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Autore: Damson    04/06/2013    2 recensioni
Questa storia è un adattamento moderno del romanzo di Jane Austen Orgoglio e Pregiudizio. Speriamo che l'autrice non si offenda troppo per le eclatanti modifiche alla trama da noi apportate: purtroppo le abbiamo ritenute necessarie.
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“Non sta evitando te, sta evitando Wickham.” cercò pazientemente di farla ragionare Giovanna.
“E, dato che ci esci in continuazione, non gli stai certo facilitando le cose.” rincarò la dose Carlotta.
Andrea guardò basito Elisabetta, dato che l'amica non faceva altro che offendere Darcy per lui era appurato che le facesse schifo: “Wow! Lisa ma cosa combini? È un super triangolo!” gongolò entusiasta, la cosa si stava facendo più interessante del suo programma preferito Cortesie per gli ospiti.
“Non c’è nessun triangolo chiaro!? Il triangolo è solo nel cervello di Giovanna e Carlotta!”
“Tua madre sarebbe al settimo cielo a sentire una storia così.”
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6.
Scherzo
 
 
"MARK DARCY: Stasera sei stata leggermente ridicola.
BRIDGET JONES: E tu sei stato leggermente stronzo." 
(Bridget Jones: The Edge of Reason)
 


Secondo l’ineluttabile legge per cui Bingley dovesse fare ogni sciocchezza che gli veniva alla mente (basti pensare al fantastico affare della Vespa) ne risultava che non fosse affatto difficile convincerlo a prendere decisioni avventate.
Se poi questo qualcuno era Giovanna non c’era alcuna speranza di riportarlo alla ragione.
Naturalmente la maggiore delle sorelle Benetti aveva comunicato ad esclusivo scopo informativo che il giorno successivo lei e Carlotta sarebbero andate a Pisa a trovare Elisabetta (impegnata da due giorni ad aiutare il professore con le sessioni d’esame); ma Charles lo prese come un invito. Così iniziò letteralmente a perseguitare Darcy per convincerlo che una bella gita a Pisa nel mese più caldo dell’anno era una trovata geniale, finché quest’ultimo non si arrese pur di farlo stare zitto.
Così si trovarono per la seconda volta a bordo della Passat, in compagnia della dolce Caroline (che non poteva certo lasciare la sua preda), ammassati come sardine, con una temperatura così alta che pareva impossibile non sciogliesse la carrozzeria di quel catorcio di macchina.
Un volta arrivati a destinazione, Carlotta si rallegrò con Giovanna di dover rimanere a Pisa per una cena con i compagni della scuola notarile, evitando così un viaggio di ritorno al quale non sarebbe sicuramente sopravvissuta.
 
 
“..E questa a sinistra è la facoltà di Lingue, dove io studio, lavoro, faccio gli esami.. e dov’ero fino a ieri sera alle sette, quando la simpaticissima custode mi ha chiuso dentro il dipartimento!” Spiegò Lisa, indicando con un gesto plateale un bell’edificio cinquecentesco di colore scuro.
“It’s wonderful!” Esclamò Bingley, per la millesima volta da quando erano scesi di macchina. Carlotta, che camminava accanto a Elisabetta, rise di nascosto dell’ammirazione che Charles mostrava anche per la più sudicia pietra di quella città.
“Secondo te troverà wonderful anche piazza delle Vettovaglie?” Sussurrò nell’orecchio all’amica.
“Non lo so, ma stasera lo scopriremo!”
“Cosa?!?!”
Sul volto di Lisa apparve un sorriso mefistofelico “Non vorrai non toglierti la soddisfazione di portare il nostro amico Fitzwilliam nella piazza più sporca e piena di loschi individui di tutta la Toscana!”
Carlotta si voltò un attimo per osservare il diretto interessato; il quale, in quel momento, aveva un problema molto più grande da risolvere. No, non era il caldo tropicale; bensì una Caroline resa più soffocante dall’assenza di Andrea (il quale doveva sostenere proprio in quel giorno il suo solito esame annuale e mai perdonò il professore per la scelta di una data così infelice).
