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Autore: The queen of darkness    02/06/2013    6 recensioni
La normalità sembra essere cementata nella vita quotidiana dei nostri amati personaggi...ma siamo sicuri che tutti siano d'accordo a queste condizioni?
--Naturalmente non possiedo nessun diritto su questa magnifica storia, creata dal genio di Miss Rumiko Takahashi--
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mirei stava raccogliendo dei fiori da dare a sua madre.
Aveva saputo da sua sorella che la mamma andava pazza per i fiori di campo, e papà aveva spiegato perché: “sono belli e semplici quasi quanto lei”. Il giorno del suo compleanno, ad esempio, aveva fatto un sorriso bellissimo quando sul futon ne aveva trovato un mazzetto e, onorando quella strana festa che Kagome aveva raccontato loro, Miroku le dava sempre dei minuscoli fiorellini bianchi da poco nati sotto il freddo strato invernale.*
Se in quel momento la bambina ci metteva così tanta concentrazione, era solo per risollevare il morale di Sango. Ormai erano quasi due mesi che non ricevevano notizie di Kohaku, e la sua ansia sembrava non conoscere pace. Andava avanti e indietro per casa come un fantasma, faceva il bucato rischiando di lasciar trascinare i vestiti dalla corrente, non riusciva a concentrarsi in ciò che faceva e, al mattino, aveva smesso di andare ad allenarsi nel prato.
Quest’ultimo evento, di fatto, era stata già di per sé una prova evidente della sua sofferenza. Per lei non c’era nulla di più importante dell’esercizio, non si stancava mai di ripeterlo anche alle figlie. Quando Usuke sarebbe cresciuto, avrebbe sicuramente ricevuto un’educazione militare tra le migliori. Un po’ Mirei si sentiva gelosa alla prospettiva, ma in casa era vietato istruirla anche solo in minima parte all’arte delle armi, così si limitava ad assorbire, famelica, quelle ore prima dell’alba dove poteva vedere la vera essenza di sua madre.
Nessuno lo sapeva, ma la bambina sgattaiolava sempre fuori quando lo faceva anche il genitore, con sorprendente puntualità. Amava vedere il suo corpo agile danzare fra le punti lucenti di spade arruginite, di falcetti ricurvi, frecce acuminate e pugnali nascosti. Nonostante i figli e la vita di donna di casa, la tuta nera le stava ancora a meraviglia, adattandosi ad un fisico atletico e scattante.
Eseguiva con precisione ogni singolo movimento, in un furioso balletto tanto letale quanto impareggiabile. La bambina nascosta tra le felci sognava e fantasticava di poterla eguagliare, un giorno, e custodiva gelosamente il proprio posto nascosto come punto d’osservazione. Poi, quando Sango poteva dirsi soddisfatta, la bambina sgusciava nuovamente nel proprio letto, facendo finta di nulla e non vedendo l’ora che arrivasse di nuovo il mattino seguente.
Mirei si spostò un po’ più lontano, per arrivare al gambo di una margherita sottile. Prese lo stelo tra le dita e, con gentilezza, lo raccolse dal suolo, prima di metterlo con attenzione nella sacca di stoffa improvvisata sul ventre. Non poteva accucciarsi troppo per paura di schiacciare le pieghe del kimono arrotolato, così si tendeva fino allo stremo per cogliere solo i fiori migliori.
Il caldo pomeriggio di inizio settembre stava brillando nel pieno del suo splendore. Sopra di lei nemmeno una nuvola, e l’aria tiepida le accarezzava i capelli come la mano paterna. Era un brivido così rassicurante che non si preoccupava nemmeno dello scorrere delle ore; semplicemente, voleva portare a casa la raccolta migliore della sua vita.
Avanzò di qualche altro passo, in una macchia d’erba ricca di piccoli petali azzurri, quasi slavati. Aveva saputo aspettare il momento perfetto: sua sorella era con la Divina Kagome a classificare le erbe mediche, suo padre era in viaggio e sua madre aveva deciso di distrarsi andando a cucire al telaio, al limitare del villaggio. La vecchia signora che lo possedeva era gentile: ogni volta che vedeva arrivare le gemelline, offriva loro qualcosa da mangiare.
Piano, acquattandosi fra gli steli alti dell’erba, aguzzò lo sguardo, certa di aver visto qualcosa muoversi. Il suo sguardo si illuminò: un coniglio! Sì, era proprio un conglietto bianco!
