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Autore: mustin    12/06/2013    2 recensioni
Austin camminava svelto tra le stradine deserte di Londra mentre calpestava la bianca neve che posava leggiadra al suolo. Si strinse nella sua sciarpa blu e il suo giaccone nero, mentre tentava di riscaldarsi le mani strofinandole sul pantalone. Nonostante il freddo e il deserto che regnava a quell'ora e soprattutto in quel periodo lui aveva deciso di andarla a trovare perché si, non ci andava da un mese esatto e forse sembrava stupido ma si sentiva in colpa.
Varcò il cancello di metallo battuto del cimitero che emise un suono sbiascicato e sgradevole, di ruggine ormai invecchiato. Si guardò attorno prima di percorrere quella poca strada che divideva Iris e Austin e che ormai conosceva troppo bene per abitudine.
Si ritrovò così in due minuti di fronte a quella lapide segnata dai pochi anni, dove possedeva una foto, una dedica e un corpo ingiusto.
«Ehi, Ir» sussurrò al vento Austin, sentendosi minimamente rimbecillito; stava parlando ad una lapide d'altronde.
Si sedette sul terreno bianco, scoprendo dalla neve la lapide per intera.
‘E’ da quando te ne sei andata che mi sono chiesto; se la mia vita eri tu che senso ha vivere adesso?’
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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25 Dicembre 2002.

L'atmosfera natalizia echeggiava nell'aria ed era giunto il momento di scartare i fatidici regali.
«Il pacco più grande è il mio! Quest'anno non avrai la meglio Iris, parola d'onore»
Rise il più grande avvicinandosi ai regali con un luccichio negli occhi. La bambina seguì a ruota il maggiore, osservando attentamente uno ad uno i doni sotto l'albero.
«Zitto Carter!» piagnucolò lei, incrociando le braccia e socchiudendo gli occhi.
Dalla bocca di lui risuonò una risatina divertita, mentre osservava la sua amica mettere il broncio.
«Va bene dai, ti concedo il pacco più grande. Contenta?» e bastò una semplice frase a far scatenare la gioia di Iris, che prese a saltellare attorno al suo amico allegra.
«Ti voglio bene Austin!» esclamò pimpante, avvicinandosi al regalo e aprendolo con poca cura.
Austin intanto scosse la testa esasperato, ma oramai era abituato all'atteggiamento che assumeva in certe situazioni la sua amica e infine aprì un'altro pacco, più piccolo, ma pur sempre un pacco.
«Me l'hai fatto tu?» chiese lui, osservando in ogni minimo dettaglio il regalo che aveva tra le mani. Iris si voltò, corrugando la fronte e scosse la testa.
«Uh, no. Il mio è quello al tuo fianco» rispose semplicemente, tornando subito al dono. Austin lasciò cadere il suo giocattolo che aveva ricevuto da -quasi sicuramente- sua madre, e prese tra le mani il piccolo pacchetto che giaceva al suo fianco. Tolse la carta che lo ricopriva e così si mostrò ciò che non si aspettava e ciò che desiderava da settimane intere; una tela da disegno!
«I-Io, Iris è bellissimo!» e lo era davvero.
Quante volte era rimasto ad osservare incantato quella tela esposta in vetrina, con gli occhi che brillavano e le urla di Iris in sottofondo che dicevano che era tardi.
La bambina sorrise dolcemente, conoscendo la grande passione del suo migliore amico lo aveva trovato assolutamente un regalo fantastico e non si era fatta scrupoli a comprarglielo.
«Ora devi aprire il mio!» Austin si alzò dal proprio posto, raggiungendo Faith e porgendole una scatola rossa. Lei, curiosa, la rigirò tra le mani cercando di capire cosa fosse ma senza nessun risultato.
«Oh avanti Sissi, aprilo e basta!» ridacchiò lui dandole una leggera spinta al braccio.
Lei annuì, poi lo aprì con tutta la calma possibile e appena vide cos'era la sua bocca si aprì in un ampio sorriso.
«Mi hai regalato la collana con i nostri nomi!» si alzò di slancio e per un attimo perse l'equilibrio e temette di cadere, ma poi si gettò tra le braccia di Austin e lo strinse forte, mentre lui sorrise e le accarezzò i capelli.
«E' il regalo più bello che mi avessero mai fatto, grazie» sussurrò sul maglione rosso del bambino, che intanto ridacchiava contento e la stringeva di più.