“Ci ammazzerà!” Protestò Carlotta, un po’ preoccupata.
“Prima deve sopravvivere lui..”
“Però la sua inglesissima attinia potrebbe uccidersi incastrando i tacchi in quel selciato dissestato.. che idea allettante!”
“Te lo immagini se un ubriaco le vomita sul vestito di Versace?”
“Potrei ubriacarmi io solo per avere questa soddisfazione!”
Darcy osservava un po’ indispettito le due ragazze che camminavano diversi metri avanti a lui con fare complice; il fatto che l’avessero lasciato solo con la sua nemesi e il sospetto che uno degli oggetti della loro divertente conversazione fosse proprio lui le rendeva oltremodo odiose ai suoi occhi. Chiaramente non poteva sperare nell’aiuto di Charles, il quale piroettava nel suo meraviglioso universo completamente ignaro dell’angoscia dell’amico e di tutti i problemi del mondo: non si capiva con chiarezza se trovasse effettivamente bella la città o la presenza di Giovanna rendesse meraviglioso il palazzo della Normale come il chioschetto delle granite all’angolo.
Mentre il povero lordino inglese si andava perdendo in monologhi interiori, il fato decise di andargli in soccorso sotto forma di una canzone di Lady Gaga: mai la suoneria del cellulare di Caroline gli era parsa così bella e melodiosa.
Non lasciò nemmeno il tempo alla donna di rispondere che, con un guizzo felino, si era giù unito alla coppia di amiche.
“Presumo che dobbiamo ringraziare la tua educazione per averti portato qua da noi.” Gli sorrise Lisa, facendogli l’occhiolino. Carlotta notò un certo imbarazzo nell’uomo di fronte a quella confidenza, ma non pareva affatto infastidito.
“Prego?” Domandò Darcy: a volte, nonostante la sua ottima conoscenza dell’italiano, faceva fatica a stare dietro alle arzigogolate frasi della ragazza. Sostenere una conversazione con lei era come salire sulle montagne russe per poi scendere mezzo intontito: se riuscire a rispondere alle sue provocazioni era difficile, l’ulteriore complicazione della lingua faceva di lei un mix letale.
Va tuttavia aggiunto che, con una notevole dose di cattiveria, Lisa usava appositamente con Darcy un linguaggio zeppo di subordinate e parlava molto più veloce del solito, solo per il gusto di metterlo in difficoltà. Farlo sembrare e, soprattutto, sentire un idiota era un piacere per lei incommensurabile, al quale si applicava con passione e diligenza.
“Non origlieresti mai una conversazione telefonica altrui.”
“Infatti.”
“Però adesso stai origliando la nostra personalissima conversazione non telefonica.”
Carlotta abbassò leggermente la testa, per evitare di scoppiare a ridere in faccia alla povera vittima di Elisabetta.
“Perdonatemi, vi lascio continuare allora.” Rispose Darcy, un po’ seccato.
“Stavo scherzando Fitzwilliam” Rise Lisa, preoccupandosi però di scandire ben bene le sillabe del nome.
“Preferirei essere chiamato per cognome.”
“Lo avevo intuito dalla faccia schifata che fai ogni volta che Caroline ti chiama per nome..”
Darcy avrebbe voluto chiederle perché allora l’aveva chiamato Fitzwilliam anche lei; ma, intuendo la risposta, preferì tacere.
“Come mai ti fai chiamare per cognome? Perché non ti piace il tuo nome o perché adori in maniera viscerale le formalità?” Incalzò Elisabetta, sinceramente stupita che l’uomo non fosse ancora andato all’anagrafe a scegliere un nome che si conciliasse meglio con qualsiasi velleità di vita sociale.
