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Autore: hirondelle_    13/06/2013    13 recensioni
[Ristesura di "Destiny"]
[Alla luce di quanto mi è pervenuto dalle vostre gradite recensioni, ci tengo a specificare che questa NON È una storia romantica, ma la descrizione di un ABUSO (come ho voluto indicare nelle avvertenze). Grazie dell'attenzione!]
-§-
Sente il suo profumo dolce, le dita sottili che gli accarezzano la pelle, percorrendo gentilmente tutta la lunghezza del suo corpo. Chiude gli occhi, percepisce i brividi ad ogni singolo tocco, un solletico malefico e ripugnante penetrare attraverso la pelle e andare dritto ai nervi: Reize sente una parola nella sua testa. Una parola che non si sarebbe mai azzardato a pensare: nella sua mente è pronta per uscire e distruggere il mondo. La pronuncia, sbarrando gli occhi.
… no.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Paranormal'
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Autore: Macareux
Titolo: Destiny – Remember me.
Titolo del capitolo: Destiny I
Genere: Erotico, Introspettivo.
Avvertimenti: AU, Violenza, Contenuti Forti,presenza di avvenimenti sovrannaturali… Don’t like, don’t read.
Rating: Arancione (tendente al rosso)
Pairing: Hiroto/Midorikawa, accenno alla Hiroto/Shirou e alla Endou/Natsumi.
Desclaimer: I personaggi presenti in questa fanfiction non mi appartengono ma sono proprietà del rispettivo Autore. Questa fanfiction è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli avvenimenti descritti in questa fanfiction non sono mai esistiti, ogni avvenimento a fatti o persone reali è puramente casuale (… ci mancherebbe)
Attenzione!:Chiunque plagerà e/o prenderà ispirazione indebitamente da questa fanfiction verrà perseguitato dal sommo regolamento di EFP (?). Insomma, se volete scrivere qualcosa di simile avvisatemi, non vorrei che si creino dispiaceri come è già successo in passato.
Si ringraziano: Le Beta-Reader (KS. D. Destiny, Marts e Lau) e tutti i lettori che attendevano questa fanfiction. Sono stata assente a lungo, è vero, ma spero che questa fanfiction segni il mio cambiamento verso una concezione della scrittura più matura e consapevole.
Note 1: Il fatto che questa fanfiction sia a rating arancione e tra i generi ci sia anche scritto “Erotico” non significa affatto che ci saranno scene a tematiche sessuali particolarmente esaltanti, anzi. Note 2: Sono ovviamente gradite le recensioni, anche se non penso di meritarle dato che io stessa non recensisco mai… comunque provateci, non fate i timidotti :3

C-117 guarda le pareti spoglie della sua stanza, con le braccia a circondare le gambe strette al petto, immerso nella penombra. Solo la luna gli illumina il viso, di tanto in tanto, quando le nuvole non la nascondono alla vista. Rimane fermo, ma a volte si mette ad ascoltare, appoggiando un orecchio alla parete, le agonie di compagni dei quali non ha mai visto il volto. A volte sono risate sguaiate, altre pianti disperati: C-117 non si chiede mai nulla.  
È sempre notte, sempre tutto buio.
Nella sua vita è sempre stato tutto molto buio e confuso. Lui è lo schiavo numero C-117, ed è l'unica cosa che sa. Non sa come siano i suoi occhi, non ha idea del colore dei suoi capelli, che sono cresciuti nel tempo. Non sa come siano fatte le sue labbra, non capisce che cosa sia il liquido vischioso che cola inesorabilmente giù per le tempie appena il padrone, la sagoma scura che compare sulla soglia pure nei suoi incubi, lo picchia con ferocia.
Lui non lo sa, ma non intende scoprirlo: sapere è sbagliato. Sapere significa botte, dolore, fame.
Si apre la porta, la luce esterna fa vedere a C-117 la sua stanza. Cos’è quella macchia rossa sul muro? È sempre stata là? E quando ci è arrivata?
