No way back from here
Dicembre
1981
«È
per stanotte.»
Rodolphus
alza gli occhi dal suo bicchiere di Whisky Incendiario e la fissa senza
dire nulla; Bellatrix ha il respiro ansante e lo sguardo spiritato,
come ogni volta che premedita un omicidio.
Sono
settimane, ormai, che non fa che parlare d’altro –
che non riesce a pensare ad
altro.
E
sono settimane che lui tenta di dissuaderla, ma senza riuscirci.
“Oh,
no! Non vorrai ricominciare con questa storia, Bellatrix. Per favore…”
“Tu
non capisci, Rodolphus! Più tempo passa, meno
possibilità abbiamo di ritrovarlo! Dobbiamo agire, subito!”
Ogni
maledettissimo giorno – da trentasei giorni.
Un’ossessione.
Un
tormento che si accinge a rinnovare anche adesso.
«È
per stanotte» ripete lei, a voce più alta e
sicura, mentre avanza nel cono di luce che le fiamme del caminetto
proiettano al centro della stanza. Buchi sono i
suoi occhi, inghiottiti dall’oscurità della
pupilla abnormemente dilatata.
Folle:
è l’unica parola che lui trova per descriverla
– in realtà ne ha in mente anche qualcun'altra, e non
crede le piacerebbe.
«Il
whisky è quasi finito.» Rodolphus abbassa di nuovo
lo sguardo sul fondo del bicchiere, portandoselo alla bocca.
«Bisogna ricomprarlo.»
Lo
spostamento d’aria che accompagna i passi di Bellatrix gli
frusta il volto come una ventata gelida. Lei gli piomba addosso come
una furia – gli strappa il bicchiere di mano.
«Hai
sentito quello che ho detto, Rod?»
«Ho
sentito.» La osserva con un sorrisetto, mentre lei svuota il
suo bicchiere in un unico sorso. «Cosa vuoi che me ne
freghi?»
«Che
diavolo stai dicendo, per Salazar?» Lo guarda come se fosse lui,
quello impazzito. «E’ la nostra occasione, quella
che aspettiamo da settimane. Non possiamo farcela scappare. Dobbiamo
farlo. Stanotte!»
«Non dobbiamo fare un
bel niente.» La voce di Rodolphus suona perfettamente calma,
almeno quanto quella di sua moglie vibra di indignazione.
L’incredulità
sul volto di Bellatrix si intorbida rapidamente di collera.
Probabilmente, quello che non si aspettava da suo marito è
questo: la calma. Rodolphus non è mai stato quel che si dice
un tipo compassato.
«Nessuno
ci obbliga» continua lui, guardandola negli occhi, cercando di imprimere alla voce un
tono rassicurante e convincente. «Non
siamo tenuti a cercarlo.»
«Non siamo…?!»
Lei annaspa, cercando le parole, gli occhi sbarrati da una rabbia
esterrefatta che non cessa di montare – funesto rombo
premonitore di una marea. «È il nostro Padrone,
Lestrange! Gli abbiamo giurato eterna fedeltà, o
l’hai dimenticato? È nostro dovere cercare di
ritrovarlo, come puoi pensare di abbandonarlo così? Come
sopporti di continuare ad aspettare e non fare nulla?»
L’espressione
inorridita e furente con cui sottolinea
con veemenza ogni parola è
vagamente comica.
Non
la prenderebbe troppo bene se Rodolphus si mettesse a ridere in questo
momento – la tentazione, da parte dell’uomo,
è fortissima.
Conoscendola,
probabilmente tirerebbe fuori la bacchetta e lo Crucerebbe sul posto.
E
lui potrebbe addirittura permetterglielo, solo per la vuota, perversa
soddisfazione di vederla perdere il controllo – il pensiero
lo diverte in modo indecente.
Eppure,
al contempo, Rodolphus ha una maledetta voglia di mettersi ad urlare
fino a lacerarsi i polmoni. Perché c’è
una parte di lui che sa benissimo cosa – chi –
infonda tanta appassionata ferocia nelle parole di sua moglie, cosa la
spinga a intraprendere un’azione disperata per nulla
– e preferisce, semplicemente, ignorarlo.
Sei
un vigliacco, Rodolphus. Sei un maledetto vigliacco.
Come
fai a guardarti ancora allo specchio, poveraccio?
Come
fai a vivere ancora con te stesso?
Gli
sembra di sentire la voce di lei nella mente e il sangue gli bolle
nelle vene, perché se è diventato un vigliacco
è proprio per colpa sua. Potrebbe ucciderla,
se solo si soffermasse su quel pensiero – perciò
lo lascia putrefarsi nel fondo del suo cervello, insieme a tanti altri
pensieri soffocati, andati illividendosi nel corso degli anni.
E
cosa ne ottiene, poi?
Sentirsi
dare del vigliacco. Solo questo. Proprio da lei.
Non
senza sforzo, ricaccia ciascuna di queste emozioni dentro di
sé, mantenendosi impassibile.
Se
c’è una cosa che Rodolphus ha dovuto imparare,
durante il suo matrimonio con Bellatrix, è a indossare una
maschera – e non parlo di quella da Mangiamorte…
non solo di
quella.
Da
quando è suo marito, ha dovuto imparare a fingere con una
facilità che, certe volte, stupisce lui stesso per primo
– ma che si accorge di scontare ogni giorno di più.
Ecco
perché abbozza un vago sorriso sarcastico, piegando appena
le labbra, e non dice nulla; perché se
c’è una cosa che fa infuriare sua moglie, ancor
più della sua nonchalance, è il suo silenzio: le
uniche armi che possiede contro di lei.
Le
riavvia una ciocca di capelli dietro l’orecchio –
non stanno mai a posto, i capelli di Bellatrix.
Lei
gli allontana la mano con violenza e gli volta le spalle, tremante di
rabbia, avvicinandosi al fuoco che scoppietta nel grande camino. I suoi
ricci catturano i riflessi rossi delle fiamme in un modo che gli mette
sempre i brividi.
Restano
in silenzio per un po’– Rodolphus quasi si illude
che lei possa desistere.
«Io
non aspetterò un giorno di più... Lo
farò. Stanotte. Con o senza di te, Rod.»
Rodolphus
fissa la sua schiena: gli sembra quasi di sentire sotto le dita i
muscoli tesi ed eretti di lei, come ogni volta che si prepara a una
battaglia. Felina.
Si
versa un altro bicchiere di whisky, notando distrattamente il livello
ormai irrisorio che lambisce la bottiglia trasparente. Il tintinnio del
vetro è l’unico suono che rompe il silenzio, oltre
al crepitio discreto delle fiamme, educate spettatrici
dell’ennesimo duello verbale tra queste pareti.
All’improvviso
Bellatrix si volta di nuovo verso di lui, stagliandosi netta e
affilata, nera e dura, contro la plasticità danzante delle
fiamme.
«Da
che parte stai, Rod?» sputa tra i denti, con tono aggressivo.
«E’ ora che tu prenda una decisione, caro mio. Hai
rimandato per troppo tempo.»
Lui
le lancia uno sguardo in tralice da sopra l’orlo del
bicchiere: Bellatrix tiene il mento sollevato in atteggiamento di
sfida, le mascelle serrate; gli occhi, stretti in due linee sottili,
mandano lampi.
Rodolphus
ingoia un sorso di liquore, prendendo tempo.
Sa
che lei non gli toglierà lo sguardo di
dosso, inchiodandolo lì dov’è,
tagliandogli ogni via di fuga, finché non le avrà
dato una risposta.
È
questo quello che lei fa, sempre, continuamente: ingabbiarlo, metterlo
all’angolo, costringerlo ogni volta a scegliere – e
lui odia ciò, lo
odia, da quando tutte le sue scelte, senz’alcuna
esclusione, gli appaiono spaventosamente, irrimediabilmente sbagliate.
Anche
ora lo sta facendo. Gli sta chiedendo – ordinando,
minacciando – di prendere una decisione.
Lo
forza, lo porta al limite – ed è una cosa che lui
detesta, ma non ha scelta: gli occhi fiammeggianti di lei non gli
lasciano davvero scelta.
Rimette
giù il bicchiere, sbuffando esasperato. «Sai
benissimo da che parte sto, Bellatrix.»
«No
che non lo so!» Il tono di voce di sua moglie torna ad
alzarsi pericolosamente, rasentando l'isteria. «Non ti
riconosco più, Rod! Intendi venire meno alla promessa fatta
all’Oscuro Signore? Proprio tu, che ti professi
così leale, così fedele… Sei solo un
traditore e un vigliacco, ecco cosa sei!»
L’ha
detto. Non avrebbe dovuto dirlo. Non avrebbe dovuto pronunciare quella
parola.
Rodolphus
non ci vede più. E al diavolo il self-control! – e
poi, quando mai si è professato fedele? Forse che, per
essere considerati fedeli, basti portare il Marchio
sull’avambraccio sinistro, un mantello nero e una maschera
argentata?
