Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: hirondelle_    18/06/2013    7 recensioni
[Ristesura di "Destiny"]
[Alla luce di quanto mi è pervenuto dalle vostre gradite recensioni, ci tengo a specificare che questa NON È una storia romantica, ma la descrizione di un ABUSO (come ho voluto indicare nelle avvertenze). Grazie dell'attenzione!]
-§-
Sente il suo profumo dolce, le dita sottili che gli accarezzano la pelle, percorrendo gentilmente tutta la lunghezza del suo corpo. Chiude gli occhi, percepisce i brividi ad ogni singolo tocco, un solletico malefico e ripugnante penetrare attraverso la pelle e andare dritto ai nervi: Reize sente una parola nella sua testa. Una parola che non si sarebbe mai azzardato a pensare: nella sua mente è pronta per uscire e distruggere il mondo. La pronuncia, sbarrando gli occhi.
… no.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Paranormal'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
C-117 si sveglia di soprassalto, vede che è ancora nella stanza di ieri. Per quanto ha dormito? Non lo sa con precisione. Sa solo che la porta per il giardino è ancora aperta, e fuori è buio: non ci sono più le donne chine sugli orti, il rosso dei fiori è scomparso. La sua luna splende ancora nel cielo, C-117 è felice perché dopotutto l’ha seguito. E i padroni? I padroni non si vedono, forse sono a dormire. C-117 si alza, si accorge che sta facendo rumore con le catene e si blocca. Sente un fruscio e subito si agita, perché appena si volta non vede nulla, solo la spettrale ombra della notte. Dove sono i padroni? C-117 non riesce a sentirli.
- Chi sei tu?
È una voce da donna, ma diversa da quella della padrona. È soffocata, un po’ roca, lenta e cadenzata. C-117 ha sempre avuto paura degli spettri, non è mai riuscito a sopportarli, nemmeno quando da solo si ritrovava a fare i conti con il buio.
- C-117 – risponde lo schiavo, del resto se si tratta di un’altra padrona farà bene a farsela amica. Eppure sente a un certo punto un tintinnare di catene, il tipico rumore di chi se le porta dietro, e una ragazza appare dall’ombra. C-117 la guarda, è preoccupato e ha paura: ha le braccia candide abbandonate sui fianchi, il suo sguardo viola lo fissa senza sfumature, il volto pallido è scavato e consunto, e i capelli violacei sono sciolti sulle spalle. La schiena è un po’ curva e il vestito blu che porta largo, perché le cade sulle spalle e si adagia mollemente sul pavimento. – Io sono Fuyuka. – sussurra lei. - È così che mi chiamano. Fuyuka. Tu sei quello nuovo, no?
C-117 annuisce, è tranquillo ora: Fuyuka è una schiava come lui, non gli farà del male. Le catene la tengono stretta per le caviglie e i polsi, ma porta anche il collare e anche una cintura di ferro alla vita, le balla un po’: è spaventosamente magra.
– Tu… da quando sei qui? – La sua voce è roca, non ha mai parlato molto con nessuno: ora dire quelle poche parole pare quasi un reato capitale.
- Io? Io sono qui da tanto. Non so da quando. Da tanto. Tu quanto resisterai?
C-117 non capisce, perché del resto la sua vita non ha tempo né età. Lui esiste e finché esiste campa. Non sa quanto resisterà, e in fondo non gli importa. – Tu cosa fai qui?
- Io ballo. Un tempo ero una prostituta, ma ora non più, nessuno mi vuole più. Tu invece cosa sei?
- Io non lo so.
- Cosa vorresti essere?
È una domanda strana, quella di Fuyuka: gli schiavi non possono decidere cosa essere, loro sono schiavi e basta. C-117 non sa se fidarsi o meno, e non risponde. Rimane lì, in piedi, nudo davanti a quella figura smunta, e non parla. Fuyuka non avanza e non arretra, resta ferma, e sembra davvero uno spettro. Poi fa un passo, e C-117 può vedere un piede bianco e nudo spuntare da sotto la veste, sporco e sanguinante, prima che esso venga ancora coperto dal morbido tulle.
- Tu non mangi più? – gli sussurra, indicando con un gesto del capo la zuppa che ormai si è raffreddata nel piatto, e C-117 la guarda e si limita a fare un segno di diniego. Fuyuka avanza, le catene stridono sul pavimento ma lei non vi fa caso: si siede e inizia a mangiare ciò che resta, senza lasciare neanche una goccia. C-117 si limita a fissarla, e non può fare a meno di essere curioso: è la prima volta che ha un contatto del genere con una donna, anzi forse l’unico contatto umano che abbia mai avuto. Si sente elettrizzato, ma non felice: è una sensazione strana che parte dal cuore e fa rabbrividire il resto del corpo. – Perché esci di notte? I padroni ti lasciano?
