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Autore: Flaqui    11/06/2013    4 recensioni
Il mondo è diverso da come lo ricordate.
La società è moderna, avanzata, dotata di ogni genere di tecnologia e ha affrontato il problema Bomba Nucleare con la costruzione di alcune zone sicure in cui è ancora possibile vivere. In un ambiente post-apocalittico, li unici insediamenti umani ancora esistenti sono le quattro grandi Cupole, rette da un Governo irreprensibile e organizzate in delle rigide classi sociali dalle quali non si può scappare.
I Governanti, una classe sociale unicamente maschile, si occupa di offrire al Paese un sistema politico degno di questo nome. I Guerrieri, allenati nella grande scuola di Metallica, difendono il Paese da minacce esterne e interne. I Produttori svolgono li altri mestieri, occupandosi delle necessità loro e delle altre classi. Ma c'è gente che non ci sta.
"Il mondo di Melanie finisce lì, si esaurisce alle pareti di materiale invisibile della Cupola, dove l’aria è respirabile e dove, grazie all'aiuto delle macchine, qualcosa cresce ancora. Fuori dalla Cupola Melanie non sa cosa sia esistito, un tempo.
Ma sa cosa c’è adesso. La morte."
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dedicato a le 6 meravigliose ragazze che hanno recensito il capitolo precedente e tutti coloro che hanno inserito Metallica fra le preferite/seguite/ricordate. Un ringraziamento speciale a Bess, per il sostegno e a Ivana per la pazienza.
Un "in bocca al lupo" a tutte/i coloro che sono in periodo di esami e un "Grazie al Cielo" da condividere con quelle che hanno iniziato le vacanze, come me. La scuola mi ha tenuta prigioniera per un bel po', ecco perchè il capitolo arriva così in ritardo.
Ma, ora che finalmente l'estate è arrivata (Summer is coming, yah), credo di poter garantire maggiore puntualità.
Il capitolo è Rebecca Centric, mentre quello che lo seguirà sarà incentrato solo su Melanie.
Spero che vi piaccia! Io, personalmente, mi sono divertita molto a scriverlo!
Un bacione a tutte voi!


Capitolo III
Finestra sull'ignoto

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5 Ottobre 2198, Cupola Ovest
Metallica; SottoCupola Tunner, (Messico)
Mensa, Terza Strada – Alloggi Alpha, Ore 14.21
 
Il primo giorno dopo l’esplosione i ragazzi Alpha dovettero prestarsi ad una revisione totale dal punto di vista fisico e estetico: a tutti i maschi che portavano i capelli eccessivamente lunghi fu imposto un radicale taglio da cadetto. Anche le ragazze con i capelli che superavano le scapole dovettero accorciarli e Rebecca fu grata di esserseli tagliati corti sulle spalle prima dell’estate.
Il pomeriggio dello stesso giorno fecero anche un breve giro per l’immensa struttura di Metallica. Rebecca si sentì stranamente potente a conoscere già la collocazione degli alloggi grazie alle istruzione datale precedentemente da Pyke e seguì la loro guida, la Responsabile Erika Summer, con un sorrisetto soddisfatto. Percorsero il perimetro dell’Area Natura, una fitta boscaglia e nessun sentiero;  fecero una tappa in Sala Mensa, che apparve loro estremamente grande senza tutti li studenti dentro; e ancora nella Zona Riservata agli Allenatori, nell’Infermeria di Malina, davanti ai grandi cancelli che delimitavano il perimetro della struttura e, per ultima, era stata mostrata la grande Palestra.
Una volta lì dentro, tutti ammassati sull’ingresso senza il coraggio di entrare, Rebecca rimase senza fiato per le varie attrezzature di cui era dotata.
Erika li superò passando attraverso il loro folto gruppetto –li avevano divisi in due unità, all’inizio della giornata, e la sua contava almeno una trentina di componenti-, e i ragazzi si aprirono completamente, creandole uno stretto corridoio e ritirandosi al suo passaggio come se il solo starle vicino potesse garantire la loro morte.
La Responsabile raggiunse quello che aveva tutta l’aria di essere un ring da combattimento e si appoggiò con la schiena alle resistenti funi che ne delimitavano il perimetro.
«Dunque, il nostro amabile primo giro si conclude qui. Spero che Metallica vi sia piaciuta. Nel caso non fosse così… beh, ormai è troppo tardi per tornare a casa quindi mi sa che dovrete arrangiarvi»Erika incrociò le braccia all’altezza del petto e Rebecca intravide le innumerevoli cifre del suo tatuaggio, in piccolo, lungo l’osso della clavicola «Ora, come nuovi arrivati, oltre al ben noto discorso inaugurale, che fortunatamente non farò io, vi saranno garantiti almeno tre giorni di assestamento, in modo che possiate abituarvi ai nuovi ritmi. Dopo di che, immagino che dobbiate iniziare a darvi da fare»
Rebecca non la trovava troppo simpatica, quella Erika. Era fin troppo propensa a dare per scontato la loro scelta e il loro trovarsi lì: come se non fossero in alcun modo pronti o degni di sfiorare il sacro terreno di Metallica. Lei non poteva essere assolutamente certa che la scelta che aveva compiuto, e tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate, fosse quella migliore, ma, come aveva detto Erika, ormai era lì.
Sono forte. Sono forte, ce la faccio. Posso fare tutto.
«Andiamo, Erika. Dai a questi giovani un po’ di respiro!»Rebecca sussultò nel sentire una nuova voce provenire proprio da dietro di lei. Si era attardata, quando si erano avvicinati ai cancelli di Metallica, e quindi si era ritrovata in fondo vicino alla porta della Palestra.
Non l’ho proprio sentito arrivare.
L’uomo aveva i capelli abbastanza lunghi, per essere un Allenatore, gli arrivavano quasi alla base del collo e Rebecca vide Nicko, il ragazzo dai capelli biondi che si era allontanato con Anya il giorno dell’esplosione, fissarli con un misto di rimpianto e desiderio. Ma, nonostante la maglietta a maniche corte e l’abbigliamento informale, portava il piccolo stemma che ne specificava ruolo e posizione.