“Non è che non mi piace; ma sin da piccolo sono abituato a farmi chiamare Darcy. Tutto qui.” Rispose lui laconico e non ci fu verso di cavargli di bocca altri particolari sulla questione; tanto che Carlotta, che era sempre molto diplomatica, si arrischiò ad entrare nelle conversazione.
“Che ne pensa di Pisa, signor Darcy? …A parte il caldo, intendo.”
L’uomo sembrò leggermente sollevato.
“E’ piccola ma abbastanza carina.”
Quell’ abbastanza carina rimbombò nelle orecchie di Elisabetta, facendole tornare a mente il passabile con cui lei era stata classificata: il fatto che trovasse Pisa leggermente più bella di lei poteva essere consolante.. o forse no?
“Visto che vieni da un paese pieno di pecore e sassi speravo in un effetto migliore.” Sentì l’irrefrenabile bisogno di commentare.
“L’Inghilterra sarebbe un paese di pecore e sassi?!” La guardò sconvolto di Darcy, stavolta punto sul vivo.
“..e qualche castello, lo concedo; anche se i più belli sono quelli scozzesi.”
“Quando avrete una città come Londra forse potremo riparlarne; e non un museo a cielo aperto come Roma.” Rispose a metà tra l’ironico e lo stizzito. Questa era bella: farsi offendere da un’italiana! Mancava solo il discorso cliché sul bidet e se ne sarebbe tornato a Castiglione.
“Forse perché voi non siete stati in grado di costruire niente fino al medioevo, a parte due pietre storte?!”
Carlotta, da parte sua, decise di tenersi a debita distanza dal battibecco e lasciare che Lisa si azzuffasse con Fizt-e-qualcosa. Non condivideva l’antipatia (e l’ eccessiva simpatia, iniziava a pensare) dell’amica per Darcy; ma, non riuscendo ad essere espansiva come lei, le risultava difficile liberarsi di quello strano timore che l’uomo riusciva a incuterle.
Per sua fortuna la disputa fu improvvisamente interrotta, prima di diventare un vero e proprio duello, dalle grida beduine di Bingley che era appena entrato in piazza dei Miracoli.
 
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“Chi vuole un po’ di alcol!?” Propose trionfate Lisa, dopo aver conquistato con l’ennesima gomitata un rispettabile angolo di Piazza Garibaldi (l’unica ad offrire un vero e proprio megaschermo per la visione di Italia-Inghilterra). Com’era possibile che tanta gente potesse entrare in quello striminzito lembo di terra?! Compressione dei solidi?
“Ma abbiamo appena trovato posto!” Protestò Carlotta, massaggiandosi il piede dolorante per un pestone ricevuto poco prima da un pisano sufficientemente alticcio “Non vorrai farci smuovere.”
“Non ti angustiare mia cara. Io e il volontario Darcy andiamo a prendere da bere per tutti. Voi tenete il posto! Birra per tutti?”
“Io niente Lisa, grazie.” Sorrise dolcemente Giovanna.
“Sei una guastafeste, come sempre! Pur tuttavia suppongo che a Charles vada particolarmente a genio la mia idea, visto che gli si sono illuminati gli occhi al solo sentire il suono della parola birra.” Sghignazzò Lisa, facendo un gesto al ragazzo per attirare la sua già pronta attenzione “Do you want a beer, Charles?”
“It’s a stupid question! Sure! I’m english!!” Gridò questi impaziente “Darcy, big beer for me please.”
“What?”
Il povero Darcy, recluso al margine del gruppetto, stava pensando a quanto fosse stata incredibilmente geniale l’idea di Caroline di tornarsene in albergo (inorridita al solo pensiero di dover stare a contatto con ubriaconi sudati e rumorosi), quando udì vagamente chiamare il suo nome e, in meno di un secondo, si ritrovò trascinato da Lisa per l’ennesima volta nella calca.
Se avesse fatto più attenzione allo sguardo sconvolto con il quale Carlotta lo seguiva avrebbe intuito il pericolo.