Una voce. Ma è davvero una voce o uno dei suoi incubi peggiori? C-117 trema: a cosa è dovuto il suo tremore? Alzati. Alzati, una seconda volta, urlata. Una sberla, qualche schiaffone. C-117 li sente, ma non fanno male.
È davvero dura portarsi dietro le pesanti catene. Eppure lui lo fa, lo fa e basta. Si alza in piedi, piano, e una forza bestiale lo schiaccia al muro. C-117 non dice nulla. L’uomo gli tira i capelli, gli fa alzare lo sguardo verso il soffitto, con tanta forza da fargli male. Ed ecco: odore di alcol, profumo da donna, forse qualche puttana che ha incontrato giù al bar prima di salire. Allo schiavo bruciano gli occhi mentre il padrone lo dilania con le sue dita grassocce, schiacciandolo al muro, senza neanche aver sfilato gli anelli: se n’è dimenticato. E i suoi grugniti all’orecchio, quell’ansimare, il puzzo del suo fiato sul collo: C-117 è consapevole di tutto ciò, ma ora si trova incredibilmente distante. Sente il solito liquido colargli giù dalle guance, per le gambe, infrangendosi sul pavimento, dove già si sono create macchie scure. Lo schiavo cede, il padrone non molla: gli graffia un braccio ossuto, C-117 si chiede come faccia, dato che la carne praticamente non ce l’ha, eliminata da giorni di digiuno.
È la sua voce a spaventarlo: roca, possente, cattiva. Ehi C-117, li hai fatti i lavori di casa? Se n’è occupato C-115 suppongo. E cos’è quella faccia? Va’ a lavarti. Lurido. Fra poco vengono a prenderti.
C-117 guaisce: è stato venduto.
Il padrone si scosta, lui cade bocconi. Il corpo gli duole, inizia a tossire, gli occhi gli bruciano, la gola si secca. Il padrone gli tira un calcio, lui mugola, come sempre. Prepara le tue cose gli dice, prima che arrivino gli ospiti. La porta si chiude, C-117 sa che ora passerà nell’altra stanza, dove C-118 dorme profondamente. Lo sveglierà con un ceffone, lo immobilizzerà al letto, gli farà male. Ma nessuno lì sa nulla.
Rimane lì, lo schiavo, immobile nel freddo della stanza. Sente lo strillo acuto di C-118. C-117 pensa sia una donna, ma non ne è sicuro, lui non ha mai visto una donna veramente. Non sa neanche di che razza è: razza pura, meticcia? Lo schiavo  se lo chiede, ma non vuole scoprirlo.
Lentamente si alza in piedi, aiutandosi dalla parete, sebbene gli ci voglia un po’, e le catene pesano e fanno male. C-117 si alza e cerca il bagno a tentoni perché non se lo ricorda, è da così tanto che non si lava. Appena apre la porta scosta le ragnatele, chiude la finestra, fa freddo. Entra in doccia perché lui è già nudo, e non può togliersi le catene. Guaisce appena alza la leva, l’acqua è gelida e inaspettata: scroscia giù per la schiena come piccole scariche di dolore. Ma C-117 si lava lo stesso perché verrà venduto, e vuole andarsene da lì.
Prepara le tue cose, ma quali cose si chiede C-117? Non ha cose, lui. Eppure deve trovarle perché il padrone ha ordinato di prepararle: deve trovare qualcosa.
C-117 guarda vacuo il suo letto sfatto da anni, intriso di sangue. Prende un lenzuolo, lo spezza coi denti e se lo mette alla vita. E poi? Lì non c’è niente: c’è la sua ciotola per mangiare, il bicchiere sbeccato per bere. Sono cose che deve assolutamente prendere.
E poi c’è la luna. La luna è palesemente sua: è lì da sempre, è ovvio che è sua; ma non può prenderla. Lo schiavo inizia ad agitarsi, le parole del padrone gli rimbombano nella testa: Prepara le tue cose. Non può prepararle, verrà picchiato? C-117 si trascina verso l’angolo, dove sa che c’è la frusta. Quella non è sua ma del padrone, gli servirà.