«Sono Cain Lloyd, piacere di conoscervi ragazzi»raggiunse a grandi falcate Erica e sorrise amichevolmente. A Rebecca fece una migliore impressione rispetto a quella della sua collega e ne seguì i movimenti con curiosità.
«Come vi stava già accennando Erika, come novellini vi toccherà stare a sentire il mio solito discorso di benvenuto. Ovviamente sapete tutti come funziona, qui, no?  I primi quattro anni, ovvero i due livelli Alpha e i due livelli Beta, sono obbligatori e garantiscono una preparazione generale che ogni rappresentante della nostra Classe Sociale deve avere»Cain fece un veloce cenno con la mano e Erika, accanto a lui, sollevò appena li occhi al cielo.
«Quelli che completano il Primo Ciclo, possono scegliere varie specializzazioni: quella Medyca, che da la possibilità di soccorrere in prima linea i feriti; oppure quella Diplomatica, con Rappresentanti della Classe Sociale che mediano con il Governo Generale e così via…»
Rebecca, che non aveva minimamente pensato alle altre possibili opzioni che il frequentare Metallica offriva, ne fu piuttosto interessata ma, con suo disappunto, Cain non si soffermò ulteriormente sulle specializzazioni e continuò il suo discorso.
«Il Secondo Ciclo, invece, prevede due livelli Gamma e un unico livello Omega, facoltativi.
Il primo livello Gamma viene intrapreso solo da chi sognava un ruolo in prima linea nella difesa e nella salvaguardia della Cupola. Quelli del secondo livello Gamma sono invece spediti Oltre-Cupola, a fare esplorazioni fra le macerie di quello che resta del Mondo Di Prima, o a sedare le rivolte sanguinose in atto nella Cupola Est.»
Rebecca vide Sean, il ragazzo dal naso aquilino che si era seduto accanto a lei in treno e che portava ancora i segni delle esplosione sul viso –un bel taglio ormai quasi del tutto rimarginato-, dare di gomito a Teks, un altro Alpha che era stato messo nel loro stesso gruppo, e i due scambiarsi una occhiata di intesa.
«Il livello Omega che è aperto solo ad una decina di studenti, i migliori di una classifica stilata nei precedenti sei anni e che continua anche nel settimo, garantisce invece, dopo un intenso percorso di 365 giorni, un posto fisso ai primi tre nei Servizi Segreti della Cupola»
Erika rise appena, malignamente «Magari fra un paio di anni uno di voi pappamolle sarà nella Divisione Speciale!»
Cain le lanciò uno sguardo di avvertimento, prima di tornare a guardare loro. Rebecca e i suoi compagni del Gruppo B si erano, se possibili, immobilizzati ancora di più, sotto il suo cipiglio severo.
«Ma Metallica non è solo questo, ragazzi. Non è solo numeri, classifiche, mosse di combattimento e disciplina. Metallica, da oggi in poi, è la vostra casa, la vostra patria, il vostro mondo. Metallica è il coraggio che vi ha spinto a compiere questa scelta, è la volontà di opporsi alle ingiustizie e avere le conoscenze e la possibilità per farlo. Metallica non significa non avere paura, imbracciare armi e sparare al primo che vi sta antipatico. Metallica è controllare le vostre paure, -non credete di non averne! Un uomo per essere coraggioso deve avere paura!- significa sfruttare con attenzione quello che avete, significa far parte di una comunità.»
Cain fece una pausa colma di aspettativa che si protrasse per alcuni secondi, in un silenzio religioso scalfito appena dal battito di trenta cuori degli studenti del Gruppo B.
«Se siete qui, vuol dire che avete coraggio, e, se non siete stupidi, significa anche avere paura. Metallica vi accoglie e da oggi è la vostra casa. Benvenuti!»
Rebecca si era sentita il cuore ricolmo di felicità e, per un attimo, il pensiero dei duri anni che sarebbero seguiti sparì dalla sua mente.
Il terzo giorno dopo l’incidente, quello dopo il giro di perlustrazione e il discorso di benvenuto, li portarono –entrambi il Gruppo A e il Gruppo B- in una palazzina grigia nella Prima Strada, proprio accanto agli Alloggi degli Omega e alla Palestra- e, dopo averli fatti accomodare su delle scomode sedioline in una Stanza quasi completamente priva di mobilio, li iniziarono a chiamare uno alla volta, a seconda del numero che portavano tatuato.
Rebecca vide Anya, Nicko, Teks, Sean e tanti altri ragazzi di cui conosceva solo il viso e non il nome entrare prima di lei. Alla fine rimasero solo lei e una manciata di ragazzini, fra cui Cyvonne, una ragazza che aveva conosciuto da poco, che era proprio l’ultima con il suo 311.
Quando venne il suo turno fu fatta accomodare in un ufficio dai tetri muri grigie e una parete a vetrata dalla quale entravano piacevoli raggi di sole. Seduti ad una ampia scrivania metallica, grigia anche questa, c’erano due giovani. Rebecca considerò che la loro età fosse compresa fra i venticinque e i trenta.
La ragazza aveva la pelle olivastra e i capelli liscissimi che le scendevano ben oltre la schiena. Li occhi erano leggermente allungati e le mani garbatamente intrecciate. Lui, invece, aveva scompigliati capelli rossi e un sorriso incoraggiante che la fece rilassare impercettibilmente.
«Siediti, ti prego» fu lui a parlare e, una volta che Rebecca si fu accomodata si fece avanti con il busto, stringendole la mano «Piacere di conoscerti. Come ti chiami?»
«Rebecca Anderson»rispose lei, cercando di apparire sicura nel presentarsi.
La ragazza sbuffò e incrociò le braccia al petto «Il tuo numero, ragazzina. Non ce ne facciamo nulla del tuo nome»
Rebecca si morse il labbro, infastidita e intimidita allo stesso tempo. Il ragazzo le sorrise di nuovo e lei cercò di trattenersi dall’esplodere.
