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Autore: cheesecake94    19/01/2008    4 recensioni
Per la maggior parte della gente, la vita passava dagli occhi, dalla voce, ma per lei erano le mani il centro focale del suo essere, quelle mani che attraverso il pianoforte potevano allontanare ogni male.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kelsi Nielsen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Perché non hai detto niente?” chiese Troy, ancora sbalordito. “Sono passate due settimane. Ed anche prima…” Esitò. Non sapeva proprio cosa dirle. Sarebbe stato in difficoltà di per sé, in quella situazione, ci sono momenti in cui le parole non servono, ma il fatto che l’avesse nascosto era davvero inconcepibile, per lui, e nessuna spiegazione razionale gli veniva alla mente. “Perché non ti sei confidata con noi?”

Lei lo guardò dritto negli occhi. Se le avesse domandato “Perché non sei andata a passeggio sulla luna, stamattina presto?” l’avrebbe guardato nello stesso modo, come se non ci fosse nulla di strano, come se fosse normale non raccontare ai proprio amici della morte del proprio padre.

Da qualche parte, in quel processo logico che per Troy conduceva inevitabilmente alla ricerca di sostegno ed affetto, la mente di Kelsi evidentemente prendeva un’altra strada. Dove, tuttavia, Troy non aveva modo di saperlo. Lui aveva dato per scontato che loro fossero amici, che fosse una di loro, come Ryan, Chad o Taylor. Lei forse non l’aveva fatto.

“Avanti, entriamo in casa. Comincia a fare freddo, qui fuori.”

“Io… non so se…”

“Coraggio, ce la puoi fare. Non puoi vivere su questo gradino per sempre. Ci sono io, vengo con te.”

Leggermente rassicurata, Kelsi aprì la porta ed entrambi entrarono in un ampio soggiorno.

Se Troy avesse dovuto immaginare la casa di Kelsi, l’avrebbe figurata proprio così: un grande pianoforte nero e lucido campeggiava in mezzo alla stanza, ovunque c’erano spartiti, immagini che ritraevano grandi musicisti, il più grande numero di dischi e cd che avesse mai visto; i divani e le tende avevano colori brillanti, fantasie strampalate, e le pareti mostravano qua e là disegni murali fatti a mano. Decisamente, quella casa le somigliava molto.

Tuttavia, la tristezza che la permeava era visibile anche a lui che non l’aveva mai vista prima. C’era polvere su ogni superficie disponibile, le tende erano tirate e la penombra rendeva ogni cosa spettrale e temibile.

“Ogni cosa… ogni cosa me lo ricorda, questa casa parla di lui e io non riesco più a trovare nemmeno il coraggio di respirare, qui. Non se penso che l’aria che respiro è la stessa che anche lui… se fosse qui…” la sua voce cominciò a tremare di nuovo. “Non ho più toccato il piano, nemmeno una volta. Non ho ancora aperto la porta della sua stanza, ed aveva promesso a me stessa che entro oggi l’avrei svuotata, ma il fatto è che… è che lui non c’è più, non ci sarà mai più, non lo sentirò mai più parlare o suonare e tutto il resto mi sembra così stupido e privo di importanza…” Si abbandonò all’ennesimo pianto dirotto.

Troy sentì un nodo alla gola, a quelle parole.

Sembrava così disperata. Una bolla di dolore, e tutto il mondo fuori.

Le mise un braccio attorno alle spalle, e lei docilmente si lasciò guidare lungo il corridoio. La porta di quella che certamente era la sua camera era aperta, ed i ragazzi si sedettero sul letto, il silenzio interrotto solo dai suoi singhiozzi senza posa.

Gentilmente, senza lasciarla torse il busto in modo che lei, per seguirlo, fosse costretta a distendersi. A qual punto si stese accanto a lei.

Avanti, lasciami entrare. Io sono qui per te.

Invece, si voltò dall’altra parte, scorrendo verso il basso in modo che il la sua testa non poggiasse più sul braccio di lui, continuando a piangere.

Troy sospirò. Non ne voleva sapere, e lui non capiva perché.

“Sei stato davvero… davvero immensamente gentile, Troy, ma non puoi restare qui tutto il pomeriggio. Avrai senz’altro di meglio da fare.”

“No, non ho proprio nulla di più importante da fare di questo. Non ti lascerei mai così. Kelsi, io… noi siamo i tuoi amici. Ti vogliamo bene, e saremmo stati qui molto prima, se l’avessimo saputo.”

“Ah sì?”

Quella era la loro prima conversazione.

“Perché Sharpay ti fa così paura? Il musical è tuo.”

“Ah sì?”

In quale realtà?

“Oh, Kelsi.” disse lui, appoggiando una mano sulla sua schiena e passando gentilmente le dita tra i suoi capelli. “Perché, non l’avevi capito? Hai così poca fiducia in te stessa? In noi?” pensò senza avere il coraggio di ripetere a voce alta quelle parole.

“Perché non provi a riposare un po’? Io resto qui.”

“Non ce n’è bisogno.”

“Sarà, ma resto qui comunque.”

Si addormentò in pochi attimi, doveva essere esausta. Le sue braccia ora erano incrociate sul petto, le mani nascoste nell’incavo dei gomiti.

Il mondo era ancora tutto fuori, sempre più lontano, più fuori che mai.

