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Autore: Damson    10/06/2013    3 recensioni
Questa storia è un adattamento moderno del romanzo di Jane Austen Orgoglio e Pregiudizio. Speriamo che l'autrice non si offenda troppo per le eclatanti modifiche alla trama da noi apportate: purtroppo le abbiamo ritenute necessarie.
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“Non sta evitando te, sta evitando Wickham.” cercò pazientemente di farla ragionare Giovanna.
“E, dato che ci esci in continuazione, non gli stai certo facilitando le cose.” rincarò la dose Carlotta.
Andrea guardò basito Elisabetta, dato che l'amica non faceva altro che offendere Darcy per lui era appurato che le facesse schifo: “Wow! Lisa ma cosa combini? È un super triangolo!” gongolò entusiasta, la cosa si stava facendo più interessante del suo programma preferito Cortesie per gli ospiti.
“Non c’è nessun triangolo chiaro!? Il triangolo è solo nel cervello di Giovanna e Carlotta!”
“Tua madre sarebbe al settimo cielo a sentire una storia così.”
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7
Raccomandazione.

 
“Chi è così solido da non poter essere sedotto?”
(W. Shakespeare)

 
Bingley era riuscito a dimostrarsi il più imbranato dei piloti di tutto il Regno Unito (vi assicuro che questo è un eufemismo) e questo salvò, in un certo senso, la reputazione di Darcy : se non fosse stato per il maldestro incidente, avrebbe vinto lui l’ambito titolo.
Infatti, finiti i vari medicamenti, Fitzwilliam Darcy, da vero gentleman inglese qual era, si offrì di riaccompagnare subito a casa le ragazze.
Ma la Passat non partì.
Provò una, due, tre volte ad accenderla, ma inutilmente.
Chiamò degli uomini del personale per provare a spingerla mentre metteva in moto, ma invano.
Stette per un buon quarto d’ora a discutere davanti al cofano aperto con uno dei domestici (che sosteneva di avere il padre meccanico) senza alcun risultato.
Visto l’impegno che il poveretto ci stava mettendo, persino Elisabetta si astenne dal commentare la situazione: aveva l’impressione che Darcy fosse particolarmente incazzato e che l’unico motivo che gli impediva di uscire completamente dai gangheri fosse una congenita educazione. Così quando lui le passò il telecomando dell’Enterprise fece un enorme sforzo e represse la voglia di chiamare Spok per dirgli di attivare il teletrasporto. Si limitò ad una più economica telefonata a casa.
 
 
Il signor Benetti era appena tornato a casa da lavoro, anzi, per l’esattezza aveva solo aperto la porta ed aveva sempre i piedi sullo zerbino, che sua moglie lo accolse con un fiume di parole:
“Caro! Bentornato! Devo raccontarti una cosa: ho fatto una scoperta incredibile! Oggi sono stata tutto il giorno in agitazione! Quelle screanzate delle tue figlie sono a Pisa con gli inglesi e non mi hanno fatto mai nemmeno una chiamata! Che figlie snaturate e ingrate. Ho provato a chiamarle io almeno una quindicina di volte ma mi avranno risposto la metà!”
Maria, attirata dal gran vociare della madre, fece la sua comparsa nell’ingresso.
“Mamma, sto cercando di studiare, se permetti, e i tuoi strilli non mi aiutano di certo. Ed in ogni caso ti ricordo che Elisabetta è su per gli esami, non può certo perdere tempo a raccontarti al telefono tutto quello che fanno Giovanna e l’inglese!”
“Cosa c’entra? Mica è lei quella che viene interrogata! È una maleducata, come sempre del resto! Non mi risponde e se lo fa mi attacca in faccia dopo poco!”
Il signor Benetti aveva già sentito abbastanza: povera Elisabetta, era la prima volta che sosteneva un esame dal lato del docente ed oltre all’ansia della responsabilità che questo comportava era stata tutto il giorno a sorbirsi la madre che le telefonava di continuo, perché voleva sapere cosa stavano facendo Giovanna e quel Bingley.
La signora Benetti non si fece distrarre dall’intervento di Maria (che era tornata in camera sua alquanto risentita) e, rivolgendosi di nuovo al marito, che finalmente era riuscito ad entrare almeno nel disimpegno, continuò imperterrita: “Lisa è una gran maleducata ed una testona! Ti assomiglia proprio tanto bada! Crede sempre di aver ragione e non le si può dire nulla. Qualsiasi consiglio io provi a darle è come darlo a un muro di cemento. Eppure dovrebbe ascoltare chi è più saggio di lei! Quante volte le avrò ripetuto che la deve piantare di comportarsi da maschiaccio e tagliarsi quella lingua biforcuta che si ritrova? In questo modo non troverà mai un uomo!!! Da quanto tempo glielo dico?”
