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Autore: DarkshielD    24/06/2013    3 recensioni
Dopo la sconfitta da parte dei Guardiani, Pitch sembra essere destinato a scomparire, dimenticato da tutti, temuto da nessuno. In effetti, al risveglio da un brutto sogno, all’arrivo dell’alba, un incubo può scomparire.
Ma la paura rimane. E spesso, troppo spesso, va ben oltre il timore di trovare un mostro chiuso nell’armadio o sotto il letto, pronto a ghermirci se siamo così ficcanaso da dare un’occhiata.
La paura evolve. Diventa più potente.
Talmente potente da non poter essere più definita semplice paura.
E sarà allora che toccherà ai Guardiani tornare in azione.
Genere: Angst, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Cinque Guardiani, Nuovo personaggio, Pitch
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Yuk yuk (?) guardatemi, son tornata alla carica con le mie cavolate. Perdonatemi infinitamente per il ritardo e per questo capitolo (ugh, ma perché niente di quel che faccio mi va bene ultimamente…) ma sono sommersa da studio, esami, blocchi di scrittore, artista e varie ed eventuali. Buona lettura ma in verità anche no (??)

 

XIII: In cui va tutto all’Inferno

 

 

Suppongo

Che questa sia stata la peggiore delle cose che tu abbia mai fatto

Vecchio amico mio.

*

In millenni di vita ed esperienza, Calmoniglio aveva imparato a credere ciecamente in una cosa soltanto: il suo istinto.

Non che non si fidasse dei propri compagni, ma aveva sempre preferito dare la priorità a quella vocina nella sua testa che gli consigliava sempre quella che era sempre sembrata la soluzione migliore.

Quella mattina Calmoniglio si era risvegliato con un orribile presentimento.

Sentiva fin nelle viscere che stava per succedere –o forse era già successo- qualcosa di terribile. Voleva controllare, assicurarsi che gli altri stessero bene, ma il suo orgoglio e la ragione l’avevano tenuto a freno. In fondo, quella giornata si era svolta come tutte le altre: noiosa, piena di impegni –da quando era diventato uno di loro, Jack Frost aveva preso l’abitudine di fargli qualche improvvisata e aiutarlo con la pittura delle uova. Per quanto le sue opere finissero sempre inevitabilmente con l’assomigliare con qualche orribile dipinto di qualche artista post moderno, Calmoniglio aveva sempre apprezzato le sue visite, la sua compagnia e il suo aiuto-, con nessuna visita da parte di nessun collega Guardiano e soprattutto non era arrivato alcun tipo di comunicazione alla Tana che richiedesse la sua presenza, e l’ultima cosa che il Pooka voleva era fare la figura dell’ansioso o dello stupido.

Solo alla fine della giornata aveva finalmente deciso di dare ascolto ai suoi presentimenti, anche se aveva continuato a trattenersi. Aveva scelto il Guardiano che meno di tutti si sarebbe accorto della sua preoccupazione, questo in parte a causa del suo carattere troppo distratto ed entusiasta, e in parte a causa del suo lavoro, che richiedeva troppa attenzione per notare altro, e quindi gli avrebbe permesso di controllare che tutto fosse a posto senza fare domande potenzialmente imbarazzanti: Dentolina.

Il palazzo della regina delle fate era buio e silenzioso, e sembrava ancora più grande del solito. Calmoniglio attraversò a passi lenti e felpati una delle grandi sale, boomerang in una zampa e uova esplosive nell’altra, entrambi pronti ad essere lanciati contro potenziali aggressori nascosti nell’oscurità, troppo fitta per convincere l’istinto del Pooka che fosse tutto a posto. Ma Calmoniglio sapeva che in quel buio non c’era nulla.

I nemici se n’erano andati da un bel pezzo.

Aveva capito tutto nell’istante in cui, ancora dentro le sue gallerie, si stava avvicinando al palazzo, in cui aveva dato una prima annusata all’aria e aveva percepito l’oscurità accarezzare le sue vibrisse, in cui il suo fine udito aveva sondato per la prima volta l’avvolgente, anomalo silenzio di quel luogo, che era sempre stato immerso nella luce del sole e nel musicale brusio di migliaia di piccole, indaffarate fatine. Lo sapeva, anche quando si era precipitato a chiamare la Guardiana a gran voce, a cercare lei o almeno una delle sue aiutanti in giro per il palazzo, solo per scoprire scrigni di dentini mancanti, alcuni spezzati e dal contenuto sparso per terra, pochissimi ancora a posto, e i segni di battaglia, al cui tocco aveva sentito tutti i peli della nuca rizzarsi in modo fastidioso.

Lo sapeva.

L’hanno presa. Hanno preso tutto. Questo luogo puzza di oscurità fin nei ripostigli.

Perché non aveva ascoltato prima il suo istinto?

Oh Dentolina, ti prego, dimmi che sei ancora viva, dimmi che stai bene ti prego ti prego ti prego. Ma era ovvio che non era così. Gli Incubi avevano preso lei, le sue fate, i dentini, e nessuno si era accorto di nulla.

Sapeva di dover correre più veloce di quanto le sue stesse zampe erano in grado di andare, avvertire i suoi compagni, perché non poteva lasciar correre.

Così fece.

Digrignò i denti, aumentò la presa sui boomerang e batté due volte la zampa per terra.

Il suo istinto gridava ancora al pericolo, e fu solo quando una delle sue gallerie si aprì al suo comando che comprese il perché: dal tunnel provenivano dei guaiti lontani, parzialmente distorti dall’eco. E l’odore di terra era mescolato a qualcos’altro, un odore che il Guardiano della Speranza detestava.

Odore di Incubi. Odore di pericolo.

Erano lì, nelle sue gallerie, ed erano in molti, li percepiva chiaramente dispersi a macchia di leopardo per i tunnel, pronti a ricevere il segnale per attaccare. Aspettavano lui.

Quando sono arrivati? Avrei dovuto percepirli. Sono troppi per poter passare inosservati…

Niente poteva entrare o uscire dalle gallerie senza che Calmoniglio se ne accorgesse.

Ma allora come…?

Ma quella domanda era destinata a rimanere senza risposta. Calmoniglio si sporse ad osservare oltre il buio del tunnel, sentendo gli ululati e la sua stessa adrenalina salire di pari passo. I suoi tunnel, suo unico mezzo di trasporto, sono stati invasi.

Era in trappola.

Ma doveva avvertire i suoi compagni, farlo subito, si disse, e apparentemente Dentolina non sembrava avere altri metodi di comunicazione a parte lei stessa e le sue fatine. Realizzò di non avere altra scelta.

Fece un piccolo passo indietro, un respiro profondo, e con un movimento fluido saltò dentro.

Non importava quanto e quanto forti fossero i nemici. Avrebbe combattuto, li avrebbe sbaragliati tutti.

I suoi compagni Guardiani erano in pericolo, e non poteva abbandonarli.

*

Sandy si poté godere soltanto qualche minuto di viaggio sul suo mini ufo, prima che il silenzio –interrotto soltanto da qualche bip della consolle dei comandi- dell’abitacolo venisse interrotto da un tonfo sordo.

Il Custode dei Sogni sobbalzò e si voltò, solo per ritrovarsi a fissare un’agitatissima June che, schiacciata contro il vetro giallastro del mezzo, gesticolava freneticamente.

Accelera. AcceleraacceleraACCELERA!

Guidato da uno strano sospetto, Sandy lanciò un rapido sguardo oltre lo Spirito sdraiato a mo’ di mosca spiaccicata sul parabrezza e comprese subito la ragione del suo panico.

Incubi.

Erano piuttosto lontani, ma si stavano avvicinando rapidamente, estendendosi sulla linea dell’orizzonte e formando una fila compatta. Puntavano tutti al piccolo ufo dorato.

