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Autore: Querthe    13/12/2007    3 recensioni
Le quattro Inner (senza Usagi) sono ormai abituate ai loro poteri e alla perdita dei loro Soldiers, credono di poter vivere una vita tranquilla, ma una persona che le conosce bene trama vendetta per sè e per altre.
E questo provocherà grossi guai, oltre a metterle di fronte a una versione distorta di loro stesse.
E' il seguito della storia "Per amore, solo per amore". Consiglio caldamente di leggere l'altra fanfiction, o ci capirete poco o nulla.
Prossimo capitolo 04/01/2016.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ami/Amy, Makoto/Morea, Minako/Marta, Rei/Rea
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sailor soldiers'
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- Posso chiederti una cosa, Ami, o ti disturbo?
- Figurati, Mako. Dimmi. – rispose la ragazza, smettendo di immettere dati in una tastiera che aveva fatto comparire dalla scrivania di fronte alla quale era seduta. Makoto era in piedi giusto dietro di lei, entrata da pochi secondi nella stanza, spoglia ma a suo modo adatta alla proprietaria. – E poi non mi disturbi mai. Come posso aiutarti?
- Niente di particolare, solo ero stufa di provare i nuovi poteri che ci hai fornito con i tuoi nuovi Soldier. Al contrario di Rei…
- Immagino… - si concesse un leggero sorriso.
- Cosa stai facendo?
- Nulla di particolare. Sto ricontrollando se tutto sulla navetta è a posto. Sai, le scorte di materiali, il cibo,e così via. Fortunatamente non abbiamo bisogno di aria e i nostri corpi sono decisamente resistenti agli sbalzi di gravità e pressione.
- Già… Ricontrollare? Tu che non sei sicura? – la prese in giro la bruna, sedendosi su una vicina poltrona di pelle sintetica nera.
- Beh, diciamo che odio stare con le mani in mano. Devo sempre avere qualcosa da registrare, catalogare, elaborare… - sembrò arrossire Ami. – Ma per adesso direi che ho ricontrollato abbastanza. – si stiracchiò. – Ti vada fare un po’ di movimento diverso da quello che propone la nostra focosa amica?
- Ovvero?
- Vieni. Ti faccio fare un giro per la base. Credo che alcune stanze ti potrebbero piacere.
- Ami?
- Dimmi Makoto.
- Non è necessario fingere così tanto con noi. Se per te va bene evitare di mostrare emozioni, o meglio, evitare di simularle, per me va bene, e credo anche per le altre…
- Si vede così tanto? – chiese quasi senza espressione.
Makoto rispose sorridendo.
- Un po’…
- Sai, quando ho iniziato a considerare me stessa come un’unità nanitica ad uso tattico e di elaborazione dati e non come l’entità Ami Mizuno, ho usato uno dei sentimenti che mi rimanevano ancora, la paura, per catalogare, immagazzinare o ricreare le varie emozioni che avevo ancora o che avevo perso, ma l’errore nella programmazione è che li devo richiamare consciamente, come subprogrammi di mimica superficiale o comportamentale, mentre nella realtà sono… spontanei. Ed era molto tempo che non usavo tali programmi, ma mi rendo anche conto che voi necessitate una compagna simile a voi, in aspetto e comportamento.
La donna la abbracciò all’improvviso, stringendola con forza e tenerezza allo stesso tempo, come faceva con i suoi due figli.
- Errore. Non logicità nelle azioni del soggetto Makoto. Sto calcolando le possibili cause. Nessuna ha una percentuale accettabile per essere probabile. Incertezza… - mormorò la ragazza.
- Questa è la vera Ami, non quella che tenti di creare, piccola. Se non ti senti di esprimere sentimenti, per noi va bene. – le sussurrò la bruna, lasciandola. – Allora, che cosa volevi mostrarmi?
- Sapendo la tua passione per la cucina, ho fatto creare all’interno della base una stazione perfettamente attrezzata con ogni cosa ti possa servire. Considera che da quando partiremo difficilmente faremo… errore… farete un pasto decente, per cui se vuoi approfittarne.
