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Autore: Trick    22/06/2013    1 recensioni
«Il mondo non è diviso in brava gente e Mangiamorte».
Raccolta di drabble, flash-fic e one-shot di mediocre pretesa spudoratamente a caso.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Scritta in occasione del Summer Writing Day indetto da 24hours-of-fun. Il prompt scelto era il #12, «Arriverà l'estate anche per te, è solo una questione di stagioni e di tempo. O di persone», Odissea.
Dedicata a emme, perché sotto sotto gliela regalerei sul serio, l'anima. (:
*Meine
Güte dovrebbe significare "vecchio mio" in tedesco, ma io sempre fatto talmente schifo in lingue che non ci giurerei. Se qualcuno è più ferrato di me in tedesco, ben venga qualunque consiglio. 

*

Piove sempre sull'estate
AlbusxGellert
1875 parole


Fra le milioni di cose delle quali Albus Silente non aveva mai fatto parola con nessuno, c'era anche un vago senso di disagio in prossimità dell'arrivo della stagione autunnale.
Ne aveva sempre amato i colori, le prime concilianti brezze fredde che giungevano dal nord, e non di meno traeva soddisfazione dal poter finalmente rispolverare i suoi calzettoni di lana dopo l'afa estiva.
Eppure si ritrovava spesso a scrutare il cielo di piombo che anticipava le prime piogge, e quando scoppiavano i primi temporali restava per ore intere in piedi davanti alle alte finestre del proprio ufficio, osservando il lento scivolare delle gocce sul vetro e ascoltando il loro ritmato ticchettio.
Lo si sarebbe detto perso in complessi e geniali ragionamenti quali erano solitamente i ragionamenti di un uomo complesso e geniale quanto lui, ma non era vero: Silente ricordava solo autunni e piogge di molti anni prima – di secoli prima, di intere vite prima – quando i suoi capelli non erano ancora bianchi e la sua barba era molto più corta e aveva il colore rossiccio delle ultime foglie.
Con le lunghe dita intrecciate dietro le schiena, guardava la pioggia infrangersi sulle acque grige del Lago Nero senza vederla realmente. Nei suoi occhi c'era solo quella Germania dai colori di piombo dell'autunno inglese, ma più freddi, così freddi da far male fin dentro le ossa. Fin sotto le vene, oltre al cuore, nella profondità del suo animo complesso e geniale, proprio dove aveva sepolto tanto faticosamente il ricordo di Gellert.
Gellert non aveva la barba del color delle foglie che muoiono... oh, no. Lui aveva i riccioli come il grano d'estate e gli occhi limpidi quanto un cielo terso dalle nuvole. Aveva il sorriso di una giornata di sole trascorsa sotto le fronde di una vecchia quercia di Godric's Hollow, aveva la risata frizzante e vivace delle capinere che cantavano fra i rami. In quel ricordo c'era il retrogusto di un'estate che Silente aveva creduto interminabile, immortale, incancellabile.
«Essere giovani... quale dolce supplizio» si ripeteva spesso. Poiché con la leggerezza di poche decine di anni sulle spalle si è più forti e sciocchi, si è più liberi e più infelici – o forse no, forse si era solo un po' più prigionieri e un poco più felici.
L'autunno era grigio come la Germania del 1945, era rosso come un tempo lo era stata la sua barba e pioveva, pioveva... buon Dio, quanto pioveva quel giorno.