“Saranno almeno dieci anni, cara.”
“Appunto! E non avevo ragione? Visto come si è ridotta poverina? A venticinque anni è ancora single!”
“Ridotta?”
“Si esatto! Ridotta male. E se continua così non ha nessuna speranza di accalappiarsi un uomo!”
“Accalappiarsi?”
“Ma Giò invece? Oh era destino che la sua bellezza producesse i frutti tanto attesi! Quell'inglesino è così carino, così gentile! Ed inoltre finalmente ci siamo! Era questa la cosa che volevo dirti fin da quando sei entrato, ho scoperto che è ricchissimo! Me l’ha detto la signora Lucà che conosce una persona che è sorella di quello che lavora all’agenzia immobiliare che si occupa di dare in affitto Villa Campobasso! In ogni caso era prevedibile che fosse ricco, un poveraccio come noi mica può permettersi di stare tre mesi in vacanza in una villa con tutto quel personale. Pensa un po’, Giovanna mi ha risposto ben tre volte ed è stata prodiga di notizie: sono riuscita a capire per certo che è stato lui a volerla accompagnare su a tutti i costi.”
“Avrà voluto vedere Pisa...”
“Macché macché, cosa ci sarai mai a Pisa da vedere! Voleva stare con la nostra bellissima Giò. Te lo dico io: oramai è bello che accalappiato! Ricco in quel modo Giò fa proprio bene a non lasciarselo sfuggire!”
“A me più della sua rendita interesserebbe sapere se è una brava persona.”
“Ma che ragionamenti fai! Certo che lo è, si vede dal viso. Te lo assicuro!”
“Ah beh, allora se ne sei così certa domattina vado ad ordinare le bomboniere.”
“Mi fai impazzire quando fai così! Strazi i miei poveri nervi! Come puoi non capire quanto è importante che trovino il fidanzato?”
“Ti sbagli cara: capisco che è importante. Trovare qualcuno che ci voglia bene e che ci sopporti malgrado tutti i nostri difetti è davvero molto importante: ma non vedo come la ricchezza possa influire su questo. Anzi ti dirò, se è la ricchezza ad influire nella scelta la ritengo una cosa molto superficiale. E sono sicuro, più che sicuro, che anche Giò la pensa come me.”
“Ma cosa dici! Si sente che non ci capisci proprio niente. Così come non ci capirà mai niente Elisabetta...”
“Dici che non ci capisce niente perché non ha mai voluto seguire i tuoi consigli nelle questioni di cuore.”
“E’ una prova schiacciante! Non ha ascoltato nemmeno uno dei miei consigli ed infatti è single!”
“E’ single perché non esiste nessuno che se la meriti.”
“Che ridicolaggini vai dicendo? Sempre a tenerla su un piedistallo! È ovvio che è cresciuta credendo di essere chissà chi! Superiore a chiunque! Le avevo trovato quel bel ragazzino, quello che era in classe con lei al liceo te lo ricordi? Il fratello minore di Carlotta Lucà. E lei non l’ ha voluto! Ti rendi conto? È il figlio del notaio più importante di tutta la nostra zona. Elisabetta aveva avuto la fortuna che lui si fosse invaghito di lei, non si sa bene il perché, ed invece di approfittarne l’ha rifiutato! E pensare che io ho fatto tanto, di tutto, per farli stare insieme: lo invitavo a cena, lo invitavo a pranzo, lo invitavo a studiare qui, gli ho pure mandato dei dolci a casa dicendo che li aveva fatti Elisabetta e una volta sono pure riuscita a spedirgli di nascosto un sms con il cellulare di quella testa dura. Era praticamente fatta e lei invece non l’ha voluto! È ridicolo, ma chi si crede di essere quella ragazza, dico io!? Si è montata la testa!”
“Lisa non si è montata la testa, anzi è un miracolo che per quella storia non abbia spaccato la tua.”
“Si che se l’è montata, ed è colpa tua! Sempre a parlare di Lisa: Lisa di qua, Lisa di là. Hai anche altre quattro figlie sai? Ma tu vuoi bene solo a lei!”
Il signor Benetti, a quel punto, alzò la voce per la prima volta “Smetti di dire questa cosa in continuazione! Soprattutto smetti di dirla alle ragazze. Non è vera! Lidia per colpa di questa illazione stupidaggine non ha più considerazione di me. Infatti guarda come si è ridotta lei, con te che le lasci fare il cavolo che le pare! È bocciata e ora è sempre in giro fino a notte fonda con non si sa bene chi! Ma hai visto di che razza di amici si è circondata? Tutta la notte a ciondolare in piazzetta bevendo litri di non si sa bene cosa! Ti giuro che se stasera entro mezzanotte non è in casa non la farò uscire mai più!”
