Schiavi d’amore
II
Passarono le settimane, e Sophia man mano si ambientò.
Fu solo questione di abituarsi a
prendere ordini e sottostare a qualcuno, perché per il resto era già avvezza
alla vita dei Romani, fin da bambina. La Grecia, infatti, era stata conquistata
da Roma più di due secoli prima ed era divenuta provincia, importando le
istituzioni dei vincitori. Quella conquista, però, non aveva comportato uno
scambio a senso unico. Roma, infatti, era rimasta affascinata dalla grande
cultura e dalle bellissime opere d’arte che aveva trovato in Grecia, tanto da
portarle nell’Urbe insieme ai filosofi e ai letterati resi schiavi, come lo
storico Polibio. Come aveva scritto il
poeta Orazio, infatti, Graecia capta ferum victorem coepit; la Grecia,
conquistata, aveva ammaliato a sua volta Roma con la propria arte, il proprio
sapere. (1) Sophia non aveva potuto fare a meno di
constatare quel fatto, anche a distanza di due secoli, e se ne era perfino un
po’ rallegrata; in un ambiente permeato di cultura natia, infatti, sentiva meno
la nostalgia di Atene.
Col passare del tempo, si era convinta che
il Fato era stato benevolo nei suoi confronti; la famiglia a cui ora
apparteneva era una buona famiglia patrizia e la trattava bene. Il senatore
Tito pian piano aveva potuto constatare le sue capacità e aveva iniziato a
ricredersi sulla propria idea iniziale, mentre Lucio continuava a mostrarsi
gentile con lei, forse per timore che tradisse il patto di segretezza che
avevano stipulato. Sophia infatti continuava ad
aggirarsi per la domus
insonne e Lucio a rientrare furtivamente, ed era inevitabile che si
incrociassero. Infine Appio e Camilla, i due fratelli minori di Lucio ai quali
insegnava il greco, si erano perfino affezionati a lei, e quel loro sincero
affetto riempiva la sua giornata. I momenti che passava con loro erano quelli
che preferiva, perché poteva tornare a parlare la propria lingua madre e
narrare loro i miti con i quali il padre l’aveva cresciuta. Nel rammentare il
genitore provava sempre un po’ di nostalgia, ma lo sentiva anche più vicino,
perché il dolore dovuto alla sua dipartita aveva lasciato posto alla dolcezza
dei ricordi dei momenti trascorsi insieme.
Lo stesso non si poteva dire per i
ricordi che riguardavano il marito, però. Quelli continuavano a fare male, e
perciò li aveva relegati nell’angolo più oscuro e remoto della propria mente,
in modo da rammentarli il meno possibile.
Doveva solo dimenticare, se voleva
ricominciare a vivere.
Era quasi la fine di Settembre, e
l’estate cominciava a languire per lasciare il posto all’autunno.
Sophia stava iniziando a trovare requie nel sonno, e le notti a
girovagare per la domus
in cerca di frescura stavano iniziando a diminuire.
Non era però il caso di quella notte;
la ragazza si trovava infatti seduta su una panca di marmo, nel giardino,
quando udì dei passi pesanti dietro di sé. Si voltò e vide Lucio, il cui volto
era paonazzo e gli occhi lucidi e un po’ arrossati.
– Dominus?
Va tutto bene? – chiese dunque, un po’ spaventata. Non l’aveva mai visto così.
– Per niente – rispose il ragazzo,
prendendo posto accanto a lei. Non appena aprì bocca, Sophia
dovette trattenersi dal fare una smorfia di disgusto, dato che emanava una gran
puzza di vino.
– Sei ubriaco? – gli domandò dunque,
giungendo alle dovute conclusioni.
– Solo un po’ alticcio, purtroppo. Per
mia sfortuna reggo bene il vino e mi risulta difficile ubriacarmi del tutto,
sai? Ho bevuto finché non ho finito i soldi che avevo portato con me – rispose
Lucio, con voce strascicata. A dispetto di ciò che pensava, doveva essere molto
brillo, non solo alticcio.
Sophia scosse la testa, evitando di farsi troppe domande sul
perché Lucio volesse bere fino a ubriacarsi. Non erano affari che la
riguardavano, eppure, non capiva bene perché, le dispiaceva vederlo in quello
stato. Avrebbe dovuto gioire nel vedere così il proprio padrone, tuttavia
riusciva solo a rammaricarsene, forse perché, alla fine, era sempre stato
gentile nei suoi confronti. Era giunto il momento di ricambiare quella
cortesia.
– Ti accompagno nella tua stanza – si
propose dunque, alzandosi. – Hai bisogno di una bella dormita.