Lo schiavo si guarda ancora in giro: è tutto buio, non vede niente. Ma si ricorda di una cosa, anche se non sa bene cos’è: sa solo che è sotto il letto, e deve prenderla perché è sua.
Appena preso l’oggetto la porta si spalanca di nuovo, il padrone entra e lo prende rudemente per i capelli, trascinandolo giù. C-117 i capelli ce li ha lunghi, lo scopre solo ora, e trova abbiano un colore inusuale anche se non sa cosa sia usuale lì fuori. La luce per poco non lo acceca, il padrone sbraita qualcosa, lo strattona e lo porta al piano di sotto, poi lo trascina in un’altra stanza. E lì C-117 sgrana gli occhi: ci sono due figure che forse sono donne, lo pensa perché vede che sono diverse dagli altri due, che sono simili al padrone e quindi devono essere maschi. C-117 fa appena in tempo a pensarlo che viene sbattuto sul pavimento immacolato, coperto da un bel tappeto persiano. Sta’ zitto e cerca di non sporcare in giro, gli dice il padrone. Lo schiavo gli porge la frusta, ma lui sbuffa e dice che non ha tempo.
C-117 abbassa lo sguardo, la luce gli dà fastidio, e poi non sta bene fissare la gente. Il suo padrone torna su, dice agli ospiti che va a prendere gli altri due.
Poi, quando lui se ne va di sopra, C-117 li sente: gli uomini iniziano a conversare. Lui non può far altro che alzare il capo su di loro, sbalordito: quegli uomini sanno parlare! Credeva che solo il suo padrone fosse in possesso di tale potere. E invece quelle persone parlano, gli occhi puntati su di lui, un sorrisetto che affascina. A C-117 quelle persone piacciono tantissimo.
- Ma che bello schiavetto. – osserva uno. – Chissà di che razza è.
- È un meticcio, a mio parere. – fa una delle donne, guardandolo maliziosa da sopra il ventaglio. – Ha un nasino così grazioso.
C-117 non capisce i commenti successivi, ma resta a guardare incantato quei meravigliosi esseri: sembra risplendano di luce propria. I loro abiti luccicano sotto il lampadario a gocce, le donne vestono suntuose gonne ornate di diamanti: C-117 sa cosa sono, perché ha lavorato in miniera da bambino e ne ha viste tante di pietre come quelle, quando le puliva e le portava alla luce della lampada. E loro poi hanno collane di perle, d’oro e d’argento: C-117 vorrebbe toccarle, ma non può, non si fa.
Gli uomini portano vestiti eleganti, una rosa nel taschino: uno ce l’ha rossa, rossa come i suoi capelli, l’altro ce l’ha bianca, come la sua pelle. C-117 li guarda in una sorta di ammirazione, perché sono così belli, così eleganti e con modi così raffinati… Non ricorda di aver mai visto creature così meravigliose.
- Ha due occhi bellissimi. – mormora a un certo punto uno di loro. C-117 lo guarda, smarrito: vorrebbe chiedergli di che colore sono, ma non si può e non vuole. Rimane incantato dal suo sguardo, dal suo sorriso che appare più luminoso della luce soffusa della stanza.
Subito entra il padrone, tiene in entrambe le mani ciocche di capelli. Gli schiavi vengono scaraventati a terra, e C-117 può osservarli meglio: uno è C-118. Lo capisce, anche se non sa leggere, perché anche lui ha il suo nome marchiato sul braccio a fuoco, indelebile. L’altro deve essere C-115, ma non ne è sicuro, perché lui non l’ha mai sentito. Entrambi sono nudi, tengono in una mano la propria ciotola, nell’altra il bicchiere, le catene fanno male ai loro polsi, e hanno graffi e lividi sul viso. Lo guardano sgomenti, anche se C-117 non lo sa perché lo fissino in quel modo, e si sente turbato.