L’afferra
per un braccio mentre gli passa accanto –
decisa ad andarsene, a piantarlo in asso come un imbecille, come suo
solito, ma non stavolta –
forse con più forza di quanto sia sua intenzione,
perché la sente sussultare e irrigidirsi nella sua stretta,
trafiggendolo con uno sguardo tracimante di disprezzo e di rancore.
Si
rifiuta di lasciarsi ferire ancora da
quello sguardo.
«Non
ti permetto di parlarmi in questo modo, Bellatrix. Non ne hai il
diritto.»
Le
labbra di Bellatrix si piegano in un ghigno che lascia gelidi gli
occhi. «In passato mi hai permesso ben altro, Rod... E sai
perché? Perché sei un debole. Sei incapace di
importi. Sei un…»
Rodolphus
l’attira a sé con tale violenza da spezzarle
bruscamente le parole sulle labbra.
L’afferra
per la testa, stringendogliela tra tutte e due le mani,
immobilizzandole il viso a pochi centimetri dal suo. La fissa,
sentendosi pieno di odio e di rabbia come mai prima di questo momento
– solo lei riesce a ridurlo così: una belva.
«Ti
suggerisco di tenere chiusa quella tua bella bocca, tesoro, o potresti
pentirtene. Amaramente.»
Il
ghigno non le sparisce dalla faccia: la minaccia di lui è
vuota, e lei lo sa. «Mi stai minacciando, Rod? Tu osi
minacciare me, Bellatrix Black?»
«Smettetela
di tirarvela, voi Black non siete superiori a nessuno. Adesso che il
Signore Oscuro è caduto, siamo tutti nella stessa barca... E
poi è ora che inizi ad usare il tuo vero cognome, Lestrange.»
Calca
sull’ultima parola a rimarcare il suo possesso su di lei, per
pentirsene quasi immediatamente: è sua moglie, ma non
è mai stata sua, e lui improvvisamente si sente stupido e
ingenuo come un bambino che si ostini a rivendicare un giocattolo che
non gli è mai appartenuto.
Ancora
una volta, c’è cascato; era precisamente questo
che lei si aspettava di sentire.
Ha
scalpitato fino a questo momento che lui mettesse un piede in fallo,
per Salazar; l’ha atteso al varco, pronta a cogliere,
fornitale su un piatto d’argento, l’ennesima riprova della
debolezza di Rodolphus, di quanto spasimi per il minimo segno della sua
appartenenza a lui.
Rodolphus
vede le labbra di Bellatrix schiudersi; un attimo dopo lei gli ride in
faccia.
Nei
suoi occhi neri e fondi legge il deliberato intento di ferirlo.
Non
si aspettavo altro da lei – non per questo fa meno male.
È
così labile – inesistente quasi –
l’equilibrio tra lui e lei.
Un
attimo prima Rodolphus può quasi sperare di uscirne con la
dignità intatta; un attimo dopo fa una mossa sbagliata e lei
lo atterra senza batter ciglio.
Scacco
matto, Rod. Ancora.
Non
imparerai mai, vero, tesoro?
Le
lascia il braccio, voltandole le spalle per non darle in pasto il suo
tormento, di cui è sadicamente ghiotta.
Riesce
a leggergli in faccia ogni emozione come su un libro aperto; non riesce
a nasconderle niente.
E
questa cosa lo fa letteralmente impazzire, perché lei invece
non gli ha mai permesso di entrarle veramente dentro.
È
sempre stato così impari il loro rapporto, fin
dall’inizio.
Ha
ragione lei: non ha mai avuto la capacità, né
soprattutto la voglia,
di imporsi su di lei.
Ai
suoi occhi ciò costituisce una debolezza imperdonabile; non
capisce che solo con lei ha rinunciato alla forza – per amore.
Non
lo capisce; non ci arriva.
È
così dannatamente limitata, Bellatrix.
Lo
stimerebbe solo se la trattasse con disprezzo, con violenza, con
irrisione, con indifferenza – come fa l’Oscuro.
Solo
allora, forse, lei gli mostrerebbe un po’ di rispetto.
Ma
lui non vuole averla in questo modo; è una cosa che gli
rivolta lo stomaco, da imbecille qual è – quale
lei non manca mai di sottolineare.
Se
avesse voluto una schiava al posto di una moglie, non avrebbe voluto
lei, con così cocciuta, devastante intensità da
perderci il sonno – e la ragione.
Qualunque
altra donna sarebbe andata bene.
Qualunque
altra donna gli avrebbe mostrato un minimo di rispetto – ma
non lei.
Sono
diventato pazzo insieme a te. Questo mi hai fatto diventare,
Bellatrix…
Sei
contenta, adesso? Dì, sei contenta?
Rodolphus
afferra la mensola di marmo del caminetto per impedirsi di afferrare la gola
di sua moglie. È gelida – o forse sono solo le sue
mani ad andare a fuoco.
Mentre
fissa le fiamme, sente le braccia di Bellatrix scivolargli intorno al
petto, il suo seno aderirgli alla schiena.
Sa
come giocare, lei; scaltra e priva di scrupoli, è disposta a
tutto pur di averlo dalla sua.
E una parte di lui si chiede, con
curiosità, fino a che punto si
spingerà… Giocherà tutte le sue carte,
fino alla fine? Pur sapendo che conosce le sue reali intenzioni, lo
farà lo stesso? Vale davvero così tanto la pena
scoprirsi in questo modo, al limite del ridicolo?
Sì, risponde una voce nella sua testa
– una voce che è quella di Bellatrix – sì.
Per Lui tutto vale la pena.
«Allora?
Verrai con me, stanotte?» gli sussurra contro la
schiena, mentre con le unghie lo accarezza da sopra la camicia. Lenta e
crudele. Provocatrice.
Rodolphus
si aggrappa disperatamente alla rabbia per impedirsi di cedere al
calore di lei.
Cerca
di richiamare alla mente tutti gli svariati motivi per cui dovrebbe
odiarla – per cui la odia, in effetti – e non
gliene viene nessuno.
Patetico,
Rodolphus.
«A
chi altri l’hai detto?» riesce infine ad
articolare, a denti stretti.
«Oh,
solo a Crouch. Lo conosci, è così ansioso di fare
qualcosa…» Le labbra di Bellatrix vagano ormai in
prossimità del suo orecchio. Sente il suo respiro sfiorargli
la pelle – esitare,
solo per un istante. «E a Rabastan.»
Rodolphus
si irrigidisce all’improvviso – come una corda,
tesa fino alla spasimo, che si spezza.
Le
afferra le mani, scrollandosi bruscamente di dosso il suo abbraccio, e
si volta a fissarla negli occhi, in quel suo sguardo che solo per un
attimo tradisce lo sconcerto e l’allarme – e
l’attimo dopo torna a riempirsi della consueta fredda
indifferenza.
«Cosa
c’entrava Rabastan, me lo spieghi? Che bisogno
c’era di coinvolgere anche lui in questa follia?»
Ecco,
finalmente l’ha chiamata per quello che è. Non le
piace il termine, come sospettava.
Bellatrix
socchiude gli occhi risentita: sembra una serpe pronta ad attaccare, ma
lo sa che non è il momento. Non ancora. Bellatrix non
è irragionevolmente impulsiva come tutti sembrano ritenerla
– o, almeno, non lo è sempre.
È
una strega intelligente e astuta: sa quando agire, come sfruttare tutti
i suoi assi, uno per volta, senza lasciarsi dominare dalla frenesia
delle emozioni, soprattutto in una circostanza cruciale come questa,
dove è necessario giocarsi il tutto per tutto, se non vuol
fallire.
Ancora
una volta – con quel vago divertimento che, chissà
perché, non accenna ad abbandonarlo – Rodolphus
osserva attentamente il repentino mutamento di umore sul viso di sua
moglie, mentre si sforza di imprimere un cambio di rotta ai suoi
pensieri: da assassini, violenti, impulsivi a saggi, razionali,
ponderati.
La
guarda mitigare l’odio ferale nei suoi occhi in quella che
dovrebbe essere tranquilla indifferenza, assumere un’aria
vagamente perplessa, come se sentisse il bisogno di giustificarsi,
proprio con lui.
«Veramente
è stato tuo
fratello ad
insistere per saperne di più. Mi ha sentito parlare con
Crouch.»
«Come
no! Scommetto che stavi parlando con Crouch a voce più alta
possibile per essere sicura che non gli sfuggisse neppure il
più piccolo particolare!... Non è
così, Bellatrix?» La voce di Rodolphus
è gelida, ma trema di rabbia: è meno bravo di lei
nel mascherarla.
Lei
alza un sopracciglio e lo guarda senza dire nulla. In genere
è la tecnica che usa lui per irritarla – deve
ammettere che funziona.
«Non
ti basta farci ammazzare tutti!» esplode Rodolphus, serrando
i pugni, quando lei gli volta le spalle con calcolata sufficienza.
«Vuoi proprio che nessun Lestrange rimanga vivo!»
«Oh,
se è per quello non preoccuparti.» Lo guarda
serafica da sopra la spalla. «Ve n’è
rimasto ancora qualcuno in Francia, giusto?»
Spiritosa.