Sandy non avrebbe saputo dire quanti fossero esattamente, ma sembrava essere un gruppo abbastanza nutrito da dargli del filo da torcere: forse un centinaio, forse un po’ di più. Premette un pulsante sulla consolle e aprì il portellone dell’ufo, e June saltò dentro.

Ti avevo detto di tornare a casa! Fu la prima cosa che le disse. Sapeva che era inutile rimproverarla, visto che la ragazzina non ascoltava mai nessuno, spesso nemmeno il suo istinto di autoconservazione. June, comunque, sembrava troppo agitata per prendere il suo rimprovero sul serio.

Perché non sei scappata?

- Sono nei guai, vero? Oh si, si lo sono. – esclamò June, con voce acuta dall’agitazione: – Oh e non mi guardare così, è esattamente quello che stavo cercando. Guai. Guai grossi, eeeesattamente quello, si. –

A quella frase Sandy le lanciò un’occhiata stranita. - …Ora. Dimmi che hai dei cannoni al laser o qualcosa del genere su questo ufo, perché io ho già sprecato metà faretra e dubito seriamente di averne beccato almeno uno. –

Sandy non perse tempo ad accertarsi della veridicità delle parole della giovane: guidata dalla sua volontà, una manciata di sabbia magica si distaccò dal pavimento del mini ufo e assunse una forma affusolata, trasformandosi un fascio di frecce che volarono fra le mani di June: - Grazie! – esclamò lei, affrettandosi ad incoccarne una.

Sandy le aprì un piccolo varco nel vetro del veicolo e usò la sua sabbia per alterare la conformazione dello stesso, in modo da creare un’ideale piattaforma di tiro per il giovane Spirito e permettendole così di scoccare le sue frecce, e poter intanto continuare a guidare il suo ufo senza fastidiose incursioni di aria gelida proveniente dall’esterno, e dalla consolle dei comandi sbloccò i cannoni laser che agganciarono automaticamente i loro bersagli sull’orda che li inseguiva.

Sandy non aveva davvero tempo per fermarsi e combattere i nemici, doveva arrangiarsi e continuare a fuggire, e sperare che questi fossero abbastanza stupidi da continuare ad inseguirlo finché, nella sua corsa, non li avesse abbattuti tutti. Proiettili ed energie per combattere erano due cose che non gli mancavano.

Tuttavia, il Custode dei Sogni non aveva calcolato una possibilità.

Che quello che sembrava una banale aggressione ad opera di un gruppo di Incubi dalla testa calda, in realtà non fosse altro che un’imboscata.

Un pensiero vagamente simile a tale idea attraversò la sua mente in un lampo quando, senza nemmeno avere un istante per poter comprendere cosa stesse succedendo, si sentì improvvisamente sbalzato in aria, ed un boato assordante gli perforò i timpani.

Quello che avvenne nel paio di istanti che seguì fu un miscuglio incomprensibile di confusione, luce, dolore e panico. Sentì June, da qualche parte vicino a lui, strillare terrorizzata, e la sabbia magica, guidata probabilmente più dell’inconscio che dalla diretta volontà di Sandman avvolse sia lei che il Guardiano in un rigido guscio protettivo, e il suo senso dell’equilibrio registrò la fastidiosa sensazione di mancanza di gravità data dalla caduta libera.

Sandy sentì l’impatto violento col suolo e un altro grido della ragazzina. La sabbia si sciolse quasi immediatamente, lasciando i due liberi di muoversi. Sandy balzò al fianco di June e, vedendola raccolta a riccio su sé stessa, immobile, la scosse debolmente temendo il peggio.

…Stai bene?!

June reagì immediatamente, scattando a sedere come attivata da una molla: – Si! – gridò quasi in faccia a Sandy, pallida, e con un’espressione di puro panico dipinta sul viso. Aveva i capelli scompigliati e quasi ritti, un buon orlo dell’abito era bruciacchiato e un piccolo taglietto sulla tempia sinistra dal quale erano prontamente uscite alcune goccioline di sangue. Sandy intuì di non essere in condizioni molto diverse, a giudicare dal dolore sordo che aveva cominciato a martoriargli la schiena dopo la caduta: - Cos’è successo?! – esclamò lei, senza fiato.

Non lo-

Sandy si bloccò e si voltò. Il suo sguardo non percorse il nutrito gruppo di Incubi che ora stava scendendo a terra, senza fretta alcuna, i respiri pesanti subito condensati in nuvolette nella gelida aria novembrina. Non si soffermò sul loro numero, sul fatto che avanzassero a passo tranquillo e li stessero circondando, sui loro denti digrignati e gli occhi famelici puntati su June, perché percepivano chiaramente la paura e la confusione della ragazzina, ancora sconvolta, dolorante e senza fiato dopo la caduta.

…so.

Lo sguardo di Sandy era corso sulla sua sabbia magica, che si agitava violentemente di fronte alle creature nemiche che avanzavano, alle fiamme che bruciavano in alcuni punti isolati sull’asfalto della strada su cui erano atterrati, alle lamiere di sabbia -resti del suo ufo- sparse qui e là e al buio troppo fitto, quasi soffocante, che li circondava. Ed infine era corso in alto sui tetti, alla ricerca di un bagliore di luce, un segno.

Qualcuno ha abbattuto il suo ufo.

E Sandy, che aveva una vaga idea di chi fosse l’autore di quel gesto, desiderò che uscisse allo scoperto.

Senza ordine alcuno, sabbia dorata accarezzò dolcemente i palmi delle sue mani, tramutandosi nelle sue fidate e letali fruste.

E con un fluido movimento delle braccia e un secco crack, Sandy spedì le propaggini di sabbia contro i primi due incubi che si ritrovò davanti.

Le creature non ebbero nemmeno il tempo di reagire al colpo che il colore del loro manto sbiadì, ed i loro corpi mutarono, perdendo consistenza e dissolvendosi, lasciando uno spazio vuoto nel cerchio che li circondava.

June, ancora parzialmente sotto shock dopo la caduta, sussultò nel notare l’espressione quasi feroce che si dipinse sul volto di Sandman.

C’era una ragione precisa per cui, chiunque conoscesse anche solo vagamente il Custode dei Sogni, stava sempre bene attento a non rovinare il suo lavoro, far male a suoi amici, ai bambini e con tutto questo a non farlo arrabbiare.

Perché quando Sandy era infuriato, nessuno poteva dirsi al sicuro.

- S-Sandy…? – al sentire la voce leggermente tremante di June, Sandy si voltò.

June, giusto. La ragazzina doveva andarsene, allontanarsi dallo scontro. Ma la cosa che li aveva abbattuti era ancora là fuori, probabilmente aspettava nelle tenebre fitte il momento buono per attaccare. June doveva rimanere sotto la sua protezione fino a cessato allarme. La sua espressione si ammorbidì, e le lanciò uno scherzoso occhiolino per rassicurarla.

Oh, non ti preoccupare. Dammi il tempo di prenderli a calci, e goditi lo spettacolo.

June annuì debolmente, e si strinse l’arco, miracolosamente rimasto intatto dopo la botta presa contro l’asfalto, al petto.

La maggior parte degli Incubi si avventò su Sandy in gruppo, circondandolo. Il Custode dei Sogni sfoderò un piccolo ghigno combattivo, prima di rispondere alla violenza con la violenza.

June dal canto suo non era intenzionata a lasciar correre. Dopo un primo spavento preso a causa di un secondo gruppo di Incubi –notevolmente più piccolo di quello che aveva attaccato Sandy- che aveva cercato di aggredire anche lei, e l’aver così scoperto che la sabbia che pochi istanti prima le aveva impedito di morire schiantandosi al suolo ora la stava proteggendo dalle feroci zampate degli esseri come una specie di scudo, decise di andare a dar manforte.

