A kiss is a
lovely trick designed by nature to stop speech when words become
superfluous.
[Ingrid
Bergman ]
Il portale nella parete si aprì, rivelando un alieno con otto braccia.
Ogni mano era armata con una delle pistole che avevano ucciso il primo alieno che avevano catturato e che era stata usata dall’alieno a sei braccia, ora loro prigioniero, per tentare di uccidere Raven.
Sia Raven che Robin imprecarono piuttosto coloritamente.
L’alieno non si fece impressionare e cominciò a sparare all’impazzata. La maga eresse prontamente una barriera per proteggere sia lei che il suo compagno, anche se in quel momento l’avrebbe lasciato volentieri alla mercé di quella creatura.
In pochi istanti Robin aveva approntato un piano: Raven avrebbe dovuto distrarre l’alieno, così lui avrebbe potuto attaccarlo alle spalle e stenderlo. Si voltò verso la maga, certo che avesse già capito tutto attraverso il loro legame.
Ma lei si limitò a guardarlo inespressiva.
“Idiota, si è dimenticata di te e del legame!” si insultò mentalmente, lasciando probabilmente trasparire qualcosa dalla sua espressione.
Con sua enorme sorpresa,
però, la ragazza disse: «Io
lo
distraggo e tu lo colpisci da dietro.»
Robin
si limitò ad annuire, prima che lei tornasse a concentrarsi
sull’avversario, lanciandogli qualunque cosa trovasse sotto
tiro. L’alieno
allora concentrò gli attacchi su di lei, dimenticando la
presenza del ragazzo,
che, indisturbato, poté lanciarglisi addosso e conficcargli
uno dei suoi
birdarang dove, teoricamente, doveva essere il cuore.
Uccidere
era sbagliato, ma quella cosa stava attentando alla
sicurezza di Raven.
In
pochi istanti fu tutto finito e i due ragazzi si ritrovarono a
fissarsi al di sopra del cadavere.
«Ottimo
lavoro» si congratulò Robin, rinfoderando il
birdarang
inutilizzato e facendo un cenno con la testa alla maga.
«Grazie»
rispose lei, aggiustandosi la maglietta addosso. Una
delle sue, notò Robin.
«Dove
l’hai presa?» le chiese all’improvviso,
dimenticando per un
momento la situazione di emergenza in cui si trovavano.
«Ti
sembra il momento di commentare il mio abbigliamento?»
rispose
la ragazza, guardandolo come se fosse ammattito.
«Ora
come ora, sì. Dove l’hai presa?»
ribadì il ragazzo.
«Dove
vuoi che l’abbia presa? L’ho trovata nel mio
armadio. Era
nella pila delle magliette stirate, l’ho presa a
caso.» Era solo lei o sembrava
deluso?
«Andiamo,
gli altri potrebbero aver bisogno di aiuto» ordinò
cupo
il moro, incamminandosi lungo il corridoio.
“Chi
lo capisce è bravo” pensò lei,
scuotendo la testa e
seguendolo.
I due
ragazzi imboccarono un altro corridoio, quando sentirono un
rumore infernale provenire dal tetto.
Starfire.
Con
uno scatto, corsero verso il tetto e quando arrivarono alla
porta di ferro, la spalancarono facendo saltare i cardini. Si trovarono
davanti
un altro alieno con otto braccia, intento a lottare con Starfire, che
sembrava
quasi al limite.
Senza
nemmeno bisogno di parlarsi, i due si lanciarono
all’attacco. Robin estrasse il birdarang che non aveva
utilizzato prima, mentre
Raven si affrettava a porre una barriera tra l’alieno e lei e
Star. Colto di
sorpresa, la creatura non poté che soccombere e in pochi
istanti tutto ebbe
fine.
Starfire
si accasciò al suolo, vicino a Raven, che dissolse la
barriera per occuparsi dell’amica.
«Star,
sei ferita?» le chiese sollecita, controllando se avesse
bisogno di cure.
«No,
fisicamente sto bene, grazie» mormorò
l’aliena, cercando di
tirarsi su, ma riuscendoci solo a metà. La maga si
affrettò a sorreggerla.
«C’è
nulla che io possa fare?» chiese allora l’altra,
ignorando la
risposta che aveva dato. Era pur sempre Star, certe cose era meglio non
chiedersele.
«Sì.
Rendi felice Robin, per favore» rispose la rossa, guardando
l’amica negli occhi.
La
maga sgranò gli occhi, sorpresa. L’aliena
ridacchiò, poi le
disse: «Sono sicura che riacquisterai i tuoi ricordi molto
presto e allora ti
ricorderai di tutto quanto. Rendilo felice, Raven.»
Raven
stava per replicare, ma in quella arrivò Robin, trafelato.
«Star, ce la fai?»
«Sì,
devo solo riprendermi un attimo. Ho usato molte delle mie
energie.»
«Raven,
puoi accelerare il processo?» domandò il ragazzo,
fissando
la maschera negli occhi viola della maga.