L’animale stava zampettando tranquillamente nella macchia verde, indisturbato. Annusava un po’ l’aria, muoveva le orecchie allungate e si tuffava su qualcosa da mangiare, masticando placidamente qualche gambo di margherita oppure anche un po’ di muschio.
Mirei ne rimase affascinata. Mai prima d’allora aveva avuto modo di osservare un esserino così piccolo da vicino, se si escludevano i bambini umani; sua sorella diceva che era tutta colpa del suo passo pesante, se le creature si spaventavano e scappavano via. Ma non era colpa sua, Mirei ne era certa: se amava ridere mentre correva non era di certo un problema, anche perché in tutte le favole che la madre le aveva raccontato, i coniglietti amavano le risate dei bambini. Solo gli oni malvagi scappavano se ne sentivano una, non di certo dei graziosi batuffoli di pelo.
Non provò nemmeno ad avvicinarsi, questa volta, affascinata com’era dal vederlo mangiare. Aveva imparato con l’esperienza che non è mai un bene infastidire un animale mentre mangia: ne aveva avuto un chiaro esempio con il Signor Inuyasha che, tutto preso com’era dall’ingozzarsi, se l’era presa con Shippo per il semplice fatto che, camminandogli davanti, gli aveva dato fastidio.
Delle volte sapeva essere davvero infantile, quello. Era per questo che spesso si era chiesta come facesse una donna tenera come la Divina Kagome a sopportarlo e, anzi, a volere adirittura un figlio da lui. Se doveva essere sincera, comunque, Mirei credeva fosse per le sue orecchie, le quali ricordavano molto il pelo morbido del coniglio. Quando l’aveva confidato ai suoi gentori erano scoppiati a ridere, ma lei lo pensava sul serio.
La testa dell’animale si voltò di scatto, cogliendola di sorpresa. Nella furia di trattenere un urlo, Mirei ebbe un singulto muto, ma tanto bastò per smuovere leggermente l’erba davanti a sé. L’animale doveva essere davvero molto sensibile perché, rizzatosi sulle zampe posteriori, aveva preso a correre dalla parte opposta come una furia, sparendo presto dalla sua vista. Nel muoversi, aveva emesso solo un leggero fruscio.
-Oh, che peccato – mormorò la bambina fra sé e sé, dispiacendosi di com’era andata a finire. Perché doveva essere sempre tanto maldestra, come diceva sempre sua sorella?
-Ancora tu – disse una voce alle sue spalle. Era profonda, nota e terribilmente minacciosa.
Questa volta, per quanta buona volontà ci avesse messo, Mirei non riuscì a trattenersi: diede sfogo allo spavento di pcoo prima e svuotò totalmente i polmoni con uno strillo acuto e penentrante, che quasi la stordì. Il suono squillante venne interrotto quando, voltandosi, scoprì chi aveva davanti.
Fra l’erba, poteva vedere solo due piedi. Erano comunque molto più grandi dei suoi, e dalle scarpe partivano due solidi pali nascosti dalle pieghe di candida stoffa rigonfia, mordida, che aveva lo stesso odore del ghiaccio. Una cintura colorata faceva da obi, ma la strana chiusura le faceva pensare alla particolarità del vestiario; il giallo svolazzante si univa presto ad un bordo rosso dipinto sulle maniche ampie, come macchie di sangue fresco.
Sollevando ancora un po’ lo sguardo, notò la cima di una lunga stola pelosa, morbida e calda, un’armatura chiusa con ganci sulle spalle e una massa di capelli argentei, perfetti, che ricadeva disciplinata come una colata di neve fusa, ben oltre le spalle.
Alzò la testa un altro po’, ormai senza più nessuna paura. La sua terribile curiosità l’aveva distratta da tutto il resto: doveva scoprire chi era il nuovo venuto e perché non aveva sentito il suo passo dietro di lei.
Il mistero venne svelato da una mezza-luna violacea sulla sua fronte, disegnata perfettamente sulla pelle diafana. Gli zigomi tesi erano colorati da cicatrici della stessa gradazione, sottili linee eleganti che sparivano oltre le orecchie affilate. Il naso stesso sembrava una lama, così dritto e fiero, mentre gli occhi gialli e intensi come la luna la stavano fissando con la consueta compostezza.
-Signor Sesshomaru! – esclamò, meravigliata. Una bambina di quasi sei anni accucciata nell’erba alta che fissava un demone di quasi due metri era uno spettacolo a dir poco comico.
Sesshomaru non rise, ovviamente. –Così sembra – si limitò a replicare, prima di passarle accanto senza voltarsi indietro.