Bene signori, la partita comincia, dice il padrone. C-117 sposta lo sguardo sul tavolo del salotto, dove i nobili si accingono a giocare una partita a carte. Li osserva, anche se ha già visto cose del genere, ogni volta che doveva passare a un nuovo padrone. Sente il desiderio di andare da uno di loro, sussurrargli all’orecchio e dirgli quali mosse deve compiere per prenderlo, perché lui vuole andarsene da lì, perché non vuole più stare con il padrone cattivo.
Lui fa un gesto elegante e butta la carta al centro del mazzo, sorride trionfante e mostra le sue carte: sono tutte dal punteggio alto. Una donna sbuffa stizzita, lasciando cadere le sue e iniziando a sventolarsi con il ventaglio, storce il naso perché ha perso. Anche l’uomo con la rosa rossa lascia stare, e C-117 osserva gli altri nobili, perché vuole sapere cosa hanno loro. L’altra donna ha gli occhi corvini che saettano, ha perso ma non vuole darlo a vedere: sbuffa infastidita, pesca una carta per vedere se le cose cambiano, ma niente da fare. Anche lei si arrende e si apparta con l’amica, lanciando sguardi infuocati ai due uomini che restano, parlando da dietro i ventagli spiegati.
Rimane l’uomo con la rosa bianca, e C-117 trema di curiosità, vorrebbe sapere che carte ha ma non le vede. Lo sguardo del nobile non trema, né esulta: è freddo ed immobile, e C-117 si agita. Per un attimo teme che abbia perso, e si fa sfuggire un singhiozzo, che nessuno nota. Poi il nobile mostra le carte, impassibile, e nessuno si muove.
C-117 sente il suo cuore che esulta: potrà andarsene da lì, se il nobile sceglierà lui. Lo schiavo non sa il suo nome, ma poco gli importa, dovrà chiamarlo padrone e basta, perché è questo che vogliono i padroni, che tu li chiami così. C-117 trema, mentre lo sguardo dell’uomo si posa su loro tre. “Prendi me!” vorrebbe urlare, ma non può, non si fa. Ma il nobile sembra leggergli nel pensiero, lo guarda e sorride rassicurante. - Prendo quello schiavo lì. Ha degli occhi meravigliosi.
C-117 esulta nel suo animo, ma non può sorridere. Dentro di lui si scatenano emozioni contrastanti, il suo cuore accelera i battiti  perché se ne andrà da lì, anche se sa che forse starà peggio di prima.
Il padrone grugnisce, ma non dice nulla. Dà un calcio allo schiavo e gli ordina di raccogliere i suoi oggetti, e di andare dritto filato a baciare i piedi al nobile che l’ha scelto, che non merita tutto ciò perché è lurido. C-117 si affretta trascinandosi fino all’uomo, lo guarda e gli bacia le scarpe lucide, sanno di cuoio. Lui non lo guarda più, fissa il suo vecchio padrone con freddezza e chiede se è pulito, e C-117 non sa cosa intende dire  perché in fondo si vede che si è appena lavato. Rimane lì, seduto sulle sue stesse gambe, e guarda smarrito tutti i presenti. Improvvisamente la felicità di un attimo prima scompare, C-117 sa che non sarà mai libero. E gli occhi del suo nuovo padrone, quell’uomo dalla pelle diabolica e l’aria austera, ora anziché rassicurarlo lo inquietano. C-117 squittisce impaurito, ma sa che è troppo tardi per tornare indietro.
E senza rendersene conto, è già stato chiuso in una gabbia dalle sbarre di ferro.
