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Autore: Jackie_    14/06/2013    2 recensioni
Questa storia è ambientata nel 2029, Jack -diventato padre a 25 anni- ha deciso di tornare a Baltimora dopo sedici anni di assenza per sistemare i conti col passato. Che cosa ne è stato degli All Time Low? Come se la caverà April Barakat nella nuova città? E riuscirà Jack a far pace con i propri rimpianti?
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Due

 
April's p.o.v
 
Non ho mai creduto nelle favole. Nemmeno da bambina. Mio padre, anche se inconsapevolmente, mi ha sempre trasmesso una certa disillusione. Credo sia a causa di mia madre. Quello che voglio dire è che essendo cresciuta in una famiglia non esattamente come quelle delle pubblicità, mi risulta difficile credere nel "per sempre felici e contenti".
Per questo mentre siedo accanto al ragazzo che così gentilmente mi ha accompagnata fino a scuola evito di farmi uno di quei film adoloscenziali che ti portano inevitabilmente a toccare il cielo e a precipitare a cento all'ora appena il sogno svanisce. Insomma, in poche parole voglio rimanere con i piedi per terra. Conosco Peter da solo qualche ora, eppure la sua presenza mi ha affascinata più di quanto sia lecito. Non so se sia perché qui a scuola sembra essere una vera star o per il suo sorriso così accattivante. Probabilmente sono semplicemente felice di aver trovato un alleato nella nuova città. O quantomeno sono felice di avere un posto in ultima fila in queste ore interminabili di letteratura. E di ciò devo ringraziare Peter. Di nuovo.
"Allora, com'è che qui sembrano conoscerti tutti? Sei tipo...il quarterback della squadra di football?" azzardo in un sussurro.
Lui si volta a guardarmi alzando le sopracciglia in un'espressione che fa capire che l'ho proprio sparata grossa.
"Assolutamente no! Odio il football." -distolse poi lo sguardo in una smorfia- "Mi conoscono tutti, è vero, ma non per qualcosa che ho fatto io."
Il suo tono è diventato freddo e distaccato, probabilmente preferisce evitare l'argomento. E io lo rispetto. Dopotutto non mi interessa sapere perché lui è tanto popolare. Spero almeno di diventare sua amica. È da due settimane che sono a Baltimora e ancora non ho parlato con nessuno oltre a papà, la zia, i nonni e la cassiera del supermercato. Il che è triste, davvero triste. Quando stavamo ad Olympia ero circondata da persone che mi volevano molto bene, non ero mai sola.
"Non vorresti essere qui, vero?" il sussurro di Peter è tornato ad essere pacato. Mi ricorda un carillon in qualche strano modo. E io amo i carillon.
Guardandolo con la coda dell'occhio riesco solo ad annuire. Ho sempre saputo di essere un libro aperto per chiunque mi guardasse in viso. Papà dice che non ha mai conosciuto una persona più limpida di me. Secondo lui ho un'anima pura, non sono in grado di nascondere alcun tipo di emozione e al contrario di ciò che penso io, lui sostiene che sia un punto di forza. Ma lui è di parte. Il suo giudizio è condizionato dal fatto che sono sua figlia.
"A volte nemmeno io vorrei essere qui." confessa lui portando lo sguardo oltre la finestra. Penso che si stia proiettando in un posto lontano, riesco quasi a vederlo mentre si immagina in una qualche città esotica. 
Cerco qualcosa da dirgli in risposta, ma non mi viene in mente proprio nulla. Non lo conosco ancora abbastanza per sapere cosa dire per farlo sentire meglio. 
"Ascolta, torni a casa per pranzo?" mi chiede interrompendo il silenzio che cominciava a pesare tra noi.
Torno a guardarlo e accenno un sorriso. Magari vuole chiedermi di pranzare con lui! Sarebbe stupendo! Sento già il sangue affluire alle guance e mi vergogno del mio basso autocontrollo. 
"No, sto qui alla mensa."
"Allora più tardi ti presento i miei amici, almeno non rimani da sola. Io torno sempre a casa."
Ah. Bè, non è esattamente ciò che mi aspettavo ma è stato carino ugualmente. Sembra premuroso nei miei confronti e la cosa non può che farmi piacere.
 
 
Jack's p.o.v
 
Sto andando a prendere una vaschetta di gelato per fare merenda con April una volta che sarà tornata da scuola quando avverto una strana sensazione. Ad ogni passo la forza di gravità sembra farsi più pressante, come se dovessi spiacciacarmi a terra da un momento all'altro. Non mi sono mai sentito così, è come se il mio corpo volesse prendere il sopravvento sulla ragione: io voglio andare diritto, ma le gambe a sinistra. E so perfettamente perché. Non vi è mai successo di desiderare fortemente di far visita ad una persona, ma allo stesso tempo non avete mai provato un tale terrore anche solo al pensiero di passare accanto alla sua casa? È piuttosto contorto, me ne rendo conto, eppure è esattamente così che mi sento. Incapace di muovere un passo di più mi lascio cadere sul muretto che costeggia il marciapiede. Anche se sono voltato di spalle riesco a vedere quella casa bianca con una strana staccionata azzurra e il cancelletto in ferro battuto. Mi è sempre piaciuta quella villetta. Per molti anni della mia vita ho considerato quella come la mia casa e so che una parte di me è ancora lì dentro. Ricordo la prima volta che l'ho vista.
 
