spezzare.
Si accasciò
sopra di lui, esausta, senza fiato e
completamente svuotata.
“Credo che il
mio matrimonio debba essere annullato”
mormorò prima di crollare addormentata.
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
“Da quanto lo
sai?”
Erano ancora
a letto, dopo aver fatto
nuovamente l’amore. André la teneva tra le braccia, senza smettere di
accarezzarle la schiena. Lei aveva la testa posata sul suo petto e con
una mano
gli sfiorava i muscoli delle braccia e del torace.
Entrambi
amavano concedersi quei momenti di
dolcezza e di intimità, che seguivano alla passione più sfrenata e
all’intensità del loro desiderarsi.
“Dal mio
rientro da Londra. L’altro giorno ti
ho sentito parlare con tuo zio e ho deciso che dovevo sapere cos’altro
mi
nascondevi. Quello che avevo sentito, unito alle sensazioni che avevo
sempre
provato con Lord Nicholas Thornton, mi aveva aperto finalmente gli
occhi e il
cuore, ma volevo essere completamente certa del mio sospetto. Ho
consultato
l’Almanacco del Gotha e non ho avuto bisogno d’indagare oltre. Era
tutto lì,
nel nome per intero dell’erede di Sua Grazia: André François Nicholas,
Conte D’Harmòn
e futuro duca di Lyndham. Nulla da dire, un ottimo partito! Ben due
titoli per
un solo uomo.”
Lui sorrise:
“E’ quello che ho sempre pensato
anch’io. Un po’ troppo, per una sola persona”.
“Porti
entrambi i nomi di tuo zio… e io che
credevo che fosse solo Nicholas ad unirvi…”
“André era
anche il nome del mio bisnonno
paterno. Nicholas, invece, è stato aggiunto proprio per mio zio.
François per
S. Francesco, un santo cui mia nonna paterna era particolarmente
devota. Da mio
zio ho preso in prestito provvisoriamente e in anticipo il cognome,
mentre il titolo
di Lord mi spetta di diritto già da ora, come suo successore… è una
faccenda
abbastanza complicata essere erede di due titoli nobiliari e per di più
in due
paesi diversi.” [1]
“Oh,
lo immagino! Quello che non immaginavo,
però, era che fossi un così bravo attore. E sei molto abile anche a
camuffare
la tua voce e il tuo adorabile accento francese!”
“Mi
è sempre venuto facile. Da ragazzino facevo
ridere tutti. Ma per l’accento… è stato mio zio a pretendere che
frequentassi
le migliori scuole in Inghilterra, per diventare un vero lord inglese e
degno
successore al titolo di Duca. Pur rispettando moltissimo mio padre, Sua
Grazia
ritiene che il sangue francese sia un po’ troppo… passionale per i suoi
gusti.
O meglio, per ciò che richiederebbe l’aplomb tipicamente british della
nobiltà
inglese.”
“Ottima
idea anche la barba folta e la benda da
pirata all’occhio…”
“Non
volevo che mi riconoscessi subito e che
fuggissi prima d’aver avuto il tempo di aiutarti.”
“Eri
davvero convinto che sarei fuggita?”
“Lo
avevi già fatto una volta.”
Percepì
la tensione del suo corpo mentre
ricordava quei momenti.
“Lo
so, hai ragione. E mi dispiace tanto. Non
saprai mai quanto ho sofferto da quando presi quella decisione…” disse
lei,
stringendosi maggiormente a lui.
“Ti
ho odiato, sai? Quando ho capito che te
n’eri andata, per un attimo ti ho odiato.”
“Ti
avrei odiato anch’io… e non sai quanto ho
odiato me stessa.”
“Poi
ho letto il tuo messaggio e ho sentito il
cuore andarmi in mille pezzi…”
“André…”
poteva sentire ancora la sofferenza
che lo aveva devastato allora. “André, perdonami.”
“L’ho
già fatto, tanto tempo fa. Mi sono
accorto d’averti perdonato nell’istante in cui mi dissi che ti sarei
venuto a
cercare non appena fossi riuscito a tornare in Inghilterra.”
“Ed
è quello che hai fatto.”
“Sì,
ma non presto quanto avrei voluto. E non
in tempo per trovarti, purtroppo. Quando giunsi a Beaulieu tua madre mi
disse
che eri ripartita da poco.”
“Hai
conosciuto mia madre?” chiese sollevandosi
su un gomito ad osservarlo.
“Sì.
Fu lei a raccontarmi tutta la storia. Non
appena le dissi chi ero, capì tutto quanto. Allora mi chiese come mai
avessi
aspettato tanto a tornare, se ero innamorato di te. Risposi che ero
appena
sbarcato, di ritorno dall’America, e che ero venuto subito
nell’Hampshire, prima
ancora di tornare in Francia dai miei genitori; se non ero rientrato in
Europa
immediatamente, appena arrivato in America, fu perché per oltre un mese
ero
stato tra la vita e la morte…”
“Che
cosa ti è successo?” domandò lei,
preoccupata.
