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Autore: _dirty_ice    10/06/2013    2 recensioni
Un viaggio senza ritorno le aprirà gli occhi su un mondo nuovo, che non ha mai visto prima perchè è stata bendata da un passato nero. Scopre che si può scappare da qualcuno o qualcosa, ma non dalla propria mente. Megan vuole imparare a vivere, perchè vuole salvarsi.
«Mi rialzai sanguinante e sciaquai le ferite. Guardai lo specchio rotto e pensai che sarebbe stata l'ora di una rivoluzione. Sarei riuscita a conquistare la parte di me che non vedevo riflessa, mi sarei completata. Capii che quello era lo scopo della mia vita.»
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gerard Way, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bitter Memories Covered By Sweet Glaze

L'acqua scroscia costante sulla mia pelle bianca che ha perso colore, ultimamente. Non è mai stata di un bel colorito vivo, sembro sempre uno zombie indipendentemente da tutto. Non è quel tipo di bianco immacolato che diciamolo, è anche aggraziato oltre ad essere inquietante a volte, è più grigiastra, come se si fosse assottigliata col tempo che passa e con tutti i temporali che si sono abbattuti su di me, corrodendomi e sfogliandomi.
Il calore dell'acqua spesso sostituiva quello che le persone non mi davano. Oltre a scaldarmi, ad accarezzarmi, l'acqua che scendeva trasparente su di me trascinava via con sè i miei pensieri e i miei stati d'animo, oltre che lo sporco. Scendevano lenti insieme a lei e poi finivano nella discarica, dove potrebbero esserci stati anche quelli di altre persone.
Non importa come mi sentissi, dopo aver fatto una doccia mi sentivo sempre svuotata, ma in senso buono. La doccia era il mio dimenticatoio. Temporaneo, ovviamente.
Semplicemente chiudevo gli occhi e abbandonavo tutto, perdendomi fra il vapore che aleggia e copre tutto di una pellicola appannata. Ma non smettevo completamente di pensare perchè è impossibile, almeno credo.

Esco dalla doccia e sono immersa completamente nel vapore. La luce che viene filtrata attraverso è diventata più vivace, e tutto si colora ancora di oro. Decido di asciugarmi e vestirmi...con i vestiti sporchi, perchè non avevo portato altri vestiti. Non ci avevo pensato.
Dopodichè penso che sarebbe l'ora di uscire da questa stanzuccia. Così prendo lo zaino e scendo velocemente le rampe di scale, ma quando arrivo nella hall essa è ancora deserta.
Mi ritrovo ancora a camminare al ciglio della strada seguendo la continua striscia bianca ed osservando intanto tutto ciò che mi circonda con fervea curiosità. L'ambiente è davvero piacevole. Le case pittoresche mi accompagnano, e si susseguono di varie forme ma soprattutto colori: da quelli più tenui come il verde salvia ed il giallo mais e tutti i colori pastello, a quelli più sgargianti come il rosso. Dai balconi spuntano graziosi fiori, e ci sono persino alcuni giardini con l'erba rigogliosa.