Il tempo di svoltare due angoli puzzolenti e lo scenario che gli si parò davanti gli fece per un attimo desiderare di essere da solo in camera d’albergo con la sua stalker: in una piazza male illuminata e sporca decine di persone, alcune con delle facce davvero poco raccomandabili, se ne stavano in piedi o ammassate su dei gradini intenti a tracannare roba dagli strani colori.
Stava per prendere Elisabetta di peso e trascinarla via, quando notò con orrore l’espressione distesa e completamente a proprio agio della ragazza.
“Vieni, andiamo nel primo bar. Lì le birre costano meno.”
“Perdonami, dove dovremmo entrare?”
“Qui, nel primo bar a sinistra. Non vedi? Direi di prendere quattro o cinque bottiglie.”
Alla vista di quel buco stracolmo di gente, Darcy non poté fare a meno di assumere un’espressione nauseata.
“Io non entro là!”
“Perché?”
“Guarda tu stessa.”
“Non è proprio lo Chat Noire, ma ce ne faremo una ragione.”
“Non mi dire che passi il tuo tempo in questo posto disgustoso!”
Elisabetta si gongolò a sufficienza ammirando il volto di Darcy deformato dal ribrezzo: il contrasto tra la sua figura elegante e impettita e l’ambiente circostante poteva risultare quasi artistica.
“A volte.”
“Ti avrei creduta un po’ più…” Iniziò a dire, ma si interruppe.
“Un po’ più cosa?”
Civile? Sensata? Pulita?
“Niente...” Mormorò, non riuscendo a mascherare il disprezzo “Io me ne vado di qui.”
“Devo prendere le birre prima.”
“Allora le prenderai da sola.” E, senza aggiungere altro, Darcy si allontanò, cercando di farsi spazio tra la folla ed al contempo senza farsi sfiorare da nessuno.
Elisabetta lo seguì con lo sguardo, stranita, finché non scomparve dietro l’angolo. Ed in quel momento sentì una strana sensazione agitarle lo stomaco: è vero, era colpa sua. L’aveva portato lì solo per fagli dispetto; che altra reazione si doveva aspettare? Si era immaginata solo di vederlo inorridire, impacciato finalmente in una situazione in cui, invece, lei si sapeva perfettamente muovere e poi sarebbe tornata trionfante da Carlotta a ridere di lui…
Ed invece la figura della stupida l’aveva fatta lei.
Ma, in fin dei conti, era solo uno scherzo innocente e lui, come sempre, aveva dimostrato di non essere altro un cafone. Un cafone acido, per giunta.
Quest’ultimo pensiero le cancellò dalla mente qualsiasi traccia di senso di colpa e sintetizzò l’increscioso episodio appena trascorso in semplice e quanto mai semplicistico concetto: Darcy è uno stronzo. Così, conscia e fiera di tale verità universale, se ne entrò tranquilla nel locale, dove uscì diversi minuti dopo col malloppo infilato in una borsina, e sorpassò, senza degnarlo di uno sguardo, l’oggetto del suo odio; il quale, non avendo avuto il coraggio di lasciarla lì da sola, era tornato indietro e si era messo in disparte ad aspettare che uscisse dal bar. Viva possibilmente.
Così Darcy lasciò sfilare Elisabetta davanti a sé e la seguì in silenzio.
L’allegria dei compagni, l’incredibile vitalità di Bingley (il quale nel frattempo aveva rimediato, chissà dove, una bandiera inglese e la sventolava felice a suo rischio e pericolo), il delirio per la vittoria e una giusta quantità di alcol fecero dimenticare in pochi minuti a Lisa l’arrabbiatura di poco tempo prima; mentre l’espressione seria che Darcy tenne anche nelle ore successive fu imputata alla poca sportività davanti a una sconfitta così netta.
 
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“Darcy, vuoi che guidi io?” Domandò Elisabetta dal sedile posteriore, sporgendosi in avanti senza accorgersi di aver piantato le ginocchia nella schiena del guidatore (il quale, da vero gentlemen, evitò di farglielo notare). Si era prefissata di dimenticare il piccolo alterco che avevano avuto la sera prima e stava mantenendo i suoi propositi; anche se, in certi momento, l’impresa non risultava assolutamente facile.
