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Autore: VexDominil    04/07/2013    1 recensioni
Una scelta è sempre una scelta. Anche se presa per le decisioni sbagliate.
Genere: Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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Perché mi sento così pazzo
Mi sento così arrabbiato
Mi sento così insensibile
Così perso, di nuovo confuso
Mi sento così di poco valore
Così usato, infedele
(Box Car Racer I Feel So)

Il signor T era la prima persona che le era capitata già in gravissime condizioni.

Aveva avuto un infarto e prima di questo molti altri.

A Temi, leggendo la sua cartella clinica, era spuntata un'enorme ruga di disappunto, tanto che l'anziano le aveva chiesto se avesse appena fatto una chirurgia plastica e non servisse a lei, piuttosto, un medico, visto che la faccia stava colando via.

Il signor T non era un uomo gentile, la ragazza se n'era resa conto subito.

In più faceva i capricci, era brusco, non faceva altro che lamentarsi di tutto e tutti, ma il suo passatempo preferito era criticarla.

"Dorme o cosa? La chiamo da tre anni! Cosa stava facendo, un torneo di poker?"

"Questa schifezza non la mangio, la dia ai porci. Per caso l'ha cucinata lei?"

"Questa stanza puzza! Quand'è stata l'ultima sua doccia?"

"Mia figlia, mica come lei. A confronto sembrereste la principessa e la povera. Si occuperebbe di me meglio che una certa specializzanda, ne sono certo. E poi ne sa ovviamente di più, anche se non ci vuole mica molto."

A parte le varie insinuazioni sulla sua igiene personale e la sua abilità culinaria, quello che le dava più fastidio era il fatto che non si rendesse conto che lei non era la sua schiavetta personale e che si stava impegnando al massimo per lui. Come per tutti i suoi pazienti.

Di certo non era per pigrizia che tardava ad arrivare se chiamata, ma per i numerosi ammalati che cercava di curare e che, di certo, non si comportavano come il signor T.

"Ok, non voglio una medaglia al valore, è il mio mestiere, l'ho scelto io. E potrei cambiarlo da un momento all'altro, diventando tipo assassina a pagamento, se mi andasse. Ma non sopporto che i miei sforzi non vengono riconosciuti!"

Questo era il suo pensiero costante, quando entrava in quella camera e il vecchio le sbraitava contro.

E poi, questa favolosa figlia. Lei l'aveva vista una sola volta. In tre mesi di ricovero.

Non poteva negare che fosse molto curata e magari fosse più intelligente e una cuoca migliore di lei, ma di certo, se avesse dovuto occuparsene lei di persona, l' avrebbe sbattuto nel primo ospizio per poi lavarsene le mani per sempre.

Ma questo non lo disse mai. Non era così crudele. Un'altra delle cose che la infastidivano era la sua disobbedienza. Non prendeva le medicine, anzi, fingeva di ingoiarle e poi le sputava.

Una volta che lo aveva scoperto, quello, invece di avere la buona creanza di mostrarsi pentito, se l'era presa con lei, come se fosse colpa di Temi se lo aveva visto fare il suo giochetto.

Ormai andava al lavoro sempre più stressata e irrigidita che mai, perché sapeva che avrebbe dovuto occuparsi di quel maledetto vecchio che odiava, ricambiata ampiamente. Da metà del secondo mese, lo vide sempre più incattivito e sentì la sua tosse, che lei credeva parte del brontolio continuo, peggiorare.

Ebbe un brutto presentimento, così lo costrinse a fare degli esami, che lui non volle assolutamente fare e che lo fecero inveire sempre di più contro di lei.

Gli esiti non furono affatto buoni: si scoprì che aveva un tumore ai polmoni grosso come una noce di cocco.

Ovviamente non si poteva fare nulla per lui.

Ne parlò con dei medici specializzati e le consigliarono delle medicine per fermare almeno il dolore.

Curarlo non si poteva e tanto valeva che quel poco che gli rimaneva della sua vita fosse tranquillo.

Temi pensò di informare lei stessa la famiglia, avendolo curato, perciò telefonò alla super figlia.

"Pronto?"

"Ospedale statale di Egris. La vorrei informare delle condizioni di suo padre."

"E' guarito?"

A Temi sembrò di sentire una nota di delusione, paura e allarme, ma pensò di esserselo sognata.

"No, purtroppo. Ha un tumore ai polmoni e le sue condizione stanno peggiorando di giorno in giorno. Non vivrà a lungo. Mi dispiace."

"Ah."

La ragazza sentì solo questo e dopo un silenzio assoluto, così pensò che fosse caduta la linea.

Non poteva commentare la sempre più prossima dipartita del padre con un monosillabico e privo di espressione "Ah".

"Pronto, mi sente?"

"Sì, sì. Benissimo. Se lo doveva aspettare, in fondo: ha fumato tutta la vita e mica una sigaretta alla settimana.

Casa sua sembrava una fumeria d'oppio per il fumo e la puzza."

Si vede che poteva, visto che la sua voce era sempre uguale, liscia come la neve.

"Quindi la volevamo solo avvertire, nel caso che lei lo volesse vedere prima della sua scomparsa."

