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Autore: kiara_star    27/06/2013    6 recensioni
"Occhi nocciola, labbra morbide, un’ombra triste. Jane era anche questo, oltre ad una donna sempre in attesa di un fulmine.
Bruce era un medico e un uomo che divideva il cuore con un mostro e, come lei, in attesa di una pace."
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[Personaggi: Bruce Banner; Jane Foster]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Bruce Banner/Hulk
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In attesa Storia decisamente strana, lo so, e neanche troppo sensata.
Dedicata a Callie_Stephanides perché lei, inconsapevolmente, mi ha fatto innamorare ancora di più di questi due personaggi che trovo similissimi fra di loro, nelle loro insicurezze e nel loro essere fondamentalmente degli outsider. Spero di essere riuscita a scrivere del suo Bruce senza offenderla troppo.
Per chi non conoscesse Jane, è la donna amata da Thor con il volto di Natalie Portman e che in The Avengers viene mostrata durante il dialogo fra Thor e Coulson. Ma sì, lo so che lo sapevate.
Comunque questa è una Bruce POV per cui anche gli ignari possono buttare l’occhio.
1000 parole tonde perché ho ancora un po’ di decenza, ma soprattutto perché questo principalmente è un tronco da cui vorrei partire per creare una storia più lunga che sarebbe poi a tutti gli effetti una, udite, udite:  Bruce/Jane.

Post-The Avengers
Thor/Jane;   Bruce/Betty;   Bruce/Jane [a libera interpretazione.]

Grazie a chiunque avesse voglia di leggerla.
kiss kiss Chiara.






In attesa


Non ricordava l’ultima volta che aveva dormito in un letto, l’ultima volta che si era fatto una doccia, l’ultima volta in cui aveva messo il naso fuori da quel laboratorio.
Era ottobre, o forse no, magari era già dicembre. Non aveva avuto modo di vedere Central Park troppo affollata e troppo colorata.
Si stropicciò gli occhi da sotto le lenti e poi le sistemò sul naso.
C’era quasi? No, non avrebbe mai trovato una soluzione per quanto a lungo l’avesse cercata. Non si sarebbe mai liberato dell’altro.
Tony diceva che conviverci era sbagliato ed accettarlo l’unica via di uscita, se poi riesci a mandare via quel culone verde, diceva, tanto di guadagnato.

