When
you get tired of fighting.
- Tornassi
indietro non rialzerei la testa,
non lo rifarei. Non meritavo il
passato, giusto?
Con le iridi che svolazzavano intorno ai
passanti, li inseguivo con lo sguardo, cercando il sapore
dell’amore sui visi,
e lo trovai. O sì che lo trovai. Sotto l’imminente
luna, mi distinse in mezzo
al mondo.-
Si
sedette accanto a me, così, come se niente fosse, non
preoccupandosi di aver sconvolto il mio mondo, ignaro che dentro di me
in quel
momento si stava scatenando una rivoluzione, che ogni cosa non era al
suo
posto, che le mie certezze facevano a pugni con la mia vita.
Oltretutto, si era
seduto lì, con il suo sorriso fresco e l’aria
spensierata, il peso chino sulle
braccia appoggiate alle gambe e gli occhi rivolti
all’orizzonte nel grigiore
dell’attesa sera. Non mi guardava nemmeno, ma era pienamente
consapevole di
quello che stava facendo, e ne era anche contento, secondo me.
Ero totalmente incoerente con il mio corpo, perché ero
seduta sulla mia panchina
così
tranquilla che nessuno avrebbe mai creduto alla confusione dentro la
testa, ma
è classico, no? La testa è sempre quella che
sbaglia, quella da paroloni troppo
grossi, discorsi ragionati o pensieri lasciati metà che alla
fine venivano
accantonata in
quell’angolo polveroso
delle nostre decisioni perché diciamo tutti che è
sempre quella che sbaglia
dando retta al cuore accorgendoci troppo tardi, ormai, che quelli che
sbagliavamo eravamo noi.
A prescindere da quello che avrei voluto fare io, la mia
testa era troppo occupata a rincollare i cocci delle mie idee per
potersi
prendere anche il disturbo di decidere cosa fare, quindi rimaneva solo
un’alternativa.
“Ehy” era nella stessa posizione di prima, aveva
solo
voltato il capo, aspettando una risposta con le labbra leggermente
tirate ai
lati, formavano quasi un sorriso. “ciao”. Dissi
poggiando lo sguardo si fili
d’erba sotto le mie scarpe, lui rese libere le iridi di
prendersi quello che
volevano mentre lasciava scorrere le morbide e affusolate dita tentando
di
disegnare il profilo del mio braccio, era serena l’atmosfera,
ma mi sorprende
come ci si possa sentire soli stando con qualcuno, specialmente con
l‘amore
della tua vita, credo. Sentivo la sua presenza, i suoi respiri erano
corti e
silenziosi ma riuscivo a catturarli,
il
diaframma non
aumentò d’intensità, non
incrociavo il suo sguardo ma sapevo che sai rimasta sempre sotto la sua
sfera, ci
ignoravamo consapevoli che in realtà non lo stavamo facendo.
I vuoti nella parte
più profonda di me si rimarginarono in quell’aria
così carica di notte.
“Non so cosa sia
successo, ma so di certo che il passato non ti merita” Non scossi il capo per la
troppa paura che
fosse pallido, il corpo s’irrigidì come i muscoli
del viso, lo disse con un
tono dannatamente inappropriato che accentuò ancora di
più lo spiffero al
cuore. Aveva colpito nel bersaglio, come quando lanci le freccine ed
esulti per
essere riuscito a mandarle nel piccolo cerchio giallo
all’interno del
tabellone, quella era la sua espressione. La risposta bruciava, viva,
all’interno dei miei occhi. Lasciò scivolare
entrambe le mani fuori dalle
tasche dei pantaloni, mantenendo il portamento innocente con cui lo
ospitai
sulla panchina. Era l’unica cosa che avrei sempre voluto che
qualcuno mi
dicesse, ora, non volevo credere a come fosse riuscito a rapirmi e capirmi lui, con una sola frase che
conteneva una vita di battaglie.
Gli
occhi verdastri di Harry seguirono la traiettoria dei
movimenti delle mie labbra. Sorrideva con gli occhi, aveva capito che
non avrei
accettato un sorriso vero, ma era troppo testardo per non sorridere. E il suo sorriso, poteva fermare
una rivoluzione.
“Grazie” dissi accompagnando la famigerata parola
con un
velo di dolcezza fuori dalle labbra “quando diventerai stanca
di combattere,
sai che sarò l’unico su cui potrai
contare” diede un ritmo alla frase di nuovo
ingiusto, rendendola faticosamente tranquilla e normale.
Il discorso mi morì in bocca, ma sembrava che
avesse
afferato tutto.
Nel mentre si
avvicinava al contorno del mio viso, con i pollici timidi che si
sporgevano
sulla mia pelle liscia, una goccia ci divise, facendo rivolgere i
nostri visi
verso il cielo, al cospetto delle nuvole grigie che piangevano su di
noi.
Riabbassò i ricci, nella posizione di prima, ne aveva uno,
leggermente bagnato,
che s’intrufolò sulla sua fronte. Allungai la
mano, incerta su cosa fare,
l’accompagnò lui sul suo stesso viso per riportare
il ricciolo al posto. Allontanati
urla qualcuno, allontanati subito
urla dal mio stomaco.
Prima ancora che
lasciassi andare il mio labbro torturato tra gli incisivi inferiori, si
avvicinò lui, e lo fece al posto mio.
Con le mie labbra tra le sue, lì, così
facilmente, lui mi rubò qualche battito.
Faceva freddo.
Il vento ci tagliava
le guance.
Ero senza fiato.
Non ero mai stata
poiù felice.