Mi sono dimenticata. Per le autorità Rebecca Anderson non esiste più. Io sono 306.
«306»
La ragazza annuì e, mentre digitava qualcosa sul suo O.L.O. si scostò i lisci capelli dal viso, spostandoli dietro la schiena. Indossava una camicetta bianca e Rebecca, osservandole la scapola, comprese che non era un Guerriero.
Non che ne avesse avuto dubbi, certamente. I Guerrieri erano diretti, scortesi e rozzi, forse, ma non si davano tante arie.
«E voi chi siete?»chiese, incapace di trattenersi.
«Non sono affar-»
«Su, Nina, dai. Non ci ha chiesto nulla di terribile!»il giovane fece un cenno nella sua direzione «Lasciala stare, ha avuto una brutta giornata. Sono Kallum Reyes, Governante di Terzo Ordine e la mia amica qui è Nina Nguyen, Produttore con Specializzazione Democratica»
«Bene, a meno che la ragazzina qui non abbia altra domande inappropriate e  tu non abbia voglia di perdere ancora tempo rispondendole, direi di cominciare»
Kallum annuì e, dopo aver fatto un breve cenno con il capo nella sua direzione, iniziò a fare le sue domande. Rebecca era stata in minima parte preparata da Erika e Cain, che li avevano accompagnati, quindi si aspettava che le chiedessero cose personali.
Da quanto aveva capito era una sorta di intervista psicologica: il fine era quello di comprendere meglio la loro personalità, le loro debolezze, i motivi che li avevano spinti a scegliere Metallica e cose del genere. Di certo non si aspettava domande sulla sua famiglia e sulla sua vita privata e, in certi casi, neppure il sorriso incoraggiante di Kallum riuscì a convincerla a rispondere.
«Hai paura di qualcosa in particolare? L’acqua, l’altezza? Il sangue?»le chiese Nina, alla fine e, dopo aver ricevuto un secco di diniego –con lei si era scucita il meno possibile, la trovava estremamente antipatica- la ragazza chiuse la finestra del suo O.L.O. e si schiarì la voce «Bene, allora. Qui abbiamo finito 306. Dobbiamo fare solo un ultimo controllo e poi potrai andare»
Nina roteò li occhi al cielo e si alzò in piedi. Raggiunse il centro della stanza, i suoi tacchi a spillo che ticchettavano ritmicamente sul pavimento e la gonna nera lunga fino al ginocchio che si sollevava appena. Rebecca scorse Kallum fissarle spudoratamente il didietro e sorridere appena ma, per una volta, non commentò.
Nina raggiunse il piccolo mobiletto, grigio e metallico come la scrivania e le sedie, e da un piccolo cassetto tirare fuori uno strano aggeggio. Era rettangolare e piuttosto lungo. Terminava con una sottile striscia argentata, forse ferro o acciaio, -anche se, considerando il valore di quei metalli, Rebecca credeva fossethean- e Nina lo maneggiò con grande attenzione, mentre tornava verso di loro.
«Sposta la spallina»le disse, quando fu di fronte a lei.
«Cosa?»chiese Rebecca, perplessa e affascinata dal modo in cui la poca luce della finestra si rinfrangeva sulla sottile lama dell’oggetto.
«Devo vedere il tuo tatuaggio, 306. Dobbiamo controllare che sia tutto in regola»Nina allungò la sua mano sottile e dalla pelle olivastra verso la sua spalla e, senza chiederle il permesso, scostò la bretellina della canotta della sua divisa, scoprendo il tatuaggio sulla clavicola.
Rebecca si ritirò a quel tocco freddo e invadente, facendo quasi un salto all’indietro. Sarebbe scappata via se non ci fosse stato Kallum, silenzioso e sorridente, davanti alla porta, ad impedirle l’uscita. «Cosa è quella cosa? Cosa volete farmi?»
«Oh, insomma! Ma perché, io dico, non li peparono minimamente? Questa è già la quinta che cerca di aggredirci!»Nina sbuffò e, se non avesse avuto in mano lo strano oggetto, probabilmente avrebbe alzato le braccia al cielo «E’ solo un dannatissimo controllo! Non morirai, non sverrai, non ti cadranno i capelli. Devi solo startene ferma e buona e lasciarmi fare il mio lavoro!»
«Nina»Kallum la blandì e Rebecca lo sentì avvicinarsi «Scusala, ragazzina. Come ha detto non sei la prima che fa storie e noi stiamo solo facendo il nostro lavoro. Ora: non ti succederà nulla, davvero. È l’ultima parte del nostro controllo. Quell’aggeggino lì che vedi, beh… quello si chiama Conozco, e ci da maggiori informazioni sul tuo organismo: se è in salute, se soffre di qualche disturbo, se ci sono problemi…»
«Muoviti ora, voglio andare a casa»Nina la fece sedere di nuovo e le abbassò la spallina quanto bastava per far fuoriuscire completamente il tatuaggio. Per un attimo Rebecca si vergognò del suo petto in parte scoperto ma, dopo aver appurato che Kallum sembrava più interessato alla scollatura di Nina, piegata verso di lei, che alla sua, si rilassò.
Quando il Conozco si avvicinò alla sua pelle Rebecca sentì tutti i peli sul suo braccio rizzarsi e una strana ansia corroderle lo stomaco, come se una mano invisibile la stesse strangolando. Infine lo strano aggeggio toccò il suo tatuaggio e Rebecca provò una scossa di dolore lungo tutto il braccio. La lama del Conozco non sembrava troppo appuntita ma, non appena aveva sfiorato i numeri tatuati, aveva provato la terribile sensazione di un migliaia aghi appuntiti che le perforavano la pelle e le tiravano il sangue.
Durò poco e Nina fu veloce nel toglierlo dalla sua pelle, con un movimento secco che le evitò ulteriore dolore. Rebecca le fu stranamente grata per quello e, quando riabbassò lo sguardo sulla scapola, i numeri le apparvero molto più neri e dai contorni più definiti.
«Ti fa male?»la voce di Nina era stranamente gentile e Rebecca rimase un attimo in silenzio, affinché la voce non tremasse nel risponderle.