È
lui, ora, a doversi fare forza per non cancellarle il sorrisetto dalla
faccia a colpi di bacchetta. Le sue dita cercano
già sotto la veste, tremanti di collera.
Per
Salazar! a volte è così odiosa che la Crucerebbe
seduta stante e godrebbe a vederla contorcersi di dolore ai suoi piedi,
esattamente come lei farebbe con lui.
A
volte Rodolphus pensa che siano molto più simili di quanto
sembri – ma questo non contribuisce ad avvicinarli, proprio
no.
«Non
avevi il diritto di mettere in mezzo anche Rab, accidenti a
te!» Lei continua a dargli tranquillamente le spalle,
impermeabile a qualsiasi cosa possa dirle. È semplicemente odiosa.
«Mi stai ascoltando, donna? Sto parlando con te!»
Finalmente
si volta. Lo fissa per un lungo minuto con aria canzonatoria.
Sembra
prendersi gioco di lui, del suo respiro ansante a stento trattenuto tra
le labbra, dei pugni serrati lungo i fianchi, dei denti digrignati in
una smorfia silenziosa, contratta, rigida.
Lei
che, al contrario, appare così calma – sa
essere perfettamente calma e razionale anche nel pieno della sua
follia… almeno finchè non ha raggiunto i suoi
scopi.
Ah,
Rodolphus la conosce. La conosce troppo bene, ormai – ma
ancora continua ad illudersi, ogni tanto.
«Hai
finito, Lestrange?» Le sue labbra si piegano verso
l’alto. «Dimmi di no, ti
prego. Mi stavo divertendo immensamente.»
«Se
ti diverte rendermi la vita un inferno, moglie, accomodati pure. Ma
lascia fuori Rabastan. Lui non c’entra niente. Questa
è una cosa unicamente tra me e te. Non
c’è bisogno che tu faccia scontare le mie colpe
anche a qualcun altro...»
Bellatrix
solleva di nuovo un sopracciglio e scoppia a ridere.
«Per
Salazar, che discorso ispirato, Rod!» Ride.
«Qualcuno, sentendoti, potrebbe pensare che ci sia del vero,
in queste tue belle parole…»
Rodolphus
si acciglia, cercando di indovinare nel suo sguardo dove voglia andare
a parare, ma gli occhi di Bellatrix sono torbidi, oscurati da qualcosa
che potrebbe essere rabbia, frustrazione, disperazione, o un misto fra
le tre.
«Non
so cosa vuoi dire con questo, Bellatrix, e non mi interessa.»
«Ah,
no?» Bellatrix contrae le dita intorno al bicchiere e lo
guarda con l’odio soddisfatto del cacciatore che sta per
mettere a punto un colpo sicuro, perfetto, micidiale.
Fuggi,
Rodolphus. Corri a nasconderti prima che sia troppo tardi. Non puoi
difenderti da quello che sta per venire.
Ma
è già troppo
tardi, come ogni volta.
«Perché
non ci dai un taglio con la recita del premuroso fratello maggiore,
Rod? A te non importa un bel niente di Rabastan, non è un
mistero per nessuno.»
La
sicurezza inoppugnabile con cui gli sputa addosso queste parole
è raggelante, come
se lo conoscesse meglio di quanto lui conosca se stesso; come se
sapesse cose di cui Rodolphus è all'oscuro, cose che sono
state rivelate solo a lei – lei,
con i suoi occhi che sembrano vedere oltre, occhi che sanno sempre
tutto, occhi che feriscono,
quasi quanto le sue parole di ghiaccio e veleno.
«Non
è vero» ribatte lui, meccanicamente.
«Sei una maledetta bugiarda, Bellatrix.»
Il
suono della sua risata gli ferisce i timpani. «Stiamo
parlando di me o di te, Rod?»
Lui
trasale; osserva di sottecchi l’espressione di pura gioia
crudele che le accende da dentro i lineamenti e, chissà
perché, sente la propria rabbia sgonfiarsi a poco a poco.
Ecco,
succede sempre questo, con Rodolphus: nel momento in cui dovrebbe
essere forte la forza lo abbandona, la lucidità gli volta le
spalle. Sprofonda nel buio e vi rimane, annaspando.
Bellatrix
ride. Continua a ridere.
E’
la sua risata vera, di gola, quella che fa quando è
realmente divertita – e una delle cose che più la
diverte è, ovviamente, il vederlo in difficoltà;
osservarlo dibattersi inutilmente contro la verità
asfissiante delle sue spietate parole.
Rodolphus
cerca ogni volta di ignorarle, ma non riesce a lasciarsele scivolare
addosso come se niente fosse.
Lei
sa dove fa più male e ci affonda gli artigli con gusto; non
molla la presa, finché non è lui a cedere.
Poi,
invece, c’è la sua risata sarcastica, quella che
tira fuori insieme alla vocetta infantile che gli fa andare il sangue
alla testa; quella che in genere usa per provocare e deridere.
Rodolphus
conosce ogni sfumatura di questa donna, eppure rimane per lui un
mistero intangibile,
imperscrutabile, un rompicapo senza soluzione; può solo
continuare a provare e riprovare, sbatterci la testa fino a impazzire,
ma non riuscirà mai a giungere al cuore del suo fosco
segreto.
Bellatrix
si lascia cadere nel divano davanti al fuoco, riempiendosi nuovamente
il bicchiere fino all’orlo e accavalla le gambe, un braccio
penzoloni oltre il bracciolo di velluto.
Lo
studia con morbosa attenzione, la testa inclinata di lato, come le ha
insegnato il suo Padrone – a volte i
suoi gesti ricalcano quelli di Lui in un modo così naturale,
così stupefacente, da far rabbrividire Rodolphus di
raccapriccio; da indurlo a stringere i denti per non urlare, o a
chiudere gli occhi dicendosi che si tratta di un incubo.
Le
unghie di Bellatrix strisciano sul vetro sottile, accarezzandolo con
calcolata lentezza, come il corpo di un amante. Aspetta che sia lui a
distogliere lo sguardo per primo – nauseato.
Quanto
vorrebbe sbagliarsi, Rodolphus, in momenti come questo.
Come
vorrebbe non sapere, non vedere… non esserci.
Con
quanta forza desidererebbe essere lontano, non essere qui.
Non
essere Rodolphus.
«Perché
continui ancora a raccontare questa storiella a te stesso?»
La voce suadente di lei lo strappa, non richiesta, ai suoi pensieri.
«Pensavo avessi superato i tuoi sensi di colpa.
Evidentemente, mi sbagliavo… Vero, Rod?»
Lui
fissa le fiamme che si alzano dai ceppi e decide di ignorarla. Sente i
suoi occhi piantati addosso, scintillanti di malizia – quelli è
molto difficile ignorarli, ma si sforza.
È
sempre tutto uno sforzo, con Bellatrix: lei ha il discutibile talento
di rendere difficile, asfissiante, impossibile ogni cosa.
Rodolphus
fissa così a lungo e così intensamente il
bagliore sanguinante del fuoco da pensare che resterà
impresso nelle sue retine per sempre. Lo fissa a occhi socchiusi,
appositamente per tagliare fuori lei dal suo campo visivo.
«D’accordo,
d’accordo. Ho capito.» La sua voce è
ancora più flautata, veleno intinto nel miele. Oscenamente
falsa. «Non parliamo di Rabastan, se non vuoi. A quanto pare
il fratellino è ancora un tasto dolente, per te.»
Sa
come fargli male, lei. Sa come vendicarsi, come punirlo e ridurlo
all’impotenza.
Lui
la odia. La odia davvero.
Ma
è un odio spossato, il suo. In eterna lotta con un amore
malato da cui nessuno dei due trae giovamento: si dividono il terreno
di battaglia della sua anima, straziano a brandelli la sua carne,
rendendolo più debole ogni giorno di più.
Rodolphus
sprofonda nella poltrona davanti al caminetto, abbandona la testa
contro lo schienale e chiude gli occhi.
Si
sente improvvisamente stanchissimo, come se avesse corso una maratona.
Cerca
dentro di sé tracce della rabbia che lo ha tenuto vivo fino
a questo momento, ma solo ceneri fredde rimangono.
Succede
ogni volta che abbassa la guardia, lasciandosi trascinare in una
discussione con sua moglie: non solo non ne esce mai vincitore, ma gli
prosciuga ogni energia, facendolo sentire, alla fine, debole e svuotato.
Ogni
loro discussione è un gioco di potere.
È
il modo che ha Bellatrix di metterlo alla prova, di testare la sua
forza di volontà.
Ma
quella è andata a farsi benedire nel momento in cui
un’emicrania infernale ha iniziato a martellargli nelle
tempie.
Bellatrix
lo guarda e sorride.
Sa
benissimo quanto gli faccia male. E, forse, lo giudica troppo poco:
Rodolphus lo vede nei suoi occhi che vorrebbe fargliene di
più – molto di
più.
Credevi
di poter vincere contro di me, Rodolphus?
Oh,
non sono così illuso, Bellatrix.