«Ti voglio bene, tanto» si limitò a risponderle, prima di ricambiare il sorriso e lasciarle un bacio all'angolo della bocca.

22 Luglio 2010.

Il sole battente riscaldava la cittadina rendendo l'aria asfissiante come non mai. Ormai le spiagge erano affollate ed erano in piena estate, finalmente.
«Alex smetti di fare il coglione e torna qui!» urlò Faith, cercando di essere più seria possibile, ma alla vista del suo amico che tentava di scacciare via la sabbia di dosso somigliando ad un cane non l'aiutava affatto.
«Invece di ridacchiare, signorina, dammi una mano» esclamò in tutta risposta il moro mandandole un occhiata di fuoco che fece aumentare le risa. Le persone in spiaggia si voltarono verso i due chiedendosi che problemi avessero ma era normale per loro, lo chiamavano divertimento.
«Gettati in acqua, semplice ma efficace» rispose lei, avvicinandosi a Alex e battendo una mano sulla spalla. Il ragazzo sobbalzò, contenendo una risata e in men che non si dica corse verso l'acqua cristallina, inondando i bambini lì vicino che erano intenti a creare un castello di sabbia. Faith prese a ridere più forte, cercando di contenersi ma con scarsi risultati.
«Oh mio Dio, Al!» riuscì a dire tra le lacrime agli angoli degli occhi, piegandosi in due e mantenendosi la pancia. Alex risalì a galla col sorriso più bello che avesse mai fatto e le mando un bacio volante che venne subito ricambiato.
«Vieni qui, non farmi arrivare da te» urlò il suo amico che intanto restava a mollo in acqua, beandosi della freschezza del mare. Lei scosse la testa guardandolo in malo modo.
«Non ci contare bel ragazzone, io in acqua non ci torno» e detto fatto; fu un attimo che si ritrovò tra due braccia familiari grondanti d'acqua. Tentò di divincolarsi da quella morsa ma -ovviamente- non riuscendoci.
«Iris?» una voce familiare interruppe il bel momento tra i due, mentre Alex lasciava andare controvoglia la ragazza e quest’ultima si voltava, sorridendo alla vista del suo migliore amico.
«Austin! Cosa ci fai qui?» chiese avvicinandosi a lui e schioccandogli un bacio sulla guancia. Lui rimase impassibile, assumendo un espressione contrariata alla vista della compagnia della sua migliore amica; Tomlinson.
«Sono con i ragazzi» rispose Austin accennando i suoi amici un po’ più distanti da loro, intenti a portare una sdraio che –conoscendoli- avrebbero diviso in quattro. Faith annuì senza degnare di uno sguardo agli amici di Austin e quest’ultimo intanto, con un grosso sospiro, la trascinò lontano da Alex reggendola per il polso.
«Iris, io non voglio spingerti in qualsiasi situazione o scelta, però, è un periodo dove ci vediamo così poco e tu sei sempre con Austin, ed io…» ma sfortunatamente il suo discorso venne interrotto dai suoi amici, che una volta raggiunto il loro amico si presentarono con nonchalance alla ragazza divertita e un po’ confusa.
«Avanti Austin, perdiamo tutti i posti se ti fermi!» esclamò un moretto dietro di lui, spintonandogli la spalla e ghignando. Austin scosse la testa esasperato lasciando un’ultima occhiata malinconica alla sua migliore amica e avviandosi con i suoi amici. Faith lo guardò allontanarsi, il suo sesto senso non prevedeva nulla di buono e sentiva il cuore pulsare più ritmicamente.
 Ma ormai il suo umore era peggiorato.

5 Marzo 2012, giovedì, 17:43.

Quel giorno cambiò tutto.

Iris era seduta su una panchina di uno dei pochi parchi presenti nella sua città, mentre scossa dai brividi di freddo per il tempo ancora incerto si rannicchiava sempre più su se stessa. Vide un'ombra familiare che si avvicinava sempre di più porgendole la mano.
Era Alex.
«Finalmente Al! Non ne potevo più di aspettare, hai capito quanti gradi ci sono qui fuori?! Mi raccomando, prenditi tutto il tempo che vuoi eh. Grazie per la puntualità, davvero!» balzò in piedi come una molla e nel giro di pochi secondi sparò a raffica quelle frasi con una certa ironia che fecero ridacchiare l'amico di fronte a lei.