"Certamente! Qual è l'orario di visite?"

Temi la informò e si stupì alquanto di questo slancio di affetto filiale.

Ma poi la vide andare da suo padre con in mano dei fogli. E la mano della donna che sorreggeva quella del vecchio, come per aiutarlo a scrivere.

"Brutta puttana."

Temi si girò di scatto, spaventatissima per colpa di quel sibilo malefico, ma si tranquillizzò: era solo Norge, apparsa come al solito all'improvviso.

"Quanto scommetti che quello è un testamento?"

"Nulla, perché so che hai ragione. Che miseria."

"In realtà gli sta sol bene avere una figlia così. Dopo tutto, ti tratta da cani e anche peggio. Non sai quante volte ho avuto la tentazione di dargli il dosaggio sbagliato. Se avessi saputo che era così malato, lo avrei fatto sul serio. Almeno si sarebbe spento prima. E ora te ne dovrai occupare a tempo indeterminato."

"Ma se gli rimane poco da vivere!"

"I medici dicono tutti così. Ma scusa, tu non ti ricordi di quella tizia, quella con il cagnolino? Anche lei aveva un tumore ma, non si sa come, è guarita, e i suoi figli le stavano già vendendo la casa! Dimmi tu, se non ho ragione."

Temi abbassò il capo.

E' vero: i tumori sono inaffidabili, compaiono e scompaiono senza motivo.

Però le dispiaceva per il signor T: di certo la figlia avrebbe sperperato tutti i soldi senza nemmeno fare un pensierino al suo povero padre.

In quel momento capì che non poteva farlo morire da solo, come un cane, anche se si odiavano e lei avrebbe avuto dei motivi validi per ballare sulla sua tomba.

Fortunatamente per i suoi buoni propositi, il paziente si fece sempre più debole e si impegnava di più per tenere gli occhi aperti che per insultarla.

Qualche volta Temi gli portava del cibo dall'esterno, tanto stava già morendo, non gli avrebbe fatto di certo peggio un gelato o un pezzo di pizza. La fissava sempre male e sembrava sempre che stesse per sbottare con un "Mi vuole avvelenare, per caso?", però si vedeva che stava cercando di difendere la sua fama e non voleva essere compianto da lei. Sapeva di stare per morire. Stava lì con lui e passava più volte in quella stanza per vedere le sue condizioni, tant'è che il compagno di stanza del signor T le chiese scherzoso se si fosse innamorata di lui. Lei gli fece solo un sorriso tirato.

Quando era peggiorato rapidamente, alla fine del secondo mese, tanto da dover essere nutrito via vena, Temi era stata preoccupatissima di perderlo, come se fosse un suo famigliare a cui era molto legata, mentre era solo un paziente rompiscatole all'ennesima potenza.

Così un giorno, avendolo visto più tempo addormentato che sveglio, aveva deciso di rimanere lì quell'ultima notte.

Perché lei lo aveva intuito, il signor T non avrebbe mai visto altro che quelle tristi pareti e i suoi macchinari che stentavano a tenerlo in vita ancora.

A fine turno, invece di andare a casa, si era messa su una sedia nella camera del suo paziente, dicendo al compagno di stanza che aveva avuto il compito di tenerlo sotto osservazione, solo quella notte.

L'uomo aveva scosso la testa e le aveva detto di divertirsi, con il suo ragazzo.

L'altro allora si era svegliato e aveva brontolato contro di lui, lei e il mondo intero, ma si notava che era molto sottotono e che il brontolio era una pallida imitazione delle sue catilinarie, famose in tutto l'ospedale.

Il quasi medico e l'altro malato si erano guardati e si era verificato un caso di lettura del pensiero: tutti e due sapevano che domani sarebbe stato più freddo del marmo.

Però Temi restò lì, lesse un po', sia silenziosamente che ad alta voce, quando vedeva che il signor T era sveglio e lo serviva in tutte le maniere possibile e immaginabili.

L'altro paziente si era rassegnato alla nottata insonne e ascoltava volentieri la lettura.

Sembrava simpatico e non le aveva mai detto nulla di male. Ormai divideva così i pazienti: quelli gentili e quelli rompiscatole.

Lei si chiese da quale malattia fosse stato colpito, era entrato nello stesso periodo dell'altro, ma non se n'era mai occupata. "O preoccupata." Pensava, ma di certo non aveva avuto un periodo facile. Ora stava finendo, però non nel modo in cui avrebbe voluto lei. Nel mondo perfetto lui, dopo essere stato curato, sarebbe uscito dall'ospedale con le sue gambe e subito dopo, mentre attraversava la strada, sarebbe stato investito da un autobus. Morto stecchito, avrebbero scritto nel suo referto.

Purtroppo non era stato così e si sentiva troppo in colpa: avrebbe dovuto fare quegli esami prima, avrebbe dovuto capirlo dalle dita e dai denti che era un fumatore, avrebbe dovuto dire alla figlia di venirlo a trovare più spesso, avrebbe dovuto essere più gentile...