«Non troppo»
Nina rimase in silenzio per qualche secondo, prima di muoversi nuovamente. Questa volta prese a frugare nella sua borsa e, quando ebbe finito, ne tirò fuori un piccolo contenitore azzurro. Una volta che lo ebbe svitato nella stanza si sparse un  buon odore che a Rebecca ricordò il profumo di sua madre. Nina raccolse un po’ di quella che sembrava essere pomata dal barattolo e la spalmò con le dita fredde e stranamente gentili sulla pelle arrossata.
A primo impatto anche quella bruciò –e Rebecca la mandò a quel paese con tutte le sue forze-, ma subito dopo una strana sensazione di frescura e di sollievo la invase tutta.
Quando Nina si rialzò per rimettere a posto il contenitore nella borsa, Kallum si sporse verso di lei e le sussurrò in tono cospiratorio «Non è tanto male se si impegna, vero?»
Rebecca annuì e, poi, 306 uscì da quella porta senza dire nulla.
Il quarto giorno Erika Summer e Cain Lloyd li portarono nuovamente in Palestra.
Questa volta c’erano entrambi i Gruppi e Rebecca aveva salutato con un sorriso felice Nicko e Anya, che non vedeva dalla colazione del giorno precedente. Il Gruppo A abitava nella palazzina di fronte alla propria, quindi Rebecca li incontrava solo a Mensa o quando avevano attività insieme. C’era il ring di combattimento che aveva già visto in precedenza e tutti li Alpha di Primo Livello erano addossati alla parete grigia della Palestra.
Un gruppo di Omega –cinque ragazzi e una ragazza- si stavano allenando in un angolo. Rebecca non ne fu troppo sorpresa: li Omega si allenavano costantemente, ogni giorno, per almeno sei o sette ore di fila. Rebecca li compativa un po’ –tutto quel tempo a combattere, nemmeno un attimo di respiro- ed era più che convinta che lei non sarebbe riuscita ad affrontare uno stress del genere, eppure non riusciva a distogliere lo sguardo da loro.
Si muovevano veloci, sicuri, con una sorprendente grazia e fluidità e la loro lotta apparve a Rebecca quasi come uno schema fisso, in cui nessuno riusciva a prevalere sull’altro.
Proprio al loro arrivo due fra i ragazzi si stavano sfidando in uno dei tanti ring da combattimento e li altri erano tutti intorno a loro, a osservare la loro lotta e a lanciare indicazioni e suggerimenti. Solo la ragazza e un altro Omega erano lontani dal ring e si stavano allenando con delle sacche imbottite. A turno, uno dei due reggeva la sacca e l’altra la colpiva e poi di nuovo, al contrario.
Cain si schiarì la voce, riportando l’attenzione su di lui.
«Non è difficile, novellini: per oggi si tratta solo di vedere la formazione base. Per esempio: lo sapevate che la maggior parte di voi non sa tirare correttamente un pugno?»Cain li guardò un po’, come ad osservare la loro reazione, un po’ spaesata e insicura; poi si girò verso il gruppo di Omega «Theo, per favore, vieni qui un attimo?»
Uno dei ragazzi che non stavano combattendo, sulla ventina, dai capelli corti e la mascella appena sporgente si fece avanti.
«Si, Allenatore Lloyd»disse, incrociando le braccia al petto e fissando nella loro direzione con uno sguardo abbastanza curioso.
«Vorrei che aiutassi Erika a dimostrare come posizionare correttamente il peso, i piedi e i pugni. I nostri novellini hanno bisogno delle basi»
Theo annuì energicamente e, preso posto vicino all’Allenatore, iniziò a parlare con una voce bassa e vagamente roca. Erika, accanto a lui, annuiva ogni tanto e aggiungeva qualche particolare o dava altri suggerimenti.
I ragazzi Alpha si  disposero lungo il diametro della Palestra e presero a imitare i loro istruttori.
Cain, intanto, si era allontanato e aveva raggiunto il gruppo di Omega. Lo scontro sul ring si era concluso e ne era iniziato un secondo. Questo si concluse piuttosto velocemente, però. Il ragazzo dai capelli scuri che stava precedentemente colpendo la sacca imbottita ci mise appena qualche minuto per ribaltare il suo avversario e scese dal ring con un saltello ben calibrato, grazie allo slancio datogli dalle corde.
Rebecca vide l’Allenatore battergli una pacca sulla schiena e rivolgersi alla ragazza, che sembrava intenzionata a salire anche lei sul ring. Stava scuotendo appena la testa, facendo cenno con il capo alla spalla della ragazza, e agitando appena il braccio muscoloso.
«È Jamie Lloyd. La nipote dell’Allenatore Lloyd»la informò Nicko, che aveva notato la direzione del suo sguardo e stava indossando i guanti protettivi «Una specie di macchina assassina. Non che sia strano, che lo sia: immagino che si alleni anche d’estate, con uno zio del genere. Mio fratello ha avuto una cotta per lei per circa due anni, prima di mettersi con Alicia»
«Tuo fratello è fra li Omega?»Rebecca ne fu abbastanza sorpresa. Le era parso di capire che la famiglia di Nicko lavorasse fra i Guerrieri da generazioni e lui stesso aveva accennato all’esistenza di un fratello maggiore, ma non si aspettava di ritrovarselo lì a Metallica.
«Si, è qui in giro: lo sto evitando. Meno tempo passiamo insieme, meno tempo passerà a prendermi in giro. Sopportarlo a casa è già abbastanza»
Nicko si strinse nelle spalle, poi si voltò a guardare le mosse di Theo e Erika che stavano nuovamente ripetendo la dimostrazione dell’esercizio. Rebecca lo vide corrugare appena la fronte ma, quando si girò verso di lei, il suo viso era tranquillo e sereno come sempre.