– Ma io non voglio dormire! – protestò
Lucio, ma inutilmente. Sophia lo aveva infatti già
issato in piedi tirandolo per un braccio. Per fortuna, il ragazzo era alto e
magro, dal fisico asciutto, e quindi non aveva fatto troppa fatica. Al
contrario di…
No! Non doveva ricordare; doveva
ricacciare quei pensieri nell’angolo più remoto della propria mente, come aveva
imparato a fare.
– Assurdo – borbottò Lucio. – Sto
prendendo ordini da una mia schiava.
Piano piano, Sophia lo condusse nel suo cubiculum e lo aiutò a mettersi a
sedere sul letto.
– Ora me ne vado a dormire – decretò. –
Dato che sei solo alticcio, confido che riuscirai a spogliarti da solo. Resta
qui, mi raccomando. Confido nel tuo buonsenso, dominus. Sarai anche solo alticcio ma sei parecchio rumoroso ed è una
fortuna che nessuno si sia svegliato. Non tentare troppo la sorte, però. Di
certo non vuoi che tuo padre si svegli e ti trovi in questo stato, vero?
Quelle parole dovettero bastare a
convincere Lucio, perché non proferì più verbo e si limitò ad annuire, a occhi
bassi.
– Buonanotte, dominus – lo salutò quindi Sophia, prima
di sparire oltre la soglia. Era certa che per quella sera non avrebbe combinato
disastri, per cui poteva dormire sonni tranquilli.
– Buonanotte – borbottò di rimando
Lucio, prima di rimettersi in piedi. Con gesti goffi e impacciati per via dello
stordimento dovuto al vino, si spogliò di ogni abito a eccezione del subligaculum e si
buttò sul letto, sdraiandosi su un fianco. Chiuse gli occhi, ma così gli parve
che tutta la stanza gli girasse attorno, per cui si sdraiò di schiena e tutto
smise di vorticare. Doveva però rimanere immobile, perché ogni minima mossa gli
dava la sensazione di trovarsi a bordo di una nave in balia di una terribile
tempesta. Non era certo quello l’intontimento che aveva agognato di
raggiungere, nel tentativo di ubriacarsi.
Sospirò. Sarebbe stata una lunga notte.
Il giorno dopo, Sophia
si trovava nel tablinum
del senatore Tito, che si era recato in Senato. Col passare delle settimane, si
era guadagnata la sua fiducia, tanto che l’uomo le aveva dato il compito di
occuparsi del proprio studio, quando lui non era presente.
Stava sistemando alcuni rotoli su uno
scaffale, quando con la coda dell’occhio vide un’ombra allungarsi sul
pavimento, verso di lei. Si voltò verso la soglia e vide Lucio, in penombra.
– Dominus
– lo salutò, con un lieve abbassamento del capo. – Come stai? – gli chiese poi,
ricordandosi come fosse ridotto la sera prima.
– Ho un gran mal di testa – rispose il
ragazzo. – Ma una bella passeggiata me lo farà passare, credo. Vuoi unirti a
me?
Sophia rimase spiazzata da quella richiesta. – Veramente devo
sistemare qui…
– È già tutto in ordine, non vedi? –
ribatté Lucio, con un sorriso. – Vieni con me, dai.
– Ma… - provò
a ribattere Sophia, ma subito venne zittita da Lucio
che le chiese, canzonatorio: - Te lo devo ordinare?
A quel punto la ragazza annuì, e
insieme a Lucio uscì dalla domus e lo seguì in direzione del Campo Marzio. Non sapeva
bene cosa dire, né come comportarsi. Fortunatamente, fu lui a trarla
d’impiccio, prendendo per primo la parola.
– Mi dispiace che tu ieri sera mi abbia
visto in quello stato – esordì. – Ero fuori di me. Ero sconvolto…
E lo sono tutt’ora.
– È successo qualcosa di grave, dominus? – domandò Sophia,
preoccupata. Alla luce del sole, poteva vedere le nere e profonde occhiaie che
gli solcavano il viso e gli incupivano i begl’occhi castani. Lucio aveva detto
di essere sconvolto, e lo era, si vedeva benissimo. Il motivo rimaneva per lei
un mistero.
A quella domanda, Lucio sospirò. – Non
esattamente – rispose. – Non so da dove cominciare.
Sospirò nuovamente, affranto. – Sarà
meglio partire dall’inizio. Forse, parlarne mi farà stare meglio – decretò
infine, rivolto più a se stesso che a Sophia. – Come
hai avuto modo di notare, esco, o meglio uscivo, spesso durante la notte. Mi
recavo nella dimora di una matrona con la quale intrattenevo una relazione.