Troppi condizionali. Non lo era stata, non aveva fatto queste cose e ormai era tutto inutile pensarci su in questo modo.

Il signor T era morto alle quattro meno un quarto e le sue ultime parole erano state "Stupida ragazzotta."

Di certo la malattia e la vicina morte non avevano cambiato il suo savoir-faire.

Temi si diede della stupida: cosa pensava di fare, rimanendo tutta la notte sveglia a vegliare un vecchiardo di quel genere? Voleva un'assoluzione da cosa?

L'altro paziente la guardò mentre completava la scheda di dipartita e la guardava stendere un lenzuolo sul corpo, poi andò in bagno, portandosi dietro le sue flebo. Fra poco lo avrebbe portato in obitorio e avrebbe telefonato alla figlia. "Almeno qualcuno sarà contento." Questo pensiero amaro le fece male e si chiese se qualcuno avrebbe provato la stessa cosa per la sua morte.

Mentre era così sconsolata e portata al suicidio, entrò Norge, la prese per le spalle e la scosse.

"Che cavolo stai facendo qui ora?" Era senza dubbio inferocita: chissà cosa avrebbe pensato la gente se un medico si fosse trattenuto tutta la notte, come sembrava, nella camera di un paziente. Favoritismi o, peggio, avvelenamento.

"E'... è... è morto." Temi era shockata dalla comparsa dell'infermiera.

"Chi, quel vecchio bavoso fumatore rompiballe? Finalmente!"

Norge era molto decisa e di certo non compativa nessuno che non se lo meritasse secondo i suoi personalissimi canoni.

"Scusa, non sei contenta? Te lo sei tolto di torno e, anche se avesse continuato a vivere, sarebbe stata una sofferenza continua per lui."

"Ma è morto!" Temi era isterica: non capiva come l'altra potesse essere così cinica e indifferente. Il signor T era morto e lei gioiva!

L'infermiera la guardò malissimo e con tutta tranquillità continuò a parlare.

"E allora? Sai quanta gente muore qui in ospedale? Un mucchio! E se dovessi fare queste scenate come te ogni volta che un mio paziente spira, sarei la regina di Broadway, stanne certa! Ora, portalo via, dagli l'estrema unzione o quel che vuoi, poi dimenticatelo. Non è nemmeno colpa tua se era un vecchiaccio fumatore del piffero che non faceva altro che trattarti male. Adesso obbediscimi."

La guardò con un luccichio duro negli occhi. All'infermiera piaceva Temi, non aveva ancora quell'alterigia dei medici ed era tenera. Troppo per quel posto.

Una piccola luce di comprensione iniziò a inondare il delirio mentale di Temi. L'altra aveva ragione: non era umanamente possibile essere tristi e addolorati per tutti e c'erano persone che lo meritavano di più che il signor T. Docile, chinò la testa e mormorò un assenso.

Norge, sempre battagliera come al solito, fece un cenno brusco e la aiutò a mettere il cadavere nella barella, poi continuò il suo giro, dandole un frettoloso e forte abbraccio. Temi si avviò verso l'obitorio e iniziò a richiamare alla mente tutti i soprusi e le microespressioni di dolore del dipartito e si ritrovò a pensare che stava meglio di sicuro dove si trovava ora, dove certo lo avrebbero servito come voleva o gli avrebbero dato una lezione come si deve. Quando tornò nella camera del signor T l'altro paziente la salutò sorridendo. Lei si sedette su un angolo del letto e gli chiese cosa avesse. "Leucemia." rispose semplicemente.

Temi lasciò la stanza perché stava iniziando il suo turno, presa dai suoi pensieri, e non ci ritornò più. Quando tempo dopo ci passò accanto, vide delle infermiere rifare il letto di quel tizio e capì che era morto anche lui. Le si strinse il cuore in una morsa sconosciuta, perché non conosceva nemmeno il cognome di quel paziente.

Da quel giorno Norge e lei divennero molto amiche, perché non si possono fare certi discorsi senza diventarlo e senza provare un senso di protezione e gratitudine una verso l'altra.

Dall'esperienza e dal tempo Temi capì di non poter sopravvivere nell'ospedale se non avesse considerato i suoi pazienti un po' meno umani e simili a lei, ma degni delle migliori cure che lei potesse dare loro.

Solo che il suo cuore non aveva ancora appreso bene la lezione e tendeva a dimenticarsene, ferendosi in continuazione.




Angolo dell'autrice che ha avuto dei giorni da incubo e che in questo momento è serissima.
Ciao a tutti!
Come vi sembra questo capitolo?
Si capisce di più la personalità di Temi?
Avete fatto delle ipotesi sul nome del signor T?
La risposta è... che è quella lettera è l'iniziale di θάνατος, morte in greco antico. In quello moderno non so.
Questo capitolo è stato postato in fretta, così è probabile che ci siano errori, sviste e varie, soprattutto con i termini medici. Segnalatemeli pure!
L'html l'ho dovuto fare a forza di copia&incolla, perciò perdonate la mia povera anima dannata anche per questo.
Continuate a seguirmi e commentate: rispondo ancora a tutti!;D
Vex

  
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