Non trova altra soluzione che versarsi
un altro bicchiere, continuando a ignorarla nella speranza che lei
ignori lui – ma non è così
fortunato: lo spasso di Bellatrix non è ancora
finito. Questa è solo una tregua.
Rodolphus richiama a sé la
bottiglia di whisky dal tavolino accanto al quale è seduta
sua moglie – solo per accorgersi che è vuota.
Desolatamente, innegabilmente vuota.
«A quanto pare stasera
dovrai fare a meno del tuo contentino, Rod…» Sente
distintamente l’ilarità vibrare nella voce di lei,
che non gli ha tolto gli occhi di dosso, squadrandolo con la consueta
intensità che mette a disagio. «Meglio
così. Non mi servi a granché, da ubriaco. Anche
se devo ammettere che è divertente vederti a pezzi,
tesoro.»
Un mostro. Ha sposato un mostro, uscito
direttamente dal ventre dell’Inferno a rovinargli la vita. A
trascinare anche lui, con lei, nella dannazione.
Compagni
nella dissolutezza come nel crimine, lo stesso destino li attende.
Su
questo, lui ci metterebbe la mano sul fuoco…
Sa
che finirà scottato.
Se
vai stanotte, Rodolphus, finirai male.
Lo
stesso destino…
Carezza
felina di unghie affilate sulla guancia.
Non
l’ha sentita avvicinarsi, ma non ha bisogno di aprire gli
occhi per immaginarla, appollaiata sul bracciolo della poltrona, il
mento appoggiato a una mano e il gomito affondato sullo schienale.
Lei
gli lascia scorrere un dito lungo la mascella, immersa nella
contemplazione del suo profilo.
Bellatrix
è così: un attimo prima lo fa a pezzi con la sua
lingua velenosa; un attimo dopo gli si struscia contro con
inequivocabile intenzione. Non c’è incoerenza in
tutto questo, anzi… per lei è tutto perfettamente
naturale.
Anche
questo è ciò che lo ha sempre sorpreso, di sua
moglie: è la persona meno artefatta, meno costruita che si
possa immaginare. Tutto ciò che fa è spontaneo,
è fatto a cuor leggero e con la coscienza a posto.
Perché
per lei, semplicemente, non c’è peccato, non
c’è vergogna nelle sue azioni, anche quando
tremendamente sbagliate. Se mai, qualche volta, provi rammarico o
rimorso di qualcosa, è un fantasma che si eclissa
subitaneamente sotto il sole: non c’è posto per
rammarico o rimorso nella sua coscienza.
«Ahh,
Roddie, Roddie...» Il
suo respiro gli vaga sulla guancia, risalendo verso la tempia. Gli
passa le dita tra i capelli, continuando a mormorare il suo nome come
una cantilena.
Non
si contano più le volte in cui l’ha ammonita
– minacciata – di non chiamarlo con quel nomignolo:
è spregevole che lo usi per deriderlo e sminuirlo e basta.
Non
si contano le volte in cui lei lo ha bellamente ignorato.
Alla
fine, dopo anni, Rodolphus si è rassegnato.
Per
lei è diventata un’abitudine: lo dice
meccanicamente, ormai, quasi senza più quello stampo di
scherno che era solita mettervi i primi tempi; e per lui quelle due
sillabe hanno iniziato ad assumere il sapore malinconico di
un’intimità ingannevole, fondata su tutti i
presupposti sbagliati e che non lo conduce a nessuna parte, ma a cui si
sta affezionando.
Già,
potrebbe quasi convincere se stesso che sia per affettuosità
che lo chiama così.
Potrebbe
– quasi.
A
volte sembra proprio così – a volte.
Quando
ha bisogno di lui, come adesso. O quando è semplicemente
stanca e non ha voglia di affilargli contro le sue armi micidiali.
In
quei rari momenti, possono quasi essere solo un uomo e una donna; non
nemici mortali.
«È
quasi mezzanotte, Rod. Preparati.»
Rodolphus
non ha bisogno di sollevare le palpebre per vedere il fuoco
danzare negli occhi di tenebra di sua moglie, accendere di riflessi di
sangue la sua pelle di alabastro, rendendola così
desiderabile ai suoi occhi, così irresistibile…
Se
osasse guardarla così da vicino, quei suoi occhioni di
strega potrebbero convincerlo che il male è bene e lo
sbagliato non è poi così sbagliato. E lui sarebbe
finito.
E’
anche per questo che continua a tenerli chiusi, per proteggersi ancora
un po’ dalla sua malia.
Ecco,
quando Bellatrix finge di deporre le armi, quando ostenta una parvenza
di indifesa docilità, come ora – soprattutto
quando il suo tono si abbassa, diventando seta e miele, e le sue
palpebre scivolano maliziose e indolenti sul suo sguardo velato di
giocosa lussuria, e il suo tocco acquisisce
l’intenzionalità provocatoria del desiderio
– ecco, Rodolphus non è più in grado di
odiarla.
Sono
proprio questi i momenti in cui avrebbe maggiormente bisogno di tenerla
a distanza, per impedirle di giocare con lui e rivoltarlo come un
guanto.
Ma
basterebbe che lo guardasse un po’ più spesso con
meno odio del solito, che trattenesse parole di fiele e lo ascoltasse,
invece di deriderlo e disprezzarlo a priori, basterebbe che fosse
diversa perché lui sia diverso.
Basterebbe
che lei mutasse impercettibilmente atteggiamento nei suoi confronti,
perché lui diventi una persona migliore.
Perché
quando lei lo guarda e basta – senza quel sarcasmo e
quell’odio che riserva quasi esclusivamente a lui –
Rodolphus sente che potrebbe quasi essere l’uomo
più buono del mondo, lontano anni luce dal Mangiamorte che
si ritrova ad essere.
Ogni
tanto pensa che Bellatrix avrebbe potuto salvarlo, salvarli entrambi.
Avrebbero
potuto quasi essere due brave persone, se fosse stata diversa
– per lei, lui lo sarebbe.
Ma
è il pensiero di un attimo. Ingenuo, ridicolo,
patetico… subito scacciato via.
Perchè
se una volta poteva ancora concretizzarsi in realtà, ora non
più. Ora c’è Lui. E per Rodolphus
– per lei, per loro – non c’è
più speranza, neppure quella flebile di una volta, quando il
nome di Lord Voldemort era ancora una nube lontana, nel cielo dei loro
anni spensierati di Hogwarts.
«Non
ho intenzione di venire con te, Bellatrix» mormora, da sotto
le palpebre abbassate. «Ne ho abbastanza di assecondare la
tua follia. Lo vuoi capire che è inutile?»
«Non
è inutile. Lui è vivo, lo sento.»
Le
dita di Rodolphus si contraggono con uno spasmo sui braccioli della
poltrona.
Solleva
di scatto le palpebre, gettandole uno sguardo nauseato, una smorfia di
rabbia mista a disgusto a contorcergli il viso.
E
di nuovo l’ira spadroneggia nel suo cuore, a fatica
trattenuta.
«Lo
senti? Lo senti?!
Ti rendi conto che ne parli come se fosse… come se
fosse…» Non riesce nemmeno a pronunciare quella
parola.
S’interrompe,
cercando di recuperare un minimo di calma, di insufflare buonsenso,
insieme all’aria – ma la sua testa è
surriscaldata come una fornace: non è in grado di pensare
con lucidità.
Scuote
il capo, afferrandosi la radice del naso tra pollice e indice e
stringendo forte, digrignando i denti, tentando di placare quel pulsare
torpido alle tempie che lo fa letteralmente impazzire.
Consapevole
dello sguardo di lei su di sé. Trionfante.
«Come
se fosse cosa,
Rodolphus?»
«Smettila
di provocarmi, Bellatrix. Non ti conviene.»
«O
cosa? Cosa farai, dimmi…»
Lei
lo osserva compiaciuta, con gli occhi socchiusi. Rodolphus vede lo
scintillio liquido delle sue pupille, fisse su di lui, ridotte a due
linee sottili che gli scavano dentro.
Lei
sa che non continuerà il discorso, perché
è troppo orgoglioso – troppo arrabbiato, troppo
ferito – per poter affrontare l’argomento che fino
a questo momento è stato un tabù per loro. Un
tabù sotto gli occhi di tutti, guarda un po’;
perché Rodolphus può fingere quanto vuole, per il
proprio bene, che non stia succedendo niente, ma succede eccome.
«Oh,
Roddie, Roddie…» Bellatrix scuote la testa; sembra
indovinare i suoi pensieri.
Un
sorriso condiscendente sulle labbra, non smette di accarezzarlo, come
se stesse tenendo buono un bambino che fa i capricci.
Questo
è troppo, per Rodolphus. Con uno scatto di rabbia, la
allontana da sé e fa per alzarsi.
Vuole
andarsene via di qui, sottrarsi allo sguardo irridente dei suoi occhi
bui, al suo gioco perverso e soffocante, ai suoi raggiri e ai suoi
ricatti, ai suoi disonesti metodi di tenerlo legato a sé.
Ma
lei glielo impedisce: le sue unghie gli affondano nella pelle mentre le
sue dita gli premono contro il petto, risospingendolo indietro a sedere.