Si alzò in aria leggera come una foglia, e caricò il suo arco.

Sandy si ritrovò ad aver problemi tenere a bada le creature. Erano relativamente deboli, ma il loro numero compensava la loro forza, e lo velocità con cui si muovevano e colpivano era notevole. Erano troppo rapidi.

Aveva evocato la sua sabbia fin da subito, trasformandola in pesci, falchi ed altri animali sia acquatici che aerei capaci di grandi velocità, un autentico esercito in miniatura di creature del Sogno con le stesse capacità degli Incubi freccia. Sandy spedì i nuovi rinforzi contro il nutrito gruppo che si accaniva da ogni parte, ottenendo l’effetto di disperderli.

Ma non durò a lungo.

Dopo il primo momento di panico, nel quale gli Incubi si erano separati come un branco di pesci di fronte ad un predatore, il gruppo nero e grigio si era riformato e, nonostante l’impietoso assalto dei piccoli Sogni, aveva ripreso l’aggressione con ferocia duplicata.

Ci sapevano fare, concesse Sandy.

Meglio andarci pesante subito, altrimenti qua si fa mattina. E non gli piaceva perdere tempo.

In quel uno degli Incubi prese coraggio e approfittò della distrazione del Custode dei Sogni.

Sandy ebbe appena il tempo di voltarsi.

Non riuscì nemmeno ad alzare le sue fruste per proteggersi che l’essere gli esplose davanti, spargendo scintillante sabbia nera ovunque.

Sandy strabuzzò gli occhi, poi alzò lo sguardo.

- Hah. Non crederai davvero di potermi lasciare lì a fare da tappezzeria, vero? – ghignò June abbassando l’arco ed estraendo un’altra freccia. Sandy alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, poi sorrise.

Tu non ascolti mai quello che i grandi ti dicono di fare, vero?

June fece finta di pensarci su: - Hmm.. no, non credo. Non puoi dare ordini agli spiriti liberi come la sottoscritta! – ghignò.

‘Alle teste di legno come la sottoscritta’ volevi dire.

June, che aveva approfittato dei pochi secondi di pausa per scoccare altre due frecce, non vide la battuta di Sandy: - Eh? –

Lascia perdere.

Gli Incubi ripartirono alla carica. Anche Sandy aveva approfittato dei pochi secondi di pausa per evocare altre creature dei Sogni, che avevano prontamente formato un’efficace linea di difesa.

Il pensiero di Sandy tornò per un istante alla cosa che aveva abbattuto il suo ufo.

E se…

Non ebbe il tempo di pensarci, che sentì June gridare. Di nuovo.

E, prima ancora di voltarsi, sentì un dolore lancinante penetrargli la spalla destra. Un dolore che si insinuò in profondità nella carne. Colse con la coda dell’occhio il riflesso di una fredda lama nera, e percepì il fruscio di un pesante mantello blu notte bordato d’oro, il lampo di due file di denti scoperti in un sorriso decisamente sadico.

Gli bastò una sola occhiata dietro di sé, per comprendere che era nei guai.

E che, forse, non ne sarebbe uscito vivo.

*

 

‘Signori, questo non è un allarme. Non è nulla di terribile, nessuna minaccia così imminente da aver bisogno di un pronto intervento. Diciamo piuttosto che è una chiamata a raccolta. Ho bisogno del vostro consiglio e sostegno, amici Guardiani. Dobbiamo organizzarci, non lo stiamo facendo bene come dovremmo. Abbiamo nuove alleanze, ora, dobbiamo saperle sfruttare, pensare ad un piano migliore… ‘

Questo era quel che North avrebbe voluto dire per accogliere i suoi colleghi di lavoro a palazzo. Avrebbe voluto sorbirsi i borbottii e le lamentele dei suoi cari amici, rassicurarli con fare bonario, mostrarsi comprensivo e leggermente pentito di fronte al fatto che in realtà quel che faceva, richiamandoli con l’Aurora Boreale, non era altro che disturbare e ritardare il loro fin troppo impegnativo lavoro e irritare i già fragili nervi di tutti.

Avrebbe preferito tutto ciò, ma quello non era il caso.

Stavolta l’Aurora Boreale significava allarme nel vero senso della parola.

Gli Incubi avevano attaccato il suo palazzo.

Un autentico esercito nero e grigio era emerso dalle ombre improvvisamente dense e serpeggianti, vive, del Laboratorio del palazzo, ed era atterrato su ogni superficie libera riuscisse a raggiungere con le sue miriadi di zampe multiformi ed artigliate, silenzioso, ordinato e in attesa di ordini come un esercito di freddi automi.

Erano atterrati con eleganza tra lo sgomento e le urla degli yeti e lo scampanellio terrorizzato degli elfi in fuga, passeggiando tra i tavoli ingombri di colori, attrezzi e giocattoli in costruzione. Pochi, non trovando dove posarsi, erano rimasti in aria, galleggiando pigramente assieme ai piccoli Incubi freccia che saettavano nervosamente da una parte all’altra della del Laboratorio, incapaci di rimanere fermi. Alcuni, meglio distinguibili dal resto del chimerico, multiforme esercito a causa delle loro sembianze vagamente rettili e delle curiose mandibole che sembravano fatte di lucido metallo nero, avevano avuto l’audacia di salire sul grande globo al centro del Laboratorio, calpestando le lucine con le grandi, lucide zampe artigliate, le fauci nervose che emettevano suoni ticchettanti simili a ingranaggi di un orologio.

North era rimasto senza parole.

Aveva posto delle speciali barriere anti-Incubo attorno al palazzo e molte altre in camere e zone particolarmente sensibili della sua dimora, tra cui il Laboratorio stesso.

Era impossibile per quelle creature penetrare quelle protezioni magiche, si era detto. Era impossibile, perché aveva studiato quei speciali scudi per secoli, li aveva perfezionati, li aveva testati, e sapeva che funzionavano quando venivano posti a protezione di qualcosa.  Erano impenetrabili.

Ma Pitch gli aveva assicurato che quegli Incubi erano molto diversi da quelli che conosceva.

Peccato che North non aveva avuto il tempo di chiedergli delucidazioni.

La battaglia nel Laboratorio e scoppiata come un’esplosione.

Letteralmente.

Come ubbidendo ad un ordine silenzioso, gli Incubi dalle mandibole ticchettanti avevano spalancato le fauci in contemporanea, puntandole in direzioni diverse, sputando una serie di piccole sfere di fuoco ceruleo, che al contatto con le superfici erano esplose con violenza, spargendo detriti, schegge di legno e pezzi di giocattoli ed attrezzi che si erano disintegrati nell’esplosione e coinvolgendo qualche sfortunato yeti nella detonazione.

I sottoposti di North reagirono con rapidità non minore.

North sfoderò entrambe le spade e fermò il primo yeti che gli capitò a tiro: - Mettete in salvo elfi e attrezzature. Usate le palle di neve. – ordinò a voce alta per sovrastare il caos e le urla dei mostri partiti alla carica, cupo in volto: - Dobbiamo spostare il combattimento all’esterno, o qua ci distruggono tutto. Diffondi gli ordini. –

Lo yeti gridò qualcosa in assenso nella sua lingua, e si affrettò a correre all’armeria del palazzo, spargendo la voce a tutti coloro che incrociava strada facendo. Pitch, che si trovava a pochi passi dietro North, si fece da parte, allontanandosi dallo yeti che gli rivolse una mera occhiata astiosa, troppo preoccupato per dedicargli più di un briciolo della sua attenzione. L’Uomo Nero si mordicchiò il labbro inferiore e il suo sguardo percorse rapidamente il soffitto, i vari piani di cui era composto il Laboratorio, il globo su cui gli Incubi sputafuoco si erano tranquillamente seduti, osservando il caos scatenato come degli spettatori annoiati, la nuvola di mostri che si era improvvisamente alzata in aria ed era partita all’attacco e l’altrettanto rapido ed organizzato contrattacco mosso dagli yeti che oltre a frecce, balestre, lance, daghe, spade tirate improvvisamente fuori da chissà dove e qualche catapulta di dimensioni ridotte di ignota origine stavano facendo un ampio uso di incantesimi sia di attacco che di protezione, rispondendo al fuoco con tutto il loro impegno e coprendo i compagni intenti a mettere in salvo elfi e attrezzature oppure far scomparire alcuni Incubi attraverso i luminosi portali creati dalle sfere di neve.