“Perché dovresti guidare tu?”
Contro ogni previsione, Darcy si era dimostrato quel giorno incredibilmente collaborativo con l’ilarità di Elisabetta, sostenendo una lotta sovrumana con la natura un po’ burbera del suo carattere.
“Non so se stai andando a sessanta perché temi un colpo di sonno o se lo vuoi far venire a noi!”
“Il limite è settanta su questa strada, come ben vedi; che, guarda caso, è proprio la mia attuale velocità” Rispose composto, indicando un cartello che stavano lentamente superando.
“Non penserai mica di fare cinquanta chilometri a questa lentezza spero!”
“La tua speranza è mal riposta.”
“Ti giuro che se non aumenti mi getto di sotto per protesta!”
“Allora mi vedo costretto ad azionare la sicura per i bambini.”
“Mi butterò da finestrino!”
“Credo proprio che quello dalla tua parte sia rotto.”
Lisa, presa dal panico a quest’informazione, afferrò la manovella e tentò, inutilmente, di abbassare il vetro: non solo era completamente bloccata, ma all’ultimo, disperato, tentativo rischiò di staccarsi.
“Stiamo scherzando!?!” Boccheggiò, sconvolta “Ma da chi l’avete noleggiata questa macchina?!? Dal marocchino che ricicla le bici rubate?”
Darcy si mise a ridere: il modo di parlare di Lisa lo divertiva tantissimo, anche quando cercava di metterlo in difficoltà.
“What are you talking about?”
Uno dei motivi (se non il maggiore) per cui Lisa voleva scendere il prima possibile da quella macchina decise che era ora di intromettersi nel dialogo dal quale era stata così crudelmente esclusa.
Secondo una legge non scritta per cui i maschi debbano imperativamente sedersi sui seggiolini anteriori della macchina, Bingley si era aggiudicato l’ambito posto accanto a Darcy (contendendoselo ferocemente con la sorella) e, naturalmente, Giovanna non poteva non sedersi subito dietro di lui in modo da intrattenere una conversazione privata destinata a durare gran parte del viaggio. Visto che Lisa si era premurata (inutilmente) di aggiudicarsi il posto all’altro finestrino, Caroline troneggiava tra le due sorelle, cercando, con una scadenza che andava dai cinque ai dieci minuti, di attaccare bottone con Darcy.
“I’m saying that this car has some problems” Le rispose, cortese, Lisa.
Probabilmente Caroline non apprezzò il gesto perché continuò a parlare rivolgendosi al pover’uomo, lamentandosi della macchina, del tempo, della strada e di qualsiasi cosa le venisse a mente, in modo da stroncare anche ogni minimo tentativo di Elisabetta di instaurare una conversazione duratura con il suo oggetto del desiderio.
La nostra eroina si dichiarò vinta e preferì ritirarsi nel suo angolino in silenzio ad osservare il paesaggio, pensando a quanto le mancasse Carlotta in quel momento.
Avrebbe, tuttavia, giurato di aver sentito Darcy premere con maggiore forza l’acceleratore.
Quando si trovarono a pochi chilometri da Villa Campobasso, Bingley uscì dal suo ritiro spirituale con Giovanna per rendere partecipi i compagni di viaggio della sua nuova, straordinaria, idea.
“Darcy! Let’s go home, I want to show my Vespa!”
“I think there isn’t a good idea, it’s a bit late and sun is setting.”
“Please! Plese!!”
“You can show it tomorrow..”
“Two minutes! Don’t be so straight!!”
“Darcy is right, Charles!” Intervenne immancabilmente Caroline “It’s too late and we are tired!”