Mirei non era un tipo che si arrendeva così facilmente. Nonostante tutte le cose che aveva sentito sul suo conto, credeva che anche lui fosse una brava persona; se una ragazza meravigliosa come Rin avesse deciso di dargli un figlio, significava che doveva avere moltissime qualità. E poi, anche se parlava poco, aveva una sorta di gentilezza nei suoi confronti che avrebbe comunque voluto ricompensare.
Si sollevò senza curarsi dei fiori, - ora una pioggia che aveva preso a cadere dalle sue ginocchia fino a terra -, e gli trotterellò dietro, fissando solo la sua schiena e le pieghe ordinate del kimono che si muoveva. Dovette sgambettare freneticamente per raggiungerlo, visto che poche falcate superavano nettamente una decina dei suoi passi, ma riuscì comunque ad affiancarlo.
-Ma allora non siete morto – constatò la bambina. Vedendolo così pallido, quasi quasi non ci aveva creduto.
-Non questa volta – disse, laconicamente, senza arrestare la sua avanzata.
-E tutto quel sangue? Come avete fatto a rimetterlo dentro?
-Non l’ho rimesso dentro – osservò semplicemente, continuando a fissare dritto avanti a sé.
Mirei assunse un’espressione dubbiosa. –Come avete fatto a sopravvivere senza?
-La nobile Rin mi ha curato – concesse.
La bocca della bambina di schiuse dalla meraviglia. –Oooh! La nobile Rin dev’essere davvero abile, allora.
-È così – confermò Sesshomaru, senza fermarsi ma rallentando, incosciamente, il passo.
Per Mirei fu un gran sollievo, poter smettere di affannarsi, e ora bastava soltando camminare speditamente per stargli appresso. Aveva ancora molti dubbi su come avesse fatto a rimanere in vita, ma la cosa che la crucciava maggiormente era sapere come facesse ancora a muoversi. L’aveva visto sotto quell’albero, settimane prima: perdeva così tanto liquido rosso che tutto il kimono era inzuppato, e anche sulla corteccia era rimasto qualche segno color cremisi.
 -E…adesso dove state andando? – chiese di nuovo. Quella figura la incuriosiva così tanto che, visto che ce l’aveva a portata di mano, non voleva perdere l’occasione di intervistarla.
-A trovarla.
-A trovare chi? – Mirei proprio non capiva.
-La nobile Rin – spiegò Sesshomaru, con voce di un’ottava più bassa. Sembrava che per un attimo l’ambra nei suoi occhi si fosse schiarita, diventando simile al miele. Ma, non riuscendo a vederlo bene in viso, poteva benissimo darsi che fosse solo un riflesso. Nei capelli argentei, ad esempio, bastava un raggio di sole per far rimbalzare migliaia di sfumature lungo tutta la chioma.
-Le state portando un regalo? – chiese ancora, immaginando che il demone facesse la stessa cosa di suo padre, ogni volta che rincasava da un viaggio lungo.
Il demone ci mise un attimo a rispondere, ma la sua voce distante si fece udire lo stesso: -Sì.
Ancora una volta, Mirei aprì la bocca dallo stupore. –Che bello! E che cos’è?
-È una sopresa – spiegò il demone, dandole solo un’occhiata di sfuggita, - non si può dire.
La bambina rimase delusa, ma capiva che i giochi fra le persone amate andavano rispettati. Aveva sentito al villaggio che Rin aspettava con ansia il suo ritorno, e il regalo era una conferma del fatto che lui le fosse di nuovo accanto; forse, se l’avesse svelato a qualcuno, non avrebbe avuto lo stesso effetto. Fu per questo che decise di non insistere.
-Signor Sesshomaru…posso domandarvi una cosa? – disse Mirei, in un raro momento di silenzio. Non aveva mai smesso di corrergli appresso, e ora si sentiva stanca. Aveva voglia di sedersi, ma non avrebbe mollato l’osso per nulla al mondo.
-Non  mi pare tu abbia fatto altro, fino ad adesso – osservò, lanciandole un’occhiata di sbieco. Non era ostile, però.
-Ecco, è un favore – spiegò la bambina.
Il demone non disse nulla, continuando a percorrere, instancabile, il sentiero. Andava a passo sicuro: era la stessa strada che aveva percorso mille volte per passare dal retro del villaggio ed evitare, nel suo cammino, di dover parlare con degli umani qualunque. In genere era un’astuzia infallibile, ma quella volta non aveva potuto prevedere che avrebbe trovato la ragazzina.