*

Germania, 1945

Albus si rigirò la bacchetta fra le mani con un'espressione imperscrutabile sul volto. La bacchetta di Sambuco, si disse. La più potente bacchetta mai creata. L'impugnatura era ancora tiepida per il lungo contatto con la mano salda di Gellert – bianca e liscia e delicata – ma fra le dita di Albus sembrava scottare. Ne sfiorò distratto la sagoma raffinata prima di sollevare gli occhi sull'altro uomo, ancora in ginocchio a pochi metri da lui, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, il capo chino e il volto pallido nascosto dai capelli biondi che la pioggia aveva schiacciato sulla fronte.
Biondi come il grano d'estate.
«Dà una bella sensazione, non è vero, meine Güte*?» mormorò fra i denti Gellert in un inglese dal suono metallico, sollevando il viso di pochissimi centimetri.
Aveva perso e lo sapeva.
Di fronte a qualsiasi altro nemico, Albus avrebbe atteso che tentasse di fuggire, di attaccarlo disperatamente in un'ultima inutile difesa, ma Gellert non era un nemico qualsiasi. Non lo era mai stato. Se ne restava lì, in mezzo a ciò che restava del grigio cortile interno di Nurmengard, con la pioggia che scrosciava inesorabile fra le macerie fumanti e le grate di ferro abbattute. Attendeva paziente che gli Auror giunti dall'Inghilterra con Albus arrivassero a prenderlo.
Ha perso, ripeté Albus. E lo sa. Sa che io avrei fatto lo stesso. Ma non era Albus Silente, quello sconfitto. Non era lui, quello in ginocchio. Lui era solo il possessore di una bacchetta demoniaca.
«È pesante» constatò amaramente Albus mentre scostava dal volto i capelli fradici.
«È straordinaria».
«Mi chiedo come tu abbia potuto sopportarne lo straordinario peso per tutti questi anni».
Gellert inclinò appena il capo. Sulle sulle labbra comparve un vago sogghigno divertito.
«Meine Güte... io sono sempre stato un mago straordinario».
È vero, ammise a se stesso Albus. Ma a quale prezzo?
«Che ne farai, ora?» incalzò Gellert. «Ci si aspetta che un uomo della tua elevatezza di spirito la distrugga. La disintegri. Potresti perfino convincere tutti i maghi e le streghe del pianeta che non è mai esistita alcuna bacchetta di Sambuco. Potresti davvero, Albus. Ho visto uomini e donne credere a bugie ben più inverosimili e tu...». Rise beffardo e scosse appena la testa. «Oh, tu sei un bugiardo straordinario».
Anche questo è vero.
«Ti sei mai domando se sia valsa la pena di essere tanto straordinari? Maghi o bugiardi, non importa, ma tu dimmi, Gellert... credi davvero ne valga la pena?».
Lo sguardo di Gellert brillò di beffarda malizia. Schioccò la lingua e rispose:
«Ne vale completamente la pena, ma non credo riuscirai mai a capirlo. Non sei mai stato un mago straordinario come tutti credono. Guardati, meine Güte... cosa vedi?».
Albus cercò di farsi scivolare addosso quella pesante accusa, ma le parole di Gellert si erano già insinuate in profondità e stavano scavando attraverso ognuna delle sue misere sicurezza. Oh, quanto aveva ragione, quanto... eppure non aveva intenzione di arretrare, non aveva intenzione di lasciarlo vincere.
Non quella volta.
«Vedo che stringo fra le mani la bacchetta che tu hai inseguito per tutta la vita. E la vedo pesante, Gellert, non straordinaria. Poi vedo te. E non sei tu, quello che vedo in piedi, perciò...». Sospirò amaramente e aggiunse: «Continuerò a credere che non ne valga davvero la pena».
Per diversi secondi, l'unico rumore fu quello della pioggia che cadeva su di loro e attorno a loro, dell'acqua che sgorgava dalle tubature esplose e si concentrava in fredde pozzanghere. Ed erano grige anche loro, così com'era grigio il cielo e l'aria e Nurmengard, e agli occhi di Albus perfino loro due erano diventati grigi.
C'era il sole, una volta. C'era il sole e guardavamo l'estate all'ombra di una quercia troppo più grande di noi.
La risata di Gellert parve l'imitazione di un centinaio di calici di vetro che s'infrangono a terra. Limpida e cristallina, impietosa e tagliente. Albus serrò d'istinto le palpebre mentre nella sua mente Gellert scoppiava in una risata ben diversa. Era il cinguettio delle capinere, era il suono dell'estate che non avrebbe mai dovuto terminare.