«Scusami amore, scusami. Prometto che non lo farò mai più» sorrise lievemente stringendola in un abbraccio che venne prontamente ricambiato. Rimasero così per minuti e Alex si convinceva sempre più che poteva restare così per anni, secoli; stringere a sè la ragazza che amava era la cosa che più adorava fare.
Ne era convinto e sicuro, quel giorno glie l'avrebbe detto, l'avrebbe urlato al mondo intero che l'amava.
Si staccò di malavoglia da quell'abbraccio e la guardò negli occhi, rabbrividendo.
«Iris io devo dirti una cosa, è molto importante davvero»
Iniziò il moro sedendosi sulla panchina trascinando anche l'amica. Lei corrugò la fronte iniziando a preoccuparsi per l'eccessiva serietà di Alex, che era conosciuto da tutti per essere un tipo allegro e spensierato. Si sedette sulle sue gambe prendendo a premergli l'indice sulla guancia morbida di lui, cercando di allentare la tensione.
«Così non mi aiuti sai?» le disse tenendo lo sguardo basso e tendendo gli angoli della bocca. La ragazza si sedette sulla panchina affianco a lui prendendogli la mano e sorridendogli.
In quel momento Alex si sentì lo stomaco contorcersi e il respiro diventare sempre più ansimante. Avrebbe potuto scommetterci, lo sapeva, le sue guance erano diventate rosee. Il cervello era andato in tilt e quando vide il suo sorriso a pochi centimetri dalle sue labbra, i suoi capelli color cioccolato che si muovevano per via del vento, i suoi occhi di un verde intenso, non riuscì a fare nient'altro che azzerare le distanze tra le loro labbra, per assaporarne il sapore.
Cercò lentamente di farsi spazio tra la bocca dell'amica lasciandosi trasportare sempre di più da quel bacio, che era ricambiato seppur timidamente, prendendo ad accarezzarle i capelli e ad avvicinare i loro corpi.
Iris era come paralizzata, non se l'aspettava quel bacio, ma non voleva ferire i sentimenti di Alex, non voleva. Dentro di se sapeva che non l'amava, per lei era come un fratello maggiore e avrebbe cercato di dirgli i suoi sentimenti nel modo più calmo e meno struggente possibile. Lo amava, ma come amico.
Una voce fin troppo familiare fece interrompere quel bacio, Austin.
«Iris allora sei qui, dev...oh» Il moro si irrigidì di colpo, serrò la mascella alla vista della sua migliore amica che si stava baciando con quel rompicoglioni. Non l'aveva mai sopportato, da quando era entrato a far parte della vita di Iris le aveva rubato il tempo, passavano i pomeriggi assieme e si vedeva che per lui era più di un'amicizia. Non gli era mai andato giù e ora, vederlo lì stretto alla sua amica, alla sua migliore amica, lo fece andare in bestia, specie se in quel giorno si era ripromesso di confessargli tutto.
Quello era il giorno in cui doveva dichiararsi a Iris.
Il giorno in cui le avrebbe detto di amarla, ma tutto era andato in fumo per colpa di uno stronzo.
I suoi occhi smeraldo iniziarono ad inumidirsi, non reggeva quella scena, la sua bambina, la stessa che amava da sempre, quella a cui lasciava sempre i pacchi più grandi di Natale, che portava sulle spalle tutte le volte che voleva si stava baciando con un altro.
La testa prese a pulsare velocemente e l'istinto di prendere a pugni il ragazzo che le aveva rubato la sua migliore amica prese possesso del suo corpo che a grosse falcate si avviò verso la panchina dov'erano seduti i due.
Ignorò tutti i tentativi che fece Iris per calmarlo e prese per il colletto della felpa un Alex sconvolto che venne catapultato sulla terra fredda del parco.
«Non ti bastava vero portarmela via come amica? No, dovevi anche rovinare tutto, dovevi anche ficcarle la lingua in gola per essere felice» urlò quasi, e per un attimo Iris credette di non riconoscere più il suo migliore amico. Si alzò cercando di rimanere stabile mettendo una mano sulla spalla del Texano.
«Austin che ti prende? Ti prego smettila» sbiascicò con la voce strozzata. Vederlo con i pugni tesi, gli occhi pungenti e lucidi  la fece stare male e la situazione peggiorò quando a terra c'era un Louis infreddolito e impaurito che si stava alzando stringendo i denti. Sapeva che non era un tipo da farsi mettere i piedi in testa ed aveva paura per quello che sarebbe potuto succedere.