La via è vuota, i bambini sono a scuola, le persone sono a lavoro. Persino i vecchietti non ci sono, ma stanno rintanati nelle loro case sicure. E' primavera, così il vento porta con sè pollini e foglioline, insieme agli odori vivaci come quello di erba appena tagliata.
Il mare, intanto, giace placido sul mondo, indisturbato da navi e barche. Infatti, non c'è alcuna imbarcazione. Rimango incantata dalla sua voce e dai suoi colori, ma anche da quelli dell'ambiente in generale.
E' completamente diverso da dove vivevo io. Tutto era come sommerso da un grigiore triste, laggiù. Gli alberi che s'innalzavano dalle terre aride si contorcevano secchi, senza foglie, e andavano a formare boschi di un aspetto teatrale e tetro. Ai loro piedi si estendevano arbusti anch'essi rinsecchiti, e nei fossi padroneggiavano grandi macchie di rovi, pieni di spine appuntite. L'unica cosa buona che c'era, era che ogni tanto ce n'erano quelli di more e lamponi. Adoravo i frutti di bosco, il loro sapore succoso e dolce che inondava il mio palato quando esplodevano sotto la pressione dei miei dentini.
Una volta ricordo che io e Melanie ci eravamo addentrate nel bosco vicino casa da sole. La mamma non voleva, ma io me ne fregavo altamente e trascinavo la timida bambina con me nell'avventura. Le raccontavo storie da me inventate, leggende frutto della mia mente che narravano di luoghi magici e incantevoli che si potevano raggiungere attraversando boschi inquietanti come quello. Le dicevo che, per arrivare alle cose belle, prima era necessario affrontare le cose brutte.
Lei aveva paura che la mamma se ne accorgesse, ma credeva in me, ed era affascinata da tutto ciò che usciva dalla mia bocca. Tenendole la manino calda proseguivamo per piccoli viottoli leggermente in salita fra la vegetazione sterile, e c'erano tante buche e pietre appuntite lungo il nostro percorso. Dopo un po' Melanie voleva tirarsi indietro perchè aveva paura, anche di perdersi. Io però continuavo ad incoraggiarla, e così abbiamo avanzato ancora, fino a ritrovarci di fronte ad un burrone pieno di rovi cosparsi di more e lamponi. Era uno spettacolo tenebroso. Anche lei ne era rimasta stregata, e voleva raccogliere un po' di quelle prelibatezze.
Avevo pianificato con lei una strategia per arrivare a prenderle: io mi sarei appigliata all'albero più vicino e le avrei tenuto stretta la manino, mentre lei si sarebbe protesa in avanti. Era d'accordo, così ci mettemmo in posizione e ci allungammo il più possibile. Iniziò a raccoglierne un po', poi le infilava in tasca, anche se alcune se le mangiucchiava di nascosto. Le dicevo di sbrigarsi, perchè i miei muscoli iniziavano a cedere, ma all'improvviso lei vide una vespa e si spaventò. Iniziò a urlare e a dimenarsi e io lasciai la presa accidentalmente, lasciandola precipitare giù nei pruni. Il buio e il terrore mi punsero spietati come le spine facevano con il suo povero corpicino. Mi distesi a pancia in giù sul terreno e le allungai la mia mano, incitandola disperatamente ad aggrapparsi, ma lei piangeva, urlava e si agitava. Gli aculei adunchi foravano la sua tenera pelle, le graffiavano il visino e le gambe, lasciando scorrere incessantemente goccie di sangue rosso intenso. Le sue lacrime si confondevano con la sua disperazione e i suoi gridi di angoscia, ma finalmente riuscii ad afferrarla e portarla su. Quando riuscii a salvarla mi guardò furente, ma continuava a sbraitare. Cercai di calmarla, il mio cuore che prima aveva quasi cessato di battere per il terrore adesso mi lacerava insieme ai sensi di colpa. Lei lo sapeva, voleva continuare a farmi del male. Aveva sete di vendetta.
Mi levai la maglia a maniche lunghe bianca che avevo rimanendo in maniche corte, e con il panno bagnato d'acqua sciaquai le ferite che non smettevano di sanguinare. Le dissi di tenerlo stretto al polso, dove aveva una grande lesione, e poi mi scusai. Non voleva saperne, aveva chiuso con me. Pensavo che fosse un capriccio temporaneo, ma non era così.
Quando tornammo a casa e mia mamma si accorse dell'accaduto Melanie sfogò la sua rabbia su di lei incolpandomi di tutto, e quindi il mostro mi picchiò così forte che mi rimasero i lividi per settimane. In più, mi rinchiuse nello scantinato per una settimana, senza mai aprire la porta. Dovevo mangiare ciò che trovavo, e dovevo dormire sul pavimento polveroso. In più c'era solo una finestra, ma piccola, opaca e sigillata, così che non potessi neanche apprezzare la luce del sole poichè era molto fioca.

