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Autore: Neko no Yume    30/05/2013    3 recensioni
Fronte occidentale, la Marna a pochi chilometri e il frastuono degli eserciti che rimbomba ovunque.
Un respiro appena accennato e tremolante sotto una divisa tedesca, nemica.
Probabilmente i militari che presidiavano il suo ospedale l'avrebbero finito seduta stante, ma Sharon non era arrivata fin lì per mietere vite.

Poi, la mattina.
(wwi storical au; il titolo potrebbe o no essere una semi-citazione letteraria)
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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“Bene, credo che potremmo diminuire la dose di antipiretico,” commentò in tono professionale, quasi distaccato.
Doveva ammettere che per un momento si era convinta di non essere più in grado di badare a Xerxes, ma il panico si era dissipato con l'alba e il mattino l'aveva lasciata esausta ma serena, come la luce del sole appena sorto.
Il tedesco non aveva fatto commenti per tutta la durata della visita di routine, ma aveva continuato a tenere lo sguardo fisso sul suo viso mentre lei gli sentiva la febbre e cambiava il bendaggio.
“C'è qualcosa che non va?” si decise infine a chiedere Sharon, le mani piantate sui fianchi e un cipiglio con cui poche persone si sarebbero sognate di discutere.
Lui si lasciò sfuggire una risatina e fu in quel momento che lei intravide qualcosa brillargli tra i denti.
“Ma quella è...” l'infermiera esitò, incredula. “Una zolletta di zucchero?”
“Credevo che non te ne saresti mai accorta, fräulein,” ghignò Break in risposta, per poi frantumare ciò che restava dello zucchero e inghiottire con aria soddisfatta.
La crocerossina si sentì arrossire la punta delle orecchie sotto la cuffietta nel rendersi conto che ormai l'altro aveva iniziato definitivamente a darle del tu, poi il ricordo di ciò che gli teneva nascosto riaffiorò e la nausea le spezzò il sorriso tirato che lui era riuscito a strapparle.
“Me la sono fatta dare da una tua collega, è incredibile cosa si possa ottenere con un paio di lusinghe,” continuò Xerxes, senza guardarla in viso.
Sharon ripensò a tutte le volte in cui da bambina aveva teso agguati sempre più ingegnosi alla zuccheriera d'argento di sua madre e sentì sulla lingua il sapore dolce delle zollette, mentre la voce di sua nonna Sheryl le sussurrava di stare attenta a non farsi scoprire dal maggiordomo.
Le aveva sussurrato anche di non andare al fronte in una notte di ninnananne disperate come quella che aveva appena passato, ma non le aveva dato ascolto.
“Attento a non farti beccare da qualche medico se lo rifai,” sorrise al tedesco, sperando che non notasse la malinconia che le brillava negli occhi.
L'uomo trasalì appena alla parola medico, ma si riprese immediatamente e alzò un sopracciglio, l'unico visibile sotto la fasciatura, nella sua direzione.
“Sono un asso della discrezione.”
“Disse il soldato nemico.”
Scoppiarono a ridere entrambi, la loro sfibrata allegria che rimbalzava tutto attorno con la leggerezza della novità.
Break smise per primo con una smorfia di improvviso dolore a contrargli le labbra e Sharon si bloccò subito dopo, affrettandosi a farlo stendere e facendogli bere con cautela qualche sorso d'acqua.
Dopotutto, la guerra era sempre lì a ricordare loro dove si trovassero.
Si scambiarono uno sguardo silenzioso carico di rassicurazioni vuote, poi Xerxes allungò una mano verso la sua e le sfiorò le dita con le proprie.
“Questa notte mi è sembrato di sentirti cantare,” mormorò assorto, le dita che ora si intrecciavano a quelle di lei con delicatezza e urgenza al tempo stesso.
Era una semplice affermazione, priva di qualsiasi interrogativo.
Che lei avesse davvero cantato o meno contava quanto la loro risata, un frullio d'ali nel mezzo di una sparatoria.
La crocerossina si limitò a carezzargli l'interno del polso, così sottile per essere il polso di un uomo, con la punta del pollice, senza rispondere.
Riusciva a percepire il flebile pulsare delle sue vene sotto la pelle, ma dubitava che neanche quello potesse significare qualcosa in un luogo dove la vita li abbandonava per il migliore offerente.
Non avrebbe saputo dire se lui avesse intuito i suoi pensieri, ma sarebbe stata pronta a giurarci quando sentì la sua voce parlare di nuovo.
“Quando tutto questo finirà, voglio trasferirmi a Ginevra.”
Il tono era distante, perso nell'immaginare una possibile vita finalmente tranquilla in un paese neutrale, e presente in modo bruciante allo stesso tempo: se non ci fosse stata lei al suo fianco non avrebbe avuto senso.
Un soldato qualche branda più in là si lamentò nel sonno e Sharon si sentì piombare di nuovo nella loro realtà fatta di sangue, infezioni e denti stretti.
“Sarebbe bello,” si concesse, per poi liberarsi dalla presa della mano dello straniero e avviarsi verso il ferito, pronta per tornare a lavoro.