Detto questo il signor Benetti prese le chiavi che aveva lasciato sul mobile dell’ingresso e uscì sbattendo la porta.
La signora Benetti tacque (forse per la prima volta dopo mesi) e non lo seguì: dopo trent’anni di matrimonio ormai sapeva che raramente il marito perdeva la sua calma serafica e, quando succedeva, la cosa migliore da fare era aspettare che sbollisse da sé.
La preoccupazione le passò immediatamente quando sentì squillare il telefono.
 
Il signor Benetti camminò per qualche tempo col cervello in fiamme alla ricerca di un luogo dove non ci fosse anima viva. Per sua fortuna si avvicinava l’ora di cena e le strade della zona residenziale si stavano svuotando. 
Non pensate che l’accusa della signora Benetti contro il marito fosse fondata: lui voleva bene a tutte e cinque le sue figlie. L’ammirazione che provava per Elisabetta non c’entrava nulla con l’amore paterno. Riteneva fosse una persona da stimare e l’avrebbe stimata anche se non fosse stata sua figlia. O meglio, questo era quello che credeva lui: la qualità di figlia non poteva che offuscare la sua capacità di giudizio a favore di Elisabetta.
Il pover' uomo era vissuto per tutti quegli anni in una casa con cinque donne: la sua pazienza sconfinava nell’ascesi, eppure la moglie trovava sempre il modo di superarne l’altissimo limite (tutti avrete potuto notare che aveva a che fare con la donna più misogina del creato, che con due parole era riuscita ad annullare anni di lotte per l’emancipazione femminile).
Il signor Benetti non era di indole litigiosa, era anzi una di quelle persone che detesta litigare, con chiunque. Adorava la pace ed il silenzio: molto probabilmente, in una vita precedente, era stato un monaco tibetano.
Malgrado possedesse questa personalità mite, finché le figlie erano piccole si era sobbarcato per il loro bene lunghe litigate con la moglie, ma adesso erano cresciute e potevano dire la loro anche senza l’assistenza dell’avvocato difensore.
Elisabetta non aveva problemi: aveva dimostrato più volte di non avere stima dell’opinione della madre, così come, di contro, la signora Benetti si era prodigata per far capire che non aveva stima delle opinioni di Elisabetta.
Giovanna era troppo gentile per rinnegare il ruolo della guida materna, per contraddirla e litigarci, ma era anche abbastanza saggia da distinguere i consigli validi dagli ignorabili.
Maria e la sua ferrea moralità erano decisamente fuori dalla portata della signora Benetti.
Lidia era fuori della portata di qualsiasi adulto cercasse di parlarle, si chiudeva sempre di più e aveva iniziato a comandare la madre a bacchetta: il problema era che la suddetta madre soddisfaceva ogni capriccio con solerzia, come se ogni concessione fosse a Lidia giustamente dovuta. C’era seriamente da preoccuparsi.
Ed un’altra di cui preoccuparsi era la piccola Caterina, aveva un carattere troppo influenzabile e passava decisamente troppo tempo con Lidia.
 
“Pronto?”
“Mamma, sono io”.
“Lisa! Tesoro della mamma, finalmente mi hai chiamato! Alla buon ora! Allora forza, devi raccontarmi tutto per filo e per segno. Ve la siete svignata apposta per saltare la cena con vostro cugino Guglielmo di ieri sera, lo so! Ma tanto l'ho invitato di nuovo per il prossimo fine settimana! Adesso che finalmente è tornato dal Trentino sarà il caso che tu ti faccia un po’ vedere, no? Adesso, per farti perdonare, devi raccontarmi tutti i particolari. Cosa avete fatto in questi due giorni su a Pisa con gli inglesi? Come va la relazione tra Giò e quel bel ragazzino con i capelli rossi? E quell’altro com’è? Intendo l’altro inglese amico suo…”
“Mamma…”
“…sai io non sono ancora riuscita a vederlo! Tanto lo so già che non sarà carino ed affascinante quanto Bingley, altrimenti si sarebbe fatto avanti anche lui con Giò, perché Giò è così bella, è impossibile che un uomo non la noti. Ma è ricco anche il suo amico o è solo un parassita che ha approfittato della vacanza gratis? Oh non potrei mai perdonagli di approfittarsi della gentilezza di Bingley! Allora? È o no ricco anche lui? Ma come si sono conosciuti? Hanno studiato insieme…”
“Mamma…”
“…magari ad Oxford? oppure ad Eton! Sai mi sono informata. Quando Gloria Lucà mi ha detto che Charles Bingley aveva detto a suo marito di aver frequentato Eton io sono andata a cercare cos’era. E lo sai cos’ho scoperto? Lo sai cos’è Eton?”
“Certo che lo so, ma mamma posso…”
“E’ la più famosa e prestigiosa scuola superiore privata di tutto il Regno Unito!”