- Il padrone non si interessa più di me, forse mi ha dimenticato. Nelly invece è gentile con me, è tanto gentile. Tanto gentile. – Fuyuka ripete quelle parole, e C-117 le ripete subito dopo, hanno un suono così strano. Lei riprende, si mette a guardare fuori dalla finestra: - Atsuya non mi parla. È un po’ scorbutico, ma non è malvagio. Non è malvagio.
- E perché nessuno ti vuole?
Lei si volta di scatto, i suoi occhi vuoti e tristi lo fissano, il labbro trema leggermente. Guardandola da vicino, C-117 vede che porta al collo una collanina di perle, ma è nascosta dal collare di ferro e non si vede bene. È una collanina bella, dai riflessi azzurri, ma forse è finta.
- Sono malata. – fa Fuyuka guardandolo negli occhi. – Sono tanto malata. Malata.
C-117 è stato più volte malato, e sa cosa significa. Subito un brivido gli corre giù per la schiena ripensando alle notti di agonia, a tremare di freddo sotto le coperte, e poi di caldo fuori. Eppure Fuyuka non sembra aver freddo, non sembra aver caldo: C-117 la sfiora e si sorprende nel constatare che la sua pelle sembra marmo, tanto è dura e gelida. Subito ritrae le dita, e alza gli occhi su di lei, sui suoi occhi senza espressione, sulla collana finta.
- Tu sei mai stato malato, C-117?
- Non conosco la tua malattia. Sei così bianca e fredda.
- Nessuno conosce la mia malattia. È tanto brutta e incurabile. È tanto brutta.
Fuyuka riprende a fissare il prato fuori dalla porta, e C-117 si allontana da lei e va a sporgersi ancora fuori, verso l’esterno. Non ci sono più contadine chine sugli orti, il silenzio spacca l’anima come una freccia. Solo i grilli friniscono da qualche parte, lontani, sembrano voler fare a gara con le rane. C-117 ne ricorda il suono, sa cosa sono, i grilli e anche le rane: sembra di tornare indietro nel tempo, lontano da lì, tanto vicino a casa. Troppo vicino al cuore.
C-117 si volta, ma Fuyuka non c’è più, anche se non ha sentito il rumore delle catene o il fruscio della sua veste. Ma riprende a guardare fuori, rimanendo in silenzio, senza voler muoversi di un passo: le lacrime gli salgono agli occhi e piange, piange perché ricordare è meraviglioso  ma fa  male. Sarebbe bello, pensa lo schiavo, un po’ di calore in tutto quel freddo.
Si appoggia allo stipite, rimane lì. Poi scivola giù, a toccare il pavimento, mentre il cielo si tinge di sfumature rosate e giallognole. C-117 fissa le sfumature, e vorrebbe tanto toccarle con la punta delle dita: le tende verso quelle nuvole, ne traccia i contorni invisibili, e poi ancora e ancora. Chiude gli occhi, e quando le riapre il sole come per magia è già sorto per metà.
Si volta di scatto quando sente un altro rumore, ma non è Fuyuka, lei è molto più leggera e i suoi passi sono piccoli. Questo baccano invece è fatto di passi pesanti, di qualcosa di rovesciato (forse un vasetto di vetro, o un bicchiere), e di imprecazioni sibilate fra i denti. Ed ecco il padrone Atsuya che entra nella stanza portandosi dietro una cesta di roba pulita, e lo squadra da capo ai piedi: - Che fai ancora qui? Non hai preparato la colazione?
Lui fa cenno di no, del resto non ha mai imparato a cucinare. Si alza in piedi, tremando, vorrebbe farglielo capire ma è proibito parlare a un padrone senza essere interpellati. Ma subito il suo cuore perde un battito quando la padrona con una piroetta entra dietro il padrone spostandolo con un gesto del braccio. C-117 nota che oggi ha una bella veste, semplice ma consona, e porta sul capo un bel cappello di paglia come le contadine chine sugli orti. Sembra di buon umore, il sorriso è radioso e avvolgente, scalda il cuore, e C-117 non sente più freddo. – Buongiorno ragazzi! È una splendida mattina a quanto vedo.
Lo schiavo non può far a meno di arrossire: nessuno si è mai rivolto a lui in questo modo. Sbatte le palpebre, è confuso, ma poi ricorda che a questi padroni piacciono le trappole.