L’ho conosciuta ad un banchetto, un anno fa… È una
donna sposata, quindi mi ha da subito raccomandato di essere discreto e così ho
fatto. Sei la prima persona con cui ne parlo, Sophia.
La ragazza sapeva di doversi sentire
onorata di ricevere quella confessione, ma tutto quello che riusciva a provare
era un gran dispiacere di cui ignorava l’origine.
– È andata avanti così per qualche mese… Mi recavo da lei per… Beh,
diciamo che i nostri incontri erano incontri galanti – proseguì Lucio, un po’
imbarazzato. – Ma ecco che ieri, quando stavo per tornare a casa, lei mi dice
di non tornare più. Mi ha confessato di essersi annoiata di me e, quella
puttana!, di essersi già trovata un altro giovane amante. Mi sono sentito
ferito nell’orgoglio, così me ne sono andato e mi sono recato alla taberna più
vicina per bere fino a stordirmi, per dimenticare. Il resto lo sai già.
Sophia non fu molto sorpresa da quel racconto. Fatti come quello
erano all’ordine del giorno in ogni parte dell’Impero, ma ancora di più a Roma.
Specialmente tra le famiglie patrizie, erano rari i matrimoni d’amore. Il fine
primario di un’unione era quello di portare prestigio alla famiglia di
appartenenza e di perpetuare l’albero genealogico generando dei figli, perciò
era normale che il marito o la moglie o addirittura entrambi cercassero amore
al di fuori del vincolo coniugale. Certo, col tempo l’amore poteva nascere
anche all’interno di un matrimonio, ma era più frequente il contrario. L’unica
cosa che si raccomandava era la discrezione, per non gettare disonore sulla
famiglia di provenienza. (2)
– Mi dispiace, dominus – si limitò a dire Sophia. Temeva
che, aggiungendo altro, avrebbe potuto offenderlo o farlo innervosire, per cui
preferì restare in silenzio.
– Dispiace anche a me – ribatté Lucio,
con un sospiro. – Da un lato dovevo aspettarmelo…
Sapevo che non era una relazione che avrebbe avuto un futuro. Insomma, ho
ventisei anni… E mio padre ha già fatto accordi per
il mio matrimonio da tempo, non speravo certo che la mia amante divorziasse (3)
dal marito per sposare me! Però, ecco… Avrei
preferito essere io a troncare la relazione. Mi sento usato. E alla fine è
così: sono stato usato e poi gettato via perché non più di suo gradimento! –
sbottò, serrando le mani a pugno.
– Scusa se mi permetto, dominus – esordì Sophia,
senza più riuscire a trattenersi. Le ultime parole di Lucio le avevano dato da
pensare. – Ma non capisco. È il tuo cuore ad essere ferito, o il tuo orgoglio?
Lucio aggrottò le sopracciglia,
pensieroso. Sospirò e scosse la testa, affranto. – Mi hai dato un ottimo spunto
di riflessione, Sophia. Non lo so nemmeno io. Non
riesco a capirlo. La ferita è ancora troppo fresca per essere esaminata –
rispose infine. – Torniamo alla domus, ti va? Sembra che il mal di testa sia passato.
Sophia si limitò ad annuire.
Per tutto il tragitto di ritorno, lei e
Lucio rimasero in silenzio; il ragazzo era immerso nei propri pensieri e
probabilmente aveva già iniziato a riflettere sulla domanda che Sophia gli aveva posto, e la ragazza era pervasa da una
strana malinconia che non riusciva a comprendere.
Durante la notte, Sophia
fu colta da un’improvvisa rivelazione che spiegava perfettamente la causa del
suo malessere, e la portata di quella scoperta fu tale che si mise subito a
sedere, prendendosi la testa tra le mani.
Provava qualcosa per Lucio.
Suo marito era morto da nemmeno un anno
e lei già si ritrovava a provare dei sentimenti per un altro uomo. Era
disgustata da se stessa.
Nel viaggio da Atene a Roma, aveva
giurato a se stessa che non avrebbe mai più ceduto all’amore di un uomo.
Sarebbe diventata una schiava e non sarebbe stata più padrona di nulla, nemmeno
dei propri sentimenti. Sapeva bene, infatti, che per sposarsi gli schiavi
dovevano chiedere il permesso al loro padrone e che eventuali figli nati dalla
loro unione avrebbero potuto essere venduti. Tutto stava nelle mani del dominus, come sempre.
