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Autore: Virginia Of Asgard    02/06/2013    2 recensioni
E' il mio primissimo tentativo di Long Slash. Abbiate pazienza :'D
"Non era solito ricevere John da solo. Di solito veniva sempre con Yoko, o con i suoi figli – e Yoko – “Paul, sono venuto a trovarti; Mi fai entrare, o mi lasci fuori?” domandò con la sua solita aria da sbruffone, quell’aria maledettamente affascinante. Esattamente, trovavo il mio migliore amico, John Winston Lennon, affascinate. Una cosa per nulla normale per un trentottenne sposato, un Uomo attratto dalle donne. Non propriamente normale per un uomo come Paul McCartney, essere strambamente attratto da un uomo come John. "
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: John Lennon , Paul McCartney
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Weed is not enough, for One Cold Night.
 
 “sono venuto per dirti addio Paul.” Mi disse fissandomi dritto negli occhi. La psicologia di quell’uomo era davvero particolare! Dovetti ammettere che ci rimasi biasito. Che cosa diavolo andava dicendo?
John non sei morto! Sei ancora qui! Non stai certo partendo per il Vietnam! Ovunque tu vada, ti potrò raggiungere in qualche modo, per saularti! Non dire così, suvvia!” esclamai preoccupato nel vedere gli occhi dell’uomo che amavo del mio migliore amico ricolmi di ansie e preoccupazioni, arrossati dal tempo. John guardò verso il basso, come mai non mi voleva guardare dritto in faccia? Che cosa diamine stava per dirmi, di così tanto grave?
“Paul…” lo sentii sospirare. Si accese una sigaretta, prima di continuare la frase, e poi riprese.
“Paul, se…se mi restassero poche ore di vita, o se restassero a te, diciamo; Che cosa faresti?” mi domandò aspirando dalla sigaretta. Dovetti pensarci per poco, la risposta mi sembrava ovvia: confidare i miei sentimenti a John, ma decisi che sarebbe stato,ecco…meglio cambiare un po’ la versione.
“Non saprei, John….credo, dire addio a tutte le pesrone più care, e cercare di fargli capire quanto io le possa amare, non saprei oltre a questo”
Rise, fra  i denti e le sottili labbra spuntò un sorriso, un sorriso che non vedevo da qualche mezz’oretta, da quando tutto era degradato, e le lacrime – a dir poco virili, ma sincere – avevano cominciato a sgorgare dai nostri occhi; quel sorriso cinico e beffardo: si stava prendendo gioco di me. Voleva la mia mente, la mia psiche, il mio tutto, solo per lui. Lo sapevo, ecco perché sorrideva così.
“Io, Paul, io farei tutto ciò che non sono riuscito a fare negli ultimi quarant’anni della mia vita. Per esempio….” Lo sentii deglutire, era tornato serio. Mi stava fissando, ora. Non osai immaginare quali pensieri stessero passando per quelle membra complesse ed arzigogolate più di un incatenamento di nodi. “Per esempio?” gli domandai, preso da quel magnete di psicologia inversa che stava sfruttando su di me, per farmi fare tutto ciò che voleva, come chiedergli di continuare la frase precedente. Credeva, povero Stupido John, lui credeva che ci stessi cascando, nei suoi tranelli. Nei suoi giochetti. Invece utilizzavo la sua psicologia inversa, contro di lui; Stavo al gioco. Unicamente si trattava di stare al gioco, prevedere ogni sua imprevedibile mossa, anteporre ogni sua parola, precedere ogni suo gesto, azione. Mi piaceva precederlo mentalmente, lui non poteva scoprirlo, ed io potevo osservarlo e divertirmi a pensare ‘adesso si alza e va in bagno’ oppure ‘ sta per dirmi che se ne fotte del sistema’ o ‘tra poco sbufferà, poi sorriderà facendo qualche battutina in stile Lennon’. E la maggiorparte delle previsioni si avveravano.
Lo conoscevo, diamine se lo conoscevo da tempo! A volte mi chiedevo se anche lui facesse lo stesso, nei miei confronti. Non ero mai stato tanto legato ad uno dei Beatles tanto quanto lo fossi con John. Per esempio raramente prevedevo George, e Ringo quasi mai. Ma John, con lui era tutto, completamente, diverso.