Adesso però il sole brilla, batte forte sulla mia schiena. Il calore pervade il mio corpo e inizio a sudare. Eppure è solo primavera.
Decido di ripararmi dal sole sotto l'ombra di un negozio, e mi accorgo che è una pasticceria. La vetrina mi permette di vedere dentro. C'è poca gente che siede ai tavolini gustando dolci, e in fondo si estende un balcone che espone tantissimi pasticcini, torte e biscotti di ogni tipo. Non resisto alla sola vista, così entro e vengo travolta da un piacevole odore intenso e aromatizzato, così dolce. Mi incanto quasi di fronte all'espositore, tutti i dolci hanno un aspetto magnifico, e penso che quasi mi dispiacerebbe mangiarne uno.
- Buongiorno! - esclama un uomo di una certa età da dietro il balcone, accogliendomi con un sorriso nascosto dai baffoni grigi.
- Buongiorno. Mi puoi dare uno...uno di quelli là, a destra? - indico con un dito dei cupcakes ricoperti da una glassa bianca con scaglie di cioccolato.
- Questi? -
- Sì, quel-
- Cazzo! -
Un ragazzo cameriere mi ha appena buttato addosso involontariamente un intero vassoio pieno di cupcakes. La farcitura mi copre quasi completamente la faccia e la maglia, il che fa quasi pensare che l'abbia fatto di proposito, ma so che non è così. Mi tolgo con le mani la glassa da una guancia e infilo in bocca un dito.
- Mmm, buono - dico.
- Scusami tanto, non volevo...oddio, mi dispiace...- continua il ragazzo dai riccioli folti, visivamente imbarazzato.
- Oh, non preoccuparti, non fa niente - dico, accompagnando le parole con un gesto di irrilevanza della mano.
- Ma guardati, sei coperta di glassa! Ed è tutta colpa mia, sono così goffo...-
- Ma dai, succede. Lascia perdere - lo rassicuro, con un sorriso. Lui mi guarda e capisce che davvero non me la sono presa, così mi sorride di rimando.
- Okay. Io sono Ray. Tu? - mi tende una mano
- Io Megan. - dico, e poi stringo la sua mano. Solo dopo averlo fatto mi rendo conto di averla farcita di panna.
- Oddio, scusa! - e lui scoppia in una risatina.
- Beh, Megan, erano quelli i cupcakes che volevi, no? - scherza l'uomo coi baffi divertito.
- Sì, proprio questi! - mi chino per aiutare Ray a raccogliere il vassoio e i dolcetti spiaccicati sul pavimento.
- No, tu non devi aiutarmi, faccio pure da solo -
- Invece voglio aiutarti, quindi stai zitto. - Ray si volta verso di me stupito.
Lui balbetta qualcosa di incomprensibile, ma poi tace, e rimane con la faccia rossa dall'imbarazzo.

Ci alziamo da terra e io gli sorrido, sì per rassicurarlo, ma anche perchè effettivamente la situazione è abbastanza comica. Io sono completamente glassata, ed emano un odore eccessivamente forte e dolce, mentre lui se ne sta lì in piedi, con il vassoio pieno di cupcakes fatti a pezzi e la faccia un po' sbalordita ma anche riconoscente.
- Grazie. - mormora.
- Adesso che hai raccolto tutto posa la roba in cucina e vai a casa. Non dovresti neppure lavorare il Mercoledì, e dato che hai la testa fra le nuvole è meglio che ti riposi, invece di combinare pasticci in negozio! - scherza l'uomo con i folti baffoni, sogghignando.
Ray annuisce e porta tutto via, poi torna e mi fissa.
- Se vuoi puoi venire con me, ti va? Almeno ti ripulisci un po'. Sei così dolce che potresti farmi venire il diabete - sorrido.
Salutiamo il pasticciere e usciamo all'aria aperta. Il vento gli scompiglia i folti riccioli castani. E ci incamminiamo per i marciapiedi d'asfalto, mentre l'atmosfera intorno si fa tranquilla al calare della sera, e la tenue luce arancione proietta ombre allungate.
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Macciao c:
Sono ritornata, con questo capitolo dove spunta Ray! Sappiate che ho intenzione di infilare tutti, Mikey, Bob, Frank (beh, più o meno), quindi è solo questione di tempo. Ognuno di loro, Gerard ovviamente compreso, rappresenta qualcosa.
Quindi. Ray lo conosciamo nel prossimo capitolo.
Il ricordo di Megan, quello di lei e sua sorella nel bosco, è una cosa che mi è successa davvero, più o meno. Mi ha segnato, anche se non c'è motivo, e quindi l'ho voluto scrivere per mettere in contrasto il passato, grigio, con il presente allegro, leggero, pieno di colori. Almeno apparentemente.
Non ho molto da dire, e so che magari questo capitolo è un po' vuoto. Penso che quelli più sostanziosi debbano ancora essere scritti. Finalmente la scuola è finita, quindi può darsi che troverò più ispirazione e che aggiornerò più spesso, invece che ogni Sabato/Domenica (per vostra sfortuna c:)
Infine, vorrei ringraziare tutti quelli che leggono. E ovviamente una pazza che sto contagiando, MUAHAHAH, ciao Bianca :'3
 
See ya! _dirty_ice

 
  
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