Evocò la sua falce, pronto più a difendersi che ad attaccare, la mente momentaneamente occupata da un solo pensiero: data la situazione, era decisamente il caso di svignarsela, con buona pace degli accordi stretti solo poche ore prima con il padrone di casa.

*

Nonostante il caos più totale, gli Incubi sapevano esattamente a chi dare la priorità.

Molti infatti avevano individuato e attaccato North senza troppi preamboli, coinvolgendo anche Pitch nella battaglia.

E l’Uomo Nero si ritrovò così a dover parare fendenti di artigli provenienti da dovunque, e schivare fauci zannute che nel giro di pochi secondi avevano provato ad assaggiarlo almeno tre volte. Quando si ritrovò a sbattere con la schiena contro una superficie dura per un istante temette di essere già stato messo al muro.

- Hoi, Pitch! Sono felice che tu abbia deciso di tenere fede all’accordo! – esclamò il muro con accento russo. Pitch impiegò un solo istante per guardare dietro di sé –il che gli costò una zampata da parte dell’Incubo aggressore, due conseguenti tagli sull’avambraccio e un imprecazione a denti stretti- e scoprire che quello che credeva essere un muro era in realtà soltanto la schiena di North.

- Non vedevo l’ora. – ringhiò, riuscendo finalmente ad abbattere l’avversario con un pesante fendente dall’alto che l’Incubo non vide arrivare. Ne vide un altro raggiungerli: non sembrava puntare verso di lui, ma volava rasente al suolo, rappresentando così un bersaglio perfetto per la sua arma.

Facendo perno con il polso della destra ruotò nuovamente la falce, facendola passare dietro di sé e guadagnandosi un grido spaventato di North, e lasciò che le sua arma mutasse, assumendo una forma più sottile e allungata, con una lama più affilata che tagliò l’essere a metà, i cui pezzi precipitarono diversi metri dietro di lui per poi ritrasformarsi in scintillante sabbia nera sul pavimento danneggiato dai colpi e dal fuoco.

- …Volevi tagliare anche me?! – esclamò la voce di North dietro di lui. Pitch si voltò, un sopracciglio alzato: - Si. – disse secco, senza scomporsi. – Non mi stare tra i piedi. –

 - Non ci contare troppo. – ghignò l’altro, per poi alzare una delle sciabole e compiere con essa un perfetto semicerchio in aria e lasciare che la lama si abbattesse sul fianco dell’avversario che aveva tentato di colpirlo alle spalle. – Shurik! – gridò poi a uno yeti poco distante, non meno impegnato dei suoi compagni e del suo capo nella difesa del palazzo:

- …Quanto ci vuole a mettere tutti al sicuro?!

Lo yeti rispose a gesti, ma il messaggio fu chiaro lo stesso.

Avevano dei problemi.

*

Quando Calmoniglio tirò fuori il muso dalle sue gallerie per poter finalmente annusare la gelida aria aperta del Polo Nord, era già malconcio. Come aveva intuito, gli Incubi lo stavano aspettando giù per le gallerie, e lui si era ritrovato costretto a sigillarne molte, aprirne altre e compiere un giro lunghissimo per evitare l’ululante orda nera che lo inseguiva. E si era ritrovato a combattere in spazi ristretti, troppo per i suoi gusti, al punto che in molti punti aveva temuto di rimanere ucciso, o catturato, o che la galleria crollasse addosso a lui e ai suoi nemici a causa delle vibrazioni della battaglia. Ma le gallerie, forti della magia di Calmoniglio, avevano resistito, e il Pooka, grazie alle sue doti combattive, il fatto che i suoi nemici raggiungevano al massimo la taglia media e parecchia fortuna, era sempre riuscito a sfuggire.

E quando era finalmente riuscito a sfuggire a quell’inferno sotterraneo, il passaggio si era chiuso dietro di lui senza lasciar uscire nessuno, e le sue zampe avevano finalmente percepito il morbido, pungente gelo della neve, Calmoniglio aveva sperato che i suoi guai fossero finiti lì.

Non era così.

L’illusione di essere finalmente al sicuro era durata appena qualche secondo.

Poi al suo fine udito erano giunti gli echi della vicina battaglia, e il suo pelo si era rizzato al percepire lo spostamento d’aria causato dagli enormi mostri neri che volavano alti e rapidi sopra di lui, diretti nella sua stessa identica direzione.

Calmoniglio alzò lo sguardo.

Il cielo azzurro era solcato dalle spettrali onde cangianti dell’Aurora Boreale e punteggiato da centinaia, migliaia di grossi Incubi che volavano in cerchio intorno al palazzo, sempre più bassi, simili a condor che circondavano una carcassa abbandonata.

- Oh, ma voi state scherzando! – ringhiò ancora senza fiato, estraendo di nuovo i suoi boomerang e preparandosi ad andare a dare manforte.

*

Appena fuori dal palazzo, il già stanco Pooka aveva avuto la fortuna di trovare un valido compagno di rissa: Jack Frost. Pur non mostrandolo apertamente, Calmoniglio non si era mai sentito più felice di vedere lo Spirito del Gelo.

- Quanto tempo, Coda di cotone! Mi sei mancato! – rise Jack, continuando a parare la schiena del compagno a suon di raggi congelanti. Dovevano entrare nel palazzo e raggiungere gli altri, ma gli Incubi li avevano inchiodati sul posto, e li stavano costringendo a rimanere sulla difesa.

- Beh, tu nemmeno un po’, peste. – gridò Calmoniglio in risposta. Frost rise - Oh, certo. Lo sai che le bugie hanno le gambe corte, Puffoniglio? E comunque... – Calmoniglio percepì le gelide dita del suo compare intrecciarsi sul pelo della sua schiena e tirare con forza il porta-boomerang di pelle, il tutto seguito da un violento strattone e un sottile e gelido braccio che gli cinse la vita, sollevandolo da terra.

- …Vedi quei grossi bestioni laggiù che corrono a darci il benvenuto? Ci useranno come stuzzicadenti se restiamo qua a perdere tempo. -

Calmoniglio si trattenne all’ultimo secondo dall’emettere un grido molto poco virile e afferrò con forza il polso del braccio che lo teneva stretto, lasciandolo a penzolare a un paio di metri da terra. Jack ghignò, e si lanciò a rotta di collo in volo all’interno del palazzo.

La cavalleria sta arrivando, ragazzi!

*

Il caos presente all’esterno del palazzo sembrava raddoppiare all’interno agli occhi di Jack e Calmoniglio. Ovunque si andasse, non sembrava mai esserci abbastanza spazio anche solo per riuscire ad abbattere gli Incubi che li inseguivano spuntando da ogni dove, e i due si ritrovarono a cercare di scansare e sfuggire alla meno peggio i nemici che li tallonavano.