Rodolphus
crolla di nuovo contro lo schienale della poltrona e un attimo dopo lei
gli è davanti – addosso.
Tutto il suo campo visivo è invaso dal suo sguardo in fiamme
e dalla sua capigliatura selvaggia, prorompente.
«Togliti
immediatamente di dosso, Bellatrix.»
«Togliti
immediatamente di dosso, Bellatrix» gli fa il verso
lei, e scoppia a ridere di gusto. «Davvero,
Rodolphus? E’ questo che vuoi?»
Oh,
lui vorrebbe. Vorrebbe tanto.
Ma
non lo vuole.
La
sente scivolare sul suo corpo, farsi pericolosamente vicina.
Rodolphus
si agita sulla poltrona, maledicendo se stesso per le situazioni
scomode in cui si lascia intrappolare con sempre troppa
facilità.
«Stavamo
facendo un discorso serio»
dice a denti stretti, cercando di continuare a respirare con
regolarità, illudendosi di poter riprendere il controllo
della situazione – come se lei non gli avesse provato,
più e più volte, che è un tentativo
inutile.
Più e più volte.
«Anche
questa è una cosa seria, Roddie.» La sua voce
sinuosa e strascicata si insinua nelle sue orecchie in un sussurro
disturbante; le sue dita gli scivolano sotto il colletto della camicia.
Rodolphus,
ora, è più consapevole che mai del suo peso caldo
e insistente sulle ginocchia.
È
leggera, potrebbe scrollarsela di dosso in un niente, ma non ci riesce:
lei lo intrappola nelle sue spire, nere come la notte; ecco che
comincia a tessergli intorno una ragnatela indissolubile, una trappola
da cui non c’è scampo.
In
realtà, è lui che non vuole avere
scampo, ma non lo ammetterebbe mai: perciò continua a
recitare, stancamente, sapendo a priori come si concluderà
la farsa.
«Pensi
di riuscire a convincermi con così poco,
Bellatrix?»
Lei
solleva verso di lui uno sguardo fintamente sbalordito, quasi innocente –
uno sguardo che gronda divertita, annoiata malizia. «Certo
che no, Roddie. Non con così poco. So fare molto di meglio,
o te lo sei scordato?»
Come
potrei.
«Cosa
ti fa credere che con questo otterrai ciò che vuoi? Potrei
lasciarmi… sedurre,
diciamo così – e mentirti, e non venire con te
stanotte. Io non ci perderei nulla… Non ci hai
pensato?»
Bellatrix
lo scruta intensamente. Le mani saldamente strette intorno alle sue
spalle, lo immobilizza contro lo schienale della poltrona per guardarlo
dritto negli occhi – bucarlo col suo
sguardo acuminato, perché Bellatrix ha questo strano modo di
guardare che ti penetra e ti scandaglia…
Sembra
riflettere sulle sue parole per qualche istante, incupita e assorta,
come a ponderare la validità della minaccia. Alla fine,
è il sorriso trionfante di sempre che le curva le labbra.
«Stanotte
verrai con me, Rod. Lo so.»
Lui
si chiede cosa le dia quella certezza assoluta. Invidia il suo essere
– o sembrare – sempre così sicura di
tutto. Ha mai nutrito dei dubbi in vita sua, Bellatrix? Ha mai
assaporato il gusto aspro dell’indecisione,
dell’insicurezza? Non gliel’ha mai chiesto. Non
può chiederglielo. Non è che lui e Bellatrix
parlino molto, a ben pensarci…
«Ah,
sì? Non penso proprio, tesoro. Non ho intenzione di
rischiare la vita per il Lord… non più.»
Si
aspetta che vada in escandescenze per ciò che ha appena
detto. Ogni minimo affronto a Sua Signoria è per lei
un’onta gravissima, come se ne andasse del suo stesso onore.
Invece,
sorprendendolo, lei non appare minimamente arrabbiata. Anzi, il suo
sorriso soddisfatto si accentua, come la stretta delle sue dita
– gli lascerà i segni delle unghie, pensa.
«Infatti
non lo farai per il Lord.» Rodolphus la guarda perplesso, la
fronte aggrottata, chinarsi verso di lui, fino a sfiorargli quasi il
volto con il suo. «Lo farai per me, Rod.»
Rodolphus
si sottrae alle sue labbra inquisitorie con violenza, urtando anche
piuttosto dolorosamente la nuca contro lo schienale. Ma il dolore, quello fisico,
è l'ultima cosa che la sua mente recepisca, in questo
momento.
La
guarda tra lo sbalordito e l’inorridito, punto sul vivo
dall’inflessibile determinazione con cui ha scandito quelle
ultime parole.
«Tu
vuoi ucciderti e io dovrei venire a morire con te?
È questo che stai dicendo? Sei impazzita?» Scoppia
a ridere – senza divertimento. Senz’alcun
divertimento.
«Non
ci sono solo io» continua imperterrita lei, per niente
toccata dal suo sarcasmo. «C’è anche tuo
fratello… una volta ti importava di Rabastan, ricordi? Vuoi
lasciarlo solo in un frangente così pericoloso, con il
rischio che gli Auror ci becchino? Vedi che allora ho ragione io? Non
te ne frega niente di lui! Che razza di fratello maggiore sei? Cosa
direbbe tuo padre?»
Affondato.
Le sue domande sibilline sono le stesse che si pone Rodolphus, che gli
flagellano la mente, senza sosta, come un vento impetuoso che non
accenna a cadere.
Rodolphus
stringe i denti.
Vorrebbe
cancellarle quell’espressione soddisfatta, vorrebbe che la
smettesse di entrargli dentro e poi andarsene portandosi via tutto,
lasciandolo vuoto e frustrato.
Lei
lo spoglia delle sue sicurezze, soffia sui suoi dubbi, nutre
l’astio che ha dentro.
Rodolphus
non è disposto a cedere così facilmente: per
quanto Bellatrix lo abbia colpito al cuore così tante volte,
il fatto che lui sia ancora
qui – tutto sommato intero, tutto sommato vivo –
è un pensiero incoraggiante. Amaro, ma
incoraggiante.
«So
a che gioco stai giocando, Bellatrix» sibila, guardandola
negli occhi, «e sappi che non ci casco. Cerchi di far leva
sui miei sensi di colpa verso mio fratello, adesso, visto che i tuoi
tentativi di seduzione sono falliti? Sei caduta parecchio in
basso…»
«Chi
ti dice che siano falliti?» ribatte pronta lei, ignorando la
frecciata. «Non ho neppure iniziato... Ma se proprio ci
tieni, possiamo cominciare a fare sul
serio.»
Rodolphus
annaspa improvvisamente, colto alla sprovvista dal tocco indelicato
– intrusivo –
sul suo corpo, che non si mostra affatto restio a collaborare,
accidenti...
Bellatrix
sogghigna, lenta e languida, guardandolo tra le palpebre dischiuse con
quell’aria sorniona da gatta soddisfatta.
«Per
Salazar, Rod! Hai un vero e proprio talento nel metterti nelle
situazioni più spinose…»
«Ti
odio» sbotta all’improvviso Rodolphus. È
irritato dal sudore che comincia a velargli la fronte; furente con se
stesso e il proprio deprecabile autocontrollo. «Ti odio. Lo
sai questo, vero?»
Cerca
il suo sguardo, per farle capire quanto profondamente intenda queste
parole – per cancellare il minimo dubbio sulla loro
veridicità. «Ti odio perché sai farmi
male come nessun altro.»
«Non
è forse questo lo stesso motivo per cui mi ami?»
Lo
conosce meglio di quanto lui conosca se stesso, eh già.
È proprio vero.
Rodolphus
chiude gli occhi, sopraffatto. Sente il proprio respiro farsi
più veloce, erratico.
Stringe
così tanto i braccioli da avere le nocche bianche.
«Perché
vuoi che venga anch’io, stanotte?» sibila tra i
denti, sforzandosi di restare lucido. «Non hai bisogno di me
per torturare un Auror e sua moglie. Hai sempre detto che sono
così… sostituibile.
Perché ci tieni tanto alla mia presenza, allora?»
Bellatrix
si ferma – lui riprende a respirare. Lo osserva di nuovo, in
silenzio, con quell’espressione falsamente assorta, come se
lui le ponesse domande senza senso, o senza importanza.
«Perché
non mi va che tu mi dica di no, Rod.»
Rodolphus
la guarda completamente attonito, dimentico per un attimo di fingere
un'indifferenza che non prova, ma che lo aiuta a conservare almeno una
parte del suo onore.
«Tutto
qui? Questo è l’unico motivo?... Stai
scherzando!»
Lei
scrolla le spalle, imperturbabile, con quel ghigno che sembra scolpito
sul suo viso e che non lo abbandona quasi mai.
«Nient’affatto!
Te l’ho detto, Rod: lo farò anche senza di te. Ma
tanto tu verrai con me, stanotte. O mi sbaglio?»