Per esempio…” lo sentii ripetere, mentre rifletteva. Non avevo mai sentito quel tipo di voce, così bassa, così…stranamente…eccitante. Quella sera sembrava avrei scoperto parecchie cose su John, che prima non sapevo.
Mi vantavo, diamine, mi vantavo di conoscere ogni suo maledetto, e benedetto lato. Io c’ero stato quando Julia era morta, e questo mi bastava per sapere che lui mi considerava più di un migliore amico. Io c’ero stato anche quel giorno in cui ci ingaggiarono ad Amburgo; C’ero quando aveva messo incinta Cynthia, e c’ero anche quando l’aveva abbandonata per Yoko. Avevo scritto una canzone, per suo figlio, perché non si sentisse solo, avevo scritto delle canzoni con lui, con il mio migliore amico. Avevo vissuto ogni istante con lui, eppure non lo conoscevo ancora abbastanza. Tutt’un tratto mi guardò, e sorrise nuovamente. Si avvicinò a me, lentamente, timidamente. Lo vidi strizzare gli occhi di nascosto, era contrariato. Ciò che stava per fare andava contro il suo volere, ma lo stava facendo comunque. Strizzava gli occhi ogni volta che non desiderava fare qualche cosa, e voleva fermarsi di colpo, ma non questa volta. Questa volta si avvicinò a me, e non ebbi il coraggio di muovermi. Questa volta non l’avrei predetto, perché il mio cuore batteva troppo velocemente, per permettermi di ragionare sulle sue mosse.
Che diavolo stava facendo?
Si avvicinò, e senza pensarci due volte mi baciò. Sentivo le sue labbra sulle mie, e non avevo intenzione di mollare. Sentivo la sua barba a fior di pelle, pungermi il volto, sentivo le sue mani sulle mie spalle, la sua lingua sulla mia.
Chiusi gli occhi e senza pensarci un secondo, gli levai quella camicia di lino, ma lo feci lentamente e timorosamente. Avevo il terrore che potesse tirarsi in dietro all’ultimo, lasciandomi solo a fare una figura al quanto di merda.
Mi sorrideva, maliziosamente,mentre sbottonavo bottone dopo bottone. John mi levò la maglia di cotone a maniche lunghe, che tenevo per starmene in casa – molto più velocemente di quanto avessi potuto fare io – e la lanciò in un punto impreciso della casa. Sentii i suoi muscoli tesi a contatto con le mie mani, che sfioravano lentamente quel ventre magro e secco, tremendamente gelato. Aveva una strana cicatrice, sul petto…una cicatrice che non avevo mai visto su John. Sembrava piccola e tonda, come perforata da una pistola. Passai un dito lievemente su di essa, e lo guardai, in cerca di spiegazioni, di motivazioni. C’era una parte di lui che non conoscevo? C’era davvero? Quella cicatrice era l’incognita, che mi portava a chiedere che cosa fosse successo a John, perché fosse ferito , perché non ne sapevo nulla.
Ma lui stagliò via il mio braccio dalla cicatrice, per cercare qualcosa di più confortevole, come l’avvolgersi di due corpi nudi e freddi, per crearne uno solo, e caldo. Mi fece distendere a terra, ed iniziò a giocare coi miei capelli.
“Era una vita che desideravo averti, Paul. Ecco che cosa…farei” mi sussurrò lentamente, guardandomi negli occhi, quasi commosso. Rabbrividii, ed i segni di quel gesti si notarono sulla mia pelle. Sorrise, e si avvicinò al mio volto, facendo sì, che i nostri nasi si sfiorassero. “Sei una bellissima principessa” sussurò nuovamente, passando il palmo della sua mano lungo il mio dorso nudo ed infreddolito. “Sei un coglione, John” sussurrai a mia volta, trascinandolo sopra di me, sopra il mio corpo, per sentirlo ancora una volta mio.
Non m’importava del fatto che fosse un uomo, e che ci stessi praticamente scopando, e che mi piacesse pure; M’importava unicamente del fatto che fosse John, e non uno qualunque.