Incrociarono North per puro caso in una delle sale secondarie al Laboratorio: gli Incubi sputafuoco, dopo aver passato un gran quantità di tempo ad osservare lo spettacolo che si svolgeva sotto i loro occhi, erano finalmente entrati in azione appiccando il fuoco al Globo e scatenando numerosi incendi ed esplosioni nel Laboratorio, facendo crollare un paio di piani dello stesso, per poi alzarsi in volo e dividersi, diretti verso gli edifici secondari del palazzo. Gli yeti avevano cercato di limitare i danni con scudi ed incantesimi di assorbimento delle fiamme, ma erano stati respinti dai nemici in altre zone, ed infine messi alle strette.

Era ora di ritirarsi.

Dovevano fuggire tutti, perché quel luogo si era trasformato in una trappola, con fiamme cerulee e fumo nero che si alzava da ogni dove, rendendo l’aria calda e irrespirabile ed indebolendo parecchie travi.

Fu allora che Jack si accorse che qualcosa non andava.

- Dove sono Dentolina e Sandy? – gridò all’improvviso a North, il primo a portata d’orecchio. Ma la sua voce, sommersa dal frastuono e dalle grida, non raggiunse l’uomo.

- NORTH! – gridò il giovane, ottenendo stavolta l’effetto desiderato.

- …COSA? –

- DOVE SONO DENTOLINA E SANDY?! – North si bloccò, colpito dalla domanda. Jack lo guardò con fare interrogativo.

Dentolina e Sandy.

Ora che l’omone ci pensava, finora non aveva colto il rassicurante scintillio dorato della sabbia di Sandman e delle sue creature oniriche, né le grida di battaglia e il bagliore rosato dei colpi magici scagliati dalla fata dei dentini. Né gli yeti avevano accennato ad alcuna forma di rinforzo da parte degli altri Guardiani, prima dell’arrivo di Jack e Calmoniglio.

E gli era sembrato che ci fosse qualcosa di strano. Che mancasse qualcosa.

Che mancasse qualcuno all’appello.

North abbassò uno sguardo sconvolto su Jack, forzando la bocca a muoversi. Come aveva fatto a non accorgersene?

- Non li ho visti… - disse. Jack notò lo sgomento dell’uomo e, preoccupato dalla risposta, volò a porre la stessa domanda a Calmoniglio e gli yeti.

Poi, approfittando del momento di pausa dato dagli sforzi congiunti di Calmoniglio, di Jack e degli yeti, impegnati a mantenere un momentaneo scudo con la parvenza della capacità di tenere lontani gli aggressori mentre North era rimasto impegnato ad abbattere chi era rimasto intrappolato all’interno e stava ancora tentando di attaccarli, l’omone venne colpito da un altro pensiero, e si guardò rapidamente attorno, corrugando la fronte:

…e dove accidenti è finito Pitch?

*

Filerà tutto liscio. Certo. È un piano perfetto. Certo. Niente può andare storto. Oh, c’è da scommetterci.

Pitch digrignò i denti, furioso, maledicendo per l’ennesima volta l’Uomo sulla Luna, i Guardiani e tutto ciò che rappresentavano.

Aveva tentato di fuggire.

Gli era sembrato un obiettivo tutt’altro che difficile da raggiungere, la libertà, considerando il fatto che sia il suo aguzzino, North, che i suoi scagnozzi yeti erano tutti occupati da faccende ben più pressanti quali il salvataggio del palazzo e delle proprie pellicce, impegnati nel sempre più disperato tentativo di respingere un nemico che non accennava a cedere di un passo. Non era stato affatto difficile tramutarsi in ombra e sgusciare via attraverso una delle crepe createsi nei muri dei corridoi, approfittando del momento di confusione causato dal parziale crollo del Laboratorio, quando gli Incubi, ampiamente soddisfatti del danno fatto, erano nuovamente partiti alla carica alla ricerca di qualcos’altro da demolire, travolgendo tutto quello che incontravano nella loro corsa, avversari in fuga compresi.

Pitch era scivolato nelle fitte ombre presenti tra le sottili fessure delle crepe senza che nessuno se ne fosse accorto, per poi emergere e ritornare in forma solida in uno degli stretti corridoi laterali, non troppo lontano da dove si trovavano North e gli altri.

Quel corridoio era deserto, e presentava una quantità preoccupante di crepe. Probabilmente una palla di fuoco o due sparate dagli Incubi sputafuoco avrebbero causato abbastanza vibrazioni da far crollare quella parte di palazzo, pensò l’uomo. Ma non se ne curò più di molto, aveva altro di cui preoccuparsi: stava per andarsene da quel girone infernale.

O almeno così aveva sperato.

Sebbene quello dell’Oscurità fosse un territorio al momento popolato di nemici, aveva deciso di correre il rischio e tentare di smaterializzarsi dal palazzo attraverso il suo elemento.

Non ci era riuscito.

Appena scivolato nel limbo nero che era il regno delle Ombre e che gli permetteva di raggiungere ogni luogo in cui vi fosse oscurità, aveva trovato qualcosa che aveva ostacolato il suo cammino.

Una barriera. Un muro.

La scoperta gli aveva causato un brivido freddo lungo la schiena.

Che cos’è? Si era chiesto l’Uomo Nero, tirando un pugno rabbioso alla barriera misteriosa, sentendo un’indesiderata scintilla di paura accenderglisi dentro.

Chi aveva bloccato le sue ombre? E come aveva fatto?

Non ebbe il tempo di provare a sbloccare il passaggio con qualche contro incantesimo o la sua falce che il filo dei suoi pensieri venne bruscamente interrotto da lontane grida strozzate, probabilmente appartenenti ad Incubi che si stavano spostando da un punto all’altro del mondo. Barriera o non barriera, Incubi o non Incubi, non era una saggia idea rimanere lì, perciò Pitch decise di girare sui tacchi e riemergere.

Almeno ora non era più tra le grinfie di North, pensò quando alle sue orecchie giunse nuovamente il frastuono dei combattimenti che ancora infuriavano, reso ovattato dallo strano silenzio che aleggiava nel corridoio deserto, e alle sue narici arrivò l’acre odore di fumo e legno bruciato, mescolato al vaghissimo sentore di spezie e sangue, e i suoi occhi registrarono nuovamente la fastidiosa luce serale che filtrava ancora dalle finestre del palazzo, rimbalzando tra le pareti e illuminando il corridoio. E sebbene fosse ancora bloccato nella dimora di North, adesso poteva cercare di risparmiarsi ulteriori combattimenti e ferite evitando i nemici…

Poi Pitch si bloccò, corrugando la fronte. Gli era tornata in mente un cosa che North stesso gli aveva detto, nemmeno molto tempo fa:

Lo scudo anti-Incubi. Black storse il naso in espressione disgustata, ricordando le parole dell’uomo, una per una.

‘Non è possibile! Quello scudo l’ho creato apposta! I tuoi Incubi non lo possono attraversare!’ ecco cos’aveva detto. Pitch si sentì bruciare dentro dalla rabbia.

…Quel babbeo si era stupito del perché gli Incubi sono riusciti ad entrare nonostante la sua barriera… ecco chi ha bloccato l’uscita da qui! North, questa me la paghi con gli interessi!

Doveva tornare dal Guardiano della Meraviglia e costringerlo a spezzare l’incantesimo, e poi spaccargli il cranio come ringraziamento.

Tuttavia, si ritrovò costretto a mettere tutti i suoi pensieri di gratitudine da parte quando sentì un tonfo sospetto fuori da corridoio, seguito da una strana serie di gorgoglii rochi di quattro Incubi piuttosto grossi che fecero capolino nel corridoio, prima di decidersi ad entrare. Apparentemente il destino ha deciso recidere definitivamente il già sottile filo della sua pazienza, si disse Pitch. Digrignò i denti ed evocò la sua sabbia nera, pronto a ritramutarsi in ombra e tornare da dove era venuto.