«No Iris, non chiedermelo. Non puoi farmi questo, io ti amo, mi sono innamorato di te dal primo giorno che ti ho parlato, ti amo da quando eri una bambina, ti amavo ancora prima di sapere cosa fosse il vero amore! Sei stata il mio primo ed unico amore, sei sempre stata con me, al mio fianco, pronti ad affrontare tutti i nostri problemi assieme. Ti ho sempre amata in silenzio, ho sopportato tutto anche i tuoi fidanzatini delle medie, ma non ce la faccio a vederti allontanata da me. Ho cercato in tutti i modi di reprimere il sentimento che provo per te, nonostante abbia cercato di ignorare Alex, comparso chissà quando e come. Non riesco a capacitarmi di vederti nelle sue braccia. Lui non sa delle cose che abbiamo fatto insieme, di tutte quelle volte che scherzando progettammo il nostro futuro, quando da piccoli decidemmo che il nostro primo bacio sarebbe stato il nostro. Iris guardami, io ti amo, per favore, lui non ti merita, lui non ti ama come ti amo io, credimi Iris»
Le lacrime erano iniziate a scorrere sui visi dei due migliori amici e Faith si sentiva in colpa, anche se non avrebbe dovuto.
Alex d'altro canto continuava a guardare fisso la sua amica completamente apatico, non sapeva cosa dire o cosa fare.
«I-Iris, io credo di essermi innamorato perdutamente di te...» fu l'unica cosa che riuscì a dire.
Iniziò a piovere, e le lacrime sulle guance dei due ragazzi si mescolarono con le gocce di pioggia che battevano violentemente a terra. La ragazza alzò lo sguardo e guardò negli occhi entrambi i suoi amici di fronte a lei grondanti d'acqua. Lei non li amava e la cosa la consumava dentro, si sentiva terribilmente male e in colpa.
«Scusatemi, sono una stupida» riuscì a sussurrare e per un attimo credette che la sua voce non fosse arrivata alle orecchie dei ragazzi.
Iniziò a correre per lasciarsi alle spalle tutto, per chiarire ciò che c'era nel suo cuore, per trovare un modo di salvare quelle amicizie a cui teneva più della sua stessa vita.
Il cuore le batteva fortissimo, le lacrime non cessavano di scendere e i suoi vestiti che erano diventati aderenti non la proteggevano più da nessun freddo, e si sentì male per tutto quello che stava facendo alle persone più importanti della sua vita, quelle che l'amavano. Teneva lo sguardo basso e correva sempre più lontano, non sapendo dove si dirigeva. Le orecchie erano sorde e non le permisero di sentire il clacson di un camion che veniva dalla sua parte.
Slittava perchè l'asfalto era bagnato.
Non riusciva a frenare.
Fu questione di un secondo che tutto cambiò.
Un sordo tonfo e la vita di una diciannovenne venne stroncata.
Quella di Iris-
Non capì più nulla, si trovò distesa a terra in una pozza di sangue senza fine, mentre sentiva voci sconosciute avvicinarsi a lei, sirene di ambulanze, troppi, troppi suoni per una mente troppo confusa.
Le palpebre si facevano sempre più pesanti e le forze svanivano sempre di più. Ma ce ne furono sufficienti per permettere alla ragazza di distinguere due voci tremanti che le erano accanto. Quelle dei suoi migliori amici, dei ragazzi che l'amavano.
Aveva la vista sfocata, ma le ultimi immagini che portò con lei furono quelle dei volti del ragazzo con cui era cresciuta e quella del ragazzo che sapeva farla ridere come pochi, Austin e Alex, che piangevano come non aveva mai visto fare in vita sua, e riapparve la morsa allo stomaco, il senso di colpa persino mentre moriva.
«Vi voglio bene» sussurrò con un fil di voce ai due ragazzi. Era un 'vi voglio bene' sincero, pieno d'amore, di affetto, d'amicizia.
Le palpebre si chiusero definitivamente e non sentì più nulla: le urla, i pianti, le sirene, le scosse del corpo che veniva trascinato su una barella, le mani che i suoi migliori amici avevano intrecciato nelle sue, nulla più.
Irisera morta.
Era un freddo 5 Marzo quando due ragazzi persero la loro migliore amica, la ragazza che amavano e la loro ragione di vita.