“Durante
una tempesta in mare mi ammalai di
polmonite. Fui sbarcato incosciente, con la febbre altissima.
L’Ammiraglio
Blackbird diede ordine che mi portassero presso una piccola comunità
religiosa,
dove rimasi per oltre tre mesi. Non appena fui in grado di viaggiare,
tornai in
Europa. Purtroppo nel frattempo
“L’avrà
trovato l’Ammiraglio?”
“Forse.
O forse sarà andato perduto…”
“Tenevi
molto a quel diario, non è vero?”
“Li
ho tutti conservati, da quando iniziai a
scriverli all’età di sette anni. Quello perduto era il più importante…
c’era la
nostra storia. E c’erano le tue parole…”
“Tu
sei ancora vivo. E’ solo questo che importa.
Ora stai bene, non è vero?”
“Sì,
sto bene.”
“Mi
sono domandata come mai fossi diventato più
magro…”
“Il
medico di mio zio ha detto che è già una
fortuna se sono ancora vivo, con quello che ho avuto, e che devo
ringraziare la
mia tempra robusta e la mia buona stella. Con dell’altro po’ di tempo,
cibo,
riposo e dell’esercizio fisico, nonché una vita tranquilla – e io
aggiungerei
le attenzioni di una moglie innamorata – riacquisterò poco alla volta
il peso
di prima.”
“Avrei
potuto perderti per sempre…”, mormorò
con le lacrime agli occhi.
Lui
gliele asciugò con un tenero gesto della
mano.
“La
mia malattia non fu colpa tua.”
“Ma
se non ti avessi mandato in America pur di
allontanarti da me…”
“Nessuno
può sapere se non sarebbe successo
comunque. E poi sono stato curato bene. Il dottore dice che non è
rimasto
alcuno strascico… Devo solo avere pazienza e seguire i suoi consigli.
Ancora
pochi mesi e tornerò come prima.”
“Ti
vizierò e ti nutrirò personalmente!” disse
lei, finalmente un po’ più serena nel costatare che lui non le portava
rancore
e tranquillizzata dalle sue parole riguardo la sua salute.
“Stai
tranquilla. Ho già ripreso parte del peso
perduto. E non vorrai, per caso, che diventi grasso come Lord
Stevenson, vero?”
disse con un sorriso per metà divertito e per l’altra terrificato
all’idea di
diventare tale e quale ad uno dei nobili più in carne di tutta
l’Inghilterra.
“Dirò
a Martha, la cuoca, che ti prepari il
cibo più saporito e sostanzioso! Proprio l’altro giorno mi ha detto che
Lord
Thornton tocca poco o nulla ai pasti ed era preoccupata…” poi,
abbassando la
voce, quasi gli raccontasse un segreto importante che lui solo doveva
sapere,
aggiunse maliziosa:
”Credo
che si sia un po’ innamorata di te… Ah,
come non capirla!”
“Ma
avrà quasi sessant’anni!” disse lui,
divertito.
“E
che c’entra? E’ una donna anche lei!”
rispose pronta.
“Mi
stai dicendo che qualunque donna si
innamorerebbe di Lord Nicholas Thornton? Qualunque donna tranne Lady
Sarah Jane
Montagu, a quanto sembrava!” la stuzzicò lui.
“Io
non faccio testo: ero pazzamente innamorata
di un bellissimo Conte francese…”
“Ah,
lo ERI?”
“Lo
ero, lo sono, lo sarò per sempre” rispose
lei, baciandolo sulle labbra, prima di aggiungere: “E poi Lord Thornton
era
davvero impossibile con me…”.
“Lo
sono stato davvero?”
“Un
po’ sì. Soprattutto quando mi hai detto in
faccia la verità.”
“Mi
dispiace…” cercò di scusarsi lui, ma lei
gli posò un dito sulle labbra, facendolo tacere.
“Avevi
ragione. Non devi scusarti.”
“Tornando
a Martha”, riprese lui, “rassicurala
che non si tratta della sua cucina, che è eccellente. E’ che non mi
piace
mangiare solo.”
“Non
sarai più solo, amore. Non ti lascerò mai
più”, lo tranquillizzò lei, baciandolo dolcemente, e non si riferiva
soltanto
ai pasti.
Il
corpo di lui reagì all’istante, ma lei, in
quel momento, voleva conoscere tutta la storia.
André
protestò con un mormorio di
disapprovazione, quando sentì che tentava di fermare le sue mani che la
stavano
nuovamente cercando.
“Sei
insaziabile, ma non di cibo!” lo
rimproverò, allegra.
“Mhmm…
ma non ho bisogno solo di cibo! Ho
bisogno anche di riposo – e quindi stare a letto mi fa bene…” disse
mentre si
metteva supino e la trascinava sopra di sé, “… e di esercizio fisico.
Tanto
esercizio fisico…” aggiunse, prima di baciarla e ricominciare ad
eccitarla,
come solo lui sapeva fare. Poi, guardandola negli occhi, mentre si
rendeva
conto che stava per capitolare, le sussurrò all’orecchio, aumentandole
i
brividi che già provava: “In questo modo uniamo l’utile al
dilettevole…”.