- Cibo? Io ci sono! – gridò Minako entrando, Artemis sulla porta a guardare le tre ragazze. Indossava come le altre un vestito che Ami aveva creato con altre nanomacchine, rendendolo perfetto per scomparire quando le donne si trasformavano ed esente da necessità come lavarlo, aggiustarlo o altro. Era inoltre legato alla volontà di chi lo aveva su, per cui ognuna poteva modificarlo a suo piacimento. Ami aveva optato per una versione molto simile alla sua vecchia tuta da combattimento, un indumento aderente nei toni dell’azzurro, comprensiva di guanti e stivali con un tacco basso e comodo. Makoto aveva preferito una gonna lunga plissettata con un motivo tartan nel verde marcio e nel marrone, coordinata con un maglione a collo alto in tinta unita verde e scarpe basse.
- Minako, scappi e mi lasci come una stupida nella sala di allenamento. Lo sai che non mi diverto con i droidi di Ami… - le raggiunse Rei, vestita con una canottiera bianca e con dei pantaloncini rossi e larghi che le lambivano le ginocchia, ai piedi delle scarpe da ginnastica slacciate. – Ah, ci siete anche voi. Mi pareva di aver riconosciuto i vostri odori.
- Io non odoro, io profumo! – la corresse la bionda, con un miniabito bianco ornato da dei decori arancioni e da una cintura dorata realizzata da anelli a forma di cuore, alta come Makoto grazie alle decolleté dal tacco alto e sottile coordinate al vestito.
- Quello che ti pare, ma hai un odore… A parte Ami. Lei sa solo di meccanico. Senza offesa.
- Senza offesa. Visto che siamo riunite, che ne dite di vedere le cucine, così credo che Makoto avrà da fare per alcune ore. Io devo effettivamente controllare l’estrazione dei materiali basilari. Ho appena ricevuto un messaggio dal programma di gestione delle trivelle che c’è un rallentamento che potrebbe portare un ritardo di circa due minuti nella partenza della navetta.
- Trivelle? – chiese Rei.
- Affermativo. Ma un’operazione alla volta. Non siete multitasking come me.
- Effettivamente non ho molte tasche nel mio vestito…
- Non credo intendesse quello, Minako. – la guardò divertita Mako.
- Ah, scusa… E tu non ridere, Rei, o ti faccio assaggiare da Artemis…
- Tentaci. Stasera si mangia coniglio. Tanto tra gatto e coniglio la differenza dopo cotti è poca.
Artemis soffiò verso di lei falsamente arrabbiato, i due corvi di Rei sulle sue spalle a guardare le quattro come se volessero prenderle in giro.
- Siete due bambine.
- E tu sei la mammina, Mako? Cosa vorresti fare? Sculacciarci?
- Pensavo più a non cucinare per voi. – sorrise cattiva lei.
- Ahi, questo è un colpo basso. Dai, andiamo a vedere questa famosa cucina, che poi voglio vedere le trivelle. Non starai mica rovinando il fondo marino, vero?
- Negativo. Ho costruito tubazioni appositamente realizzate per minimizzare l’impatto ecologico e estetico, estraendo quello che mi serve a grande profondità nella crosta terrestre o dall’atmosfera. – rispose la ragazza dai capelli azzurri. – I dati in mio possesso indicano che un recente terremoto ha mosso una vena lavica che utilizzavo per dare potenza alle trivelle, per cui ho un leggero rallentamento delle prestazioni prima non registrabile nell’estrazione del torio.
- E cosa ci fai con quel coso? E’ radioattivo!
- Affermativo, ma mi serve come combustibile per la navicella. Useremo un modello perfezionato di motore ionico teorizzato decenni fa da uno scienziato per viaggi intrasistemici. Al di fuori dell’atmosfera saremo in grado di raggiungere la nostra destinazione in meno di tre minuti. L’intero viaggio sarà terminato in quindici minuti.