Lo S.H.I.E.L.D. gli aveva messo a disposizione un laboratorio fornito, ottimi colleghi e tutti i finanziamenti di cui avesse avuto bisogno per completare la sua ricerca. Bruce riusciva a vedere le manette d’acciaio attorno ai suoi polsi nonostante la foschia dorata. Chi ha vissuto in una gabbia per anni, riconosce più facilmente l’odore del chiuso, eppure in gabbia, quasi si sentiva più tranquillo.
Non posso fare del male a nessuno qui. L’altro dormirà.
Digitò altri dati ed altri dati ancora mentre la porta alle sue spalle si apriva con un soffio gelido.
«Sei ancora qui?»
«Devo ricontrollare dei calcoli.»
Quando Jane si avvicinò quasi si spostò più in là, quel brandello di dignità, sapeva bene, puzzava anche troppo di sudore.
Ma Jane era una donna di scienza. Jane non badava alla sua camicia che aveva ormai quattro giorni, non badava alla schiuma da barba che gli era rimasta sotto l’orecchio. Jane conosceva cosa volesse dire avere una testa quadrata ed un cuore troppo tondo.
«Sono le tre di notte, Bruce. Potresti riposare qualche ora.»
«Più tardi... forse.»
Le dita avevano ripreso a battere veloci sulla tastiera. Gli occhi allo schermo, l’orecchio teso verso il suo sospiro muto.
«Da quant’è che non dormi?»
Aveva stirato le labbra per comodità e le aveva lanciato una fugace occhiata. «Ho dormito.»
«Certo, qui, su quella sedia insieme a un mal di schiena, immagino.»
Gli aveva strappato un breve risolino. Lo sguardo sempre fisso su quella lunga catena di numeri.
«L’importante è farlo, non dove. Non credi?»
Occhi nocciola, labbra morbide, un’ombra triste. Jane era anche questo, oltre a una donna sempre in attesa di un fulmine.
Bruce era un medico e un uomo che divideva il cuore con un mostro e, come lei, in attesa di una pace.
Jane vedeva quel fulmine una volta ogni tanto, Bruce quella pace non era ancora riuscito a scorgerla. Forse era meglio così, perché quando il lampo svaniva lei diveniva ancora più triste.
Se non ne conosci il sapore, sebbene l’attesa distrugga, non lacera il cuore come il ricordo.
Bruce era anche un codardo, aveva detto Tony, uno che avrebbe inseguito una vita invece di vivere quella che aveva.
Tony non avrebbe potuto capire, Tony era semplicemente Tony. Un uomo in lattina, un uomo che andava preso a piccole dosi. Questo lo aveva pensato anche l’altro, per una volta, Bruce era stato d’accordo con lui.
«Credo che Fury ti stia cercando.»
«Ah si?»
«In corridoio, stava bevendo un caffè.»
Il rumore dei tasti cessò e le sue labbra sorrisero ancora.
«Brutto segno...» Quando Fury beveva caffè, non c’era mai da stare tranquilli. L’ultima volta che aveva preso del latte macchiato, Destino aveva quasi trasformato Chicago in un buco nero.
Si poggiò con le spalle alla sedia girevole prendendo un lungo respiro, nel mentre Jane leggeva distrattamente i dati allo schermo.
«Che ne pensi?»
«Dammi un cielo e ti dirò dove finisce, ma non ho idea di cosa ci sia qui sulla Terra.»
«Nulla di troppo interessante, presumo.»
Solo allora aveva visto il bicchiere di carta fra le sue mani. «Lungo e senza zucchero.»
«Grazie.»
Bruce aveva poche persone nella sua vita per cui valesse la pena continuare a cercare una chiave, se non ne avesse avuta più nessuna, tanto valeva lasciare che l’altro venisse fuori.
Betty era la prima fra tutte. Betty aveva una famiglia bellissima a Portland ed una bambina di nome Emily con due occhi color zaffiro.
Aveva una cattedra ed un compagno, aveva una vita che lui non era stato capace di condividere quando lei glielo aveva chiesto in lacrime.
Non aveva rimpianti, Bruce, si diceva felice che adesso lei avesse occhi blu in cui specchiarsi invece di rabbiose iridi verdi.
L’avrebbe sempre amata, il suo cuore tondo sarebbe sempre rotolato accanto a lei.
«Se Fury cerca me, forse cerca anche gli altri.» Era sempre stato una frana nel rapportarsi con le persone, se Tony fosse stato lì in quel momento probabilmente avrebbe roteato gli occhi ed avrebbe mandato giù un Martini.
Anche Jane doveva ritenerlo una frana perché gli aveva sorriso troppo dolcemente e Jane era dolce anche quando stava dando a qualcuno dell’idiota, forse era per questo che Thor si era innamorato di lei.
«Chi lo sa.» Si era torturata le dita con lo sguardo basso, quel sorriso sulle labbra che era una preghiera a un dio difficile da legare.
In una altra vita, Bruce l’avrebbe trovata così perfetta da stargli accanto che si sarebbe stupito di se stesso, in un’altra vita le avrebbe sfiorato il viso e l’avrebbe baciata, in un’altra vita avrebbe buttato giù il caffè e le avrebbe chiesto di accompagnarlo a prenderne un altro.
Ma Bruce aveva perso troppe vite e ne stava ancora cercando una.
Jane, la sua l’aveva donata a qualcuno che ne avrebbe vissute altre cento dopo di lei.
C’era qualcosa di buffo in tutto ciò, ma lui era uno scienziato e le cose buffe avevano troppe variabili e nessuna legge.   
Poggiò il caffè sulla scrivania e tornò a ticchettare sulla tastiera.
«Buona notte, Bruce.»
«Buona notte, Jane... e grazie.»
Quella mano torturata si era posata sulla sua spalla ricurva. «Attento a Fury.»
Le aveva sorriso ed aveva ascoltato i passi allontanarsi, la porta sbuffare ancora, il silenzio di una falsa solitudine abbracciarlo troppo stretto.
Bruce, sciocco.
Nella sua testa, l’altro avrebbe anche riso.





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