11 Novembre 2015.

Austin camminava svelto tra le stradine deserte di Londra mentre calpestava la bianca neve che posava leggiadra al suolo. Si strinse nella sua sciarpa blu e il suo giaccone nero, mentre tentava di riscaldarsi le mani strofinandole sul pantalone. Nonostante il freddo e il deserto che regnava a quell'ora e soprattutto in quel periodo lui aveva deciso di andarla a trovare perché si, non ci andava da un mese esatto e forse sembrava stupido ma si sentiva in colpa.
Varcò il cancello di metallo battuto del cimitero che emise un suono sbiascicato e sgradevole, di ruggine ormai invecchiato. Si guardò attorno prima di percorrere quella poca strada che divideva Iris e Austin e che ormai conosceva troppo bene per abitudine.
Si ritrovò così in due minuti di fronte a quella lapide segnata dai pochi anni, dove possedeva una foto, una dedica e un corpo ingiusto.
«Ehi, Ir» sussurrò al vento Austin, sentendosi minimamente rimbecillito; stava parlando ad una lapide d'altronde.
Si sedette sul terreno bianco, scoprendo dalla neve la lapide per intera.
‘E’ da quando te ne sei andata che mi sono chiesto; se la mia vita eri tu che senso ha vivere adesso?’ una frase incisa, sotto la piccola foto di Faith che la ritraeva solare, sorridente e viva.
Era da quel 5 Marzo che Austin non era più lo stesso; meno allegro, sorrisi quasi spenti e gli occhi oramai non donavano più la lucentezza di anni prima. Iris era andata via senza neanche salutarlo, senza neanche un bacio mancato o un ‘Ti voglio bene’ sussurrato impercettibile, era svanita via senza crearsi problemi, senza chiedersi come sarebbe stato il mondo di Zayn senza di lei.
Ogni sera ripensava a quella scena, l’orrore negli occhi e la paura di quella sera, i fari del camion e la strada bagnata, infine una frase che aveva fatto crollare l’universo sotto i piedi di lui ‘Mi dispiace, non ce l’ha fatta’.
Si era sentito inutile, aveva pregato tutti i giorni, tutte le ore e tutti i minuti che il suo cuore tornasse a battere con l’energia di sempre, che ritornasse il suo sorriso sul suo volto sciupo e pallido, ci aveva creduto ma aveva ceduto, e poi il giorno del suo funerale era arrivato come un battito di ali; troppo nero in torno, troppe lacrime, un corpo troppo pallido e troppo giovane per stare in una bara che sapeva di morte, priva di vita, ormai vuota di speranze andate perse. Austinn vedeva i cari di Iris disperarsi per lei, chi si abbracciava con una pacca sulla spalla e un ‘Mi dispiace’sbiascicato, chi aveva le spalle in giù e tratteneva i singhiozzi con un fazzoletto tra le mani e poi c’era lui, in disparte da tutti, con la mente altrove e la bocca piena di parole che avevano voglia di uscire, di essere urlate ma bloccate. Doveva starci lui, non la sua migliore amica, pensava, mentre si rigirava nel letto senza pace cercando di trovare un po’ di sonno ma con scarsi risultati –se non delle enormi occhiaie in compenso.
Si era ripromesso di non piangere più, di essere forte per lei perché sapeva che avrebbe voluto questo, quando gli ripeteva ‘Tu sei forte, Zayn’ dopo una delusione in certi casi, o quando lo abbracciava semplicemente e non c’erano bisogno di parole.
«Mi manchi terribilmente» parlò di nuovo, giocherellando con un filetto di erba che si intravedeva sotto la bianca neve. Si passò una mano sul viso e dopo nei capelli stancamente, mentre distoglieva lo sguardo il più lontano possibile. 
«Ora ce l’avrai con me perché non sono venuto un intero mese» sorrise a quella frase, ricordando il volto della sua migliore amica imbronciato ogni qual volta Austin non si facesse sentire per uno o due giorni. Lo trovava sempre buffo, il modo in cui corrugava la fronte e si formavano delle piccole rughe o sporgeva il labbro inferiore mostrandolo mordicchiato all'interno. Era sempre bellissima, però.