- Quindi non serviranno nemmeno lo spuntino a bordo…
Le quattro risero all’ennesimo borbottamento della bionda, che si fermò con Makoto nell’enorme cucina, per darle una mano, mentre le altre due continuarono fino ad un ascensore, dove i due serpenti che erano il Soldier di Ami le stavano attendendo.
- Come li hai chiamati? – chiese mentre iniziavano a scendere.
- Domanda non completa. Chi?
- Loro, i tue due serpenti. Io ho Deimos e Phobos. E tu?
Lei sembrò pensarci.
- Non avevo dato loro un nome…
- E come li chiami?
- Semplicemente instrado le mie richieste tramite il collegamento neutrinico e loro eseguono, senza necessità di interfaccia vocale. E’ inutile. Quando voi parlate con i Sodiers in realtà ridondate il segnale, in quanto lo stesso concetto espresso dalla vostra voce è già trasportato dal flusso di dati criptato.
- Tecnoballe. – disse piatta la donna dai capelli neri. – Ami, tu avevi dato un nome anche al tuo mouse, figurati se non lo hai dato a loro.
- In senso astratto,direi di averli chiamati Ree e Ishi. Zero e Uno, come la totalità dei segnali possibili con il linguaggio binario.
- Molto sterile, ma a tuo modo appropriato… - sorrise Rei, quindi annusò di nuovo l’aria. – A che profondità siamo?
- Siamo alcune decine di metri sotto il livello marino, e la nostra meta è circa duecento metri sotto di noi. Le condizioni climatiche sono già tali da rendere impossibile la vita per un essere umano senza adeguati mezzi di sostentamento.
- Mentre noi non ne risentiamo. Come hai già detto tu, noi non siamo più umani. E non so se dire che mi dispiace.
- L’affermazione mi provoca confusione. Cosa intendi? Chiarire.
- Ho vissuto questi ultimi anni in una foresta, cacciando e sfogando la mia passione per la caccia e la legge del più forte, e francamente di tutto quello che ho visto l’unica crudeltà che ho visto proveniva dagli esseri umani. Tutti vogliono solo distruggere e uccidere per piacere o per loro comodità, non necessità. Ammetto di condividere alcuni aspetti della visione di Mamoru.
- Ma tu lo eri, e i Desideri in te hanno agito trasformandoti in ciò che sei. E quello che sei ti piace?
- Certo.
- Lo reputi positivo?
- Certo, che domande.
- Quindi hai appena negato la tua ipotesi, per cui la tua tesi è falsa. Se tutti gli esseri umani sono malvagi come tu hai postulato pocanzi, anche tu dovresti essere la rappresentazione del tuo desiderio più riposto, ma la tua natura di umana ti avrebbe portato a divenire qualcosa di ancora più malvagio.
- Ti ho perso, ma credo di aver capito il concetto. Ci sono i buoni come noi e i cattivi come Setsuna.
- Approssimativo, ma vero.
- E dopo?
- Dopo cosa, Rei?
- Dopo che abbiamo ucciso Setsuna e messo a riposare per sempre le altre sue amichette, che cosa faremo?
Ami si strinse nelle spalle.
- Saremo, semplicemente. Troveremo un nuovo scopo, come lo ha già trovato Makoto.
- Lei è fortunata. Ha una famiglia. Ma io? E Minako? E te? Certo, possiamo avere figli, e i naniti non si trasmettono, per cui i nostri figli sono normali, ma…
- La mi attuale condizione mi impedisce di procreare organicamente, e non ne ho intenzione. La nostra condizione ci rende virtualmente immortali, se non viene distrutta la quasi totalità degli elementi che ci compongono, e questo porta a una serie di quesiti a cui mi rifiuto di rispondere.
- Non puoi o non vuoi pensare al dopo? La tua vita come la mia sono focalizzate alla morte di Setsuna e delle sue creazioni, ma dopo?
- Ci penseremo, Rei, ci penseremo… - tagliò corto, tristemente, Minako.