“Mamma! Ma Cristo Santo, posso parlare? Ho telefonato io, quindi avrò qualcosa da dirti, o no?”
“Ah si, scusa tesoro hai ragione. Però non puoi darmi la colpa sai? Mi hai ignorata per due giorni! Ignorata! Perché devi essere così disdegnosa nei miei confronti? Mi devi tenere aggiornata, non far finta che io non esista!”
“Mamma ero agli esami! Mi hai capito? E! S! A! M! I! Esami. Ora, per piacere, passami babbo.”
“Cosa? No, non ti passo proprio nessuno. Smetti di volere sempre il tu babbo, tanto a lui non importa nulla della storia d’amore di Giò!”
“Ma io non voglio parlarti di nessuna storia d’amore! Vi chiamo perché dovete venirci a prendere: siamo a Villa Campobasso e Giò e Charles sono caduti dalla Vespa, solo un po’ di graffi, niente di cui preoccuparsi. Però la loro auto non parte e a quest’ora non possiamo certo chiamare il meccanico.”
“Ho capito bene?”
“Si mamma non preoccuparti, non si sono fatti nulla di grave, ci siamo presi solo un bello spaven…”
“Ma cosa hai capito! Mi sembra di parlare col tu babbo. C’è da spiegarvi sempre le cose minimo due volte! Intendevo: ho ben capito che, se qualcuno non vi viene a prendere, siete bloccate a Villa Campobasso...”
“Beh, si..”
“Perfetto, allora mettiti l’animo in pace perché fino a domenica non possiamo venirvi a prendere.”
Detto questo la signora Benetti riagganciò, lasciando una raggelata Elisabetta con il cellulare poggiato all’orecchio.
“Tuuuuu, tuuuu, tuuuu…” disse il telefono.
“Cazzo” rispose Elisabetta.
 
 
Quella sera tre persone pensarono di aver avuto una delle esperienze più imbarazzanti della loro vita: Darcy non era riuscito a far partire la macchina dei Flintstones, Elisabetta aveva dovuto chiedere ospitalità per lei e sua sorella ed a Caroline si era staccata l’etichetta dalla sua gonna di Burberry (che fregatura! E pensare che a lei la Burberry neanche piaceva, l’aveva comprata perché una volta aveva sentito Darcy dire a Charles che quei vestiti erano particolarmente di suo gusto).
Darcy da parte sua non solo non si era accorto della disdetta capitata a Caroline, non aveva neanche notato che indossava una gonna della Burberry: era troppo impegnato a preoccuparsi per Charles e Giovanna ed ad arrabbiarsi con la Passat.
Caroline approfittò della prima scusa per dileguarsi (doveva infatti andare a cambiarsi la gonna, non poteva rischiare che qualcuno la notasse) e disse che, visto che c’erano degli ospiti, sarebbe andata a parlare con la servitù… con il personale! Il personale! per dire di aggiungere due posti a cena e preparare due letti in più. Già che c’era ordinò un cambio di menù; gli infortunati dovevano essere trattati con riguardo e per correttezza gli altri ospiti avrebbero mangiato le loro stesse pietanze: un po’ di verdure, al massimo due cucchiai di minestra, niente di troppo per non appesantire lo stomaco.
Per Elisabetta e Darcy non fu una cena, fu un pasto saltato.
Per Charles e Giovanna fu una cena meravigliosa, non avrebbero creduto di poter passare un’altra serata insieme: nella sfortuna della caduta avevano trovato il lato positivo.
Per Caroline fu una cena nel più completo rispetto della tabella della sua dieta personalizzata.
Insomma, la bella inglese aveva ottenuto da quel desinare un bel risultato inaspettato e le pareva che le fosse dovuto: aveva sperato (invano) di potersi liberare di Elisabetta, così Darcy avrebbe finalmente guardato anche qualcun altro oltre che tenere sempre gli occhi calamitati su quella che lei aveva ormai bollato come insignificante ragazzetta di campagna.
Le sarebbe toccato sorbirsi quella ridicola situazione per chissà quanto tempo ancora, quindi il poter seguire in santa pace la sua dieta le pareva proprio il minimo sindacale.
Il problema, ma questo Caroline non poteva saperlo, era che il rispetto della dieta non era l’unico risultato inaspettato raggiunto dalla cena: quella notte Elisabetta non riuscì proprio a dormire a causa della fame, si rigirò un paio d’ore tra le lenzuola ed infine decise di farsi forza e, con il favore delle tenebre, scese dal letto intenzionata a sgraffignare qualcosa da mangiare.
Neanche Darcy poteva sopportare oltre la fame e così, quando Elisabetta entrò in cucina, lo trovò davanti al frigo aperto.
L’istinto l’avrebbe spinta a fuggire a gambe levate, ma lui si era girato e l’aveva vista.
