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Autore: Meahb    05/07/2013    2 recensioni
Lou è una ragazza come tante. Johnny è un uomo come pochi.
I loro destini si incrociano dando vita ad una storia di paure, negazioni, fughe e ritorni e, soprattutto, amore. Quell "amor che muove il sole e le altre stelle", di cui tutti, almeno una volta nella vita, hanno sentito parlare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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GIMME SHELTER





Salve a tutti! Quella che vi accingete a leggere, più che una storia, è uno strano esperimento che mi è uscito fuori di getto stanotte. Mentre bazzicavo in un forum americano, mi sono imbattuta in questo strano gioco chiamato “Sevenspell”: all'autore vengono dati sette titoli intorno ai quali costruire una storia che abbia un minimo di senso compiuto. Ora, non so se questa storia abbia un senso compiuto, ma spero che riusciate a vederci qualcosa di buono.

E' la mia prima storia in questa sezione, quindi non siate troppo cattive!



Con questa storia chiaramente non intendo offendere Johnny Depp, né chiunque abbia la fortuna sfacciata di conoscerlo. L'ho solo preso in prestito per sognare un po'!







Sevenspells” set:

1. Sing the blues

2. Look over there

3. Cold hands, cold feet.

4. Violin

5. Did you see what I did?

6. Tomorrow is something we remember

7. A drinking song



















*Sing the blues*



Di tutte le parole scritte o pronunciate
queste sono le più tristi: "Avrebbe potuto essere!"

-Whittier-


Lou si accovaccia ai piedi del letto. In una mano la sigaretta accesa, nell’altra un foglio bianco, intonso. Lo guarda come si guarda qualcosa da iniziare, con la stessa paura e lo stesso rammarico che prova chi, come lei, decide di scegliere piuttosto che di farsi scegliere.

Lo guarda e pensa che un paio di occhi neri non possono essere l’unico motore che manda avanti il mondo. Non davvero. Ci dev’essere qualcos’altro, qualcosa d’altro, qualcun altro che sia in grado di accendere i motori e far partire la vita. Inspira il fumo, socchiude gli occhi e lascia che quel pesante groppo alla gola decida di fare quel che meglio crede. Scoppiare a piangere, a ridere, prendere a calci la porta…andrebbe bene tutto, a patto che quel groppo se ne vada. Riapre gli occhi e li punta dritti davanti a se, come se avesse un punto da guardare. Ma in realtà il punto non c’è. C’è uno stereo. Muto. Fermo, immobile come lei ai piedi del letto. Acciuffa il telecomando e lo accende, ascolta le note che si diffondono nell’aria, ascolta quella voce che conosce così bene impadronirsi dei suoi pensieri. Quali pensieri, poi? Non li riconosce neanche più, quei pensieri. Mentre la musica riempie la stanza e le sue orecchie, crede di non riconoscere quello che le gira nella testa.

I walk and cry while my heartbeat, Keeps time with the drag of my shoes. The sun never shines through this window of mine. It's dark at the Home of the Blues