Rodolphus
scuote la testa in silenzio, incredulo. Di tante risposte…
Come
può aspettarsi che la accontenti, dopo avergli praticamente
confessato di considerarlo poco più di uno schiavo al suo
personale servizio? Al servizio dei suoi capricci, dei suoi desideri,
del suo piacere? Non che non lo sapesse, ma insomma… Come
pretende che esegua in silenzio i suoi ordini, accettando di farsi
schiacciare da lei, comandare a bacchetta, uccidere anche per il suo
malsano attaccamento al Lord?
Non
è così masochista.
O
forse sì?
Il
fatto è questo: non le serve una Maledizione Imperius o un
Incantesimo Confundus per averlo ai suoi piedi. Bellatrix sa fin troppo
bene quale potere ha su di lui e ne approfitta spudoratamente. E lui la
lascia spudoratamente fare; lascia che lei faccia leva sui suoi sensi
di colpa – e sul desiderio irrazionale che lo spinge sempre,
incessantemente, senza sosta verso di lei – per fargli fare
quello che vuole.
Forse
ha ragione lei: è un debole. Non ha orgoglio, non ha
dignità, non ha volontà quando si tratta di
contrastare sua moglie.
Ogni volta si arrabbia, strepita, le
urla addosso, ma perde sempre – contro di lei, contro se
stesso.
È semplicemente
incapace di negarle qualsiasi cosa. E lei lo sa.
Ha
capito molto prima di lui che avrebbe ceduto anche stavolta.
Rodolphus
conosce il ghigno soddisfatto sulle sue labbra, mentre continua a
guardarlo e a tacere.
Sa
che lo ha in pugno. Sa che andrà con lei, Barty e Rab,
stanotte, a casa dei Paciock… ma non le basta. Vuole
sentirlo dalle sue labbra; vuole la resa definitiva – e,
in fin dei conti, quali alternative ha? Come può lasciarla
andare da sola? Come si sentirebbe, a casa al sicuro davanti al camino,
sapendo che lei è lì che rischia la vita, senza
di lui?
Come può permetterle di morire,
senza di lui?
«D’accordo.
Verrò con voi» sussurra piano, senza aprire gli
occhi.
Può immaginare
il lungo, lento sorriso ghignante che le stira le labbra, il
trionfo malevolo che si erge sulla sua capitolazione.
Anche
stavolta ha vinto lei; anche stavolta lui l’ha lasciata
vincere.
E
si odia per questo – e sempre più di quanto odi
lei.
Lei
è la sua debolezza. Lei è il suo tutto.
Sente
la bocca di Bellatrix scendere sulla propria, con la lentezza
soddisfatta di chi ha la vittoria in mano. Ora che lui ha firmato la
sua condanna a morte, ora che lei lo ha, sconfitto,
vuole giocare ancora un po’ con lui.
Per
quanto Rodolphus finisca per cederle ogni volta, per Bellatrix non
è mai abbastanza, non si accontenta mai. Ogni volta lo vuole
più spezzato, più vinto, più abbattuto.
Lei
è un mostro – molto più di qualsiasi
mostro Rodolphus abbia incontrato da vivo per le strade di questo mondo
o nei suoi sogni, farciti di sensi di colpa e macabri premonizioni.
Ma
quando lo bacia, è quasi dolce. È tutta labbra e
quasi niente denti.
A
che gioco stai giocando, tesoro?
Lei
sembra percepire chiaramente la diffidenza di Rodolphus, sotto le
proprie mani che lambiscono i muscoli irrigiditi del suo corpo. Lui non
si fida del suo tocco: per quanto lo brami e ne abbia bisogno come
ossigeno, sa che non sarebbe saggio cedere ad esso, lasciarsi andare.
Non
riesce a fidarsi di lei.
Perché
lei è infida e sadica: con quelle stesse mani con cui lo
accarezza, potrebbe dargli la morte. Amministra piacere e dolore con la
stessa disinvolta leggerezza – Rodolphus l’ha
imparato a sue spese.
«Sei
tutto contratto, tesoro. Rilassati.»
Rodolphus
può sentire il sorriso nella sua voce, anche se non
può vedere la sua faccia.
Le
sue dita gli risalgono lungo il collo fino alla nuca, dove si fermano,
avvolgendosi intorno a ciocche dei suoi capelli e tirandole
leggermente, finché la testa di lui non è
reclinata all’indietro, appoggiata contro il bordo dello
schienale.
Solo
allora Bellatrix lo guarda negli occhi – e lui nei suoi.
«Hai
ottenuto quello che volevi, Bellatrix. Ora potresti anche smetterla di
fingere, non ti pare?»
Lo
sguardo di sua moglie si assottiglia appena. «Lo sai che mi
piace giocare, Rod.»
Rodolphus
sorride. «E non te ne stancherai mai, giusto? Fino a quando
continuerai a giocare?»
Bellatrix
sorride a sua volta. «Fin quando ne avrò
voglia.»
Torna
a congiungere le labbra a quelle di lui, stavolta con più
forza.
Rodolphus
si sporge leggermente in avanti, la tira a sé, premendo il
suo busto contro il proprio, cercando i familiari contorni di quel
corpo che si modella contro la sua carne con una naturalezza che ha
sempre trovato straordinaria – come se loro due, in fondo, si
appartenessero.
Scaccia
dalla mente il pensiero che non sia realmente lui quello
che lei desidera.
Non
può credere che sia così, non in momenti come
questo, non quando è il suo nome che le sfugge dalle labbra
– storpiato, canzonatorio, dileggiato, ma è
comunque il suo nome.
Le
labbra di lui ora sono sul suo collo, sul palpito delle arterie
nascoste sotto il pallore della sua pelle, sotto il rilievo carnoso dei
muscoli tesi, contratti, nell’ansito irregolare in cui si
spezza il suo respiro.
Le
sue dita corrono sotto la sua veste, scavandosi un sentiero dissennato
tra la stoffa e la pelle; quelle di lei sono già dentro i
suoi pantaloni, incredibilmente in fretta, incredibilmente esigenti.
Come
incredibile è anche la sete con cui i loro corpi si cercano,
si trovano, si incastrano.
Tutto
così spaventosamente naturale – sembra quasi giusto.
Sembra
quasi cancellare tutte le parole di fiele, e l’odio, e il
veleno e la rabbia che si sono scagliati addosso fino a poco tempo
prima.
È
lei a trovare il ritmo – e lui, come sempre, la lascia fare.
Non
gli dispiace, affatto.
Non
può proprio lamentarsi di questo: Bellatrix sa sempre cosa
Rodolphus voglia, perfettamente.
Perchè
è esattamente quello che vuole anche lei.
Lei
continua ad andare su e giù e tutto ciò cui
Rodolphus riesce a pensare è l’ondeggiare
perfetto, sinuoso, che le anche di lei descrivono sotto i palmi delle
sue mani, il modo in cui i suoi fianchi si adattano alla
concavità delle sue dita, strette intorno ad essi come
intorno ad anse d’anfora, rotonde e simmetriche –
da perderci il senno.
Lo
stesso modo in cui il suo corpo, dentro, si adatta a quello di lui, gli
va incontro, lo stimola con la pressione ritmica dei muscoli spasimanti.
Sente
il respiro spezzato di lei contro il suo orecchio,
l’impalpabile patina di sudore che le rende umide le guance.
Bellatrix ha il capo reclinato sopra la sua spalla, la fronte
appoggiata allo schienale accanto alla sua testa; la sua guancia sfiora
quella di lui, i suoi capelli gli solleticano metà faccia.
Rodolphus
solleva una mano a ravviarglieli e affonda nella massa florida sulla
sua nuca. Vi avvolge il pugno, stringendo fino a sentire il gemito
sfuggirle dalle labbra.
La
costringe a portare indietro il capo, scoprendo la gola.
Non
si cura di farle male mentre la morde e segna con i denti il suo
cammino verso il basso, dove si stacca il rilievo liscio dei suoi seni,
costretti nella scollatura, fin troppo castigata per i gusti di sua
moglie.
Stacca
anche l’altra mano dai suoi fianchi e la porta
all’orlo della scollatura, tirando violentemente verso il
basso, ma il tessuto aderisce così tanto al suo corpo che
è impossibile scollarlo.
Impreca
per la frustrazione, a mezza voce.
Bella
ride, ansante. «Non ti piace il mio vestito,
Lestrange?»
Lui
le affonda nuovamente i denti nella pelle, punendola per averlo
chiamato per cognome.
«Per
niente. Copre troppo.»
«Pensavo
ti facesse piacere che non andassi in giro in deshabillé…»
«Infatti.
Ma non quando sei con me. Dove ho messo la bacchetta?»
«Non
è il momento di pensarci, Lestrange. Non è
proprio il momento.»
I
suoi denti urtano contro quelli di lui, stavolta, e Rodolphus le apre
con violenza la bocca con la propria, assorbendo i suoi gemiti, mentre
la sente venire intorno a sé, intrappolandolo nella morsa
deliziosa del suo corpo in fiamme.
Bellatrix
lo stringe talmente tanto che è solo con immane sforzo che
si controlla, costringendosi a durare, e continua a spingere in lei
perché possa godersi il suo piacere fino
all’ultima goccia.