***
La serata andò avanti stranamente. Così tanto stranamente che mi svegliai nel mezzo della notte, nudo, accando al corpo, ugualmente nudo, di John. Lui era sveglio; fumava assorto. “Sai cos’altro farei, Paulie?” mi domandò fissando il vuoto, azzeccando il fatto che io mi fossi svegliato fra le sue braccia, nonostante non mi stesse guardando. Arrossii per il fatto di quella stramba e sconvenevole situazione, ma attesi che proseguisse mugugnando un “Mmh” piuttosto silente. John mi rivolse uno sguardo: aveva gli occhi arrossati e stanchi, la pelle non più forte come una volta, e quegli occhialetti tondi, tipicamente suoi. “Mi fumerei un bel cannone!” esclamò stirando le sottili labbra in un sorriso malizioso. Avevo già capito: mi sarebbe toccato usare la mia dose di erba per lui. Ma era un prezzo che ero dispostissimo a pagare, in cambio delle sue attenzioni. Sbuffai pigramente. “Hai delle cartine lunghe, almeno?” gli domandai, per un attimo dubitoso dal fatto di avrene avanzate alcune. “solo corte, Paul!” mi disse mortificato. Scrollai le spalle “Si può fare lo stesso, dammene due!” gli dissi mente mi alzavo timidamente e pudicamente, cercando di coprirmi con una delle due coperte di Pile. Mi alzai ed andai in camera, a prendere il mio piccolo sacchettino di Marijuana, e poi tornai da John, ma prima gettai qualche ceppo di legno in più, per risvegliare il fuoco assopito.
John mi porse le cartine, sentii la sua mano carezzare dolcemente la mia, prima di sfilarla via, lasciandomi unicamente con le due cartine nel palmo. Non osai guardarlo, ma arrossii. Lo sentii ridacchiare soddisfatto: se ne era accorto eccome, dannazione!
Feci il mio lavoro di unione, e poi iniziai a girare l’erba già sgrindata[1], mentre John pensava al filtro. Finii la canna con estrema delicatezza, poi l’accesi aspirandone in gran quantità. Rilassai il mio corpo e feci uscire lentamente il fumo dalle mie labbra.
“Cristo!” commentai rilassato, mentre continuavo ad aspirare ed espirare. John si avvicinò, avvolto dalle coperte, e dopo altri due o tre tiri mi levò la canna dalle dita, e ne aspirò il fumo a sua volta.
“Vuoi fare una cosa…divertente?” mi domandò sorridendo con malizia. Lo guardai spalancando gli occhi. “tipo?” domandai. Allora lo vidi aspirare profondamente, mentre il fumo entrava nei polmoni; si avvicinò a me e mi fece aprire la bocca, dopo questo espirò i residui all’interno della mia cavità orale. Aspirai il suo fumo, e soddisfatto espirai. “Tocca a me” dissi, facendo lo stesso, incapace di calmare i bollenti spiriti che si risvegliavano, in presenza di un John Lennon così attraente ed intrigante.
“John?” lo chiamai con voce bassa e lenta, dovuta agli effetti della Ganja. “sì?” rispose John buttando gli ultimi residui della canna, tra le fiamme ardenti del camino. “Come ti sei fatto quella cicatrice?” domandai sfiorandogli il petto, nella zona in cui avevo scorto quella cosa.
Un pazzo fanatico, aveva deciso che era ora di giocare a fare Dio, decidendo quando far morire certe persone”.

N.d.A.: scusate per l'estrema brevezza, e scusate se non ho descritto per nulla bene, il rapporto fra John e Pasl. Premetto che è la prima storia Slash che scrivo, in tutta la mia vita. Non sono per nulla un'esperta di queste cose XD quindi, perdonatemi 


[1] Sgrindare in gergo significa tagliuzzare l’erba ed unirla a del tabacco, per renderla fumabile. Il verbo deriva dal Grinder, un oggetto che serve, appunto, per sminuzzare l’erba e raccoglierne il polline. Non chiedetemi come diavolo faccio a saperlo.
   
 
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