Ne fu sorpreso, ma subito si riprese. “Fame?” le chiese.
“Non ce la faccio più!”
Elisabetta andò verso di lui e gli si fermò accanto, per poter guardare anche lei nel frigo. Inutile dire che si stava vergognando molto di più adesso rispetto a quando era andata con la coda tra le gambe a chiedere se potevano restare lì per la notte.
Si era messa addosso per dormire dei vecchi vestiti che teneva a Pisa per stare in casa: dei pantaloncini che usava anche per correre ed una maglietta dei Red Hot Chili Peppers, che non le era mai sembrata tanto stupida e logora come nel momento in cui Darcy vi aveva poggiato per un attimo sopra gli occhi.
Fu spiazzata dalla sensazione di calma che lui le dette: si era abituata a vederlo sempre elegante ed impeccabile, persino al bar sulla spiaggia: invece adesso se ne stava lì, in jeans e con una semplicissima maglietta bianca, un po’ spettinato, e sembrava completamente rilassato ed a suo agio. Fino a quel momento era sempre stata lei a rompere il silenzio tra loro ed a stuzzicarlo: ma la sua voglia di parlargli nasceva da un sadico senso di sfida verso il muso introverso che lui si ritrovava e in quel momento era troppo rintronata per provare altro che un’acuta vergogna.
Inizialmente, siccome non vedeva nessun motivo razionalmente valido per cui dovesse sentirsi imbarazzata, si irritò con se stessa. Però il suo cervello ci mise molto poco a rigirare la frittata e decise che era lui ad irritarla: la squadrava fissa, che diamine aveva da guardare? Sperava forse di intimorirla?
Darcy ovviamente non aveva proprio intenzione di intimorire nessuno, anzi stava pensando che Elisabetta era molto carina con quell’aria spaesata e quella maglietta troppo grande per lei.
Ma non avendo l’esuberanza del latin lover né il coraggio per qualche piccolo complimento, si limitò a commentare:
“Scusa per quella cena ridicola.”
“Non preoccuparti.”
“No, dico sul serio. Non credevo fosse di moda affamare gli ospiti, ma a quanto pare mi sono perso qualcosa per strada.”
“Puoi rimediare adesso. Cosa mangiamo?”
“Affettati? Formaggio?”
“Perfetto. E il pane c’è?”
“Ci sarà di certo, diamo un’occhiata in giro.”
Il tempo di aprire qualche sportello e saltò fuori tutto: pane, piatti, posate, acqua e bicchieri.
Apparecchiarono e iniziarono a mangiare.
Darcy provava una strana sensazione di pace: fin da bambino aveva sempre preferito stare in compagnia di pochi amici piuttosto che nei grandi gruppi e le situazioni confidenziali lo facevano sentire molto più ben disposto verso gli altri rispetto allo stare in qualche calca caotica. E in quel momento in particolare aveva  l’impressione che tutta la rigidità che gli si era accumulata addosso in quei giorni venisse trascinata via: una sensazione decisamente piacevole.
Passarono i primi minuti a mangiare senza dirsi neanche una parola, finché Elisabetta non ce la fece più: non perché odiasse stare in silenzio (anzi, spesso lo considerava un dono: era cresciuta con un padre che si rinchiudeva per ore nel suo studio a leggere; lei da bambina aveva il permesso di restare e poteva fare ciò che voleva: giocare, leggere, disegnare… a patto di restare muta come un pesce) ma perché continuava  a sentire che lo sguardo di Darcy si soffermava con frequenza ed insistenza su di lei e questo ovviamente la metteva a disagio.
Così decise che era molto meglio parlare.
“Darcy?”
“Sì?”
“Te che lavoro fai?”
“La mia famiglia possiede una casa editrice.”
Elisabetta dovette ammettere con se stessa di essere positivamente sorpresa, si era aspettata da Darcy qualcosa di meno elettrizzante: tipo un’agenzia di pompe funebri.
Lui continuò: “Si chiama Rosings&Pemberly, la conosci?”
Elisabetta annuì, sempre troppo stupita per parlare.
Lei e Carlotta, ai tempi del liceo, avevano inventato un metro di giudizio per classificare le persone (soprattutto i maschi) che lei chiamava scherzosamente figometro: semplicemente si attribuivano o toglievano punti alle persone a seconda di determinati comportamenti, parole o status. In quel momento Darcy si era beccato parecchie tacche aggiuntive. Questo la seccava enormemente: le persone passabili non dovevano avere molti punti per i parametri di Darcy.
“Sai penso che tu sia la prima persona che ho trovato qui in Italia che ci conosce.”
“Forse perché sono l’unica a cui hai rivolto la parola.” bofonchiò lei tra i denti.
“Cosa?”
“Niente.”