«Stai in coppia con me?»chiese, prendendo a saltellare sul posto e agitare i pugni, in una ridicola imitazione di combattimento «Ci vado piano, promesso»
Rebecca sorrise, indossando anche lei i suoi Guanti di Protezione. Erano sottilissimi, di una sostanza –non era stoffa, ma un materiale sintetico che veniva usato per rivestire anche li strumenti da laboratorio piuttosto delicati- trasparente ma piuttosto ruvida al tatto. Le calzarono addosso come una seconda pelle ma Rebecca dovette comunque piegare due o tre volta le dita, per renderli abbastanza flessibili.
«Perché no?»chiese, cercando di ricordarsi la sequenza di gesti che aveva appena visionato.
Nicko sorrise, prima di far partire il pugno. Mirò alla sua spalla e Rebecca non fu abbastanza veloce da intercettarlo, così cercò di spostarsi. Non ci riuscì completamente e lui la colpì di striscio, ma non era stato un attacco forte, quindi non le fece troppo male.
Quando ci provò lei, però, Nicko fece scattare il suo braccio a parare il suo con un gesto secco e, anche se non riuscì a trattenerlo, fu comunque abbastanza abile da deviarlo lontano dal petto, dove era diretto. Rebecca lo guardò sorpresa e abbassò il pugno lungo il fianco.
«Ehi, ho detto che ci sarei andato piano, non che non mi sarei difeso»rise lui, riprendendo a saltellare e ritentando di nuovo a colpirla.
Questa volta andò meglio e Rebecca riuscì ad intercettarlo e ad evitare l’offensiva.
Theo e Erika mostrarono loro diverse altre posizioni dei piedi e delle braccia e Rebecca apprese da Nicko, che bene o male conosceva tutti grazie al fratello, che il giovane Omega sognava una carriera come Allenatore, dopo Metallica.
«E se viene preso nella Divisione Speciale?»chiese Rebecca, mentre cercava di mantenere l’equilibrio spostando il peso sulla punta dei piedi.
«Non lo prenderanno»asserì Nicko, scuotendo la testa «Certo, non è assolutamente certo… ma la Selezione per la Divisione Speciale la fanno a Dicembre, quindi già da Settembre è possibile capire chi prenderanno dalla classifica»
«E chi prenderanno? Tuo fratello?»
«Gabe? Oh, no, no! Anche se lo prendessero non credo che accetterebbe. Chi fa parte della Divisione Speciale non può sposarsi  e Alicia preferirebbe castrarlo piuttosto che rinunciare al suo prezioso anello»Nicko scosse il capo, divertito dalla situazione «No, prenderanno John Shaw, Jamie Lloyd e Daley O’Connor. Gabe è solo quinto!»
Rebecca  scrollò le spalle e Nicko fece cadere l’argomento. Ma lei rimase a guardare Jamie Lloyd che si muoveva sul ring per un tempo che le apparve infinito.
Quando il ragazzo dai capelli biondi e l’aria familiare –il fratello di Nicko, collegò solo in seguito- fece per colpirla, scherzosamente a giudicare dalla smorfia divertita, schivò il suo pugno con una mossa fluida.
Afferrò il braccio ancora teso dell’avversario e poi si mosse così velocemente che a Rebecca apparve come una macchia sfocata. Non comprese bene come avesse fatto ma, un minuto prima il ragazzo biondo era in piedi accanto a lei, il minuto dopo era steso di schiena sul tappeto grigio della palestra, con il braccio storto sopra il capo e le gambe strette in un intricato groviglio con quelle di lei.
Il ragazzo rise e le diede una manata sul capo -neanche troppo leggera, in effetti- e Jamie Lloyd sorrise appena. Era un sorriso spento e che non le donava affatto.
Rebecca pensò che apparisse molto più carina quando era seria o imbronciata. Il viso troppo spigoloso si tirava troppo, quando rideva, e il sorriso appariva quasi fuori posto su quelle labbra sottili. In ogni modo, non durò troppo.
Tornò subito alla sua smorfia insofferente e, una volta che il fratello di Nicko fu di nuovo in piedi, riprese l’allenamento con la sua sacca grigia appesa al soffitto.
 
«E’ assolutamente rivoltante»
Anya arricciò il naso e allontanò il piatto, facendolo scontrare contro il bicchiere di vetro mentre fissava risentita l’affollata Sala Mensa attorno a lei.
Rebecca rimase in silenzio ma, quando si portò alle labbra la sua porzione di stufato, anche lei storse un po’ la bocca. Il cibo, lì a Metallica, non era per niente buono.
Nicko aveva detto che lo Stabilimento di Produzione che riforniva Metallica non era dei migliori: usava ancora i vecchi macchinari di Esportazione e non trattava i prodotti prima di spedirli.
A Rebecca, mangiare un pezzo di carne, non era mai costato così tanto.
«Vedrete, dopo un po’ non ci farete più nemmeno caso»aveva detto un ragazzo dai capelli scuri che frequentava il primo anno da Beta e che si sedeva sempre all’angolo del loro tavolo.
Si chiama Joss e non sembrava avere molti amici, perciò si accomodava sempre fra loro novellini e cercava di atteggiarsi ad esperto di Metallica.
Rebecca e quelli che sarebbero stati i suoi compagni per i successivi quattro anni –alcuni anche per più tempo- erano arrivati a Metallica da cinque giorni e, a parte un primo giro dell’istituto e una prima serie di allenamenti volti a testare il loro livello generale, non si potevano ancora dire veri membri della scuola.
Tutti quanti avevano il tatuaggio con il numero sulla clavicola. Rebecca sorprendeva alcuni di loro, qualche volta, a fissarselo stupiti: come a chiedersi cosa ci facesse lì.
Lei, stranamente, si era già abituata. La mattina, quando si toglieva la vestaglia da notte e indossava la divisa da Guerriero, non ci faceva nemmeno più caso.
Cyvonne, la ragazzina con il numero 311, dai capelli castani e il fisico prosperoso che divideva il dormitorio con lei, invece, faceva una faccia sorpresa ogni volta che se lo ritrovava davanti.