Era così simile a Rin che gli stava facendo male al cuore. Avevano lo stesso timbro di voce squillante, acceso, allegro, che lo faceva sentire veramente a casa; certo, si assomigliavano molto, ma qualche piccolo dettaglio gli ricordava come mai avesse voluto fare della bambina, una volta cresciuta, la sua donna. Il viso della ragazzina vicino a lui era pressochè identico a quello materno. Anche se non aveva avuto termini di paragone da confrontare, era sicuro che Rin avesse ereditato la sua espressione dal padre, così come lei stessa aveva poi rivelato.
-Che genere di favore? – chiese infine, cedendo. Se si fosse trattato di qualcosa che avesse avuto a che fare con gli umani, non si sarebbe affatto sentito in colpa di piantarla lì in asso.
La faccia di lei si illuminò con un sorriso speranzoso. –Una cosa veloce veloce – promise. – Devo solo prendere un fiore da un ramo per la mia mamma, ma è troppo alto, non ci arrivo.
-Quale fiore? – disse, senza arrestarsi.
-Uno di quelli lì – rispose, indicando con un dito una pianta possente, vicino a loro. Il profumo delicato dei suoi frutti prossimi a raggiungere la loro massima bellezza gli aveva solleticato le narici sensibili sin dal suo arrivo.
Non c’era dubbio, la piccola stava puntando proprio quello.
-La magnolia?
-Esatto! – esclamò, entusiasta. –Proprio quella!
Sesshomaru stette nuovamente in silenzio, come meditando su quella semplice richiesta. Per lui non sarebbe stato un problema allungarsi fino ad un ramo e cogliere un fiore, visto che era sufficientemente alto da raggiungere anche petali superiori a quelli desiderati, ma se non accettò fu a causa del suo orgoglio, ancora una volta.
Gli pareva quasi di intessere una sorta di rapporto amichevole con la bambina, se avesse accettato la richiesta. Forse, accontentandola, sarebbe rimasto indissolubilmente legato a quella creaturina curiosa come era già successo con Rin. Ovviamente non sarebbe successo lo stesso che era poi accaduto con la sua attuale donna, fin troppo chiaro, ma mal sopportava di avere troppi ammiratori fra le schiere umane. Sopportava la gratitudine solo se era derivata dal terrore: se un uomo aveva paura di lui, allora non gli sarebbe andato appresso come un lacchè.
Jaken, sua unica compagnia per molti anni, aveva da tempo smesso di infastidirlo con la propria  presenza. Rin, invece, non gli era nemmeno mai stata di peso. Non desiderava, però, avere una nuova ammiratrice con cui doversi fronteggiare ogni volta che fosse entrato al villaggio.
Tuttavia, mentre continuava a risalire il sentiero con una calma che non gli apparteneva nel passo, arrivò ad un bizzarro compromesso. Non era forse vero che Rin era in attesa di un figlio? Quel bambino, o bambina, sarebbe stato esattamente come Mirei; forse, se avesse ereditato dalla madre, ne avrebbe condiviso il temperamento ( e Sesshomaru un po’ ci sperava, perché non si sarebbe mai sentito in pace con sé stesso sapendo di aver fatto avere il proprio carattere ad un’altra persona) oppure l’indole. In quel caso, si sarebbe trovato vicino un’altra personcina perlomeno simile a lei.
Quindi, perché non provare a vedere a cosa portava soddisfare una sua richiesta? Perché non cercare di capire come gestire la situazione? Se fosse capitato con suo figlio, non avrebbe voluto farsi cogliere impreparato. Fu questo a farlo decidere una volta per tutte: il desiderio di essere all’altezza delle aspettative che Rin meritava.
Senza dir nulla, anche perché non avrebbe saputo come spiegarle che l’avrebbe accontentata, si fermò sul limitare del bosco che doveva attraversare, lasciandosi un attimo trasportare dall’intenso e delicato profumo dei fiori.
Anche se non l’avrebbe mai ammesso, la magnolia gli ricordava il profumo di Rin. Quando l’aveva conosciuta, nonostante fosse sporca e insanguinata, appena fuggita da una strage, il suo olfatto aveva trovato sollievo nell’eleganza del suo odore. Quando si vive un’esasperata condizione di continua analisi di fragranze, si prova un sollievo smisurato nello scoprire un profumo tanto dolce quanto discreto; non era un’essenza complicata, e proprio lì stava la sua bellezza.