Pensieri…solo pensieri…cosa dovrebbe farne Lou di quei pensieri? Cosa? Sputa il fumo, a guardarla bene sembra indispettita. Infastidita. Probabilmente non si rende conto che quello che ha dovrebbe bastarle. Dovrebbe bastarle sapere di aver fatto tutto il possibile, di aver amato, di aver pianto e di aver poi lasciato andare. Quando non c’era più nient’altro da fare. Lasciarsi per non lasciarsi mai, diceva qualcuno no? E allora, forse non è del tutto sbagliato abbandonare la strada vecchia per intraprenderne una nuova. Si, è spaventoso, ma è una scelta. Ogni scelta è spaventosa. Ogni volta che i nostri piedi poggiano su qualcosa che non riconosciamo ci sentiamo atterrire dall’eventualità che le cose possano, inaspettatamente, disarcionarci e sbatterci violentemente a terra. Lou questo lo sapeva. Lo aveva intuito quando aveva camminato lontana dal suo Joh, lo aveva immaginato quando Sam l’aveva presa per mano portandola a sentire un cd in un disc store. Aveva avuto paura in entrambi i casi. Paura davvero. Nel primo caso, perché sapeva che la sua strada, senza Joh, non sarebbe stata più la stessa. Come se qualcuno avesse tolto il cinguettio degli uccellini, il prato verde ai bordi della strada e quel laghetto che tanto amava. Andandosene, aveva come avuto l’impressione che un Dio capriccioso avesse preso il pennello e avesse cominciato a impiastricciare il quadro della sua vita. Così, per gioco. E Lou non riusciva davvero a capire come fare per sistemare i colori, salvo poi scoprire che quell’ammasso di tinte cangianti, avevano la loro ragione d’essere. Forse, con mille dubbi e mille ripensamenti, quel pennello di quel Dio capriccioso, era stata la miglior cosa che le fosse capitata. Forse, quella forza che stentava a riconoscersi, ce l’aveva davvero. Ce l’aveva avuta quando Sam, sorridendo, le aveva detto che era ora di cominciare a camminare insieme. Cominciare a camminare insieme e in avanti, senza aver paura. “Se dovremmo cadere, cadremmo Lou. Però diamoci la possibilità di camminare”. E Lou gli aveva creduto. Aveva afferrato la sua mano, come una bambina incuriosita e spaventata e si era incamminata lasciandosi indietro il marchio infuocato del suo Joh. Ma non aveva fatto bene i conti, Lou. Non aveva considerato che i ricordi non si dissolvono nemmeno quando uno lo desidera così tanto da aver male allo stomaco. Anzi. Soprattutto quando uno lo desidera così intensamente, così forte, con così tanta passione. Lou non aveva preso in considerazione l’eventualità che un giorno, forse lontano, quei ricordi le sarebbero potuti scoppiare in faccia come una gomma da masticare, impiastricciandole il viso, i capelli e le mani.

Oh, but the place is filled with the sweetest mem'ries, mem'ries so sweet that I cry. Dreams that I've had left me feeling so bad, I just want to give up and lay down and die”