«E’ tutto troppo strano»l’aveva sentita dire a Sànde, un’altra ragazza che dormiva nel Dormitorio 9 «Mi sono svegliata la mattina dopo l’incidente e ce l’avevo di già! Non mi hanno nemmeno chiesto il permesso!»
Sembrava scandalizzata e si era aggiustata una ciocca di capelli scuri dietro le orecchie. Sànde, che da quanto a Rebecca era parso di capire, era piuttosto taciturna, si era limitata a stringersi nelle spalle. Le altre ragazze del loro Dormitorio si chiamavano Meese e Torrey e, in una intera settimana di convivenza, non era riuscita a parlare seriamente con loro nemmeno una volta.
«Non è tanto male, dai» Nicko rispose alla protesta di Anya con una stretta di spalle. Si portò una mano alla fronte come a scostarsi il ciuffo biondo -un gesto abituale che Rebecca gli aveva visto fare a ripetizione per i primi tre giorni- prima di ricordarsi che, al momento, i pochi centimetri di capelli che gli rimanevano non gli sarebbero certamente caduti davanti agli occhi.
«E’ rivoltante, ti dico» Anya assunse una smorfia infastidita e vagamente disgustata «Non intendo toccare cibo fino a che non ci sarà servito qualcosa di decente-
«Allora credo che morirai di fame, cocca»le rispose Cyvonne che Rebecca aveva incontrato in Dormitorio qualche minuto prima e si era unita a loro in attesa di Sànde e delle altre.
Cyvonne non sembrava avere problemi a mangiare o, per lo meno, se li aveva non diede ad Anya la soddisfazione di renderlo palese e, anzi, si cacciò in bocca un boccone bello grande.
Rebecca seguì il suo esempio e, intervallando i morsi con lunghi sorsi di acqua –anche quella le sembrava più sgradevole al gusto, ma forse si stava lasciando condizionare-, finì il suo pasticcio senza troppi problemi. Stava giusto per alzarsi da tavola quando la voce di Anya risuonò nuovamente nell’aria.
«Oh, guarda Rebecca! C’è il tuo amico!»
Rebecca lanciò una occhiata veloce a Pyke e al gruppetto di Beta che erano con lui, appena messisi in coda per essere serviti. Lui le rivolse un saluto altrettanto veloce, preso come era a discutere con un suo amico, e Rebecca vide Anya seguirlo con lo sguardo lungo la fila.
Delle volte incontrava Pyke, nella piazzetta delle Quattro Direzioni, come tutti la soprannominavano; in fila alla mensa o qualche tavolo di distanza da lei per pranzo; in Palestra, quelle poche volte in cui Rebecca ci andava al di fuori del suo orario di allenamento.
Lui la salutava con un gesto veloce del capo, le dava una veloce pacca sulla spalla o le rivolgeva qualche battutina, sempre ridacchiando. A Rebecca non dava fastidio perché, la prima volta che si erano visti dopo la faccenda dell’Infermeria e lui l’aveva salutata allegramente, tutte le ragazze del suo Dormitorio e Anya si erano interessate a lei.
Era patetico, Rebecca lo sapeva, ma essere al centro dell’attenzione, anche per una cosa così stupida, le risultava estremamente piacevole. Anche perché, a dirla tutta, non ne aveva altri motivi per essere famosa, in quella scuola.
Anya, anche se erano arrivate da pochi giorni, conosceva già tutti i ragazzi del primo anno Alpha e alcuni del secondo, se non altro di nome. Se loro conoscessero il suo, poi, Rebecca non lo sapeva, ma era comunque un passo più avanti di lei, che faticava quasi a riconoscere i visi delle sue compagne di Dormitorio.
Quindi, si, si era abbastanza adagiata sugli allori con le altre ragazze e quando Pyke era in giro cercava sempre di farsi salutare, giusto perché le altre la invidiassero un pochino.
Pyke, che rideva ogni volta che incontrava il suo sguardo e sembrava aver capito l’andazzo, aveva preso l’abitudine di arruffarle i capelli e allora le ragazze erano tutte un “Come fai a conoscere un Beta? Ma come si chiama? Perché lo conosci? Ti piace?”.
Ma erano piccoli momenti di vanesia e tranquilla routine che mal si incastravano con tutto ciò che Metallica rappresentava. Delle volte, a mensa, Rebecca si sorprendeva a fissare li studenti degli anni più grandi, quelli come i Gamma o li Omega, che avevano votato la loro vita al servizio della Cupola. Pensando alle loro fatiche, ai loro doveri, al futuro arduo che si prospettava loro davanti si sentiva estremamente sciocca a preoccuparsi se Pyke rispondesse o meno al suo saluto o se Anya ne fosse gelosa o meno.
In mensa, poi, non c’erano nemmeno bisogno di ricorrere a sotterfugi per ottenere attenzione. Tutti li sguardi dei ragazzi più grandi erano fissi su di loro, eccetto quelli di qualche Gamma o di alcuni Omega, e Rebecca stranamente non lo trovava altrettanto piacevole.
Loro, i ragazzi Alpha, erano novellini e lo sarebbero rimasti fino all’anno successivo quando sarebbero diventati di Secondo Livello Alpha e ci sarebbero stati nuovi arrivati da prendere in giro o scrutare con curiosità.
Al tavolo degli Omega il fratello di Nicko, il ragazzo gentile che le aveva sorriso in palestra il giorno precedente, stava ridendo con un altro compagno. Questo ultimo aveva una strana espressione in viso, vagamente offesa, ma sorrideva in risposta alle parole dell’amico.
A qualche metro di distanza c’era anche la ragazza, Jamie, l’unica di cui ricordava il nome fra li Omega, che infilzava svogliatamente un qualcosa nel suo piatto. Non partecipava alla conversazione e, anzi, aveva la fronte aggrottata e lo sguardo puntato sul quarto ragazzo seduto al tavolo, quello dai capelli scuri con cui l’aveva vista allenarsi il giorno prima.
Rebecca continuò a fissarla, notandone i capelli scuri legati troppo stretti alla nuca, in una coda di cavallo che sembrava tirarle indietro l’intero viso, il corpo troppo secco e quasi scoordinato, mentre si aggiustava i lacci degli anfibi e il suo tatuaggio –riusciva a scorgerne solo cinque cifre, ma, essendo un Omega immaginava ne avesse di più- oltre la canotta scura.