 
La casa del padrone è grande, dai colorati arazzi e le scalinate di mogano. Appesi alle pareti stanno quadri dall’aria severa, che non piacciono a C-117. Si ferma un attimo davanti a uno dei numerosi specchi della grande stanza, perché riesce a vedersi per la prima volta, e rimane totalmente spiazzato. Non somiglia a uno dei nobili, ma non sembra neanche a C-118: lui è diverso. Lo avverte dall’espressione del viso, dai suoi lineamenti delicati e quasi femminili, e dagli occhi che il padrone ha definito “meravigliosi”, una parola che C-117 non conosce bene, ma che crede di capire.
- Cammina. – fa secco il padrone, e gli dà uno strattone tirando il ferro delle catene. C-117 si sbilancia in avanti ma non dice niente, e lo segue continuando a guardarsi attorno: è diversa dalla piccola e buffa casa del vecchio padrone, quella dell’uomo dalla rosa bianca è molto più grande. Il soffitto è alto e decorato di pietre preziose e oro, le cornici sono in puro argento. A un lato della stanza vi è un camino, e il fuoco scoppietta mandando sordi borbottii. Chissà cosa starà dicendo, pensa C-117, ma in realtà è troppo preso ad osservare le poltrone di un rosso acceso. Ma sarà davvero rosso, pensa C-117? Non si sbaglia, per caso? Il colore non gli interessa comunque: ha ben visto che sono prive di molle che spuntano dalle cuciture. Il tavolo è rotondo, al centro vi è posto un singolare centrino ricamato e un bel vaso di fiori freschi.
Il padrone lo tira perché ha rallentato: subito C-117 lo segue in un’altra stanza. Questa è diversa, ma C-117 non ha il coraggio di stare a guardare perché i polsi iniziano a fargli male. L’uomo dalla pelle bianca non si volta a fissarlo, si ferma davanti a una porticina che a C-117 appare familiare, tanto è scrostata e malmessa. Apre una donna, gli occhi grandi e castani si fissano sul padrone. Fa una piccola riverenza, poi si alza e resta composta.
C-117 pensa che sia una donna molto bella: i fianchi sono magri, i capelli ondulati hanno il colore del legno. Profuma di buono, non veste male come lui e non porta catene: non è una schiava, ma nemmeno una nobile. La guarda incuriosito, senza sapere cosa dire.
- Sfamalo. È osceno. – si limita a dire il padrone porgendo le catene alla donna, e lei si limita ad annuire, squadrando il nuovo arrivato dall’alto in basso. Il padrone se ne va di fretta, e sale le scale: C-117 trova abbia modi molto eleganti e sicuri, ma ne è impaurito.
Si volta a guardare la donna: e lei? Anche lei è un padrone? C-117 non sa come comportarsi. Ma subito si tranquillizza quando lo conduce dentro, con più delicatezza del padrone, e lo fa sedere presso un tavolo dall’aria consunta. Lo schiavo non può far a meno di guardarsi attorno, perché è curioso: è una stanza molto meno lussuosa delle altre, l’intonaco del muro è scrostato e pieno di scritte, ma C-117 non ha mai imparato a leggere. Vi sono credenze dall’aria vecchia e decrepita, piatti sbeccati e piatti di alta qualità, posate di legno e posate d’argento, mestoli e stoviglie. Il tavolo è ingombro di roba: borse della spesa, verdure, carne. Anche lì c’è un camino, ma è spoglio e freddo, e il muro è tanto annerito. C’è una porta aperta sull’esterno, e C-117 non può fare a meno di guardare con meraviglia quelle graziose tonalità di verde e rosso.
La donna se n’è andata in un’altra stanza, perciò non può vederlo: C-117 si alza e si appoggia allo stipite della porta e guarda fuori: com’è grande il mondo esterno! Non ha mai visto nulla del genere: un’enorme distesa verde si apre davanti ai suoi occhi, delle contadine sono piegate sugli orti e zappano la terra, i cappelli ampi e variopinti e i vestiti dai colori scuri ma forti. Lo schiavo fa qualche passo in avanti, ma subito viene richiamato: la donna lo guarda, severa, e C-117 torna umilmente al suo posto, il capo chino. Lo alza solo quando la donna appoggia davanti al naso un gustoso piatto di zuppa.