Sophia aveva già sofferto troppo, perciò aveva voluto creare una
barriera intorno al proprio cuore. Una barriera che però Lucio, senza saperlo,
era riuscito ad infrangere e senza che lei se ne rendesse conto. Era stata
troppo impegnata a non dare troppa confidenza agli altri schiavi, forse, per
accorgersi che ne stava dando troppa a Lucio. E gliene aveva data talmente
tanta che lui quel giorno aveva deciso di confidarsi con lei riguardo i propri
affanni.
Iniziò a piangere, in silenzio. Era da
tanto che non versava più una lacrima, e da un lato fu liberatorio, ma
dall’altro non risolse i suoi problemi. Il sentimento che provava per Lucio
restava. E terribile era la consapevolezza di essersi imbarcata in qualcosa più
grande di lei, in un amore impossibile per il proprio dominus, in una situazione senza via di uscita.
Di nuovo si ritrovò a chiedersi perché
non fosse morta anche lei, assieme a suo marito.
Arrivò l’inverno, e fu rigido.
Lucio si riprese dalla propria
delusione amorosa, e questo fu anche grazie a quella passeggiata con Sophia, che gli aveva fatto capire che il proprio malessere
era dovuto più al proprio orgoglio ferito che non al proprio cuore spezzato. Le
ferite che aveva subìto erano due, ma la più grave era stata inferta all’amor
proprio di Lucio, che in breve dimenticò tutto.
Con l’arrivo della brutta stagione, i
problemi d’insonnia di Sophia erano svaniti, e gli
incontri notturni tra lei e Lucio di conseguenza erano cessati. Il ragazzo un
po’ se ne rammaricava e si era ritrovato spesso, di ritorno da qualche
banchetto, a sperare di trovare Sophia in giardino
per poter scambiare con lei due chiacchiere.
Sophia, d’altro canto, fu sollevata dall’arrivo dell’inverno per
due motivi: come prima cosa, perché avrebbe potuto finalmente dormire sonni
tranquilli, e di conseguenza come seconda cosa perché non avrebbe più visto
Lucio di ritorno dalle sue uscite serali. Era infatti convinta che il ragazzo
non avesse perso tempo e si fosse trovato un’altra amante, oppure avesse
iniziato a recarsi nei lupanari per sollazzarsi con qualche prostituta. Non
aveva prove di ciò, ma era un’idea che si era messa in testa per costringersi a
fare i conti con la realtà: lei era una schiava e non poteva provare quel tipo
di sentimento che sentiva per il proprio padrone. Non riusciva nemmeno a
chiamare quel sentimento con il nome che gli spettava, talmente ne era
disgustata e sconvolta.
Per quanto le fosse possibile, cercava
di evitare Lucio il più possibile. Da quel giorno di Settembre in cui lui si
era confidata con lei, infatti, non aveva più avuto occasione di stare da sola
con lui. Da quando si era resa conto di quello che provava, aveva iniziato a
dedicarsi anima e corpo ad Appio e Camilla e agli altri compiti da schiava che
Tito le aveva assegnato e continuava ad affidarle, e li svolgeva con zelo.
Del resto, era l’unico modo per
ricordarsi la propria condizione.
Non era più una donna libera.
Note
(1) Sì, è proprio
così. Spero di aver spiegato bene questa cosa, che ho studiate in tutte le
salse: letteratura latina, storia romana, archeologia classica e storia greca.
Dopo la conquista della Grecia da parte di Roma nel II secolo a.C. (non sto ad
elencarvi le tappe perché sono infinite e noiose), la cultura greca arriva a
permeare quella romana così tanto che lo studioso Paul Veyne
parla di ‘impero greco-romano’.
(2) Tutto quello
descritto in questo paragrafo e in quello prima è ricavato dall’ultimo libro di
Alberto Angela, “Amore e sesso nell’Antica Roma”. Ovviamente lì è spiegato
meglio e in modo più accurato, io ne ho tratto solo ciò che mi serviva per
questa storia.
(3) No, non è un
anacronismo. Il divorzio era una pratica già presente nell’Antica Roma e molto,
molto diffusa. Dimenticate l’infinita burocrazia che abbiamo al giorno d’oggi.
All’epoca, per divorziare, era sufficiente che il marito dicesse alla moglie “Res tuas tibi habeto!” (ovvero “Prendi
le tue cose e vattene!”), o comunque varianti di questa formula, e il gioco era
fatto.
Eccomi
qui anche con il secondo capitolo. Spero vi sia piaciuto^^
Come sempre, vi invito a farmi sapere la vostra e a segnalarmi eventuali errori
e sviste. Ringrazio molto chi ha recensito lo scorso capitolo, chi mi ha
inserita tra le preferite/ricordate/seguite e chi ha letto solamente. Grazie^^
A
presto^^
Sara