- Splendida, davvero. – borbotta Atsuya. – Potrei farti notare che il nuovo maggiordomo non ha ancora preparato nulla?
La padrona non lo bada, appoggia la cesta di vimini che ha in mano sul pavimento polveroso, e gli si avvicina. C-117 indietreggia. Sa che non dovrebbe farlo, è proibito sottrarsi alle botte, ma non può fare a meno di compiere quei pochi passi: odia le trappole, con tutto se stesso.
La padrona invece di picchiarlo gli prende i polsi stretti dalle catene, e C-117 la fissa rimanendo spiazzato. Lei lo conduce fino al tavolo, con delicatezza, e poi lo lascia: prende dal cesto di vimini alcuni oggetti, li posa sul tavolo con cura: sono oggetti in porcellana e in argento, decorati con sfumature dorate. Una teiera, delle tazzine, piattini e cucchiaini, una zuccheriera e un contenitore per il latte. Mette tutto in perfetto ordine, poi facendo una giravolta su se stessa va alla credenza e prende un sacchetto di tela. Atsuya e C-117 la osservano, senza sapere cosa fare, e il padrone non replica in alcun modo: sembra quasi studiare il comportamento gioioso e spensierato della donna.
- Non sai cucinare? – chiede infine lei girandosi verso C-117, ma il suo tono non è brusco o cattivo, ma dolce e rassicurante, e lo schiavo fa cenno di diniego con la testa, ha capito che lei non vuole fargli del male.
Natsumi gli sorride, poi gli si affianca e apre la borsa di tela. Vi sfila dei biscotti dall’aria gustosa, forse un po’ bruciacchiati e deformi. Ne posa alcuni su un piattino, poi torna alla credenza e prende un barattolo di zucchero. Ne versa un po’ nella zuccheriera vuota, e impreca tra sé quando ne rovescia un po’ sul tavolo. Poi dal cesto prende un vasetto di marmellata e del burro avvolto in un panno, infine un vassoio molto ampio. Prende la teiera, vi versa dell’acqua presa dal rubinetto e poi l’appoggia su un gancio sospeso sul camino. Infine accende il fuoco, e C-117 si sente rincuorato da quelle fiamme allegre e calde che scoppiettano poco lontano da lui.
- Vedi? Sto preparando il tè. Se vuoi dopo ti insegno a fare i biscotti!
Atsuya, che è rimasto in silenzio per tutto il tempo, corruga le sopracciglia: - Dopo non abbiamo tempo per insegnargli un bel nulla. Dobbiamo lavare tutte le scale.
- Oh Atsuya, c’è tempo per tutto. – fa l’altra risoluta. C-117 ha notato che per ora nessuno lo picchia, e si sente tranquillo. Poi quando il padrone esce con la bacinella della roba pulita si rilassa maggiormente. Si siede automaticamente e la padrona sembra apprezzare, perché gli sorride come al solito.
- Voi non siete come gli altri padroni. – osa dire dopo un attimo di pausa, la sua voce è roca perché non parla di solito. La donna, intenta a togliere la teiera dal fuoco con un grande guanto di stoffa, si gira e lo guarda sbalordita, quasi si brucia le mani delicate. Si affretta ad appoggiare la teiera sul tavolo, prima di scottarsi, e infine lo fissa con stupore: - Noi non siamo padroni!
C-117 non può fare a meno di confondersi: se non sono padroni allora cosa sono?
Natsumi si accorge del suo smarrimento e riprende a sorridere: C-117 non ha mai visto persona più sorridente di lei. Per la verità, sono poche le persone che ha visto mentre sorridevano e che ricorda con chiarezza, si possono contare sulle dita di una mano.
- Noi siamo… colleghi.
Colleghi? Per C-117 questa parola è rara e sconosciuta, e sembra quasi una presa in giro: Natsumi non ha catene a bloccargli i polsi e le caviglie, non ha il proprio nome marchiato a fuoco sulla guancia, conosce il suo vero nome e può andarsene quando gli pare. C-117 storce il naso, si sente offeso, ma non può dire nulla.
Natsumi smette di sorridere, ora sembra preoccupata e ansiosa. Gli si avvicina, fa il giro del tavolo per raggiungerlo, e gli prende le mani, le stringe tra le sue. Il contatto gli mette i brividi, il primo istinto è quello di ritirarsi. Si costringe a fissare gli occhi della donna, quei grandi occhi color caramello, ma subito abbassa i suoi, guarda le sue mani strette tra quelle di lei, si stupisce del contrasto: le sue sono scure, macchiate e piene di tagli, goffe e ruvide, mentre quelle della donna sono candide e delicate, ma non rigide e sporche quanto le proprie.