"Vieni, entra, tanto i miei non ci sono." avevi detto con uno strano sorrisetto, trascinandoti la cartella di scuola come fosse la palla al piede di un carcerato. 
"Okay, ma...non vorrei disturbare." 
Senza nemmeno rispondermi avevi aperto la porta e con un gesto plateale mi avevi invitato ad entrare. Ci eravamo appena conosciuti, giusto qualche settimana, e trovavo strano che mi avessi già invitato a casa tua per passare il pomeriggio insieme. Adesso so che l'avevi fatto perché ti sentivi terribilmente solo. Proprio come me.
"Mi stai davvero simpatico, Jack, lo sai?" avevi sprecato un altro dei tuoi magnifici sorrisi per me e non so cosa darei per tornare a quei giorni. 
Avevamo trascorso il resto della giornata a mangiare schifezze e guardare film stupidi, alternando partite interminabili ad Halo a bagni in piscina.
Ricordo che non mi ero mai sentito più felice: finalmente avevo un amico. Un vero amico.
 
Un ragazzo sullo skateboard mi sfreccia davanti facendomi tornare alla realtà. Odio quei terribili flashback che mi riportano a quando tutto era perfetto. Li odio specialmente perché nei miei ricordi quei giorni sono ancora tra i più felici della mia vita, sarebbe tutto più semplice se riuscissi a guardare al passato con disprezzo anziché nostalgia. Non voglio ammettere che quei tre ragazzi mi mancano come l'acqua ad un pesce, dopo come si sono comportati posso, anzi devo detestarli con tutto me stesso. 
Sospirando incrocio lo sguardo di quel ragazzino che per evitarmi quasi non cade dal marciapiede e rimango un attimo interdetto. Quegli occhi, quel viso...mi sembra di averli visti da qualche parte eppure non riesco a ricordare dove. Vorrei fermarlo, chiedergli come si chiama e se per caso ci siamo già incontrati prima, ma ha già svoltato in quella via che mi ha dato il tormento fino a qualche momento prima.
Probabilmente sto impazzendo. Tutti questi flashback, ricordi, litigi con May e mamma e papà... Sì, sono solo un po' stressato e non è il caso di importunare un ragazzino che torna a casa da scuola per il pranzo. Meglio proseguire e prendere il gelato per la mia April.
 
 
Peter's p.o.v
 
Un deficiente seduto sul muretto quasi mi fa cadere dallo skateboard. Sì, forse sono anch'io un po' soprappensiero, ma non è normale stare stravaccati su un marciapiede e avere quello sguardo stralunato! Secondo me è strafatto. Mi rivolge uno sguardo sorpreso e devo ammettere che mi fa un effetto davvero strano. Mi sembra di conoscere quell'uomo, anche se non ho idea di dove abbia potuto conoscere un tipo così strambo. Dopotutto, chi se ne frega? 
Raggiungo casa mia con una certa fretta: prima arrivo, prima me ne vado.
"Papà, sono tornato." borbotto senza troppa convinzione e lo vedo in cima alle scale con quel dannato telefono appiccicato all'orecchio. Mi fa un cenno con la testa, nemmeno un sorriso.
Raggiungo la cucina e non posso fare a meno di pensare ad April. Sono sicuro di averla lasciata in buona compagnia con Josh, Virginia e Lucas, è solo che vorrei essere lì con loro. Invece sono costretto a pranzare da solo in una cucina che puzza di chiuso e con un padre che non sopporto. Preferisco di gran lunga quando è lontano da casa. Quando è qui a Baltimora i ragazzi a scuola non mi danno tregua. Insomma, sono figlio del mitico Alexander William Gaskarth, cosa pretendo? 
Sospiro afferrando la forchetta solo per lasciarla ricadere nel piatto pochi secondi dopo. Mi è passata la fame. Chissà perché quando c'è lui in giro non ho mai fame.
"Peter." -mi saluta entrando in cucina e subito mi irrigidisco- "Com'è andata a scuola?"
Sorrido scuotendo piano la testa. So che non gli interessa veramente come stia procedendo la mia giornata, semplicemente ha letto il manuale del "Buon Padre" e sta recitando un copione. È sempre così.
"Bene."
"Bene." ripete lui concludendo così quel patetico tentativo di conversazione.
In realtà vorrei raccontargli di quella ragazza così carina e gentile che ho conosciuto andando a scuola. Vorrei dirgli che mi ha fatto subito un'ottima impressione perché sembra assomigliarmi molto. Vorrei dirgli che anche lei mi è sembrata tanto sola quanto me e che ho desiderato più volte abbracciarla, così d'istinto, nonostante l'avessi conosciuta solo da qualche ora. Ma lui non mi avrebbe ascoltato né capito. Mi avrebbe detto che non devo avere distrazioni, che non devo dare confidenza alle persone perché tanto loro vogliono solo arrivare a lui. Ritengo sia paradossale che un padre consigli al proprio figlio di non farsi degli amici perché sono tutti degli arrivisti. Ma sapete una cosa? Ormai ci sono abituato e non mi importa.
"Ascolta, Peter" -continua avvicinandosi alla finestra- "Fra poco ricomincerà il tour, ricordi?"
"Ricordo." 
Come potrei dimenticarlo?
"Bene."
"Bene."
Ma in realtà non va bene per niente.






Author's corner
Eccomi di nuovo! (:
Grazie a LostInStereo_GD e Rack per aver recensito il primo capitolo; eccovi il secondo! Spero vi piaccia :) Fatemi sapere!
A presto,
Jackie.
  
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