“Sei
terribile…” ma aveva già capito d’aver
perso la battaglia.
“E
non è proprio questo ciò che più ti piace in
me?” le disse, poco prima di farla nuovamente sua.
“Mi
piace tutto, di te…” sospirò, mentre lo
sentiva entrare in lei dolce e possessivo, “anche quando la mia mente e
il mio
cuore non ti avevano ancora riconosciuto, il mio corpo lo aveva già
fatto, fin
dall’inizio…”
“Per
questo scappasti da Lord Thornton, la
prima sera, quando ci incontrammo al ballo in maschera?” chiese lui,
lasciando
scorrere le mani nei suoi lunghi capelli, che ricadevano morbidi sul
suo torace.
Era
strano fare l’amore rispondendo alle sue
domande. Ma André sapeva eccitarla anche in quel modo.
“Sì.
E tu sapevi che ero io, vero?” chiese a
sua volta, mentre si lasciava andare al desiderio che provava per lui.
“Ero
lì per incontrarti. Sapevo che ci saresti
stata…” rispose lui, le mani che le stringevano i fianchi a trattenerla
sopra
di sé.
“Eri
meravigliosa con quell’abito rosso fuoco…”,
mormorò al suo orecchio, facendola impazzire, “così seducente e
intrigante… e
io morivo dalla voglia di levartelo…”
Come
ci riusciva? Come riusciva far l’amore con
lei anche con le parole?
“Mi devi ancora un ballo, con indosso quell’abito…” aggiunse, prima di perdere definitivamente il controllo, rovesciarla sul letto e portarla con sé in paradiso.
[1] E’ ovvio che la faccenda dei due titoli nobiliari, e di tutto quello che a riguardo André D’Harmòn racconta a Lady Sarah, è frutto della nostra fantasia. Nonostante alcune ricerche, non siamo riuscite ad appurare se ciò che abbiamo scritto potrebbe essere vero. Abbiamo fatto l’impossibile per renderlo “plausibile”, pertanto, qualora non lo fosse realmente, concedetecelo come “licenza poetica”. - N.d.A.
Fine
Dedica
Questa
fanfic è
dedicata a Mr.Smith.
E’ un grazie
personalissimo per averci regalato dieci anni di sogni, per averci
fatto scoprire
una vena creativa che non sapevamo di possedere, per averci fatto venir
voglia
di innamorarci di nuovo e per aver reso possibile conoscere tante
persone che
non avremmo mai incontrato se non avessimo visto JAG e non ci fossimo
“innamorate” di lui e dei suoi fantastici occhi.
Dedicata a David: il
classico tipo d’uomo che, quando lo incontri per la strada, ti fa
voltare e
rimanere ferma ad osservarlo fino a quando non scompare dalla tua vista.
Questa
fanfic è
dedicata anche al personaggio di Harmon Rabb jr., eroe gentile ed affascinante, dal cuore
nobile e dal sorriso
splendido.
Di te, Harm, non ne
abbiamo mai abbastanza e, pur di far brillare la tua stella
all’infinito, siamo
riuscite a farti rivivere persino attraverso i secoli.
Grazie per avercelo
permesso, ispirandoci con ciò che mostri, i tuoi silenzi, i tuoi dubbi
e le tue
esitazioni, ma anche con tutto quello che ci hai sempre lasciato
immaginare,
sebbene abilmente rinchiuso nel tuo cuore.
Infine
questa fanfic è
dedicata anche ai personaggi che abbiamo inventato, dai quali abbiamo
fatto
enorme fatica separarci.
Lady Sarah Jane
Montagu e il Conte André François D’Harmòn sono frutto della nostra
fantasia,
ma non per questo
meno “vissuti” o da
noi meno amati di Harm e Mac.
Inventare
un personaggio,
lo abbiamo scoperto e sperimentato sulla nostra pelle, è una faccenda
seria:
diventa parte di te, al punto da immaginartelo quasi reale. Non si
tratta più
solo di far rivivere certi personaggi, restando fedeli a precise
caratteristiche delineate da altri. Si tratta di inventarsi la
personalità e il
back-ground del personaggio ex-novo, “creandolo” in tutto e per tutto
nella
propria mente. E farlo, rendendolo sempre coerente a se stesso, pur
lavorando
in coppia, credeteci non è cosa facile. Ognuna di noi due ha, nella
propria
mente, una sua immagine ben precisa di André e Sarah Jane…
Tuttavia
Lady Sarah e
André D’Harmòn sono due personaggi talmente speciali, al punto che sono
riusciti a prendere il sopravvento sulle loro creatrici e hanno
iniziato a
vivere di vita propria, regalandoci (e speriamo regalandole anche a
voi)
emozioni meravigliose.
Ma,
soprattutto, il
dono più grande che ci hanno fatto, è stato permetterci di vivere
questa
fantastica esperienza assieme.
Disclaimers :
Il marchio JAG e tutti i suoi personaggi appartengono alla BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.