- Noi non siamo i tuoi padroni. – ripete Natsumi dolcemente. La sua voce riporta alla mente di C-117 tanti pensieri brutti, tante cose che nella sua vita lo hanno fatto stare bene ma che ora bruciano, fanno male, impazziscono dentro la sua testa. Non piange, ma si abbandona nell’abbraccio silenzioso di Nelly.
 
Il vassoio pesa, e le sue braccia sono fragili e deboli. Le catene gli si impacciano tra le gambe ad ogni passo, e C-117 deve stare bene attento a non inciampare per non ruzzolare giù dalle scale. Il tappeto rosso è pulito e sembra quasi nuovo, il legno non ha neanche il più sottile strato di polvere: C-117 si sente estraneo a quel mondo, lui è sempre stato nella sporcizia della sua stanza, tra i topi e gli scarafaggi come compagni di sventura e i pidocchi a tenerlo sveglio la notte. Cammina a passo svelto per non sporcare, i suoi piedi nudi sono luridi e non vuole passare guai. Quando arriva in cima tira un sospiro di sollievo, appoggia i piedi per terra perché non si regge più, e avanza per il corridoio che gli ha indicato Natsumi.
È lungo e stretto, il corridoio: ai lati vi sono candelabri dall’aria consumata ma lussuosa, che emanano un bagliore vacuo sulle pareti rivestite dalla carta da parati rosa antico. Vi sono porte ogni tre metri, l’una uguale all’altra, ma C-117 sa che quella che deve aprire è in fondo a destra. Rimane a contemplare i quadri curiosi che stanno appesi come trofei, l’uno più bello dell’altro: non più visi austeri e donne pompose come nel salone d’entrata, ma delicati paesaggi di campagna, stelle, cieli, mari ignoti, nuvole dalle dolci sfumature. È uno spettacolo tanto meraviglioso che a un certo punto lo schiavo si ferma, incantato da quei colori. A un certo punto può quasi sentire una musica soave diffondersi nella sua mente, ma gli ci vuole poco per capire che non è frutto della sua immaginazione. Segue la provenienza di quella musica, ma si blocca bruscamente quando Atsuya esce da una porta sbarrandogli la strada, il capo chino su un grande e pesante fagotto, forse la roba sporca. Lo guarda di sottecchi e quasi ringhia: - Ma guardalo, tranquillo lui. Muoviti.
C-117 ha deciso che Atsuya non gli sta per nulla simpatico: l’ha picchiato pur non essendo un padrone, e la cosa non gli piace. Però ha ragione, è in ritardo, e non può farsi attendere.
Lo schiavo si affretta, percorre velocemente gli ultimi tratti del corridoio. Quando arriva davanti alla porta del padrone fa un sospiro profondo e bussa, tre colpi con le nocche. Il padrone non lo sente, sta componendo una melodia che stordisce C-117: non ha mai sentito un suono tanto malinconico e al contempo brillante, puro, come se riuscisse ad esprimere tutta la forza del mondo.
C-117 bussa ancora, il padrone smette di suonare e lo schiavo quasi si strugge per aver interrotto quell’incantesimo. Non entra però prima di aver sentito la voce del suo superiore.
Quando questi lo invita con un calmo “Avanti”, lo schiavo apre la porta cercando di non rovesciare il vassoio e cautamente entra, spiando il suo padrone con la coda dell’occhio: egli è ancora in vestaglia, una lunga vestaglia rossa che gli sfiora le caviglie. I piedi sono nudi, i capelli ancora scompigliati. Non si è girato verso di lui, forse è arrabbiato perché lo ha interrotto: C-117 ormai si rassegna a un’amara punizione e avanza nella stanza.
Non si tratta della camera da letto, ma sembra quasi un salone per gli svaghi: vi sono poltrone e divanetti di uno splendido colore, simile al blu di certi vasi cinesi. Le finestre sono aperte, le tende tirate, e i raggi del sole mattutino illuminano giocattoli dall’origine sconosciuta. Non vi sono caminetti, ma c’è una grande credenza dall’aria antica. Ora il padrone è seduto su un sgabello nero, davanti a quello che C-117 sa essere un pianoforte: è lucido e scuro, incute un certo timore.
Le catene tintinnano quando C-117 avanza verso di lui, ma rimangono entrambi in silenzio. Lo schiavo appoggia il vassoio sul tavolino accanto allo strumento e non dice nulla, lo guarda in una sorta di mutismo, osserva la sua pelle candida e quei capelli rossi come i fiori del giardino. Non sembra voler guardarlo in volto: è intento a segnare qualcosa su un quadernetto, la penna stilografica che scorre veloce a creare piccoli segnetti su righe sottili. C-117 è infatuato dai suoi gesti morbidi, dal muoversi del polso, gli occhi attenti di quel colore simile al riflesso dell’acqua nelle giornate d’estate.