O, pensò evocando anche la falce, se le cose si fossero messe proprio male, a massacrare chiunque avrebbe osato intralciare il suo cammino.

Poi, qualcosa di piccolo e freddo gli pungolò la schiena, costringendolo a voltarsi di scatto.

Qualunque espressione Pitch Black stesse indossando in quel momento, venne lavata via, sostituita da un espressione leggermente basita. Davanti a lui, una Crysis dall’espressione vagamente sorpresa gli stava puntando contro la sua spada di cristallo nero.

- Sei vivo… - mormorò a mezza voce.

Pitch a malapena vide il labiale delle parole pronunciate dalla donna, così come a malapena vide il fluido movimento della stoccata che lo seguì.

Diritto al cuore.

*

La sabbia nera, guidata più dall’istino di autoconservazione che dalla coscienza vera e propria, reagì prima di tutti gli altri sensi di Pitch. Rapida come un lampo si portò al suo petto, interponendosi tra la lama e la pelle scoperta dello sterno, come uno scudo. Pitch non riuscì a comprendere cosa stesse succedendo quando sentì il colpo affondare, la sua mente non aveva il tempo di processare le informazioni che riceveva. Quando, a causa del colpo incassato finì a terra come una bambola di pezza, si aspettò soltanto di percepire un dolore lancinante, e le forze che rapidamente venivano meno.

E infatti sentì dolore. Ma era il dolore dei polmoni schiacciati dalla pressione del colpo e della schiena che batteva violentemente contro il pavimento di legno scheggiato, non della lama che affondava nella cassa toracica.

La falce gli sfuggì di mano, atterrò poco lontano. Pitch rimase a terra, senza fiato e senza riuscire a capire, ma il suo cervello riprese a lavorare a scatti quando sentì il piede dell’avversaria schiacciargli la cassa toracica, e i suoi occhi colsero lo scintillio della lama nera puntata alla sua gola.

La sua mente si permise di rimanere vuota per un altro istante soltanto, il necessario a rendersi conto si essere stato mandato a terra da Crysis. Rendersi conto del fatto che in quello stesso attimo la donna stava nuovamente alzando la spada, stavolta per staccagli la testa dal resto del corpo.

Poi, la rabbia esplose incontrollabile.

- …Io ti ammazzo! – ringhiò, evocando fulmineo una lunga lama nera che usò per deviare quella che stava per abbattersi sulla sua gola. In un lampo, altra sabbia nera comparse in un flusso magico attorno a lui, buttandosi sull’avversaria, ma Pitch non ebbe il tempo di ordinarle di avvolgere e bloccare Crysis che quest’ultima di dissolse, lasciando solo un leggero fumo ad aleggiare nell’aria.

Pitch saltò in piedi, ed evocò altra sabbia a coprirlo, fluttuandogli intorno in continue volute multiformi, simile ad un’armatura mobile. Si guardò rapidamente intorno alla ricerca dell’avversaria, richiamando la falce. Fece appena in tempo a ricomporre l’arma che percepì un leggero movimento dietro di sé e, voltandosi di scatto, parò il fendente che quasi si abbatté sulla sua testa.

- Ammetto che ti credevo più forte, re… - sibilò Crysis; - Il fatto che tu sia vivo e sia qui significa che ti sei alleato con i tuoi nemici giurati, o sbaglio?… credevo che avessi ancora un po’ di onore. – ruotò la spada, in modo che la punta ricurva dell’arma si incastrasse sull’asta della falce e tirò, ma Pitch, che aveva riconosciuto la sua stessa mossa, lasciò dissolvere la parte incastrata in modo da non perdere la presa.

La mossa non prese minimamente Crysis di sorpresa. Approfittando della forza cinetica accumulata dalla pesante spada di cristallo, Crysis tentò un’altra stoccata, ma questa venne nuovamente evitata.

Pitch saltò spasmodicamente all’indietro, evitando i continui e sempre più rapidi fendenti. Sapeva che era stupido combatterla, soprattutto ora che era circondata dai suoi Incubi. E doveva ucciderla, ma il problema era riuscirci senza venire a sua volta ucciso nel tentativo.

Doveva lavorare di testa. Approfittò del buio per cercare di guadagnare un po’ di terreno sull’avversaria, allontanarsi ulteriormente da lei.

Ma dissolversi in ombra e tentare la semplice fuga non sarebbe servito, perché anche Crysis aveva l’abilità di smaterializzarsi, e non era ostacolata né da luce, né da ombra, né da scudi magici. E aveva Incubi che si sarebbero prontamente gettati all’inseguimento di Pitch, se avesse provato a scappare.

Era meglio tentare di confonderla, decise, continuando ad indietreggiare, senza tentare un contrattacco vero e proprio.

A corridoio finito, con la coda nell’occhio colse l’ambiente che lo circondava. Alla fine era tornato nel Laboratorio, solo per trovarlo ridotto ad un campo di battaglia più devastato di come lo aveva lasciato. L’enorme ringhiera che circondava quel piano era stata buttata giù, e buona parte del piano stesso era crollata, causando danni ai piani sottostanti. Giocattoli, detriti e qualche daga spezzata giacevano a terra, il fuoco bruciava un po’ dappertutto, allargandosi, rendendo l’aria calda e irrespirabile, e le grida degli Incubi –ormai lontani da quel luogo, dispersi in altre zone del grande palazzo- echeggiavano ovunque in una cacofonia assordante, dandogli la soffocante sensazione di essere circondato, cosa non molto lontana dalla realtà.

Crysis avanzò di nuovo. Si smaterializzò, riapparendo al suo fianco e tirò un altro fendente dal basso con il piatto della spada.

Pitch, preso in contropiede, poté fare ben poco a parte incassare il colpo, piegandosi in due dal dolore. Ma era ancora all’erta, e riuscì ad evitare il secondo fendente che andò a segno esattamente dove meno di una frazione di secondo prima c’era la sua testa.

Inciampò quasi nei suoi stessi piedi nel tentativo di allontanarsi dalla donna, una mano stretta sull’addome dolorante, imprecando a denti stretti. Almeno aveva avuto la prontezza di riflessi per schivare.

Sarebbe stato difficile pensare ad un efficace piano di fuga con il cranio fracassato, altrimenti.

Osò guardarsi rapidamente intorno e, nel notare il cerchio di nulla che accoglieva la struttura di ferro e legno che componeva la base del Globo, ormai crollato e ridotto ad una carcassa semidemolita, gli venne in mente un’idea che a mente più lucida avrebbe escluso a priori.

Ma la sua mente non era affatto lucida in quel momento, e non aveva né forza per combattere come avrebbe voluto, né Incubi a sostenerlo nella sua battaglia, e nemmeno altre possibilità.

Perciò, in quel momento il pensiero gli parve quasi logico.

È ora di tornare all’elemento, ora di fare scempiaggini come ai bei vecchi tempi. Disse una vocina sarcastica nella sua testa. 

…Cioè come sempre.

Pitch digrignò i denti, evitando l’ennesimo fendente, continuando ad indietreggiare ad ampi passi. Il suo piccolo piano doveva funzionare.

Quando, poco prima, si era immerso nelle Ombre, non aveva controllato le limitazioni imposte dal muro creato da North. Non sapeva se quello scudo gli impediva semplicemente di uscire dal palazzo, permettendogli però di trasportarsi da un parte all’altra dello stesso, oppure gli precludeva persino quest’ultima possibilità.

E, mentre contava mentalmente i metri rimanenti al baratro oltre la ringhiera crollata, schivando alla meno peggio e parando i restanti fendenti, si ritrovò segretamente a pregare nella prima delle due.