C-117 la guarda negli occhi, sbarrando i suoi, senza capire. Lei si limita a sorridergli, e C-117 si agita, perché nessuno gli ha mai sorriso né offerto un pranzo del genere. Si allontana svelto, perché non si fida, e trema tutto. La donna smette di sorridere, lo guarda preoccupata, poi prova ad appoggiargli una mano sulla fronte, ma lui si ritrae di scatto. Cerca una via di fuga con gli occhi, è spaventato da tutto ciò: può scappare dal campo di fiori rossi e dalle contadine piegate sugli orti, ma ecco entrare da lì un ragazzo anche lui senza catene, e C-117 lo fissa ad occhi sbarrati, inizia a squittire: se c’è una cosa che odia quella è la trappola. Non c’è nulla di peggio della trappola, C-117 lo sa bene: prima fanno tutti i buoni buonini e poi ti picchiano, questo ha imparato, e ha imparato che non ci si può fidare di nessuno e obbedire al proprio padrone.
Il ragazzo gli parla, ma lui non risponde. Fa il giro del tavolo e si nasconde in un angolo dove fanno il nido i ragni, guardandoli con puro terrore e una grande voglia di piangere.
- Chi sei? – fa ora il ragazzo tutto serio, non sorride come la donna.
È ora lei a parlare: - Questo è il nuovo maggiordomo, il padrone l’ha appena vinto.
Il ragazzo non risponde, si limita ad annuire. C-117 inizia a tranquillizzarsi, perché vede che nessuno gli sta facendo male, ma non abbassa la guardia. La donna prova a porgergli la mano, ma lui non l’accetta, inizia  a nascondersi il viso con le mani, perché chi alza le mani di solito vuole dare sberle.
- Lascia fare a me, idiota. – dice ora il ragazzo, e la scosta con il braccio e si accuccia davanti a lui. C-117 scosta appena le dita per fissarlo, ma le chiude subito quando lui gli tira uno schiaffo, forte, sulla guancia. C-117 fa un singhiozzo e lacrima, ma non dice nulla. Il ragazzo gli ordina di alzarsi, e lui lo fa, lo fa perché ha capito che anche loro sono padroni, dei padroni meschini che amano le trappole. Il ragazzo lo tira per i capelli, la donna grida qualcosa, e C-117 viene sbattuto sulla sedia.
- Mangia.
C-117 ubbidisce, non sa fare altro: prende la posata sporca e inizia a mangiare, veloce, e quasi la zuppa gli va di traverso. La donna guarda male il ragazzo, gli chiede perché lo abbia fatto, e il ragazzo risponde così: - Non sono umani, non possono essere trattati come tali.
C-117 nota che c’è qualcosa di strano nella sua voce, ma non dice nulla, del resto gli schiavi non dicono mai nulla. La donna resta in silenzio, si limita a sedersi accanto a lui e a guardarlo apprensiva, e C-117 non sa cosa fare con quello sguardo puntato addosso: istintivamente stringe più forte la sua borsa, non sa ancora cosa contiene ma sa che è sua.
- Io… io sono Natsumi. – attacca discorso la donna, guardandolo con occhi lucidi.
- Nelly, ti prego. – sbuffa quasi spazientito il ragazzo.
- Ma tu puoi chiamarmi Nelly. – continua imperterrita la donna. – Quello lì invece è Atsuya. Non è una persona cattiva, sai? Lui è buono, e anche io sono buona. Non vogliamo farti del male, sai?
C-117 li guarda, ma non dice nulla. Non si fida, perché delle persone non bisogna mai fidarsi. Si è sporcato la bocca, perché la zuppa è buona ed è bello mangiarla, e poi lui è da anni che non mangia una zuppa, sempre solo bucce di patate.