Sussulta quando una sua mano si allunga a prendere un biscotto: lo morde con i denti bianchissimi, le labbra rosee passano dolcemente sulla lunghezza, gli occhi si socchiudono appena. C-117 sente le guance imporporarsi e il cuore battere veloce: non ha mai visto creatura più bella e aggraziata.
- Adoro i biscotti di Natsumi. – sussurra poi, e la sua voce è bassa ma non sgradevole, anzi. Lo schiavo sente le catene farsi più pesanti mentre quegli occhi acquamarina si posano su di lui, e il sorriso si trasforma in un ghignetto di compiacimento. Incredibilmente allo schiavo quel sorriso infido e quasi crudele piace, piace da morire, lo percepisce per il fatto che sente i brividi scendere giù per le costole e infrangersi sulle sue ginocchia che rischiano di cedere.
- Come sei carino. -  fa il padrone come a contemplare attentamente un animaletto esotico, e i suoi occhi si soffermano sulla sua pelle, sul suo corpo, e C-117 si sente esposto. La vestaglia di lui è appena aperta sul davanti, lascia intravedere il petto nudo e perlaceo: lo schiavo sente una scossa di adrenalina partire dal cuore e ucciderlo lentamente.
- Girati un po’. Ecco, così, bravo. Nulla da dire, sei davvero delizioso. – E si passa la lingua a umettare le labbra, come se il suo corpo fosse veramente qualcosa di dolcissimo e desiderabile.
Poi il padrone smette di guardarlo, prende con grazia una tazzina, vi versa del tè caldo. Fa scivolare all’interno tre cucchiaini di zucchero, uno ad uno, senza degnarlo di attenzione. Se lo porta alle labbra e continua a studiare il quaderno, prende la stilografica e vi fa sopra qualche ultimo segno. C-117 non sa cosa deve fare, come comportarsi: il padrone non sembra voler congedarlo,anzi si rimette a suonare, e lo schiavo perde completamente il senso del tempo: in breve è già seduto per terra, e lo ascolta, guarda ammirato le dita percorrere ogni centimetro del pianoforte, sicure e abili, lunghe e sottili.
A un certo punto può sentire un fruscio proveniente dalla finestra: è forse Fuyuka? C-117 guarda fuori, ma non vede nulla. Il padrone sembra accorgersi della sua distrazione, perché smette di suonare e lo schiavo ne è di nuovo dispiaciuto. Guarda con tristezza lo strumento abbandonato, poi alza gli occhi sul padrone, e ne rimane inquietato: l’uomo sorride, ma gli occhi sembrano voler divorarlo. C’è una strana luce, uno strano suono in ogni cosa che fa, ogni cosa che dice: C-117 ne è rapito e al contempo ne prova timore. Si alza frettolosamente in piedi, inciampa nelle catene goffo come al solito e si avvia verso la porta dopo essersi congedato.
Prima di uscire guarda per un attimo ancora la figura dell’uomo: ha ripreso a suonare, forse più tristemente di prima, ma riscuotendo comunque un grande fascino nel suo animo. C-117 è stupito perché finora non l’ha ancora picchiato nessuno, a parte Atsuya che ha voluto fingersi un padrone e alla fine non è neanche un padrone ma gli ha tirato una sberla comunque. 
Si abbandona alla melodia per gli ultimi folli attimi: si appoggia allo stipite della porta e rimane in silenzio a contemplarlo, senza riuscire a smettere di pensare al colore dei suoi occhi e al suono melodioso della sua voce.
Sente una strana sensazione nascergli nel petto mentre ripercorre il corridoio per tornare nelle cucine, dove Natsumi lo aspetta per insegnargli a fare i biscotti. Sente Atsuya emettere un gemito in una delle stanze, forse è la camera da letto, e incuriosito spia all’interno guardando dallo spiraglio della porta: ora Atsuya è seduto sul letto, gli dà le spalle, sembra che pianga. C-117 non sa bene cosa fare: se entrasse Atsuya capirebbe che l’ha spiato, e quindi non vuole altre sberle da lui.
Se ne va in punta di piedi, perché è lurido, e non vuole macchiare per terra.
Il tragitto verso le cucine è più lungo di quanto immaginasse. E il pianto di Atsuya continua, nella sua mente, a tormentargli i pensieri, come un tarlo che rosica il legno senza smettere mai.  
   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: hirondelle_