«Oggi in ufficio ho dovuto consegnare in fretta delle pratiche per il capo. Elizabeth insiste al voler uscire con me nonostante io le faccia capire che non è affatto il mio tipo» spostò di nuovo lo sguardo su un albero che distava poco dalla sua posizione. Ricordò ancora quando ci provò spudoratamente con una delle ragazzine del liceo davanti agli occhi frustrati e infuocati di Iris, che non si lasciò sfuggire il ghigno divertito di Austin, infatti una volta tornati a casa non si risparmiò la predica cercando di non ammettere che fosse gelosa, e Austin sorrideva e l’abbracciava: lui non aveva mai guardato veramente una ragazza al di fuori di Iris.
«Poi sono passato all'ospedale, ho parlato con la dottoressa Collins e mi ha detto che Luise sta molto meglio, è una ragazzina forte» ogni mercoledì della settimana passava a salutare i pazienti del Central Hospital, salutava i bambini con gravi malattie e ricordava loro che non dovevano mai mollare perché ce l’avrebbero fatta, perché lui credeva in loro sempre. Luise era una ragazzina di 12 anni con la leucemia, adorava Austin e ogni volta che si incontravano lei gli chiedeva di cantargli delle canzoni perché sì, Austin aveva una voce bellissima ed era sempre un piacere ascoltarlo.
«E poi ho incontrato una ragazza. Si chiama Eveline, ha i capelli biondi e gli occhi verdi, ed è terribilmente bella. Ci siamo incontrati per caso e abbiamo chiacchierato sulle cose comuni e su noi stessi, e sai che ho scoperto?» si fermò riprendendo fiato, calando lo sguardo sulle sue mani infreddolite mentre l’ombra di un sorriso compariva sul suo volto.

«Ti verrò a trovare ogni domenica mattina e ti porterò i tuoi fiori preferiti. Prometto che chiamerò mia figlia col tuo nome, ma è ora di guardare avanti, nel futuro e nel presente dove tu, ormai, non ci sei più. Il mio amore per te sarà eterno, sempre, sei stata la ragione del mio sorriso per 19 anni, ma questo sorriso ormai è ricomparso grazie ad un’altra donna, e sto bene insieme a lei quindi non voglio rovinare tutto» Austin si sforza di non piangere e ce la fa, ma lui non vede che c’è una ragazza seduta di fianco a lui che lo guarda con occhi innamorati e pieni di compassione; Iris aspettava questo momento da tempo, era felice ogni qual volta il suo migliore amico la andasse a trovare e le raccontasse le sue giornate migliori o peggiori quel che siano. Si divertiva quando Austin assumeva espressioni buffe troppo preso dal racconto per accorgersene e stava male ogni qual volta andava via, lasciandola sola tra una marea di anime perdute. Austin non poteva vederla perché Faith era un’anima trasparente, avrebbe voluto urlargli che lei stava bene, le mancavano i vecchi momenti e avrebbe voluto accarezzarlo e tenerlo ancora un po’ con sé, ma era andata via troppo presto ed ora doveva cedere il suo posto a qualcun’altra. Anche se con un pizzico di gelosia Iris era pronta a lasciarlo andare definitivamente perché Austin si era crogiolato per troppo tempo nei ricordi e nei rimpianti ed ora toccava a lui essere felice con una nuova donna che non sia lei.
Se fosse stato possibile Iris avrebbe pianto davanti all'innocenza e l’imbarazzo del suo migliore amico mentre le raccontava di Eveline, avrebbe voluto abbracciarlo e dirgli che era bellissimo e non avrebbe avuto problemi a conquistarla, ma si limitava ad ascoltarlo in silenzio come tutte le anime facevano.
Austin d’altro canto si alzò, pulendosi il pantalone con una mano e osservando finalmente quella lapide grigia. Sentì un fruscio del vento carezzargli la guancia, e capì che era la sua migliore amica che gli stava dando l’addio. Capì che lei era sempre stata lì ad ascoltarlo in silenzio e capì che oramai era il tempo di lasciare quel posto e guardare Austin dall'alto. Portò istintivamente una mano sulla guancia colpita dal vento e scoprì una lacrima solitaria scendere silenziosa.
«Ti amo, Iris» sussurrò al vento, facendo un passo indietro e sorridendo malinconicamente.
«Ti amo, Austin» fu la risposta di Iris, mentre accompagnava il ragazzo al cancello. Sorrise dolcemente, mentre il suo sguardo veniva rapito da una luce abbagliante e la seguì, ritrovando la pace e lasciando finalmente quel posto che non le apparteneva più.
  
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