- Tu invece? Tu come ti chiami? – prova a chiedere la donna, ha un tono di voce dolce e soave. Atsuya sbuffa, si è appartato in un angolo e ora li guarda con un’occhiata losca. C-117 lo osserva meglio: ha capelli che sembrano fuoco, e gli occhi sono grigi e gelidi. Ha la faccia lurida, come se si fosse sporcato a fare qualcosa, e braccia muscolose e possenti. Lo vede sputare per terra con disprezzo, ma non dice niente.
- E allora? Come ti chiami?
Lo schiavo non sa se rispondere o meno, ma loro sono padroni e allora bisogna rispondere: - C-117.
Natsumi lo guarda preoccupata, aggrotta le sopracciglia. C-117 trova sia molto bella anche così, con le sopracciglia aggrottate. – Il tuo vero nome? – fa lei, ma lo schiavo non sa cosa vuole dire, perché lui è sempre stato C-117: ha forse un altro nome?
- Non hanno veri nomi. – fa notare il ragazzo, e C-117 gli è grato anche se gli ha tirato una sberla.
- Insomma, un vero nome ce l’avrà, è comunque un essere umano! – sbotta spazientita la donna, sembra irritata dall’atteggiamento di Atsuya, e C-117 non la trova più così tanto bella.
Il ragazzo la guarda fisso, improvvisamente più che cattivo è arrabbiato: se ne va fuori dalla porta, da dove è entrato, e C-117 spera che non torni più. Lui comunque non se lo ricorda, il suo vero nome, forse non ha neanche un vero nome. Si stringe alla borsa e guarda la zuppa che se ne sta ferma, nel piatto, a raffreddarsi. La padrona non dice nulla.
 
Angolo di Macareux
Come promesso, eccomi a riscrivere la mia vecchia e bitorzoluta (?) fic “Destiny”. Non so se ne avete mai sentito parlare (?) Boh, chissà, magari sì.
Questa versione mi soddisfa comunque quanto la prima (ovvero, non mi soddisfa -.-“), ma non dovrei stare qui a lamentarmi dopo due mesi di assenza, non credete? :”)
Insomma, questi due mesi qui li ho passati a riscrivere completamente questa fic. Una fic che verrà postata però a periodi regolari, entro qualche mese sarà già composta tutta: il tempo per riscrivere completamente anche il Re dei Ladri ;)
Ho cambiato alcune cose, la trama è leggermente modificata: come vedrete l’atteggiamento di alcuni personaggi sarà diverso, appunto per approfondire di più la psicologia di ogni singolo carattere. Ho eliminato però molte comparse inutili, e unito capitoli: per questo la fic non supererà mai i… 18? Sono pochetti, ma spero vorrete apprezzarla lo stesso. Anche l’ambientazione è diversa: mi sono ispirata al periodo precedente alla Prima Guerra Mondiale (ovviamente essendo un’AU molte cose sono cambiate rispetto a quel periodo).
Lo stile non penso sia cambiato, ma di certo la narrazione è differente: ho adottato questo registro scomodo per dare la soggettività del nostro povero malcapitato, e direi che me ne pento, non si capisce un cavolo :”)
Volevo ringraziare coloro che hanno seguito la mia vecchia carcassa ambulante (?). Un giorno mi spiegherete cosa vi fumavate per farla arrivare addirittura al terzo-quarto posto nelle popolari :”)
Va bene. Mi sono impegnata tanto per raggiungere lo scopo di emozionarvi maggiormente e di non buttare la trama lì alla caaaaaaa- (ci siamo capiti).  Che io ci sia riuscita è tutt’altro discorso XD
Ma ormai Destiny mi ha stufato, basta, non la riscrivo più. Ha una trama abbastanza banale e noiosa, penso converrete con me :”) Ora finalmente potrò dedicarmi al Re dei Ladri, che è una cosa informe pure quella, non si può vedere. Giuro che proverò a scrivere la morte dei personaggi senza alcun errore.
Awn. Sono felice di essere tornata ♥ Mi siete mancati ♥
Ci si vede fra….. fra non so quanto :”) Au revoir ♥
Fay
 
   
 
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