Continuò a fissarla non per il suo aspetto o per il modo in cui l’aveva vista muoversi l’altra sera, ma per cosa rappresentava e perché nessun altro sembrava farlo.
Al tavolo, infatti, tutti la ignoravano bellamente e, per quanto lei non sembrasse in alcun modo infastidita o a disagio, Rebecca si chiese da quanto non parlasse –parlasse davvero- con qualcuno. Sapeva che li Omega non hanno tempo da perdere, ovviamente, troppo occupati ad allenarsi e a cercare di salire in classifica, e, per quanto li ammirasse, Rebecca ne ebbe pena.
Perciò la guardò ancora, immaginandosi al suo posto, fra qualche anno, con molte cifre tatuate in più e molti parole in meno, proprio seduta a quel tavolo; e continuò ancora, finché anche la sua testa non scattò su e Jamie Lloyd le lanciò una occhiata infastidita e astiosa.
Rebecca abbassò velocemente li occhi e cercò di concentrarsi su quello che i ragazzi, al suo tavolo, stavano dicendo.
«Cosa abbiamo in programma, per oggi?»Sean si guardò intorno, cercando fra le facce dei presenti qualcuno che sapesse rispondere alla sua domanda.
Nicko si strinse nelle spalle, Cyvonne diede un altro morso al suo pasticcio di carne e Anya si limitò a distogliere lo sguardo, vagamente disgustata. Anche Sànde, che era sopraggiunta in quel momento e si era accomodata al loro tavolo, sembrava esserne all’oscuro.
«Magari faremo di nuovo Preparazione»
«Può darsi»Anya si strinse nella spalle e, nel farlo, assunse una strana espressione dolorante. Rebecca ebbe un rapido flash del loro primo scontro, avvenuto nella Palestra giusto qualche ora prima. Sperò che non fosse stata causata dal maldestro pugno che le aveva tirato.
«Magari oggi ci daranno una giornata libera. Siamo qui da neanche una sett- ehm, cinque giorni, e non abbiamo avuto un attimo di tregua»Sean si grattò un punto imprecisato dietro il collo e loro tutti fecero finta di non aver colto il suo tentennamento nel fare rifermento alle settimane. Nella Cupola Ovest il tempo era scandito dalle unità di misura tramandate dal Mondo Di Prima: settimane, giorni e ore. Ma, da quando erano entrati a Metallica, il tempo scorreva in giorni. Erica, la loro Responsabile che era venuta a prenderli alla stazione, lo aveva spiegato il primo pomeriggio, durante il giro del campus.
Ovviamente non era proibito, sarebbe stato un qualcosa di ridicolo e assurdo, ma lì a Metallica e più generalmente i Guerrieri, si prendevano in considerazione solo i giorni trascorsi.
«Il sole sale e poi scende. Quella è la durata di un giorno: l’unica unità di tempo che vi serve, quando siete Guerrieri. Non credo che, se foste abbandonati in un luogo di morte e miseria, senza viveri e aiuto alcuno, avrete la necessità di catalogare il tempo che vi rimane. Il sole sale e poi scende: è così che si vive e si va avanti»
Rebecca sapeva che i Guerrieri avevano delle loro tradizioni, anche i Produttori, la Classe Sociale in cui lavoravano i suoi genitori le avevano, ma questa proprio non riusciva a comprenderla. Nicko, che aveva il padre che lavorava come Rappresentatane dei Guerrieri al Governo, le aveva detto che loro non avevano tempo da perdere e nemmeno troppo da vivere.
«Se ti abitui fin da subito a convivere con il fatto che potresti morire fra giorni –non settimane, mesi, anni: giorni, e riesci ad accettarlo, sei diventato un Guerriero»
Rebecca non riusciva, ancora. Le capitava spesso di tenere ancora conto del tempo trascorso con le unità di misura tradizionali e, la confusione nella sua testa, le faceva pensare che non sarebbe stato tanto facile, un volta che i giorni trascorsi a Metallica fossero stati più dei cinque in cui c’era stata lei.
«Non scommetterei troppo sulla giornata di vacanza, guarda»Cyvonne aveva finito di mangiare e stava aggiustandosi i riccioli in una coda disordinata. La sua, a differenza di quella di Jamie Lloyd, era più morbida e ciocche di capelli le sfuggivano disordinatamente sugli occhi e sul viso rotondo «Soprattutto visto la faccia di culo di Erica»
Tutti i ragazzi del tavolo girarono la testa, seguendo la direzione indicata da Cyvonne con un cenno del capo, e scorsero la loro Responsabile in piedi davanti alla Porta della Sala Mensa, mentre parlava sommessamente con l’Allenatore degli Omega, Cain.
Nonostante la distanza che le separava, Rebecca colse con gran dovizia di particolari l’espressione stranamente soddisfatta di Erica e il modo in cui i suoi occhi allungati si soffermassero troppo spesso nella sezione di Sala riservata a loro Alpha.
«Tutti li Alpha di Primo Livello con me, avanti!»
La voce di Erica risuonò fra i tavoli della mensa, oltrepassando il chiacchiericcio fitto degli studenti e le risate sentite di un gruppo di Beta. Rebecca guardò i suoi compagni, aspettando che si muovessero e raggiungessero la porta. Sean prese l’iniziativa e si alzò dalla panca, facendole cenno di seguirlo con il capo e, insieme a Cyvonne, Teks e a Nicko, Rebecca prese a camminare verso l’ingresso. 
Anya si riprese subito dalla sorpresa e la seguì con passo baldanzoso, insieme a tutti li altri, muovendosi molto più in fretta di Rebecca e arrivando alla porta prima di lei.
Cain prese con se i ragazzi del Gruppo A, Erika radunò quelli del Gruppo B -fra cui la stessa Rebecca, Sean e Cyvonne-. Proseguirono insieme, risalendo la Terza Strada fino alla Piazzetta delle Quattro Direzioni e, qui girarono nella Prima Strada, quella della Palestra.