«Un giorno, a molti giorni da questo giorno, ti volterai indietro, Albus, e sai cosa vedrai davvero? Non me in ginocchio. Non te in piedi. Oh, no... se davvero vedessi solo questo, meine Güte, sarebbe un affronto tremendo a entrambi. Sarebbe un affronto alla tua stessa intelligenza, e tu non sei mai stato un uomo stupido. Insensato, forse, ma mai stupido. Vuoi sapere cosa vedrai quel giorno?».
No, si rispose d'istinto Albus.
«Vedrai solo il tempo trascorso fra oggi e quel giorno, quel giorno in cui capirai di non essere mai diventato la persona straordinaria che saresti potuto diventare. Vedrai interi mesi, Albus, interi anni... centinaia di stagioni si susseguiranno una dopo l'altra nello stesso modo, e ognuna peserà sulle tue spalle un po' più della precedente, fin quando non resterai curvo e piegato al malefico trascorrere della vita. E poi, meine Güte, dopo infiniti gelidi autunni e infinite sterili primavere... ecco che arriverà il tuo inverno, secco e silenzioso, e ti chiederai come un uomo geniale quanto te abbia potuto commettere tutte quelle scelte sbagliate senza nemmeno rendersene conto. E forse la comunità magica rimpiangerà la tua perdita – ma è certo che lo farà, è suo dovere – e chissà, con un po' di fortuna qualcuno di quegli idioti potrebbe perfino rimpiangerti con sincero affetto... ma tu, Albus, rimpiangerai te stesso più di tutti loro».
Albus abbassò lo sguardo e studiò per l'ennesima volta la bacchetta di Sambuco. Poi arrangiò un sorriso di vaga timidezza appena percettibile – ma Gellert lo aveva visto: Gellert aveva sempre visto i suoi sorrisi.
«Hai sicuramente ragione sulla prima parte» confessò in tono affabile. «E potresti aver ragione sulla seconda. La fine giunge per tutti, prima o poi, e l'inverno non è che uno dei tanti passaggi che la vita ci regala. E sì, potrei avere la fortuna di essere rimpianto e la sfortuna di rimpiangere... chi può dirlo? Per quanto discutibilmente straordinari, né io né te possiamo affermarlo con sicurezza. Posso solo conoscere cosa rimpiango ora, in questo giorno al quale ripenserò in un altro giorno fra molti anni, o magari domani... chi può essere certo anche di questo?» aggiunse con un punta di velata tristezza. «E se anche fosse domani, non importa. Fra oggi e domani o fra oggi e la mia morte, amico mio, a me parrà comunque di aver vissuto troppo poco e troppo in fretta, e il mio ricordo di quest'oggi sarà come l'autunno che scaccia l'estate. Triste e malinconico... e, ahimè, naturale. Ed è questo, alla fine, che rimpiangerò, Gellert: che nulla di quel tempo felice sia durato abbastanza. E tu svanirai con il trascorrere delle stagioni, Gellert, anno dopo anno, inverno dopo inverno... fino a quando di te non mi resterà che il dolce ricordo dell'estate che trascorremmo a Godric's Hollow». Sentiva gli occhi bruciare di lacrime che non desiderava mostrare, così fece un respiro profondo e finse di asciugarsi il volto dalla pioggia. «È stata una bella estate, quella».
Gellert si morse il labbro inferiore e agitò la testa con un improvviso moto di stizza. Dall'esterno delle imponenti mura di Nurmengard si levava già il caotico e distante gridare degli Auror.
«L'estate è sempre bella, meine Güte» commentò amaramente. «Ma è una stagione per i giovani e gli stolti... e noi non lo siamo mai stati».
«Giovani o stolti?».
«Forse entrambi. Ti interessa davvero?».
Albus sorrise e scrollò vagamente le spalle.
«Forse un giorno avrò il coraggio di chiedermi cosa ne è stato di quell'estate e mi interesserà saperlo. Chi può dirlo?».
Gellert arrangiò un sogghigno stentato che ad Albus parve quasi un perduto gesto d'affetto e gli mostrò teatralmente i palmi delle mani.
«Albus... non prenderti gioco di me. È certo che lo farai...» rispose lentamente. «Te lo chiederai fin quando non arriverà l'inverno, e un uomo intelligente come te potrebbe perfino sperare di trovare una risposta che forse non esiste nemmeno. E se mai dovessi trovarla...». Sorrise con più genuinità, mostrandogli per un istante fulmineo lo spirito del bel giovane ambizioso che era stato in un'estate di molto anni prima. «Oh, meine Güte... promettimi che dirai anche a me cosa ne è stato».

   
 
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