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Autore: Iris Fiery    02/06/2013    2 recensioni
Era così che si sentiva Jolie in quel periodo: voleva solo scappare, andarsene, annoiata com'era di quella vita passata a lavorare. Il freddo inverno le ghiacciava il cuore, il sangue, e sembrava non volersene andare: eppure il suo cuore ha bisogno di qualche novità, anche se Lui non era tra quelle aspettate. A Los Angeles, durante una meritata vacanza, Jolie lo incontra, il suo peggior nemico, che diventerà qualcosa di tremendamente eccitante: perché lei, una Dämonfeuer, non ha paura di quel Grimm con cui, troppo presto, ingaggerà una guerra in cui l'amore e l'odio andranno di pari passo.
"Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro lo sanno già che esistono. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi si possono sconfiggere.
[G.K. Chesterton]"
Genere: Avventura, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Juliette Silverton, Nick Burkhardt, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anywhere is...
Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro lo sanno già che esistono. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi si possono sconfiggere.
[G.K. Chesterton]


Nel medioevo, come in ogni periodo storico da cui giungono discordanti notizie, si credeva l’esistenza di fate e gnomi, draghi e sirene, creature che ora si ritengono inesistenti: eppure, tali creature non potevano essere solo segno di fantasia umana, perché tale processo mentale doveva essere stato innescato da qualche cosa, o da qualcuno.
Le fiabe, poi, sono il diretto collegamento che hanno i bambini con tali miti: abituati fin da piccoli a conoscere la storia della principessa salvata dal drago cattivo, crescono con l’idea che, in qualche remoto angolo del mondo, tali mostri devono pur esistere. È forse una brutale fuga dalla realtà fin troppo noiosa e fastidiosa, che troppo spesso incastra gli umani, che vivono un’esistenza senza minimo significato?
Oh, a volte mi dilungo fin troppo con i miei pensieri inutili e, ammetto, incoerenti. Se, da una parte, sono affascinata dagli umani, dall’altra li trovo così dolcemente stupidi ed ingenui, nel credersi al centro dell’universo: è divertente vederli guardare il cielo, in cerca di qualcosa che li porti via da una realtà noiosa e fin troppo semplice.
Eppure, quando gli si pone una novità d’innanzi agli occhi, scappano come conigli davanti ad una volpe: dovete vedere come corrono, con quelle loro deliziose zampette, lontano da te, che gli stai donando finalmente quel brivido di novità, di emozione, che hanno sempre ricercato. È per questo che non riesco a capire se sono intelligenti oppure semplici creature pensanti: oh, vi è una bella differenza tra le due definizioni, io l’ho imparato bene. Di esseri pensanti ve ne sono fin troppi, in realtà: coloro che hanno un cervello sono pensanti, come i gatti che, per stimolo, mangiano. Essi però non hanno il pensiero di mangiare, ma è solo e puro stimolo, niente di ragionato o voluto.
E poi vi sono gli esseri intelligenti, coloro che sfruttano il cervello per ragionamenti complicati, che possono, da una situazione illogicamente strana, estrapolarne risposte convincenti. E ve ne sono ben pochi, perché anche tra gli umani tali esseri ormai scarseggiano. Proprio tempo fa ho avuto il piacere di vedere realizzata tale teoria: ho incontrato una donna, anni fa, che si divertiva a studiare la biologia e ogni piccola forma animale e vegetale. Ragionava su di essi, mi spiegava ogni minimo movimento, e perché tale era fatto in un modo: era un ragionamento incredibilmente interessante e pure io, che solitamente sono una persona più incline all’azione che al pensare, ne fui emozionata.
Ecco che, come al solito, mi contraddico io stessa: sono io il primo essere che spesso rientra nella prima categoria, ma forse è la mia natura a portarmi a tale pensiero. Sono un essere molto solitario ma, nel momento della mischia, sono la prima che si butta e, solitamente, vince: già, ho un’estrema consapevolezza di me stessa.
Eppure, quando conobbi lui, ebbi qualche confusione nella mia mente: ed è strano, perché io non tendo mai a cambiare pensiero. È come se una forza esterna si fosse impossessata di me, qualcosa di strano ed estremamente eccitante.
Ma partiamo dal principio così che voi, miei cari lettori, possiate capire ciò di cui sto parlando.