Il terreno le tremava sotto i piedi.
Non riusciva più a capire se fossero le sue gambe malferme per la paura o i colpi che qualche chilometro più il là continuavano ad abbattersi al suolo con violenza mai vista, ma tremava.
Qualcosa le diceva che era quello l'attacco di cui le aveva parlato Vincent.
O meglio, aveva il bisogno spasmodico di credere che fosse quello perché non credeva di essere in grado di sopportare di peggio.
Non più, almeno.
L'interno dell'ospedale risuonava dei singhiozzi sommessi dei pazienti e le frasi spezzate e nervose del personale medico, mentre le uniformi macchiate svolazzavano come impazzite per le corsie.
Era arrivato un dispaccio dall'interno e ai militari stanziati di guardia lì era stato ordinato di preparare il trasferimento immediato di chiunque fosse ricoverato o lavorasse nella struttura.
Lo spiazzo erboso davanti alla tenda principale era gremito di ambulanze e soldati che venivano stipati al loro interno senza troppi complimenti.
Ormai avevano quasi finito l'evacuazione, mancava solo l'ala dov'era ricoverato Xerxes.
Sharon la raggiunse correndo, il cuore in gola e il terrore che fosse stato escluso dall'operazione che le appannava la vista.
Arrivò che Elliot, ormai quasi ristabilito, stava aiutando il ragazzo che si era beccato un proiettile nel braccio ad alzarsi dal letto, riuscendo a stento a trattenere imprecazioni che non era certa di aver mai sentito.
Il tedesco era seduto nella sua branda e si guardava attorno con occhio vigile.
Aveva le mani talmente strette attorno alle lenzuola da confondersi con il loro biancore, ma non riuscì a impedirsi di sobbalzare nel vederla avanzare verso di lui.
Come del resto lei non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo nel vederlo ancora lì, pronto per essere portato in salvo.
Fräulein, che sta succedendo?” le chiese, l'accento straniero più marcato che mai a causa del nervosismo. “Siamo sotto attacco?”
In realtà non lo sapeva neanche lei cosa stesse succedendo.
Ogni volta che un'esplosione straziava l'aria si ritrovava a pregare che fosse finalmente la fine, il massacro definitivo alla fine del quale sarebbe rimasto solo un assordante e cacofonico silenzio fatto di cenere, ma la verità era che non ne aveva idea.
Voleva solo salire su una di quelle ambulanze e non tornare mai più in quel luogo, non dover più lavarsi via il sangue altrui al fiume.
Alzò lo sguardo su Xerxes e sentì di dovergli una risposta, almeno una.
Non importava se non l'aveva, non importava se non riusciva neanche a ragionare.
“Non direttamente, ma siamo troppo vicini alla Marna per considerarci al sicuro,” sciorinò a denti stretti, per poi fare un cenno ad Alice. “Dobbiamo portarti via da qui.”
Lo straniero ora aveva l'aria smarrita e si lasciò sollevare senza dire una parola, mentre le due infermiere gli passavano le braccia attorno al busto per aiutarlo a camminare.
Si riscosse solo quando la luce del giorno tornò a colpirlo in volto con tutta la violenza di cui era capace, facendogli socchiudere l'unica palpebra libera dalle bende.
Si voltò verso Sharon, che nel frattempo lo stava aiutando a raggiungere l'ambulanza più vicina, e si fermò.
“Come faccio a essere sicuro che ci rivedremo?”
L'aveva detto in fretta, mangiandosi le parole, in preda a un'ansia che non aveva mai mostrato davanti a lei, neanche quando le aveva chiesto perché fosse ancora vivo.
I rombi dei motori dei veicoli che si allontanavano si mischiavano ai fischi delle raffiche in un'atmosfera che sembrava diventare più frenetica ogni secondo che passava.
“... Non puoi,” riuscì a constatare la crocerossina dopo un istante nel quale entrambi realizzarono che quella sarebbe potuta essere l'ultima volta che si sarebbero visti.
Le loro mani si cercarono impulsivamente, le labbra si aprirono per dire qualcosa, poi un soldato di cui Sharon non conosceva il nome si avvicinò a Break e lo prese per un braccio, intimandogli di seguirlo in fretta dentro una delle ambulanze.
Lui mantenne lo sguardo fisso negli occhi dell'infermiera, il volto che sembrava riflettere una tempesta che gli lacerava la mente.
Immobile a neanche mezzo metro da lei, ma intangibile.
Fräulein, io...”, iniziò, mentre il militare iniziava a trascinarlo via da lei.
La crocerossina mosse qualche passo incerto nella sua direzione, prima che Echo le afferrasse un polso e la tirasse verso di sé.
“Dobbiamo andarcene da qui!” le gridò; era la prima volta che alzava la voce in tanti anni.
Sharon fece finta di non sentirla e tornò a voltarsi verso Xerxes, che le rivolse un'ultima occhiata disperata.
“Io non mi...”
Non riuscì a sentire il seguito, vide solo le sue labbra secche aprirsi e chiudersi senza emettere un suono, sovrastate da un'esplosione.
L'attimo dopo era scomparso dentro chissà quale ambulanza diretta chissà dove.
Echo la strattonò con più forza, riuscendo finalmente a farla salire su un mezzo di trasporto assieme ad altre sue colleghe e Reim.
Il medico la scrutò con occhio clinico, visibilmente preoccupato dalla sua espressione, che doveva essere parecchio sconvolta.
Eppure l'infermiera non riuscì neanche a forzare un sorriso per tranquillizzarlo, le sembrava di essersi dimenticata come si faceva.
Riusciva a pensare solo a ciò che non era riuscita a sentire e che forse non sarebbe mai stata in grado di sapere.
La guerra le aveva portato via anche quel misero frullio d'ali.









Yu's corner.
Salve, pipol!
Eccoci qui con il quinto capitolo, che ve ne pare?
Io l'ho trovato un po' complicheito da mettere per iscritto (saranno i crampi che mi stanno distruggendo la pancia orz), probabilmente perché non sono brava nelle scene d'azione.
Ma mi rimetto al vostro saggio e apprezzato giudizio, come sempre.
Aspetto con ansia pareri/insulti/torce infuocate!
Bye bye,
Yu.
  
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