“Guarda che ti ho sentita bene: ti ricordo che ho passato un sacco di tempo in Italia da mia zia, fin da bambino. Ho conosciuto molta altra gente e sono ferrato con l’italiano.”
“Sei anche un gran permaloso.” commentò lei, poi però lo guardò e sorrise.
Darcy rise e si sentì strano per questo: se quella frase l’avesse pronunciata qualsiasi altra persona si sarebbe offeso, ma il tono e la faccia corrucciata di Elisabetta lo divertivano.
“Perché ci conosci? È strano, pubblichiamo solo in inglese. Ed inoltre la maggior parte dei nostri testi sono edizioni critiche.. è difficile trovare acquirenti nel grande pubblico e quindi stampiamo sopratutto per le univers.. ” si interruppe perché vide che lei stava annuendo.
“Infatti mi sono capitati spesso tra le mani durante il periodo universitario. Io ho studiato inglese e tedesco. Mi sono stati utili, molto, più che altro perché avete in catalogo tanti testi, come dire... desueti. Testi che di solito gli altri editori non hanno o se ce li hanno non li stampano più, soprattutto qui in Italia”.
“Giusto. Non sono mai riuscito a capire se ciò ci eleva culturalmente o ci rende solo stupidi.”
“Cosa intendi?”
“Stampare il titoli per la grande massa porta guadagni più facili.”
Elisabetta scosse la testa mentre riempiva d'acqua il suo bicchiere: “Non ho certo le conoscenze per giudicare se sia una scelta di pubblico stupida o meno. Posso solo dirti che, a mio parere personale, sono tra le edizioni migliori che si possono trovare in giro.” poi gli sorrise con aria furba “però se vuoi parlar male della concorrenza fai pure, ti ascolto con piacere.”
Lui rise: “Forse è meglio non entrare in questo argomento, criticare la concorrenza è sempre semplice, ma anche estremamente inelegante.”
“Sei proprio inglese.”
“Perché?”
“…. è anche estremamente inelegante” gli fece il verso lei, mimando una sorsata da una tazza di the immaginaria.
Darcy rise e poi disse “Ma è la verità.”
“Allora se vuoi mi metto io a sparare a zero sulle altre case editrici. Non mi ci vuole nulla, anzi sarà un piacere.”
“Anche questo non è molto elegante, anzi le cattiverie in bocca alle signorine le rendono veramente poco eleganti.”
“Uffa Darcy, come sei bacchettone.”
“Bacche..cosa?”
“Pedante.”
“Attenta a cosa mi dici, lo sai che sono permaloso.”  commentò lui e poi si mise a ridere.
Anche Elisabetta rise e sentì una sensazione di panico crescerle nel petto: perché lui era così rilassato in quel momento? Cos’era tutto quel ridere? Aveva già dimesso il lutto per il gatto?
Erano da soli, stavano mangiando, le sembrava una situazione intima e non voleva che lui le restasse troppo simpatico.
Non voleva che iniziasse a piacerle.
Era infatti ormai convinta che quel commento sentito la prima sera che si erano conosciuti fosse un giudizio inappellabile e non aveva voglia di sentirsi attratta da un uomo che non l’ avrebbe mai considerata.
Oltretutto Darcy le sembrava molto più grande di lei e pensò che, di certo, doveva avere già un giro suo là in Inghilterra. Era senza dubbio una preda ambita (Caroline ne era la prova): bello, ricco, con tutta l’aria dell’uomo perbene.
C’era di sicuro l’inghippo.
“Quanti anni hai Darcy?”
“Trentadue. Tu invece?”
“Venticinque.”
“Caspita. Pensavo fossi più grande.”
“Accidenti! Dare ad una donna più della sua età non è il miglior modo per farle un complimento, non te l’hanno mai spiegato caro il mio piccolo asociale?”
“No, no! Non intendevo in quel senso! Non intendevo dire che dimostri più anni di quanti tu ne abbia. Anzi intendevo il contrario! Ora che mi hai detto l’età vedo che ha senso: ero io che ti credevo più grande, per via del dottorato e tutto il resto insomma e il sapere che eri più piccola mi ha sorpreso in positivo perché in effetti dimostri quegli anni ma fai cose da più grandi quindi pensavo tu fossi più grande e dimostrassi meno... oddio sto facendo un discorso senza senso vero? Ma hai capito cosa cerco di dire? Mi sento un po’ un idiota.”
“Si, giusto un po’. Ma nel tuo modo caotico sei riuscito a farti capire.”
Darcy, che durante l’apologia del suo maldestro commento si era sporto sul tavolo verso Elisabetta, vedendo il sorriso di lei si tranquillizzò e si riappoggiò allo schienale della sedia.
“Insomma, non possiamo parlare male della concorrenza” disse Lisa “però potremmo parlare della tua casa editrice?”