Il silenzio scese nella piccola cabina finchè non arrivarono in fondo, e la porta si aprì vicino ad una piccola trivella che lentamente stava scavando e vagliando i minerali, che venivano instradati su differenti nastri trasportatori.
- Ecco come realizzo tutto. Recupero quello che mi serve dall’ambiente vagliandolo con le nanomacchine, quindi lo immagazzino compattato un apposite riserve pronto all’uso per creare quello che voglio, dai vestiti alla base alla navetta ai nostri Soldiers. Con lo stesso concetto sto stoccando materiale di base per le costruzioni vitali dopo che saremo arrivate sulla luna, poi sarà l’avamposto stesso a costruire se stesso.
- Mi fa impressione…
- Ho copiato l’idea dalla vita biologica. Da una cellula nasce tutto, per cui non capivo perché non fosse possibile fare lo stesso con l’adeguato programma. Ormai sono vicina a poter creare in linguaggio binario un programma autocosciente. Potrei definirlo un mio figlio, in qualche modo.
- Se sei così avanti, quindi credo che tu possa essere in grado anche di fare quello che fa Setsuna? Dimmi di no, ti prego?
- Certo che sono in grado. Lo ero pochi mesi dopo che siamo tornate sulla Terra. Un mero passatempo di cibernetica, considerando le potenzialità dei naniti. Motivare la domanda.
- Perché hai voluto studiare il modo di integrare meccanismi su parti umane o animali? E’ orribile.
- Negativo. L’applicazione è esecrabile, non lo studio di fattibilità. Un’arma non è colui che la usa. È solo uno strumento. Con le stesse tecniche utilizzate da Setsuna si potrebbero salvare vite umane. – rispose mentre toccava un pannello della trivella e chiudeva gli occhi per alcuni secondi. – Fatto, ora che ho impartito il nuovo programma, la trivella dovrebbe deviare alcuni flussi secondari al condotto principale, recuperando il tempo perduto. Stimo un ritardo di circa trecento settanta millisecondi.
- Non sarà un po’ tanto? – chiese ironica Rei.
- Attendere calcolo risposta probabile.
- Scherzavo… - sospirò lei.
Il resto del tempo prima della partenza trascorse tranquillo, allietato dai manicaretti di Makoto, alla cui degustazione si unì anche Ami, quindi tutte si riposarono prima di salire sulla nave, un semplice ellissoide di rotazione dotato di un piccolo condotto di scarico degli ioni e di una rampa di accesso che poi sarebbe scomparsa automaticamente.
- Fino alla fuoriuscita dall’atmosfera utilizzeremo un programma di mimesi simile a quello che avevo montato sul Mercury, per cui nessuno ci potrà rintracciare, quindi ci dirigeremo sul lato oscuro della luna, alle coordinate del… castello… di Mamoru. Arrivate faremo una ricognizione mentre la base si monterà almeno nelle sue unità principali. – spiegò la ragazza alle altre amiche. – C’è una probabilità dell’ottantadue e settantacinque percento che ci sarà un pesante scontro con delle unità di difesa di Setsuna prima di incontrare i veri nemici, ma non facciamoci trarre in inganno dall’eventuale facilità con cui le termineremo. Conta sulla quantità, oltre che sulla qualità, e probabilmente tenterà di sfinirci prima di mettere in campo Haruka e le altre.
- Va bene. – risposero all’unisono Rei, Makoto e Minako.
La navicella partì lentamente, con dolcezza, per tremolare appena uscita dall’accesso subacqueo della base, e scomparire alla vista. Si alzò in volo, diretta verso il satellite appena visibile nel buio che segue immediato il tramonto. Un pescatore sembrò osservarla, i suoi occhi due lenti rosse e luccicanti in un volto cadaverico dal ghigno congelato dalla morte.
- Stanno arrivando. – disse una voce femminile, migliaia di chilometri sopra di loro, decine di metri sotto il suolo lunare, osservando nello schermo quello che l’essere stava trasmettendo.
- Bhenhe. – gorgogliò in risposta un’altra, nel buio della stanza.
   
 
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