E ora, seduta sul pavimento della sua stanza, con una scatola rossa accanto, e un foglio bianco in mano, cerca di farci i conti. Solleva il coperchio, adesso, si sporge e sbircia dentro quella scatola rossa. Ci sono dei post it, dei fogli scritti, alcune foto, un pacchetto di sigarette accartocciato, un accendino e un sottobicchiere. Guarda tutto con espressione corrucciata, indecisa se ridere o se prendere quell'ammasso di ricordi e buttarli via lontano, dandosi la possibilità di costruirne di altri, di nuovi, ma sempre con lo stesso marchio a fuoco. Ma mentre fissa quei pochi oggetti, riconosce perfettamente la sensazione di calore che si impadronisce del suo stomaco, riversandole nella mente vecchi ricordi. La foto insieme. Il pacchetto delle sigarette: “Tieniti qualcosa che ti ricordi questo momento”. Tipo?” Lui accartoccia il pacchetto e glielo porge, “Tieniti questo. Conservalo. Me lo devi promettere Lou. Mettilo da qualche parte, un giorno te lo ritroverai davanti e penserai esattamente a questo momento”. L’accendino nero, quello piccolo, quello che gli aveva rubato una notte, mentre usciva di casa, “Prometto che te lo ridò, parola di tesoriere degli scacchi”. E invece non glielo aveva mai ridato, Lou. Se lo era tenuto per mesi, fin quando non era finito e aveva deciso, assurdamente, di gettarlo in quella scatola rossa. E ora ce lo aveva di nuovo tra le mani. “Mi devi un accendino”. Tu mi devi un mucchio di cose, ma non sto qui a rinfacciartele ogni minuto”, aveva scherzato, una sera. E adesso, a distanza di mesi, Lou sa che in passato lui le aveva davvero tolto un mucchio di cose. La fiducia che aveva perso, la spontaneità, la voglia di correre a braccia spalancate per la strada, la voglia di cantare girando su se stessa. Neanche Sam era riuscito a renderle indietro quello che Joh le aveva tolto con audace maestria. Aveva sperato che ci pensasse quel Dio capriccioso di cui tanto andava lamentandosi ma…chissà…in quel momento invece, non era sembrato dell’avviso. Le aveva dato Sam, questo si, ma le aveva comunque tolto qualcosa che Sam, nei mesi trascorsi insieme, non era riuscito mai a darle: la voglia di credere nell’amore, quell’amore così assurdo e forte e potente e prepotente che solo con l’altro aveva provato davvero. Solo nelle braccia dell’altro aveva sentito la pelle infiammarsi e il cuore accelerare di colpo, senza motivo. Solo con l’altro aveva sentito l’assurdo bisogno di gettarsi tra le sue braccia per sentirsi protetta da quel grande mondo che la circondava, salvo poi capire, in sua assenza, che il mondo non è grande. Il mondo è piccolo come una stanza da letto con le pareti zeppe di cartoline, con il computer sempre acceso e con il posacenere che trasborda di sigarette. Il mondo è piccolo come la gente che lo abita. Tutti così presi dal loro bozzolo di egoismo da uscirne fuori solo per ricordare a chi è felice, che la felicità non dura sempre. Ma Lou sa che questa è una balla. Una favola della cattiva notte costruita da chi non ha mai veramente avuto né palle né coraggio per costruirsela, quella felicità. Perché è così, la felicità è come una casa. Va costruita mattone per mattone, un giorno per volta, senza fretta e senza paura. Ci vuole pazienza, ci vuole audacia, ci vuole perseveranza. Non serve a nulla abbattersi di fronte ad un calcinaccio che cade, ad una parete che sembra storta, a una ringhiera che si regge per miracolo. Sarà proprio l’imperfezione a renderla assurdamente perfetta. Sarà la voglia di fare che porterà quel costruttore maldestro a commettere degli errori, e sarà, probabilmente, la voglia di entrarci in quella felicità, a farlo inciampare proprio dinanzi alla porta d’ingresso. Ma un vero coraggioso, non si abbatte di fronte ad una caduta. Un vero coraggioso si rialza, si pulisce i pantaloni, scuote la testa e continua a camminare. Perché è così che va il mondo. Non ci si può fermare e sperare che il mondo si arresti e ci aspetti. Si deve camminare sempre. Sempre avanti. Sempre forte. Sempre con la faccia rivolta verso il sole, con i difetti e con i pregi che ci fanno sentire di meritare quel poco di buono che abbiamo. Questo lo sa, Lou. E sa anche che probabilmente, quella lunga separazione che li ha visti lontani, è stata necessaria per far si che le cose, in un modo o nell'altro, cambiassero. Il passato, che passato non era, si era cullato al suono di pianti e recriminazioni e menzogne, per poi esplodere nuovamente nel presente, più forte e prepotente di quanto non fosse mai stato. Così si alza, Lou. Si alza in piedi, cammina lentamente verso la finestra, con in mano una foto di un passato che non è mai stato così presente. Mette fuori la testa e inspira forte. C’è odore di estate, di sole, di caldo e di speranze dure a morire, là fuori. C’è odore di vita. Vera vita. E c’è odore di buon presagio, come il suono di una risata lontana che, inaspettatamente, mette allegria. E allora Lou, lancia via quel bacio. Lo soffia forte, consapevole che dovrà fare molta strada, dovrà attraversare tempeste e venti sfavorevoli e perigli e sole cocente. Ma sa che arriverà a destinazione. E lo sa, perché la persona a cui è destinato quel bacio, non è troppo lontana per sentirne il sapore. “Just around the corner there's heartache, down the street that losers use. If you can wade in through the teardrops, You'll find me at the Home of the Blues

E allora Lou, raccontami questa tua storia. Raccontami queste emozioni grandi che hai soffiato verso il tuo amore insieme ad un bacio nel vento.















NOTA:

La canzone che avete letto in corsivo, si intitola “Home of the blues” ed appartiene all'unico, grande Johnny Cash. Non chiedetemi come mai, ma i Johnny, nella mia vita, hanno sempre avuto un posto speciale nel mio cuore. Comunque, per i meno ferrati, di seguito la traduzione.

Ho camminato e pianto al ritmo del mio cuore, tenendo il tempo con rumore delle mie scarpe. Il sole non brilla mai da questa mia finestra, è buio nella casa della tristezza”.

Oh ma questo posto è così pieno di ricordi, ricordi talmente dolci che mi commuovono. I sogni che ho fatto mi hanno ferito così tanto che vorrei soltanto mollare tutto e sdraiarmi e morire”

Proprio appena l'angolo c'è un cuore sofferente, lungo la strada dei perdenti e potrai camminarci attraverso una lacrima e mi troverai alla casa della tristezza”.









  
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