Compivo i miei vent’anni in quel funesto anno, in cui le stagioni non si riconoscevano più e l’estate sembrava tardare ad arrivare: io che odiavo l’inverno. Il cielo era sempre coperto da folte nubi, ad esclusione di rari giorni in cui il sole si faceva forte e inondava piacevolmente la terra e ogni cosa ad essa connessa: erano quei rari giorni in cui mi sdraiavo nel mio piccolo giardino a godermi del calore solare, mentre i miei vicini si divertivano a fissarmi tutto il santo tempo. Era alquanto fastidioso, ma alla fine mi ero abituata, sebbene Logan, mio fratello, fosse certamente meno felice di ciò: più e più volte glielo ha fatto notare e, alla fine, abbiamo cambiato vicini.
Già. Si sono trasferiti.
Poi decisi di fare un viaggio, per godermi un po’ di meritato riposo: io e mio fratello avevamo un’antica biblioteca, e Logan mi permise di assentarmi per un po’ di tempo liberamente. Così, durante il mese di Luglio, preparai le mie scarne valigie e salii sul treno, diretta a Los Angeles, la città che mi aveva tanto fatto sognare: soggiornai a Beverly Hills, in un bellissimo hotel dove non vi mancava nulla. Avevo prenotato una suite, con un grande letto e il panorama sulla città degli angeli dove, dal ventesimo piano a cui mi trovavo, si poteva scorgere la baia di Santa Monica: se non fosse che il viaggio mi aveva stremato, mi sarei fiondata immediatamente, ma decisi di prendermi la nottata per riposarmi e scatenarmi dal giorno dopo.
Erano le nove inoltrate quando uscì dalla porta della stanza, chiudendola con il pass, che misi nel portafoglio: indossavo solo un paio di pantaloni corti di jeans ed una canotta gialla con sandali bianchi, che facevano sembrare la mia pelle ambrata ancora più scura di quel che non era. Con una grossa borsa in tela piena di varie cose, grandi occhiali da sole bianchi sul viso e i lunghi capelli rossi stretti in una treccia, mi avviai alla spiaggia: presi l’autobus per essere più veloce, ma già il secondo giorno decisi di utilizzare i rollerblade, per il semplice fatto che io odiavo la calca dentro ai mezzi pubblici.
Il traffico di Los Angeles era terribile, e arrivai in spiaggia quando oramai erano le dieci: mi fermai nel lettino che avevo prenotato, preparai ogni cosa che poteva servirmi e poi sfilai gli abiti, rimanendo col mio costume nero a due pezzi. Mi sdraiai sul lettino e rimasi lì per molte ore: per la maggior parte del tempo lessi attentamente un libro consigliato da Logan, per il restante tempo dormii ancora per la stanchezza del viaggio. Oh, io sono una persona molto pigra quando si annoia, non ho vergogna ad ammetterlo.
Erano le quattro quando una chiamata di Logan mi svegliò: risposi svogliatamente e gli raccontai che mi trovavo bene e che mi accingevo ora a mangiare qualcosa. Indossai i miei pantaloncini e mi avviai lentamente al bar che poco distava da me, dove mi sedetti per prendere un gelato: iniziai a mangiarlo tranquillamente, osservando la spiaggia. Alcuni bambini giocavano a pallone poco distanti da me, altri correvano con gli amici, mentre i genitori tendevano a rimanere seduti sotto l’ombrellone, chiacchierando, spesso troppo animatamente, tra di loro: non conoscevano il pericolo che potevano correre quelle creature innocenti, così appetitose e morbide. Avevo una passione per i bambini, sebbene erano molto magri, e il loro grasso non mi avrebbe aiutato più di tanto: erano però deliziosi, lì che saltellavano ignari che io, facente parte di una delle razze più temibile di Wesen, li stavo già pregustando nelle mie fauci. La fame, effettivamente, mi attanagliava lo stomaco in una maniera incredibile, in quei giorni di dieta forzata.
Poi qualcosa attirò la mia attenzione: un Genio Innocuo camminava lì, sulla spiaggia, a testa bassa e spalle cadenti, con lo sguardo che passava ai dolci bambini. Il suo sguardo era di dolcezza, il mio di famelico aspetto. Erano creature estremamente intelligenti, e lo sapevo, soprattutto perché quando mi guardò casualmente, spalancò gli occhi quasi spaventata: doveva aver intuito cosa io fossi, e, come doveva essere, ne fu assai spaventata. Indietreggiò velocemente, la vidi parlare con quelle creature e farle allontanare, mentre con vispo sguardo mi controllava: sentii la rabbia salire nel mio cuore. Che una creatura così insignificante disturbasse me e i miei piani, mi dava terribilmente noia: ero convinta a farglielo capire, tanto che mi alzai e seguii quella donna che ora si allontanava. Doveva aver capito l’errore che aveva fatto.
Aumentai leggermente il passo, quando entrammo in una seconda spiaggia, stavolta libera: la gente era sdraiata a terra, incurante di ciò che ora camminava tra di loro: una Dämonfeuer e un Genio Innocuo, due creature estremamente rare e, nel mio caso, potenti.
Poi vidi quel ragazzo. Un giovane moro, alto, con occhi verdi e una mandibola squadrata: aveva la pelle bianca, una barba non tagliata da due giorni e una ragazza, probabilmente tra le più brutte che io avessi mai visto, al suo fianco. Capelli lunghi castani che parevano stoppa, labbra disegnate male, pelle diafana e un volto povero, scialbo, che sembrava il più comune della terra: era davvero insignificante, e già la odiavo. E lui, invece, mi aveva colpito: lo vedevo guardarsi in giro, con quegli occhi che parevano di vetro, mentre scrutava la gente, alla ricerca di chissà quale terribile ed interessante segreto.
Lo capii quasi subito quando mi guardò e, nei suoi occhi, lessi il terrore: ne fui talmente colpita che lasciai quel Genio Innocuo sparire dalla mia vista, mentre scrutavo negli occhi di quello strano essere umano.


   
 
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