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Autore: musicaddict    29/12/2007    2 recensioni
ville non poteva aspettarsi questo. non che un'assistente sociale gli suonasse al campanello per fargli presente che era padre da 11 anni! e quel bambino è identico a lui, eppure così diverso, così lontano... sarà un'avventura doverlo conoscere, recuperare gli 11 anni trascorsi, e cercare di non farsi odiare per quella decisione presa... quella pessima decisione. [fanfiction ambientata nel 2011]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DICIOTTO

 

Sua madre era in ritardo, era quasi un’ora che lui aspettava seduto sulle scale fuori dalla piscina del paese. Cominciava a preoccuparsi: lei non era mai in ritardo se non per cause di forza maggiore, ma a quell’ora le strade erano pressoché deserte e loro non abitavano molto distante dalla piscina pubblica.

Mentre continuava ad aspettare giocherellando con la cerniera della sua tuta, vide una volante della polizia parcheggiare davanti a lui. Ne scesero due poliziotti in divisa che si guardarono attorno visibilmente a disagio, cosa che stupì non poco il bambino. Uno di loro gli si avvicinò lentamente e gli chiese informazioni su un ragazzino più o meno della sua stessa età che si chiamava Eljas Rakohammas.

-Sono io…- rispose lui corrucciando le sopracciglia –Sicuri che cercate me? che ho fatto?-

L’altro poliziotto sorrise appena, ma la sua allegria rimase confinata alle labbra –Sei da solo, qui?- gli domandò.

Eljas scosse la testa –Sto aspettando mia madre, ma dentro c’è ancora il mio allenatore.-

-Vieni con me, Eljas, intanto il mio collega va a parlare con l’allenatore.- disse il poliziotto facendolo sedere nei sedili posteriori della volante, i piedi che penzolavano fuori dalla portiera aperta. Si guardò attorno.

-Chi mi dice che siate dei veri poliziotti?- domandò scherzoso –Se mamma mi vede parlare con voi le prende un colpo! Perché mi siete venuti a cercare? Non me l’avete ancora detto…-

L’uomo si accucciò davanti al bambino, fissando i suoi occhi blu in quelli verdi di lui e cercò di trovare le parole adatte a dare quella tremenda notizia. Eljas cominciava a preoccuparsi vedendo tutto quel disagio negli occhi dell’uomo e quando sentì le sue parole il mondo sembrò fermarsi –Tua madre ha avuto un incidente, Eljas, e… purtroppo non si è potuto fare niente.-

Il suo cuore doveva essere andato in frantumi, perché aveva cessato di battere, come i suoi polmoni avevano cessato di inalare aria. Guardò il poliziotto con gli occhi che si rifiutavano di riconoscere le immagini come realtà piuttosto che incubo. –Mia madre è morta?- domandò con un filo di voce.

Il poliziotto annuì –Mi dispiace, piccolo.-

 

Eljas guardò Migé mentre guidava: non l’aveva mai visto così; sembrava che gli avessero tolto l’anima di corpo. Gli occhi, solitamente sempre sorridenti, erano spenti, nemmeno tristi o disperati, ma completamente svuotati di qualsiasi emozione. Capiva cosa provava, lo sapeva benissimo.

-E’ colpa mia.- disse, tornando a guardare fuori dal finestrino. Riabbassò lo sguardo: vedere le auto che gli sfrecciavano accanto lo faceva stare peggio che mai.

-Non pensarlo nemmeno, Eljas!- lo rimproverò Migé –Non è colpa tua. Ville era distrutto e ha bruciato uno stop.-

-Ma l’ha fatto perché stava cercando me, perché era preoccupato per me. Ho fatto una cazzata e forse ora Ville rischia di morire a causa mia.- insistette il ragazzino.

-Ville starà bene, Eljas!- urlò il bassista. Eljas percepì una nota stridente nella sua voce, qualcosa che tradiva il suo nervosismo e la sua angoscia; si capiva che stava facendo uno sforzo immane per non crollare emotivamente davanti al bambino. –Ville starà bene…-

Eljas lo guardò compassionevole –Lo spero anch’io.- disse. Seguirono lunghi momenti di silenzio in cui entrambi non desiderarono altro che bloccare quel momento e premere il tasto di riavvolgimento rapido. Immagini di sette mesi prima salirono alla mente del ragazzino: i poliziotti, l’ospedale, il viso tumefatto di sua madre, le sue amiche che piangevano, le infermiere che cercavano invano di tenerlo lontano e di confortarlo, il cimitero con la musica dei suoi amati Pink Floyd in sottofondo… e poi l’orfanotrofio, la Tahvonainen, Ville.

Ville.

Suo padre.

Un altro incidente.

E la colpa era la sua. Sua madre lo stava venendo a prendere a nuoto quando si era scontrata con il camion e Ville stava cercando lui quando non si era accorto del semaforo rosso. E’ solo colpa mia, tutta colpa mia! Non avrei dovuto andarmene… Ma non pensavo che sarebbe finita così. Io volevo solo farti preoccupare un po’, Ville, volevo solo che tentassi di capire cosa stavo provando! E’ colpa mia, solo mia.

-Siamo arrivati.- gli comunicò Migé –Vieni con me.- detto questo lo afferrò per una spalla lo condusse oltre la porta dell’ospedale di Helsinki.