Crysis sorrideva in maniera quasi maniacale, notò. Aveva anche una gran quantità di graffi sul volto e, per quanto gli dispiacesse, non era stato Pitch a procurarglieli. C’era anche qualche taglio e strappo sul pesante mantello e sull’abito blu notte, di cui uno sottile ma evidenziato da un’ampia macchia di sangue scuro. Chissà chi aveva avuto il piacere di ferirla, si chiese vagamente.

Sembrava quasi che si stesse divertendo. Che tutto quello fosse una sorta di gioco. Non l’aveva mai notata, quella strana luce nei suoi occhi.

Persino gli Incubi che avevano bloccato la sua strada si erano fatti indietro, come a lasciare tutto il divertimento alla loro regina. E li circondavano e li seguivano come ad osservare lo spettacolo, silenziosi.

Un altro passo, e Pitch sentì un freddo vento proveniente dal basso accarezzargli la schiena sudata e solleticargli il tallone teso, come se stesse sfiorando una sorta di limite.

Crysis sorrise, fermandosi. Quel riflesso sanguinario fece nuovamente capolino sulle sue iridi nere.

Anche Pitch sorrise, e fece forza sul piede teso.

La corrente ghiacciata che lo accolse nella caduta libera gli sferzò la spina dorsale in maniera quasi dolorosa, ma a Pitch dette una gioia immensa.

Era quasi fatta. Doveva solo sciogliersi nelle ombre, ed era finita…

Concentrato com’era nel suo piano di fuga, l’Uomo Nero non notò Crysis dissolversi nuovamente in nebbia, né badò agli Incubi che si erano buttati in caduta libera al suo inseguimento. Questo finché la mano pallida della donna non gli afferrò il polso sinistro fasciato di tessuto nero, strattonandolo con violenza, e un dolore orribile gli penetrò nella spalla sinistra, in fondo, troppo in fondo, tra il muscolo trapezio e l’ascella, accompagnato da un sinistro crack in corrispondenza della clavicola.

Pitch urlò, e Crysis diede un altro strattone al polso intrappolato, piantando la larga lama della pesante spada ancora più in profondità.

Ma apparentemente non riuscì a fare altro, perché il sottile posto tra le sue dita perse rapidamente consistenza, tramutandosi in ombra, così come fece il suo proprietario. L’ultima cosa che le rimase impressa prima di vedere l’oscurità quasi totale della base del Globo fu l’espressione di Pitch, contratta dalla sofferenza.

E le piaceva.

*

Pitch batté violentemente la spalla destra contro la barriera magica, e cercò di rialzarsi più in fretta possibile reggendosi ad essa, disorientato. Il muro, notò distrattamente, era stranamente inclinato in quel punto.

Il movimento improvviso gli causò un leggero capogiro, ma non vi badò. Un dolore intenso irradiava dalla spalla sinistra, e non sentiva più il braccio. Ma non aveva tempo per pensarci.

Gli Incubi erano già dietro di lui, troppo vicini per permettergli di perdere tempo.

Doveva tornare da North.

Concentrati…

Evocati dalla sua stessa volontà, tentacoli di sabbia nera si arrampicarono lungo le sue caviglie, prima di trascinarlo in basso, diretto verso il corridoio da cui era inizialmente fuggito.

Funzionava, gioì l’Uomo Nero. Ma non era finita, non era quella la sua destinazione.

In nel regno delle Ombre Pitch non era in grado di vedere, nessuna creatura né della Luce né delle Ombre poteva, ma poteva percepire ogni cosa l’Oscurità fosse in grado di toccare.

Individuare quella voce rimbombante e quell’accento russo fu questione di un attimo.

…Non fate gli stupidi e andatevene! Io sistemerò tutto in fretta e vi raggiungerò subito!

Te lo scordi, North, non possiamo lasciarti da solo, non dopo questo! Si era aggiunta la voce di Jack, e un frammento di panico raggiunse i sensi di Pitch. Il Guardiano era spaventato, e molto. Lo erano tutti in quel punto del palazzo.

Riemerse, seguito a ruota dagli Incubi, appena un passo dietro di lui.

Non fu la più teatrale delle sue apparizioni: non riuscì nemmeno ad atterrare in piedi, finendo malamente faccia a terra, mente i suoi inseguitori, nello slancio della corsa, erano letteralmente saltati fuori dalle ombre, causando più di un grido spaventato.

- …Pitch! – lo raggiunse il grido di North. L’interessato non si preoccupò nemmeno di alzare la testa per rispondere.

Sentì le grida e i colpi di Jack, Calmoniglio e forse qualche yeti poco lontano che stavano abbattendo i nemici, poi un’ombra oscurò la luce sopra di lui, accompagnata da un ringhio. Rialzò di poco la testa, e il ringhio venne sostituito da un breve guaito e un tonfo sordo che fece vibrare il pavimento di legno, e la voce di North parlò di nuovo: - Pitch! –

La grossa mano dall’omone si strinse attorno al suo braccio destro, tirandolo su a sedere contro una fredda parete e strappandogli un gemito.

- Stai bene?! –

Pitch fu costretto a sbattere le palpebre parecchie volte prima che la sua vista riuscisse a mettere a fuoco il volto -peraltro troppo vicino per i suoi gusti- barbuto di North che lo fissava, sudaticcio, pallido e tirato in una smorfia preoccupata. Aveva qualche macchietta si sangue sulla barba candida

- …A meraviglia. – disse l’altro in tono sarcastico. Da quando parlare era diventato così difficile, si chiese. – Me la sono cavata soltanto con due fratture scomposte, credo, non ti preoccupare. –

- Che ti è successo? Dov’eri finito? – continuò l’altro, notando la ferita alla spalla e posizione anomala del braccio sinistro.

Pitch scosse debolmente la testa, prima di tirarsi via dalla stretta dell’omone con un piccolo strattone.

- Togli lo scudo. – disse soltanto, senza fiato. North lo guardò  confuso.

- …Che? –

A quella risposta, Pitch rialzò lentamente lo sguardo e lo puntò sul Guardiano, sentendo la rabbia salire di nuovo, rapida come la marea.

- Lo scudo magico. Quello che hai posto a protezione del palazzo. – ripeté a scatti – Toglilo. –

North corrugò le sopracciglia, confuso, mentre Jack e Calmoniglio, dietro di lui, si scambiarono un’occhiata. Poi capì, e scosse la testa: - Non adesso. Tu te ne vai con noi. –

- Perché?! – l’altro lo ricambiò con una strana occhiata, il che mise al limite estremo la già sottile pazienza di Pitch, e poi gli puntò un dito sulla spalla ferita.

- Tu vuoi scappare adesso. – disse, serio - Ma se lo fai, voglio sapere come riuscirai a mettere a posto quella. Aspetta un attimo, dobbiamo recuperare alcuni dei miei ragazzi che sono rimasti bloccati, e ce ne andremo tutti insiem-  – ma le sue parole vennero interrotte da una mano cinerea che gli agguatò il bavero del cappotto, strattonandolo con sorprendente forza.

- TUTTO QUESTO È COLPA TUA! –  gli urlò in faccia Pitch, sentendosi esplodere. Non sapeva nemmeno per cosa esattamente. Se era per la rabbia, per il panico, per le forze che lo stavano abbandonando, per l’ossigeno che sembrava essere improvvisamente troppo poco indifferentemente da quanto profondi fossero i respiri che tirava, per il fatto che Crysis fosse là fuori e che in questione di minuti avrebbe trovato sia lui che North che Jack e tutti gli altri e li avrebbe massacrati a colpi di spada, o semplicemente per quello stupido, zuccheroso altruismo tipico dei Guardiani che conosceva fin troppo bene e che aveva sempre odiato con l’anima.