Elisabetta sorrise inconsciamente: pareva un dialogo tra babbo e figlio, condito dai commenti della figlia bacchettona. Il povero Bingley smaniava e ripeteva continuamente please con una faccia da immortalare, per poi voltarsi e chiedere alle amiche di dargli manforte. Quando anche quest’ultime dissero di non essere affatto stanche e di voler vedere, se non fosse di troppo disturbo, la Vespa, le rimostranze degli altri due inglesi non valsero più niente.
 
Darcy ebbe il sospetto di aver commesso un errore fatale ad assecondare i capricci di Bingley quando vide quest’ultimo mettere in moto (con grande difficoltà) la Vespa e invitare Giovanna a fare un giro di prova. Furono inutili i consigli di prudenza e le ore perse a far capire a Charles come funzionassero le marce: il povero motorino partì con i due giovani a bordo tra atroci grida di dolore.
I camerieri si affacciarono di nascosto alle finestre per godersi l’ennesima prova dell’incompetenza di uno straniero con qualsiasi mezzo di locomozione che non fosse una bicicletta.
“Badalo, vuole fare il grosso con la bimba!” Ridacchiò uno di loro, senza dosare bene il tono della voce.
“Parla piano, scemo!” Lo rimproverò il capo, accennando con la testa a Darcy (il quale, per sua fortuna, al momento era troppo preoccupato per far caso a qualsiasi cosa) “L’altro parla perfettamente italiano.”
“Ed è anche incazzoso secondo me!” Si aggiunse una ragazza, sporgendosi un poco di più dalla finestra “..oltre che parecchio discreto.”
“T’è sempre garbata la gente brutta Lucia!”
“Ma sarai brutto te, Riccardo!”
“Vorrei proprio sapere chi sono quelle ragazze con loro.. Non mi paiono delle riccone puzzolenti. Oltretutto quella del rosso sembra una bella figliola…”
“A me basterebbe sapere se si fermano a cena o meno!” Sbuffò il capo, guardando con sufficienza la Vespa che percorreva a tutto gas il viale dei cipressi. “Poi si lamentano che si cena alle dieci e non al loro orario da inglesi!”
“Mangeranno quando è pronto!”
“Oh Ricca! Ma questa qui sotto un è di Castiglione?!” Li interruppe Lucia, indicando Elisabetta.
“Toh, ma è Lisa!!” Esclamò il ragazzo, incredulo “O cosa ci fa qui?! Ma bada che..”
Non fece in tempo a finire la frase che un fortissimo stridere di ruote catalizzò l’attenzione di tutti i presenti: la Vespa, destabilizzata dalla ghiaia e dall’inesperienza del conducente, era scivolata da un lato per diversi metri, portando con sé i due passeggeri.
Se avesse fatto attenzione Lisa avrebbe potuto sentire, per la prima volta, un’imprecazione uscire dalla bocca di Darcy; peccato che fossero entrambi troppo occupati a correre verso il luogo dell’incidente.
Una volta accertatisi con una rapida occhiata che nessuno dei due si fosse fatto nulla di serio, Darcy prese delicatamente in braccio Giovanna ed Elisabetta porse la spalla ad uno zoppicante Charles, mentre parte del personale accorreva ad aiutarli muniti di cassetta del pronto soccorso.
Le grida isteriche di Caroline (non era riuscita a muoversi di un centimetro tanto la paura l’aveva paralizzata! Le tremavano ancora le mani: prima o poi Charles le avrebbe fatto venire un infarto) accompagnarono la medicazione; alle quali seguì, a breve distanza, una filippica su quanto caldamente gli avesse sconsigliato di comprare quella sottospecie di scooter da un vecchio ubriacone che Dio solo sa cosa ci avesse fatto.
Lisa, seduta accanto alla povera Giovanna, staccò per un attimo lo sguardo dalla medicazione per rivolgere un sorriso di ringraziamento a Darcy, il quale rispose con un rapido cenno, per volgere di nuovo gli occhi inferociti sull’amico. Nemmeno il dolore della medicazione avrebbe potuto punirlo abbastanza per la sua stupidità.
 
 

  
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