“Si certo, che vuoi sapere?”
“Che mansioni hai? Sempre a lavoro con quel dannato iPad e col telecomando dell’Enterprise...”
“Quello che simpaticamente chiami telecomando dell’Enterprise è il mio cellulare, questo è il telefono aziendale” rispose lui tirando  fuori da una tasca dei pantaloni un oggetto dall’aria costosa.
“Ah mi pare giusto, questo è un walkie talkie della NASA” disse Lisa prendendoglielo di mano e, portandoselo all’orecchio, cominciò a fargli il verso “Huston, qui è Fitzwilliam Darcy. Non voglio dire che mansioni lavorative svolgo nell’azienda di famiglia ad una ragazza, così la sto distraendo con il mio costosissimo giocattolone. Mandate i rinforzi al più presto.”
“Ma no!” Darcy si riprese il telefono “Sono proprietario per parte delle quote e sono anche  amministratore.”
“E il nome RP da cosa viene?”
“Un tempo, prima che nascessi, erano due case editrici distinte: la Rosings di mia zia e la Pemberly di mio padre.. dato che si rivolgevano entrambe al solito pubblico e stavano entrambe attraversando una serie di problemi finanziari decisero di unirle. Il nome Pemberly viene da una tenuta di campagna, nel Derbyshire, che appartiene alla mia famiglia da molte generazioni.. non saprei dire quante. Mio padre ha sempre avuto un amore particolare per quella casa, credo sia per questo che dette proprio quel nome alla sua casa editrice.”
“Quindi è stato tuo padre a fondarla?”
“Sì, è una società molto giovane in un certo senso, non ha neanche quarant'anni.”
“E la Rosings?”
“Al contrario, risale al nonno del marito di mia zia. A quanto mi hanno raccontato era non solo un grande cervello imprenditoriale ma anche un fervido appassionato. Ci metteva mente e cuore insomma. Pensa che acquistò un castello qui in Italia perché all'interno vi si trovava una delle biblioteche più belle e meglio fornite del Trentino.”
“Un attimo... una zia che ha un castello in Trentino.. non è che stai parlando di Lady De Bourgh?”
“Sì.. ma come fai a saperlo?”
Elisabetta avrebbe preferito strapparsi da sola la lingua a morsi piuttosto che confessarlo, ma, viste le circostanze, si vide costretta a parlare: “Sai chi è Guglielmo Colli? L' amministratore..”
Lui la fissò, restando serissimo: qualsiasi cosa gli stesse passando per la mente non traspariva certo sul suo viso.
Quando le rispose con un semplice Elisabetta ringraziò mentalmente l'uomo per l'educazione che aveva avuto nel non commentare alcunché (tutti solitamente si mettevano a ridere ed a commentare con frasi alquanto imbarazzanti per un parente, di cui la più gentile era stata: chi? quel leccaculo senza cervello?) e si sentì più libera (anche se non meno imbarazzata) di rivelare la terribile verità: “E' mio cugino.”
Negli occhi di Darcy passò un lampo di sorpresa talmente grande che fu impossibile per Lisa non notarlo, ma fu questione di un attimo, e subito dopo disse: “Il mondo è davvero piccolo.”
“Non avevo idea che la datrice di lavoro di Colli fosse anche proprietaria della Rosings&Pemberly.”
“Tuo cugino non te lo ha mai detto?”
“No.. ehm.. noi non parliamo molto ecco..” mentre cercava di formulare una qualsiasi altra frase che portasse il discorso lontano da Colli le venne in mente un particolare fondamentale, che fino a quel momento aveva ignorato e fece un ovvio collegamento:
“Lady? Mio Dio Darcy, non sarai un nobile!”
Lui rise, divertito dalla faccia sconvolta della ragazza, e poi rispose: “No, io personalmente non lo sono: la famiglia di mio padre non ha titoli. Mia zia è nobile di nascita ed ha sposato un uomo nobile, motivo per cui tiene molto al titolo. Ma perché hai fatto quella faccia sconvolta? Hai qualcosa contro la nobiltà inglese?”
“Oh no, sono cresciuta con Andrea…. è impossibile che odi la nobiltà inglese.”
Ovviamente Elisabetta era sconvolta perché quel suo dannato figometro non faceva altro che salire, ma era anche sollevata: se Darcy fosse stato un nobile chi avrebbe fermato più sua madre, la cacciatrice folle di generi?
“Elisabetta posso chiedertela io una cosa?”
“Cosa?”
“Perché filologia?”
Elisabetta alzò le spalle “Capita a volte nella vita no? Fai dei programmi e poi ti ritrovi a fare tutt’altro e non sai nemmeno come ci sei arrivato. Quando mi sono ritrovata a doverla studiare ho scoperto che mi piaceva. C’erano tante altre cose che mi interessavano: la psicologia, la filosofia  anche la matematica, ma per la filologia..”