Eljas chiuse gli occhi: quella scena la conosceva fin troppo bene. Il corridoio, le sale operatorie, la gente preoccupata che cammina in circolo o si tormenta le mani seduta sugli sgabelli…

-Migé, finalmente!- Anita corse loro incontro, abbracciando prima il bassista, poi il ragazzino –Eljas, Dio ti ringrazio, stai bene!-

Eljas rimase immobile mentre la nonna lo abbracciava. Kari riavvicinò a scambiare due parole con Migé, ma lui non riuscì ad afferrare l’argomento del discorso; vide solo che l’uomo più anziano non riusciva ad articolare bene le parole.

-Mi dispiace…- si scusò il ragazzino.

Anita lo guardò –Non è colpa tua, Eljas, e non voglio che tu creda di avere colpe. Purtroppo sono cose che succedono.-

-Ma non doveva succedere a Ville! Se me ne fossi rimasto buono e tranquillo a casa, tutto ciò non sarebbe successo!-

Aveva urlato. Anita e gli altri lo guardarono stupiti da tanta energia, un’energia che derivava da tanto dolore represso per mesi.

-Calmati, Eljas, mio fratello non vorrebbe sentirti dire questo.- intervenne Jesse. Il suo tono non era stato né gentile né tranquillizzante: era tra l’arrabbiato e il disperato. –Ville è là dentro per un suo errore e la decisione di venirti a cercare l’ha presa lui, quindi, ti prego, non darti colpe che non hai. Rischieresti di far sì che io ti dia ragione, e non voglio.-

Eljas tacque scambiando uno sguardo con lo zio; gli occhi azzurro chiaro di questi sembravano implorare un pianto liberatorio che non arrivava. –Scusami.- disse il ragazzino abbassando il volto.

-Come sta Ville?- domandò Migé avvicinandosi a Burton e a Gas.

-Mi sembra che sia in quella sala da ore infinite!- sbottò Gas passandosi una mano sulla pelata.

-Hanno detto che è in condizioni abbastanza gravi, l’altra auto l’ha centrato in pieno sullo sportello.- lo informò Linde –L’altro conducente sta abbastanza bene, invece, se l’è cavata con un collare e una gamba rotta.-

-Se penso che Ville poteva restarci… e forse lo rischia ancora.- sussurrò Burton. Anche lui, come Migé, sembrava essere stato svuotato della sua anima.

-Taci, Burton, ti prego!- lo supplicò Linde. Il tastierista annuì silenziosamente e si mise a interessarsi alla punta delle sue scarpe.

-Quindi non sapete ancora niente.- constatò Migé appoggiandosi al muro alla ricerca di un sostegno.

Linde scosse la testa e lanciò un’occhiata a Eljas: il ragazzino continuava a stringere convulsamente i pugni e guardava un punto imprecisato del pavimento. Qualunque cosa avessero potuto dirgli, nulla sarebbe riuscito a convincerlo che la colpa non era sua. –Poveretto, la seconda volta in pochi mesi. Confido solamente nel fatto che si è dimostrato un ragazzino forte, fino ad ora.-

Migé si voltò a guardare il bambino –Ville non può che esserne orgoglioso, solo che l’ha capito troppo tardi. Spero solo che gli venga concesso il tempo necessario per un secondo tentativo.- disse -Kari mi diceva che molto probabilmente dovremo rimanere qui tutta la notte, i medici sembravano veramente molto preoccupati.-

Linde annuì -Probabilmente Ville rischia di entrare in coma. Se devo essere sincero, lo spero, almeno vorrebbe dire che è ancora vivo... avremmo una speranza.-

-Ma come ha fatto?!-

-Non possiamo sapere tutto nei dettagli finché non si riprende lui, ma l'altro autista ci ha raccontato qualcosa. In pratica, Ville è sbucato fuori dallo stop senza nemmeno rallentare e l'altro non è riuscito a frenare in tempo. L'impatto è stato talmente violento che ci hanno messo tantissimo tempo per tirarlo fuori da quello che era rimasto della macchina... Se la vedi rimani sconvolto, mi chiedo come abbia fatto a uscirne vivo.-

Migé spostò gli occhi spenti su Anita, Jesse e Kari -Mi chiedo come facciano a mantenere la calma in questo modo. Se dipendesse da me spaccherei tutto in questo momento!-

-Anita ha la capacità di tranquillizzare tutti con poche parole, lo sai. E' una fortuna che sia qui, altrimenti credo che impazziremmo tutti. Jesse è distrutto, sembra che gli abbiano portato via metà anima.- disse Linde rivolgendo lo sguardo nella stessa direzione.

-Lui e Ville sono molto legati, posso capirlo.-

Kari Rakohammas si avvicinò ai due amici, la faccia stravolta di chi sta vivendo un dramma -Ragazzi, se volete andare a casa, fate pure. Noi rimaniamo qui, ma non ci sembra il caso di tenervi svegli tutti quanti per...-

-No, Kari, non vi preoccupate. Noi vogliamo stare qui, andando a casa non riusciremmo a fare niente, anzi! Ci sentiremmo fuori posto e inutili.- obiettò Migé.

-Migé ha ragione.- concordò Linde -Rimaniamo qui.-

L'uomo si illuminò per quanto gli era possibile -Grazie. Ville ha dei veri amici.-

eccomi di nuovo! pensavo davvero che non avrei più postato, ma la punizione è finita e siccome sono in vacanza ho pure tempo di scrivere. questo capitolo scioglie un po' il precedente, ma vi terrò sulle spine ancora un po' [sadica...........................]. intanto fatemi gli auguri che sono maggiorenne da poco più di una settimana e sono felice di questo! ^^ auguri in ritardo anche a migé amour, il mio fratellone, che però di anni ne ha fatti 33... eh, caro mio, si invecchia! XD keep on enjoing me!

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