«Penso
di sì. Star, stai ferma un attimo» rispose la
ragazza,
riscuotendosi dai suoi pensieri e posando una mano sul braccio della
ragazza
aliena.
Un
alone blu avvolse la principessa aliena che in pochi istanti fu
di nuovo in piedi, pronta all’attacco.
Raven,
al contrario, si fece ancora più pallida di quanto non
fosse e scivolò all’indietro, priva di qualsiasi
forza. Per sua fortuna, Robin
era dietro di lei e la sorresse.
«Raven!»
esclamò Starfire, accorrendo, preoccupata.
«Sto
bene» mentì la maga, cercando di tirarsi su.
«Tu
non stai bene per niente! Perché non me l’hai
detto, che non
ce la facevi?» la rimproverò Robin, continuando a
sorreggerla.
«Dovevo
aiutare Star! Senza di lei non ce la faremo mai a battere
quegli alieni!» rispose la ragazza, infuriandosi.
«Non
è lei che vogliono! Sei tu, quella che stanno cercando. E se
insisti nel sprecare le energie in questo modo, riusciranno a prenderti
con
facilità!»
«Starfire
ne aveva bisogno!»
«Raven,
dannazione, ma non capisci che sono preoccupato per te?!?»
«Non
c’è ragione di esserlo! E non vedo
perché…»
Senza
pensarci, Robin fece la prima cosa che gli passò per la
testa: si chinò verso di lei e la baciò con
rabbia.
Starfire
lasciò andare uno squittio e si coprì gli occhi,
imbarazzata e anche triste.
Raven,
dal canto suo, rimase immobile con gli occhi sgranati.
Robin,
dopo qualche secondo, si staccò dalla ragazza. Fece per
parlare, ma venne interrotto da un grido.
Più
che un grido, era il verso di un animale e non era difficile
intuire che l’autore doveva essere Beast Boy. Infatti, pochi
secondi dopo, i
tre ragazzi sul tetto si videro atterrare davanti un leone verde,
piuttosto
malconcio.
«Beast
Boy!» esclamarono in coro, cercando di raggiungerlo. Starfire
fu la prima ad arrivare, mentre Raven cercava di alzarsi evitando
qualsiasi
contatto con Robin, che al contrario cercava di aiutarla.
Intanto
il leone verde era tornato ad essere il mutaforma: il ragazzo
si alzò, leggermente instabile sulle gambe, portandosi una
mano alla testa, che
sembrava stesse per scoppiargli.
Si
guardò intorno intontito e vide Star, accanto a lui, con
un’espressione
piuttosto sconvolta e Robin e Raven che si avvicinavano, tutti e due
con delle
espressioni indecifrabili. Tra lo sconvolto e l’arrabbiato,
concluse.
«Beast
Boy, che cosa è successo?» chiese Starfire,
preoccupata.
«Quel
coso mi ha tirato fin quassù! Devo assolutamente tornare
giù
e farlo a pezzi!» ringhiò il mutante, camminando
verso il bordo del tetto per
guardare in basso.
In
quella, l’alieno comparve dal pavimento del tetto, proprio
come
avrebbe fatto Raven. Puntò le armi contro Beast Boy, ma
Starfire e Robin furono
più veloci e in pochi istanti la creatura era a terra,
disarmata e in punto di
morte.
«Grazie,
ragazzi» disse il ragazzo verde, avvicinandosi ai suoi
amici. Sembravano tutti sfiniti, in particolar modo la mezzo-demone,
notò Beast
Boy. Non che lui fosse messo meglio. Quegli esseri erano davvero
insidiosi!
«Di
niente. Ora dobbiamo cercare Cyborg. Torniamo dentro e vediamo
di trovarlo al più presto» ordinò
Robin, voltandosi verso la maga con l’intento
di aiutarla.
Lei lo
fissò, poi guardò Starfire. «Star,
potresti…?»
«Temo
di no, Raven. Devo aiutare Beast Boy, mi dispiace. Credo che
Robin riuscirà ad aiutarti senza problemi» rispose
la rossa, cercando di
fingere dispiacere, ma riuscendoci ben poco. Detto questo, si
affrettò a
prendere Beast Boy sotto braccio per aiutarlo a camminare.
«Star,
ma io ce la faccio…» tentò di
protestare il ragazzo verde,
prima di essere trascinato via dalla ragazza, che gli
bisbigliò: «Quei due
hanno bisogno di parlarsi.»
Il
ragazzo si adombrò, ma decise di continuare a cercare
Cyborg. Con
il cuore pesante, si adattò alla camminata svelta di
Starfire e ben presto i
due sparirono all’interno della torre.
«Raven…»
cominciò Robin,
cercando di far voltare la ragazza verso di lui, ma lei si ritrasse
velocemente.
Il
ragazzo sospirò profondamente, ma abbassò la mano.
Raven continuò a
non
guardarlo per un pezzo, rialzandosi da terra con fatica e
concentrandosi sulle
gambe deboli.
Quando
fu ormai in piedi, finalmente guardò il ragazzo.
«Richard»
lo chiamò.