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Autore: miss potter    04/06/2013    1 recensioni
Vale la pena di lottare solo per le cose senza le quali non vale la pena di vivere.
Ernesto Che Guevara
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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La neve scrocchia e cede un po’, orme tondeggianti di pochi centimetri sotto le spesse suole degli stivali tirati a lucido, e mi basta battere un po’ i palmi, sfregare le mani avvolte nei guanti di pelo di lupo e soffiarci dentro per trovare un po’ di conforto a questo gelo.

È una mattina come un’altra in questo sputacchio di terra arida ai piedi degli Urali, gelida e calma, proprio come piace da queste parti, e il fumo sale già alto dai camini, disperdendosi in fretta e liberando nell’aria il vago aroma del carbone gettato a bruciare insieme agli sterpi secchi.

Gli aspri ed intermittenti rantolii dei colpi di tosse e il rumore sordo dei passi lenti, intervallati da altri più svelti nella neve, si confondono alla perfezione con il lagnoso ronzio delle vecchie caldaie e dei motori dei camioncini messi a riscaldare, creando un potpourri di suoni metallici e naturali in cui ben presto il fastidio lascia spazio ad una più corroborante assuefazione.

Sono particolari come questi che ti danno la forza di mettere un piede davanti all’altro, la mattina, poiché quando il naso continua ad annusare, pur colando, le orecchie a sentire, pur fischiando, e gli occhi a vedere, pur lacrimando, sai che la vita non ne ha avuto ancora abbastanza di te e che si è ancora abbastanza umani in questo traboccante calderone di disumanità e nefandezze d’ogni genere da poter ben sperare di avere ancora una minima possibilità con chiunque se la stia ridendo, lassù, del suo atroce e vigliacco Creato.

«Capitano compagno Jan!» esclama l’uomo massiccio e brizzolato seduto in solitudine a un tavolo sulla destra alla mensa degli ufficiali, e rabbrividisco per il palese sbalzo di temperatura dall’esterno all’interno.

Mi tolgo il cappello e gli sorrido freddamente mentre mi fa segno di prendere posto al suo fianco.

«Compagno Grigoriy» lo saluto, laconico, e mi accomodo di fronte a lui soffocando un lamento.

La mia povera testa…

«Come stai, compagno?» chiede portandosi alle labbra una tazza di latta contenente un limaccioso liquido biancastro e fumante.

Rido basso. Rido per l’ovvietà della domanda e della risposta che sa già.

Povero diavolo. È un buon cekista, pluripremiato, una moglie a Leningrado – che lo tradisce costantemente – ma un pessimo osservatore delle bufere dell’animo umano.

«Domanda di riserva?»

L’odore aspro che suppura da quella tazza mi fa rivoltare lo stomaco. Gli vomiterei sul vassoio se avessi mangiato qualcosa.

«Come fai a bere quella roba?» dico buttandola sul ridere, e storco il naso.

 «Ancora incubi?» cambia discorso, ma posa la tazza e lascia che la melma si raffreddi.

I suoi occhi sono due spilli grigi, affilati, e mi scalfiscono l’anima. Poche persone ne hanno la capacità e il diritto, a questo mondo.

«Fosse solo per quelli, compagno, a quest’ora avrei già risolto, te lo assicuro.»

«Jan, Jan… Sempre così tenebroso e criptico. Da quanto tempo è che siamo amici, hm? Lo sai che con me non hai segreti.»

Perché l’emicrania non mi lascia in pace? Ed ora comincia anche la gamba.

Chiudimi gli occhi, Grig, chiudimeli ora, ti prego…

«Di questi tempi, compagno, non se ne ha per nessuno. E non è necessario essere amici per sapere questo» sospiro, e lui con me.

Resa.

«Ti vedo pallido, compagno» dice dopo un silenzio ancor più nauseante della sua colazione, lentamente, assottigliando lo sguardo.

Che qualcuno mi chiuda questi fottuti occhi!

«Io… Io non…» balbetto.

Sono invisibile.

«Io… non ho dormito, stanotte.»

«Devi lasciartela alle spalle, compagno Jan, altrimenti ti soffocherà. E tu non vuoi soffocare, non è così?»

Sono una pietra. Non muovo un muscolo.

«Non voglio… soffocare.»

Accecami.

«Così, esatto. Respira. Non ci possiamo permettere di soffocare, noi.»

Lo faccio, lo sto facendo, continuo a respirare e, Dio, quand’è che ho cominciato a sudare con cinque gradi di temperatura ambiente?

«Ora,» continua, la voce bassa «ora chiudi gli occhi e ascolta attentamente le mie parole, Jan.»

Lo faccio, lo sto facendo, chiudo gli occhi e poi inspiro, espiro, inspiro, espiro

«Mi senti, Jan?»

«Sì.»

Dentro, fuori, dentro, fuori… Perché non sta funzionando?

Apnea.

«Io so di cosa tu hai bisogno in questo momento» dice, e sembra sicuro di sé. «Lo sai, Jan, di cosa hai bisogno adesso?

Ha la voce lontana, roca, quasi un sussurro. Le orecchie fischiano, le mani tremano.

Dentro, fuori. Si trema.

«Di cosa ho bisogno?»

Prende il respiro, i polmoni si gonfiano e il tempo si ferma. Meglio di una sessione di ipnosi profonda.

«Tu hai un disperato bisogno di una sana, galattica, fenomenale… scopata

Credo che quel pugno sul braccio se lo meritasse, dopotutto. Non fosse che quasi mi feci più male io.

Cristo se era muscoloso!

«Ma che vi fanno fare all’addestramento, me lo dici?» ridacchio aprendo e chiudendo la mano dolorante.

Lui scoppia a ridere e il suono della nostra macabra felicità risuona per tutto il locale. Contraddizione.

«In realtà è il risultato di svariate sessioni di… autogestione della libido, non so se mi spiego…»

«Dio, ma sei un maiale…»

«E da quando, sentiamo, ti saresti convertito alla miserabile setta del perbenismo? Dovresti farlo anche tu, compagno! Aiuta a passare il tempo.»

«Sì, e a ridursi le diottrie…»

Dopo una sessione di virili cazzotti e di maturi scambi delle rispettive avventure sessuali – discorso per buona parte monodirezionale – sotto lo sguardo più perplesso che sospettoso dei presenti, ci alziamo da tavola imbacuccandoci per far fronte alla tempesta ventosa che imperversa fuori, e un po’ più sollevato lo sono.

«Non hai messo niente sotto i denti, capitano» mi fa notare il compagno Grigoriy ficcandosi il cappello di pelliccia sul capo.

«Ho lo stomaco chiuso.»

Non domanda altro, a riguardo. Sa che non è una buona giornata per farlo, una delle tante mie giornate in cui non vale la pena farlo.

«D’altra parte il latte era una vera merda quindi meglio per te. Hai sentito dei nuovi prigionieri?»

«Ah, ah.»

«E sai anche che al magazzino da Andersov hanno iniziato tre interrogatori da circa…» getta un’occhiata all’orologio da polso. «…dieci minuti?»

«E questo dovrebbe interessarmi perché…?»

Sorride, ed è dai tempi della rivoluzione che non lo vedo ghignare in quel modo. O forse l’abitudine di ghignare non gli è mai passata.

La Madre è fiera, e ghigna con noi.

«Amico mio,» mormora basso, e mi circonda le spalle con un braccio facendo attenzione a non pesarmi su quella offesa «ti porto a fare la tua colazione.»

Mi lecco le labbra.

Adoro che la gente si preoccupi per me. 
  
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