Amava i capelli dell’amata anche grazie al loro profumo. I momenti migliori arrivavano quando poteva immergere il viso nella sua massa color mogano mentre lei dormiva. In quegli istanti, il mondo intero si dissolveva, senza apparire fino al mattino.
Nel frattempo, Mirei aveva aspettato con ansia un qualsiasi responso. Aveva guardato con disappunto il demone avvicinarsi ad un albero, e per un momento aveva addirittura pensato che fosse sua intenzione distruggere la pianta per farle dispetto.
Niente di tutto ciò, comunque; lentamente, il braccio si era teso in tutto il suo candore, scivolando lentamente fuori dalla manica e mostrando la forma affusolata e guizzante. Le sue dita lunghe e aggraziate si posarono attorno ad un bocciolo semi-dischiuso, e le unghie evitarono con attenzione i carnosi petali bianchi col timore di rovinarli. Bastò solo una piccola stretta per toglierlo dalla sua sede e, con estrema eleganza, il fiore riposò sul suo palmo liscio come se fosse sempre stato quello il suo posto naturale.
Abbassò leggermente la mano alla sua altezza, in attesa. Mirei fissò affascinata la pianta come se fosse un gioiello splendente: le sue dita erano sempre state troppo maldestre per riuscire ad estrarre una simile meraviglia senza comprometterne la bellezza. Agiva troppo in fretta, o troppo approssimativamente, e non riusciva mai a trasportare, nella sua compattezza, il tesoro che aveva colto. Vedendo Sesshomaru all’opera con tanta semplicità, si rese conto di cosa volesse dire l’espressione “tutt’uno con la natura”. Lui era parte integrante di essa.
-Non va bene? – chiese, infastidito, inarcando un sopracciglio candido.
La bambina si riscosse. –Oh, no! È perfetto! La mamma lo adorerà sicuramente!
Lasciò che le venisse affidato il prezioso regalo fra le mani, sentendone la freschezza sui palmi, entrambi stesi per accoglierlo al meglio. Poi, sollevò la testa e sorrise con tutto il cuore.
-Grazie mille, Signor Sesshomaru.
Il demone rimase un attimo fermo, immobile. Non era affatto strano che la sua postura non subisse nessun movimento, tuttavia quell’improvvisa staticità la spaventò un attimo, facendole temere di aver detto qualcosa di sbagliato.
Parve riscuotersi dopo qualche secondo: i suoi occhi recuperarono la solita luce, l’espressione glaciale rimase la stessa e, senza aggiugere altro, si voltò, prima di ripartire per il suo misterioso cammino. Anche se Mirei ne conosceva la meta, aveva sempre l’impressione che lui non fosse affatto legato alla strada, e che il suo viaggio non avrebbe mai conosciuto destinazione; Rin sarebbe stata soltanto una tappa passeggera, fin troppo effimera.
La bambina preferì non pensarci, perché non era il caso di lasciarsi andare a riflessioni così all’infuori del suo modo di ragionare. Si trovava più a proprio agio con delle cose semplici e lampanti, a differenza dei modi di fare di Sesshomaru; con lui era impossibile poter esprimere un giudizio efficace o riassuntivo, perchè era una creatura troppo complicata per essere domata. Tuttavia, si potevano avere delle sensazioni, su di lui, o delle congetture, ma nulla di più.
Se nemmeno i più grandi riuscivano a decifrarlo, allora significava che non era compito suo cercare una soluzione all’enigma da lui rappresentato. Così decise di lasciarlo al proprio mistero e di tornare dalla madre, che di sicuro era già rincasata da un pezzo.
Nel frattempo, dall’altra parte della pianura, Sesshomaru teneva il viso affondato in una chioma color mogano, e lasciava che la stranezza di quel giorno fosse in parte lenita dal tenero abbraccio di due braccia sottili.
 
*Si parla di San Valentino.
<3: Buongiorno! Scusate il ritardo, ma davvero sto schizzando male la maggior parte del tempo. Avete presente la sensazione di avere un collare spinato al collo? No? Beh, nel prossimo capitolo ve lo spiegherò.
Comunque, tralasciando la mia evidente follia, vi faccio le mie scuse più sincere. Siccome mi è venuta l’ispirazione, per rimediare alla mia imperdonabilità a livello “boss”, nel prossimo capitolo cercherò di inserire qualche schizzo fatto da me sulla storia. Del tipo qualcosina su Inuyasha e Kagome oppure fra Sesshomaru e Rin…niente di hot, vi avviso!! :D 
  
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