Elisabetta si interruppe perché Darcy la stava fissando (e questa non era certamente la novità della serata), ma stavolta si applicava alla contemplazione con particolare insistenza. Aveva persino smesso di mangiare per dedicarcisi meglio.
Si stava stufando di quel modo di fare, le pareva che la osservasse per il solo scopo di trovare qualcosa da criticare, forse nelle sue parole, o magari nel suo aspetto.
In realtà Darcy si imbambolava a guardarla proprio perché non trovava proprio nulla da criticare né nelle sue parole né nel suo aspetto, ma in effetti non si può biasimare il fraintendimento di Elisabetta: non è il comportamento più adatto per riuscire graditi.
Lisa era stufa, non aveva fatto in tempo a pensare che fosse una persona piacevole che già lui faceva qualcosa che la infastidiva.
Vedendo che si era fermata, Darcy ricominciò a parlare:
“E chi è il tuo scrittore preferito?”
Elisabetta sorrise e scosse la testa “Cos’è un interrogatorio? Ma sei il poliziotto buono o quello cattivo?”
“No, niente del genere. Sono solo curioso.”
“Ce ne sono molti...”
“Scegline uno.”
“Shultz.”
“Shultz? Quello di Snoopy? Quello lì?”
“Certo.”
“Perché devi sempre prendermi in giro? Rispondimi seria.”
“Ma sono seria! Adoro Shultz! Chi altri sa mischiare così ironia, poesia e lacrime?”
“Potrei obiettare che ce ne sono altri.”
“Obiezione respinta.”
“Perché? E poi non mi hai neanche fatto fare i nomi degli altri...”
“E' respinta e basta.”
“E nel caso ti sbagliassi?”
“Io non sbaglio!”
“Certo, come no...”
“In realtà in questo momento ho un particolare amore per Hofmannsthal.”
“Sul serio? Alla RP abbiamo recentemente stampato un’edizione critica che..”
“Si, lo so. È per questo che te lo volevo dire, mi sta tornando molto utile per un lavoro che sto facendo per il dottorato. È ottima.”
“Ne sono felice. Sul serio. Ho curato io quell’edizione, ci tenevo tanto che uscisse. Sai abbiamo avuto un po’ di problemi e ci sono state parecchie discussioni perché molti, compresa la zia, pensavano fosse uno spreco di denaro. Sono felice che la apprezzi.”
“L’ hai curata tu? Ma sul serio?”
“Certo! Non hai visto che c’è pure il mio nome sulla terza di copertina?”
“No, in realtà, anche se lo avessi letto, non lo avrei mai ricollegato a te. In ogni caso credevo che un amministratore pensasse a cose più…come dire…inerenti all’economia e al mercato. In tutta sincerità non avrei mai creduto che anche tu fossi un filologo.”
“In effetti non lo sono...”
“Un linguista?”
“Neanche”
“Un esperto di letteratura tedesca?”
“Ehm..no. In realtà sono laureato in economia.”
“Ah...”
“Ah? Ah cosa?”
Ah niente, che volevi che ti dicessi?”
“Spero ora tu non stia per uscirtene fuori con una paternale sul fatto che posso permettermi il pregio/diritto/lusso di fare una cosa del genere, anche senza nessuna base accademica alle spalle, solo perché sono il padrone per un motivo ereditario.”
“Guarda Mr. Permaloso che io non ho detto proprio nulla!”
“Sono certo che è così. Sennò non te ne saresti uscita con quel ah detto con quella faccia così indispettita.”
“Mi conosci già così bene da interpretare i miei pensieri in base alla mia faccia?”
“Beh, questa reazione mi fa capire che ho indovinato.”
“Altro che Mr. Permaloso, Mr. Presuntuoso!”
“Se io sono permaloso e presuntuoso, allora lo sei pure tu.”
“Io presuntuosa?”
“Sì, cosa ti porta a credere che io non avessi diritto a curare la pubblicazione di quel libro? Anzi guarda, in realtà è invidia bella e buona.”
“Questa poi! Non è invidia, mi arrabbio per quello che è un palese sopruso!”
“Un sopruso?!!?”
“Esistono tantissime persone che hanno studiato una vita e conoscono bene determinati argomenti che non avranno mai un’opportunità del genere.”
“Invidia, questa è invidia. Non mascherarti da suffragetta delle cause perse perché dovresti sapere come funziona il mondo. Poi se proprio vogliamo parlare di raccomandati è risaputo che in Italia accedono solo loro al dottorato...”
“Ok basta, suppongo che questa conversazione possa avere termine qui!” concluse Elisabetta alzandosi in piedi: “Buonanotte.”
“Buonanotte.”
 
 
 

  
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