Le
sostiene la schiena inarcata tra le braccia, la sommità
ansante dei suoi seni candidi sembra spingere contro il corpetto
dell’abito quasi fino a scoppiare.
Lei
butta la testa all’indietro, offrendogli la gola ancora una
volta e al contempo affondando selvaggiamente le unghie nel suo scalpo
– mentre lui affonda selvaggiamente in lei, sentendo
avvicinarsi la fine…
«Ehm…»
Bellatrix
solleva di scatto la testa, lo sguardo ancora annebbiato attratto dalla
soglia del salotto, dove si focalizza. Batte le palpebre e stringe gli
occhi – difficile dire se sia più contrariata o
divertita dall’interruzione.
Con
difficoltà, Rodolphus torce il collo all’indietro,
sbirciando l’intruso da sopra l’orlo della poltrona.
Suo
fratello è in piedi, appoggiato con una spalla allo stipite
della porta, braccia conserte, e li guarda con la testa inclinata da un
lato, vagamente incuriosito – non che sia la prima volta che
li sorprende in una situazione del genere, data la sua propensione a
comparire nei momenti meno adatti, e senza preavviso.
«Oh.
Oh. Chi abbiamo qui? Lestrange-numero-due.»
Bella sogghigna, scrutando l’uomo sulla porta come un cane da
caccia che punti la preda.
«Vi
disturbo?» Appena un velo di dileggio, nella voce di Rabastan.
«Che
ci fai qui, Rabastan?» Rodolphus sente un moto di irritazione
lottare come una corrente fredda contro il calore pulsante che gli sale
dalle viscere.
Tempismo
perfetto, non c’è che dire.
«Dovresti
chiederlo a tua moglie.» Lo sguardo imperturbabile di
Rabastan si sposta lentamente su Bellatrix. «Non ti ha detto
cosa ha in mente per stasera?»
«In
effetti, stavo proprio finendo di spiegarglielo,
Lestrange» ghigna Bellatrix, inarcandosi sotto il suo sguardo.
Rodolphus
si volta a guardarla, socchiudendo gli occhi con rabbia. Parla senza
toglierle lo sguardo di dosso:
«Aspettami
nel salotto, Rabastan, per favore. Due minuti e sono da te».
Sente
il lievissimo fruscio delle vesti, mentre Rabastan si stacca dalla
soglia e scompare senza fiatare, chiudendosi la porta alle spalle, con
il minor rumore possibile.
È
sempre stato un tipo silenzioso, suo fratello. Non certo discreto,
d’accordo, ma silenzioso, almeno.
Bellatrix
abbassa lo sguardo su di lui; lo guarda da sotto le palpebre, un
sopracciglio sollevato con sfida. «Due minuti? Pensi di
durare così tanto,
Lestrange?»
«Chiudi
il becco, Black, non ho ancora finito.»
«E
allora muoviti. Non abbiamo tutta la notte…»
Rodolphus
non se lo fa ripetere due volte.
La
afferra per i fianchi e la spinge con forza verso il basso, mentre
contemporaneamente solleva i suoi andandole incontro, urtando in lei
con foga, strappandole un grido soffocato.
Preme
la fronte contro l’incavo della sua spalla e respira sulla
sua pelle, sentendo il battito accelerato di lei, da qualche parte nel
suo collo, mentre le si libera dentro con ruvida
frettolosità.
Il
pensiero che ci sia suo fratello nell’altra stanza, a tiro di
voce, è scomodo. Non che Rabastan si lasci impressionare
dalle schermaglie amorose con sua moglie, anzi… Come poco
prima, riesce a far mostra di un’assoluta mancanza di
interesse o eccitazione, al pari di una maschera di ghiaccio.
Ma
è pura, irrazionale gelosia, quella di Rodolphus: non vuole
che ci sia nessun occhio o orecchio estraneo – tantomeno
quelli di suo fratello – tra lui e Bellatrix.
Rodolphus
resta un attimo immobile, ascoltando il proprio respiro calmarsi
lentamente. Bellatrix gli accarezza pigramente, distrattamente, i
capelli.
Restano
così, immobili, per qualche secondo, fin quando la forza di
gravità non lo spinge fuori di lei. Le sposta di lato il
bacino e, mentre si rialza, lei si lascia scivolare sulla poltrona al
suo posto, raccogliendo le gambe nude sotto di sé, lasciando
che la veste le ricopra, nascondendole nei suoi tortuosi anfratti di
seta e frescura.
Rodolphus
si risistema le vesti, dandole le spalle.
I
suoi occhi guizzano un’ultima volta, con vago rimpianto,
sulla bottiglia di whisky che brilla vuota, in trasparenza, contro il
camino.
Si
passa le mani tra i capelli e marcia attraverso la stanza con
decisione, cercando di darsi un contegno rispettabile.
Sulla
porta, si volta brevemente a lanciarle un’occhiata: Bella
è ancora accoccolata sulla poltrona, in una posa raccolta
che gli ricorda una bambina, e fissa assorta le fiamme nel camino,
senza battere le palpebre.
I
suoi occhi sembrano di vetro, incendiati dal riflesso rosso delle
fiamme. Nessun muscolo si muove sul suo volto.
La
creatura viva e fremente di poco prima si è tramutata in una
mente fredda e sanguinaria, che scruta attentamente tutte le
possibilità che gli eventi di questa notte dispiegano
davanti a loro, cercando di prevedere ogni cosa, di volgere eventuali
contrattempi a proprio vantaggio.
È
lontana, adesso. Lontana da lui.
Con
un sospiro, Rodolphus esce dalla stanza.
Qualche
attimo di buio del breve corridoio dove risuonano i suoi passi,
smorzati dalla moquette, e poi la luce delle candele
dell’ingresso, dove Rabastan lo aspetta, in piedi accanto
alla finestra, voltandogli le spalle.
I
riflessi della luce nei capelli di suo fratello si spezzano quando
volta la testa a guardarlo, inclinando leggermente il collo sopra la
spalla.
«Per
Salazar, Rodolphus! Ci hai messo davvero due
minuti. Sono impressionato…»
Rodolphus
ignora il suo sarcasmo con stoicismo invidiabile. Gli fa cenno di
seguirlo verso lo studio, dove potranno parlare indisturbati, lontano
dalle orecchie tese di Bellatrix.
Di
cosa accidenti debbano parlare, poi, Rodolphus non ne ha proprio idea.
Sente
i passi di Rabastan, lenti, misurati, battere sul pavimento sulla sua
scia, il fruscio dei lembi del mantello che accarezzano le pareti,
mentre si muove.
Lo
precede nello studio del loro padre. Accende il camino con un tocco di
bacchetta e aggira la scrivania, andando a posizionarsi nella poltrona,
straordinariamente fredda e scomoda rispetto a quella del soggiorno.
Rabastan
si siede senza aspettare che lui glielo chieda – appoggia
entrambi gli avambracci sui braccioli, allunga le gambe sotto la sua
scrivania, quasi a contatto con i suoi piedi – e lo guarda,
con il mento un po’ abbassato che gli sfiora il davanti della
veste.
Rodolphus
nota che non si è tolto il mantello da viaggio, qua e
là è fradicio di neve rappresa.
«Hai
freddo?» chiede. Senza attendere veramente una risposta,
attizza le fiamme nel camino finchè i ciocchi non iniziano a
sfrigolare.
«Mi
dispiace di avervi interrotto» dice Rabastan. Rodolphus si
china ancor di più sulle braci, lasciando che lui parli alla
sua schiena. Sente di nuovo il fruscio delle vesti mentre suo fratello
si sposta sulla sedia. «Bellatrix mi aveva dato appuntamento
per mezzanotte.»
«Sei
stato puntualissimo.» Rodolphus si volta di nuovo verso di
lui, appoggiandosi indietro contro lo schienale e incrociando
finalmente il suo sguardo. «Come sempre.»
Restano
in silenzio per un attimo.
Rabastan
si guarda le dita congelate in grembo – si è tolto
i guanti e li tiene appallottolati nel pugno. Rodolphus osserva i
giochi di luce ed ombra sul suo volto e sente inspiegabilmente crescere
il nervosismo e l’ansia ogni minuto di più.
«Sei
sicuro di volerlo fare davvero? Sei proprio sicuro?» gli
scappa detto, prima di potersi raffrenare.
Rabastan
alza gli occhi e lo fissa con vaga sorpresa.
È
sempre così misurato, nelle sue espressioni, Rabastan, che
gli fa venire voglia di urlare e scuoterlo per le spalle per vedere,
accidenti, qualcosa di vivo in fondo ai suoi occhi.
Ma
lui invece niente, impassibile.
Eppure,
non è sempre stato così.
«C’è
qualcos’altro che potremmo fare?» dice, invece di
rispondere, Rabastan.
«Potremmo
non fare niente» butta lì Rodolphus.
«Aspettare e vedere che succede.»
«O
andarcene.»
Andarcene.
«Via
di qui. Tornare in Francia.»
In
Francia... Lasciare per sempre questo posto orrendo.
«Perché
tu vuoi andartene
di qui, vero, Rodolphus?»
