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Autore: HypnosBT    09/06/2013    6 recensioni
Cecilia è una nobile ragazza fiorentina che, costretta dall’amore incondizionato per la madre, si trasferisce a Roma. È completamente ignara della guerra che da centinaia d’anni si consuma tra Templari ed Assassini. Il caso colloca la sua nuova vita all’interno de “La Volpe Addormentata”, in quel periodo storico ricco di veli e sussurri che è il ‘500.  
 
  Dal prologo:
 
  Si chiamava Gilberto, ma tutti lo conoscevano come “La Volpe”. 

  Si chiamava Gilberto, e mia madre avrebbe voluto che mi rivolgessi a lui come “Padre”.
Genere: Azione, Generale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niccolò Machiavelli, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Volpe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'È la vita che ci sceglie'
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CAPITOLO VII

-parte prima-

 

 

“Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un coniglio.”

Sun Tzu

 

 

3 Aprile 1494

 

 

Volpe

 

 

  Una freccia. Un ragazzo cade. Un sussurro viene ucciso dal caos. «Paride», implorava.

  Era suo, era suo figlio. Era suo, era il suo gemito.

  Gilberto si lanciò nel baratro tra i due tetti, stupidamente, per tentare di raggiungere il ragazzo. Tutti i ladri gridavano, stavano per essere massacrati dai soldati dei Borgia.

   Era un’imboscata. Rodrigo sapeva della rapina, e ne aveva approfittato; gli uomini cadevano come pioggia, colpiti dagli arcieri. Erano sbucati da ogni angolo, imprevedibili come la morte stessa, con l’unico scopo di decimare i rapinatori. E ci stavano riuscendo.

  Fortunatamente la Volpe riuscì ad ammortizzare il suo peso. Atterrò in piedi, anche se dopo pochi secondi fu costretto a piegarsi sulle ginocchia: i suoi nervi dovevano ancora assimilare il trauma della caduta. I sensi di assassino lo assistevano, avrebbe potuto benissimo riprendere il controllo della situazione, ma non lo fece. Non gli importava di farlo. Strisciò sui ciottoli di quella periferia senza stelle e raggiunse Paride.

  Sentì il secondo in comando che ululava «Ritirata!», e si rilassò. Non era riuscito a gridare l’ordine, la sua voce si era assopita da qualche parte lungo la gola. Chissà quanti di loro sarebbero riusciti a tornare nei rispettivi punti di controllo. Probabilmente la maggior parte non avrebbe rispettato il piano e si sarebbe fiondata al borgo, incurante di mettere a rischio la segretezza della gilda.

  “Al diavolo!”, pensò Gilberto. Suo figlio respirava, non avrebbe dovuto pensare ad altro.

Gaetano, grande ladro e fedele compagno da tempo immemore, gli si avvicinò, intuendo che qualcosa non andava.

  «Volpe dobbiamo andarcene, cazzo!»

  «Si…» sussurrò lui, rendendosi conto che restava poco tempo. Tentò di alzarsi in piedi mentre Gaetano boccheggiava, incapace di parlare. Aveva visto il corpo scomposto di Paride. Lo prese tra le sue braccia forti con la delicatezza di una balia e, assicuratosi che Gilberto lo stesse seguendo, prese a correre per le viuzze romane.

  Che fare? Decise, come tanti altri, di non seguire gli ordini.

  Imboccò la strada della taverna.

 

 

 

Cecilia

 

 

  Li vidi arrivare.

  Taluni zoppicavano, altri erano coperti di sangue, altri ancora si strappavano gli abiti per ricavarne bende consunte.

  Un inferno. In casa mia.

  Non ebbi il tempo per le domande, iniziai ad aiutare Caterina a stendere i casi più gravi sui tavoli della Volpe Addormentata. Fortunatamente quella sera la taverna era chiusa, sarebbe stato difficile spiegare ai clienti quell’orrore.

  Mentre mia madre disinfettava gli uomini, io ero impegnata ad accendere candele e a posizionarle in ogni angolo. Stavo per ultimare il mio compito e iniziare ad occuparmi dei casi meno gravi quando la porta si spalancò nuovamente. Due uomini in verde mi portarono il corpo insanguinato di un anziano. Con un grido Caterina mi disse di occuparmene; ordinai a quelli che sembravano soldati di stenderlo sull’ultimo posto disponibile. Mi avvicinai al bancone ed esaminai il corpo: il viso e il busto erano color corallo. Tolsi gli abiti e pulii la pelle, senza sapere cosa fare. Il vecchio ansimava. Versai dell’acqua sul primo boccale trovato e lo appoggiai sulle sue labbra pallide.