Non lo sapeva, ma sicuramente era molto efficace sui suoi nervi.

- …TUTTO.  Da questo stupido attacco al fatto che la tua casa ora stia bruciando e che probabilmente avrai perso metà dei tuoi compagni. – ringhiò, il viso a pochi centimetri dal volto dell’altro – Ora. Togli quel dannato scudo prima che decida di fare quello che hanno cercato di fare tutti quegli Incubi là fuori nelle due ore precedenti: strapparti a morsi la giugulare. –

North sbarrò gli occhi a quella minaccia, tirandosi leggermente indietro. Qualcosa, probabilmente l’espressione quasi animalesca dell’Uomo Nero, gli diceva che quella non era una minaccia a vuoto. Poi, dietro di lui, intervenne la voce di Calmoniglio.

- Fa’ come dice. – disse il Pooka avanzando di due passi zoppicanti, i lineamenti induriti in un’espressione di disgusto, lo sguardo puntato su Pitch: – Lascialo andare, il codardo. – disse sprezzante. North esitò, il suo sguardo corse tra il Guardiano e l’Uomo Nero, ma decise di fare come detto. Ormai c’era poco da fare.

Jack lo vide alzarsi lentamente, poi allontanarsi di qualche passo e avvicinarsi ad un muro verso il quale tese una mano e mormorare qualcosa sottovoce. Sulla parete percorsa da qualche crepa, evocate dalla formula, comparve un gran numero di cerchi magici verdi e dorati, dagli intricati, ondulati disegni mobili, che si espansero rapidamente e spedirono sottilissimi fili bicromici lungo il muro ed oltre, estendendosi per tutto il palazzo e in una porzione dello spazio aereo circostante. Al contrario di Jack, Calmoniglio non si lasciò distrarre dall’opera di North.

- Ti direi di tornartene a casa, Black… – disse all’improvviso il Pooka, una nota pericolosa nella voce. Jack, intuendo la tempesta imminente, si avvicinò al compagno e gli posò una mano sulla spalla, stringendola in segno d’avvertimento. Aveva visto davvero troppa violenza per quel giorno per dover assistere anche alle esplosioni di rabbia di Calmoniglio.

- Calmoniglio… stai. Tranquillo. – disse in tono d’avvertimento, sbarrandogli il passo in modo che l’altro fosse costretto a fissare lo Spirito del Gelo dritto negli occhi. E Calmoniglio fissò quelle iridi color ghiaccio con rabbia, senza realmente vedere, poi posò una zampa sul petto del ragazzo e lo spinse rudemente di lato.

– …Ma non ce l’hai più. – continuò, come se non fosse stato interrotto. - Quindi scappa più in fretta che puoi e scegliti un letto comodo sotto il quale crepare. Magari uno col tappeto sotto, per stare più comodi. – sputò, rabbioso. Per un terribile istante Jack temette che l’altro stesse per buttarlo a terra e andare a suonarle all’avversario già al tappeto, ma i suoi timori si rivelarono infondati. Calmoniglio si limitò a ghignare con disprezzo, poi alzò le zampe e si fece indietro, lo sguardo puntato dritto sul giovane. – È tutto quel che avevo da dire. Tranquillo, Jack. –

- Grazie, sacco di pulci. – disse Pitch, incolore – Belle parole, sono toccato. –

- Prego, ti voglio bene anch’io. Oh, non sai quanto. – rispose il Pooka in tono sarcastico. Notò North voltarsi e tornare verso i tre con espressione cupa. Lo scudo era stato disattivato.

- Ora, visto che avevi tutta questa fretta, facci un favore: sparisci. –

Pitch ghignò, poi scosse la testa e chiuse gli occhi, allungò lentamente una mano verso le ombre, sentendosi sprofondare lentamente in esse come in sabbie mobili, e cercò.

Cercò lampi di paura, il panico e l’adrenalina del combattimento, e poi cercò i loro proprietari. Alcuni combattevano, altri erano intenti a mantenere scudi magici, altri ancora erano a terra, feriti, protetti fino all’ultimo respiro dai loro compagni esausti. La quasi totalità era composta da yeti, ma c’era anche qualche elfo disperso, nascosto sotto un vaso rovesciato o blindato in qualche piccolo ripostiglio polveroso. Sentì una nuova ondata di terrore attraversare tutti, causata dall’irruzione di altri Incubi che avevano approfittato del crollo dello scudo.

Ne approfittò.

La sua sabbia strisciò infida attorno alle caviglie di tutti coloro che aveva rintracciato e strinse in una morsa ferrea, trascinando in basso.

Gli arrivarono anche le grida dei Guardiani e i due yeti che si trovavano con lui.

- PITCH, TU, VERME! – urlò Calmoniglio. Ma Pitch si limitò a riaprire gli occhi e ghignare, sentendo il panico del Pooka aumentare più di quello di tutti gli altri.

- Reggetevi. Quando c’è traffico le ombre sono sempre turbolente. –

Si sentì sprofondare del tutto, accompagnato dalle urla di sorpresa e spavento degli altri.

*

Andati.

Quando Crysis ricevette la notizia del fatto che i Guardiani, e gli yeti, e qualunque altra forma di vita se n’era improvvisamente andata dal palazzo, risucchiata in un misterioso vortice di sabbia nera, Crysis si era limitata a fare un mezzo sorriso.

Aveva scatenato tutto quel putiferio per niente.

Era arrivata fino al Polo Nord per niente. Aveva scatenato quella guerra per uccidere North e schiacciare i suoi sottoposti e il suo palazzo, e aveva fallito.

O no.

In fondo, pensò vagamente, si era divertita, e aveva scoperto che Pitch è vivo, il che era qualcosa di decisamente controproducente: probabilmente i Guardiani ora sapevano delle Creature Senza Nome.

Ovviamente gliel’ha detto. Si disse, pensierosa.

Ma, aggiunse, nonostante questo aveva comunque da festeggiare.

Aveva catturato due Guardiani quel giorno, aveva trovato le sue memorie, e aveva conquistato il palazzo di North, anche se non i suoi abitanti.

Alzò lo sguardo, e venne accolta dalla visione della grande, luminosa Luna, che con la sua luce sembrava quasi sfidarla. Le sorrise.

- Mi hanno detto che ti chiami Manny, è così? – le chiese, senza ricevere risposta - Non ti crucciare. Arriverò anche da loro. E arriverò anche a te, tranquillo. -  

Poi riabbassò lo sguardo: – Rubate armi, libri, e qualunque oggetto utile o prezioso riusciate a trovare. – ordinò all’Incubo che le aveva portato la notizia.

- …Poi bruciate tutto. Voglio vedere questo luogo ridotto in cenere. –

 

 

 

-+-

Sarò onesta: non so voi, ma francamente io, quando Pitch usa le sue ombre per spostarsi, immagino che abbia una specie di quarta dimensione tutta per sé. Una dimensione in cui il nostro omino nero non può vivere ma solo usare come specie di taxi, ed eventualmente buttarci qualche oggetto caro a qualcuno che poi non viene mai ritrovato. Cioè, sapete le borsette di noi fanciulle, che se vogliamo ci ficchiamo l’impossibile? Ecco, la teoria di base è (forse) la stessa. O almeno credo.

Tornado al capitolo, ammetto di non essere soddisfatta. Il blocco dello scrittore ha fatto un ottimo lavoro, cioè mi ha fatto scrivere un pessimo capitolo.

Ugh.

Okai, la pianto con le lamentele, so di essere noiosa. Ho un sacco di storie/capitoli/one shots che aspettano di essere recensite. All’incirca 45673920346539[…]098776. Spero che siano tutte.

*Silver out, dandosi all’ippica come raccomandato da tutti*

(Tra parentesi, si, Crysis è una piromane.)

  
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