Rodolphus
si sposta sulla poltrona, accavalla le gambe, guarda con più
attenzione suo fratello.
Lo
sguardo di Rabastan lo perfora, scendendo diritto diritto nelle
profondità dei suoi pensieri più nascosti,
carpendo l’essenza dei suoi desideri più reconditi
– che probabilmente rispecchiano i suoi.
«Non
nego che sia ciò che desidero di più, in questo
momento, sì» si vede costretto ad ammettere, sotto
quello sguardo pungente.
Per
Salazar, non sai quanto…
Rabastan
annuisce compunto.
D’un
tratto, sul suo viso la stessa espressione immobile di quando, da
bambino, restava ad ascoltare in silenzio i rimproveri dei loro
genitori per una delle loro bravate.
Chissà
perché gli viene in mente proprio adesso, dopo
così tanti anni e così tanti eventi.
«Non
mi chiedi della mia fedeltà all’Oscuro? Del
Marchio? Del mio – nostro –
destino di Mangiamorte?» La curiosità balena nella
voce di Rodolphus. «Non cerchi di dissuadermi?»
«Perché
dovrei?» Rabastan scrolla le spalle. «Piuttosto, mi
chiedo cosa ne sarà di tua moglie.»
«All’improvviso
ti preoccupi per lei, fratello?» Il tono di Rodolphus
è più aggressivo del solito, come ogni volta che
qualcuno mette in mezzo Bellatrix. «Commovente, considerato
che non l’hai mai potuta sopportare…»
Pienamente
ricambiato, bisogna dire.
Rabastan
gli lancia un’occhiata rapida, ponderatrice – come
a chiedersi quanto lui effettivamente sappia – e si appoggia
allo schienale duro, incrociando le braccia sul petto.
Prima
che possa aprir bocca, Rodolphus lo anticipa, secco:
«Bellatrix
non abbandonerebbe mai questo Paese. Non verrebbe mai via con me,
neppure se glielo chiedessi in ginocchio».
«Quindi
verrai via senza di lei?»
«No,
quindi rimarrò qui. Con lei.»
Rabastan
lo guarda fisso, senza dire nulla, e Rodolphus sostiene il suo sguardo
senza batter ciglio.
Il
riflesso del fuoco sul volto di Rabastan esplode in mille schegge di
ombra quando getta la testa all’indietro e scoppia in una
risata un po’ rauca, un po’ soffocata.
«Ma
certamente... dovevo immaginarlo.» Lo guarda con gli occhi
scintillanti di divertimento – o meglio, se Rodolphus non lo
conoscesse bene, potrebbe pensare che sia divertimento… ma
è suo fratello e a volte hanno i medesimi gesti per
esprimere le medesime sensazioni. E questo non è
sicuramente divertimento.
«Lei
è e sarà sempre la tua prima scelta, non
è vero, Rod?» Rabastan annuisce lentamente tra
sé e sé, senza staccargli lo sguardo di dosso.
«Quanto sono idiota a dimenticarlo ogni volta.»
«Ne
dubitavi, fratellino?»
«Oh,
no. L’hai reso chiaro molto tempo fa, Rodolphus. Solo lei
conta per te; tutto il resto può anche andare a farsi
fottere.»
Compreso
me, Rodolphus… non
l’ha detto, ma lo sente echeggiare netto nell’aria.
Pensavo
t’importasse di più di tuo fratello, Rodolphus…
«Lo
pensi davvero, Rab?»
«Ma
per favore, Rodolphus. Non trattarmi come un imbecille.»
Rabastan si alza con uno scatto rabbioso dal suo posto e aggira la
poltrona in cui siede Rodolphus, avvicinandosi al camino e tendendo le
mani, visibilmente intirizzite, verso la fiamma.
Rodolphus
sta per chiedergli di togliersi il mantello fradicio, ma lui lo
precede: «Quando tutto questo sarà finito,
Rodolphus, io me ne andrò. Con o senza di te».
Curioso
che abbia pronunciato quasi esattamente le stesse parole di Bellatrix.
Anche
suo fratello lo costringe a prendere decisioni di cui, francamente,
Rodolphus farebbe volentieri a meno. Meno spesso di quanto faccia sua
moglie, è vero, ma la sostanza non cambia: lui è
sempre qui, a restare schiacciato tra l’incudine e il
martello, tra il dovere e il volere, tra sua moglie e suo fratello,
senza sapere chi accontentare, entrambi che pretendono – o
fingono di pretendere – così tanto da lui, giusto
per lo sfizio di vederlo agonizzare e dibattersi nel loro laccio.
«Sta’
sicuro che non ti fermerò, Rabastan. Hai tutto il diritto di
fare come meglio credi; non sei più un bambino,
ormai.»
Rodolphus
è sicuro che suo fratello stia sorridendo, in questo
momento, mentre fissa immobile il fuoco, come ha fatto lui stesso poco
fa, mentre Bellatrix lo incalzava con i suoi denti feroci.
«Strano...
Fino a poco tempo fa avrei immaginato che avresti cercato di
dissuadermi.» Rabastan continua a fissare le fiamme, forse
per non incontrare il suo sguardo. «Che mi avresti ricordato
i miei doveri di Mangiamorte… Che mi avresti parlato di
coraggio e onore.» Si volta improvvisamente a guardarlo,
mortalmente serio. «Dove sono finiti il coraggio e
l’onore, Rodolphus?»
Già.
Dove sono finiti?
È
una domanda cui Rodolphus non può rispondere. Il suo
cervello è vuoto e rimbomba sordamente alle parole di
Rabastan.
«Ci
sono molti modi di dimostrare coraggio e onore, Rab.» Si
rende conto lui stesso di quanto siano vuote e inutili le sue parole,
ma qualcosa deve pur dire.
Si
sente la gola secca; se la schiarisce con un colpo di tosse.
«Certo,
e desiderare di andarsene, di sparire, quando il tuo Padrone
è spacciato, per non fare la sua stessa fine, è
proprio quel che si dice coraggio.
Quel che si dice onore.»
Le
labbra di Rabastan sono arricciate in un sorriso sarcastico.
C’è un’accusa chiara, ora, nel suo
sguardo diretto.
«Che
ti è successo, Rodolphus? Da quando sei diventato un
vigliacco?»
Eccola
lì, di nuovo quella parola che odia; Rodolphus sente le
tempie battere più velocemente e un nuovo impeto di rabbia
assalirlo. Si domina – almeno con Rabastan, riesce a farlo.
È più semplice che con Bellatrix.
«Ho
appena detto che non me ne andrò di qui. Rimarrò
al mio posto.»
«Certo.
Ma dentro di te… Dentro
di te, Rod…» Rabastan si interrompe, e
lo guarda scuotendo il capo. «Io almeno ho il coraggio di
ammetterlo. Di essere coerente con i miei pensieri.»
«Mi
fa piacere per te, fratellino.» Rodolphus fa un attimo di
pausa, gelido. «Anche la visita ai Paciock fa parte della tua
definizione di coerenza?»
«Non
avremmo mai dovuto prendere il Marchio, Rod. Mai.»
Lo
dice all’improvviso, come se ci avesse pensato continuamente,
ininterrottamente, da quando ha messo piede qui; come se la diga si
fosse infranta e i suoi pensieri più veri, più
profondi, fossero erotti all’improvviso dalle sue labbra.
Un
silenzio gelido cade tra loro, e quella verità scomoda,
appuntita, si incunea imbarazzante tra le loro carni, tra le loro
menti, tra le loro parole.
Rodolphus
si chiede se faranno finta di non averla mai udita – se sia possibile fingere
ciò.
Cerca
dentro di sé una risposta qualsiasi, ma riesce solo a
continuare a fissare suo fratello negli occhi, incapace di distogliere
lo sguardo dal suo, così lucido eppure così
disperato, così freddo e così rassegnato, e sente
che mai come in questo momento il suo viso, e il suo cuore, sono
specchio fedele di quelli di Rabastan. Gemelli,
per una volta.
La
porta si apre di scatto, facendoli sussultare entrambi.
Gli
occhi neri di Bellatrix perlustrano la stanza, saettando tra suo
marito, seduto in poltrona con le gambe accavallate, lo schienale
ruotato di tre quarti tra la soglia e il camino, e Rabastan, che
dà le spalle alle fiamme, a pochi metri da lui.
Rodolphus
si chiede quanto abbia udito della conversazione, condotta non proprio
in toni bassi.
Ma,
guardandola meglio in viso, si accorge che non potrebbe importarle di
meno cosa si siano detti lui e suo fratello: il volto di Bellatrix
è pervaso di un’eccitazione folle che
può significare una sola cosa…
«Crouch
è arrivato. È ora di andare.»
Rodolphus
sente il battito arrestarsi per un secondo. Stupidamente,
automaticamente, annuisce, si alza dal suo posto. Rabastan, alle sue
spalle, inspira bruscamente, come se stesse annegando.
È
troppo tardi per tirarsi indietro, Rab, vorrebbe dirgli. Ma
non glielo dice.
È
solo una di quelle milioni di cose che non gli ha mai detto.