  Con disgusto, guardai il liquido fuoriuscire da un foro laterale sulla gola.

  La vista mi si annebbiò: stavo per svenire.

  Delle mani grandi e forti mi appoggiarono, giusto in tempo, su una delle panche di legno. Dopo pochi minuti ripresi padronanza della mia mente e capii che stavo guardando il dottore del borgo.

  «Ha un buco, un buco sul collo» gli suggerii con voce atona.

  «Lo so piccola, non pensarci, esci di qui» disse frettolosamente, senza degnarmi di uno sguardo. Mi alzai in piedi. Caterina non si era accorta di nulla, era china su un altro tavolo.

  «No, ditemi cosa fare». Il medico mi scrutò, valutando la mia determinazione.

  «Sai cucire?»

  «Si», era il passatempo insegnato a ogni bambina dell’alta società.

   «Allora tieni» mi passò l’ago e il filo che stava infilando nella ferita. Si allontanò stringendomi una spalla, come per farmi forza. Andai avanti con la sua opera, ricamando la vita su quella pelle stanca. Ogni tanto imbevevo d’acqua uno straccio e bagnavo la bocca esangue del vecchio. Ripetei lo stesso procedimento per quelle che sembrarono ore, anche quando seppi che il mio paziente non respirava più.

  Il dottore mi trovò con gli occhi fuori dalle orbite e le mani intente ad infilare punti sul cadavere. Avevo fatto in tempo a ricucire ogni taglio, anche il più minuscolo.

  «Piccola, basta, non ce n’è più bisogno» mi prese i polsi e mi costrinse con delicatezza a lasciar cadere gli arnesi.

  «Mamma» sussurrai quando arrivò. L’omaccione le passò le mie mani e lei le pulì con lo stesso straccio umido che avevo appena smesso di usare. Fu un gesto simbolico: ci sarebbero volute settimane per togliermi di dosso tutto il sangue rappreso.

  Mi accompagnò all’esterno. Sulla piccola piazza un minuscolo esercito si agitava come una foglia al vento. Alcuni arcieri erano appostati sui tetti e miravano la strada. Chi stavano aspettando?

 

 

 

 

Volpe

 

 

   «Arrivano!» gridò Gaetano, correndo troppo lentamente verso il borgo.

  La Volpe gli copriva le spalle, cercando di allontanare la fanteria rossa del papa. Nella sua testa rimbombavano gli echi di ricordi scaduti: aveva ferito Paride troppe volte. Se ne era reso conto, finalmente, e ora avrebbe combattuto soltanto per poter guardare negli occhi il figlio e sussurrargli il suo pentimento. L’aveva condannato ad una vita che non voleva, era stato sacrificato ad un credo che non gli importava.

  Una freccia sibilò arrabbiata, tremendamente vicino al suo orecchio sinistro. Veniva dalla direzione sbagliata. Un barlume di speranza di accese in lui: i ladri avevano organizzato la resistenza, non tutto era perduto!

  Entrarono finalmente nelle file alleate e sentirono un’ovazione alzarsi dalla gilda. La Volpe vide Caterina e ordinò a Gaetano di affidarle Paride: non avevano tempo da perdere, dovevano combattere.

 

 

 

 

 

Vaneggi dell'autrice 

   

  Innanzitutto, scusate. Mi dispiace per questo tremendo ritardo, non succederà più! La scuola ha interamente occupato quest'ultimo mese, ma vi prometto che l'estate mi renderà più proficua. Potrete mai perdonarmi?

  Ho spezzato il settimo capitolo perchè dal punto di vista logico era meglio così. Questa è un'introduzione alla seconda parte, che arriverà tra una smilza settimana. Per tenervi concentrati e attenti potete farmi delle domande riguardo la storia e il futuro, svendo spoilerS :D Se magari le accompagnate ad una corposa recensione mi fate davvero felice :3 Ovviamente risponderò entro certi limiti!

  Ringrazio chi è passato per di qua anche dopo troppo tempo, vi adoro, vi adoro, vi adoro. 

  Un abbraccione avvolgente,

Bea

  

 

  
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