Rebecca pensò che fosse quella la loro destinazione, ma, quando continuarono ad avanzare si sorprese nel vedere i loro Responsabili fermarsi davanti ad una imponente palazzina grigia, affianco agli Alloggi Omega. Rebecca la riconobbe come la stessa nella quale, il secondo giorno, avevano fatto i test psicologici.
I primi ad entrare furono quelli del Gruppo A: attraversarono la porta di metallo e girarono a destra, salendo una rampa di scale. Il gruppo B aspettò qualche minuto poi, guidato dalla Responsabile Erika, anche loro si mossero –verso sinistra, però- e marciarono lungo le scale.
Rebecca arrancò dietro di loro e, mentre attraversava i corridoi grigiastri ebbe quasi la sensazione che questi si stessero restringendo sempre più, soffocandola.
Il luogo non era lo stesso –il giorno delle interviste erano rimasti al piano terra ed erano andati dritti lungo il corridoio- ma la procedura fu la stessa. I ragazzi vennero fatti accomodare in una sala dalle medie dimensioni e, di nuovo, furono chiamati in base al loro numero. Rebecca era una delle ultime, come aveva scoperto la volta precedente, perciò si mise comoda e reclinò appena la testa contro il muro.
Si sentiva stanca oltre ogni limite, come se il compiere quei pochi passi dalla Mensa alla Palazzina Grigia l’avesse stremata oltre ogni limite.
«303!»Rebecca chiuse li occhi, consapevole dei movimenti di Sean, che, arrivato il suo turno, si alzava dalla sedia accanto alla sua e raggiungeva la porta.
Non pensò assolutamente a nulla, mentre i tre numeri precedenti al suo entravano nella misteriosa saletta. Era come se il suo cervello fosse nuovamente sotto effetto del Rivitalizzatore e fosse incapace di soffermarsi su un qualcosa per più di pochi secondi.
«306!»
Rebecca si alzò e, anche se sentiva le gambe molli e la testa girarle appena, la sua camminata fu sicura e decisa. Lanciò un breve sguardo a Cyvonne –numero 311- che stava ancora aspettando e cercò di sorriderle un  po’.
Lei le restituì un cenno con il capo e incrociò le braccia sotto al petto prosperoso.
Rebecca, nei pochi attimi passati prima di serrare la propria mano sulla maniglia e abbassarla, si vide passare davanti tanti possibili scenari e situazioni che avrebbero potuto celarsi in quella Sala. Non diede troppo peso a quei pensieri, ma fu comunque piuttosto sorpresa di trovare una semplicissima stanza, completamente vuota.
Era priva di mobilio: tutti i muri erano di un colore grigiastro, appena più chiaro di quelle del corridoio e anche queste senza alcun tipo di decorazione, eccezion fatta per una finestra di medie dimensioni che si apriva sulla parete difronte alla porta.
Rebecca mosse qualche passo verso di essa, fermandosi nel bel mezzo della stanza. Si guardò nuovamente intorno, vagamente ansiosa.
«C’è nessuno?»
La sua voce tremava appena e Rebecca se ne stupì. Era soltanto una stanza vuota, eppure il suo corpo sembrava sul punto di collassare dal nervoso.
«Ehi! Ehi, andiamo! Non è divertente!»
Faceva freddo, lì dentro: Rebecca si abbracciò il busto, sfregandosi le mani sulle braccia. Si chiese se la finestra fosse aperta e se, l’improvviso calo della temperatura, fosse dovuto ad una folata di vento proveniente dall’esterno. Si avvicinò ad essa per controllare ma, ad ogni passo che faceva, le sembrava che il freddo aumentasse sempre di più e che la finestra fosse sempre più grande e lontana.
Ma cosa…?
Rebecca accelerò il passo, arrivando quasi a correre, ma le pareti le diedero l’orribile sensazione di essere sul punto di restringersi e chiudersi su di lei. Le sue mani, sempre a stringere il busto alla ricerca di calore, sfiorarono per un secondo il suo tatuaggio con il numero. Era bollente.
Inchiodò sul posto e lo toccò di nuovo. Non poté farci troppa pressione perché, anche quel semplice sfioramento le diede una scarica di dolore e di adrenalina lungo tutto il corpo, e i tre piccoli numeretti sulla scapola presero a pulsare a ritmo con il suo cuore.
«Ehi! Ehi, basta! Mi sentite?»Rebecca cercò di tornare indietro ma, quando si voltò, la porta era scomparsa e tutto intorno a lei c’era il buio più completo. L’unica luce veniva dalla finestra, una sottile lama di chiarore che le feriva appena li occhi ma che la fece continuare a correre.
Non seppe dire quanto ci mise, ad arrivare lì. Sapeva solo che ad ogni passo la finestra si allargava sempre di più: come quando, dopo aver scorto qualcosa da lontano, ti ci avvicini e la vedi più grande e chiaramente. E quando finalmente Rebecca fu arrivata, li stipiti della finestra erano troppo in alto per essere raggiunti e davanti a lei c’era solo il vuoto.
La sua ipotesi era corretta: il vento freddo veniva da lì e prese a soffiare con così tanta forza da spingerla nuovamente indietro di qualche passo. La sensazione di malessere che sentiva dentro non si era in alcun modo acuita, ma Rebecca si costrinse a trattenere le lacrime.
Il freddo le pungeva la pelle e, oltre la finestra, c’erano metri e metri di vuoto e aria e nulla. Guardare giù, per quello che poté senza perdere l’equilibrio le diede  le vertigini e si ritrovò a tremare convulsamente, con i denti che battevano e le braccia nude che si aggrappavano al busto, sfiorando di proposito il tatuaggio, perché il dolore che esso provocava la sbloccassero da tale orribile situazione.
Bum.
Rebecca si girò su se stessa, facendo appena in tempo a scorgere un viso conosciuto scorrerle davanti, prima che una nuova folata la spingesse verso il baratro.

 
   
 
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