Assicurandosi di non svegliarla, Troy uscì dalla stanza e ritornò in salotto. Afferrato il cellulare, compose il numero di Gabriella.

“Dove sei?” gli disse rispondendo al primo squillo. “Sei sparito dopo la scuola! Mi hai fatto preoccupare.”

“Sono a casa di Kelsi.” le disse, e raccontò ogni cosa, i fatti e tutto ciò che vi stava dietro, il suo silenzio, il suo stupore. Quello sì che faceva paura, quello sì che lo preoccupava; la morta si supera per forza, la vita va avanti, ma quello che pensava non sarebbe mai cambiato se non avessero fatto qualcosa, e loro dovevano farlo.

Loro le volevano bene anche se lei non lo sapeva. Non le avrebbero permesso di continuare a chiuderli fuori.

Quando riattaccò e torno da lei, la trovò sveglia, seduta sul letto a gambe incrociate.

“Pensavo che stessi dormendo.”

“E io che te ne fossi andato.”

“Invece sono ancora qui.”

“Perché?” gli chiese.

“Perché hai bisogno di me. E’ così che funziona, tra amici.” poi, a bruciapelo, aggiunse “Se vuoi, posso aiutarti con le cose di tuo padre. Non dovresti farlo a sola, sarà più facile se ci sono anch’io.”

“Davvero lo faresti?”

Lui annuì, e la seguì fino alla stanza del padre. Inspirando, aprì la porta e fece alcuni passi all’interno, poi si bloccò.

Sul comodino c’era la foto di due mani, una grande, da uomo, e l’altra piccina come quella di un bambino, sovrapposte nell’atto di suonare un piano. Troy, che era dietro di lei, la sentì irrigidirsi, e prima che potesse fare un solo passo verso di lei, fuggì via.

Colto alla sprovvista, il ragazzo la seguì fino al salotto, dove lei si accasciò sul divano, rannicchiata su sé stessa.

Non pensavo che piangere a quel modo fosse possibile.

La strinse forte a sé, incurante del suo rifiuto. Lei appoggiò il viso contro il suo petto; la sentiva tremare tra le sue braccia, sentiva il suo cuore battere furiosamente, il suo respiro nascosto tra i singhiozzi, ma le sue mani erano sempre irraggiungibili.

Non disse una parola, tuttavia. Doveva lasciare uscire tutto il dolore che si era tenuta chiusa dentro prima che quel veleno la intossicasse irrimediabilmente.

Parlò solo quando lei ebbe pianto talmente a lungo che nessun essere umano avrebbe resistito oltre.

“Sssh, calmati, ora basta.” le sussurrò in un orecchio. “Ti caverai gli occhi. Lo so che fa male, che è terribile, ma passerà. Tu sei forte, Playmaker, io lo vedo anche se tu non lo fai. Non sei più sola adesso. Ci sono io. Ci siamo tutti. Non ti lasceremo più, te lo prometto.”

Fammi entrare, coraggio, Playmake, abbi fiducia in me: tu puoi farcela, io lo so.

Le parole di Troy parvero sortire un certo effetto, nonostante non fossero riuscite a calmare del tutto le sue lacrime. Sollevò lentamente il viso.

“Noi siamo amici, e non so perché tu non l’abbia capito, ma non succederà più che tu lo dimentichi, te lo prometto.”

“E’ permesso?” disse una voce, e videro Taylor entrare nella stanza dalla porta che Troy aveva lasciato aperta, seguita da Gabriella.

Entrambe le ragazze si avvicinarono a lei e l’abbracciarono forte, Gabriella seduta ora in braccio al ragazzo e Taylor dal lato opposto.

“Ma perché… come..?” balbettò Kelsi.

“Troy mi ha detto tutto. Decisamente, hai passato abbastanza tempo da sola. Noi dormiamo qui stanotte, se per te va bene.” disse Gabriella.

“E poi, potrai venire da noi ogni volta che vuoi, finchè non ti sentirai pronta a tornare qui. E anche dopo, ovviamente.” aggiunse Taylor.

“Ci dispiace di non esserti state vicino finora, non avevamo idea. Ma ora siamo qui.”

Kelsi era ammutolita, e le guardava con sguardo fisso e sconvolto.

Si chiedeva perché quelle persone volessero fare tutto questo solo per lei.

Poco dopo, altre voci li raggiunsero prima che la porta si spalancasse nuovamente. Chad fece il suo ingresso, ed a sua volta si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.

Kelsi guardò la sua mano come se fosse un’oggetto mai visto prima.

“Ehi, Playmaker, non dire nulla è stata davvero un’idiozia, nel caso non ti fosse venuto alla mente. Sai, ci tenevo a dirtelo Ad ogni modo, non ti libererai di noi tanto facilmente, credimi.” affermò con il tatto che come sempre lo contraddistingueva.

Con un tonfo, Zeke e Jason entrarono a loro volta. Erano carichi di pacchi e sacchetti fino all’inverosimile.

“Ho preparato qualcosa da mangiare.” disse Zeke. “Sai, nel caso non avessi voglia di cucinare. Metto tutto nel congelatore. Comunque, vieni a mangiare da me ogni volta che vuoi, anche tutti i giorni, se ti va.”

“Sharpay e Ryan hanno avuto un contrattempo.” disse Jason “Ha a che fare con ombrelli ed elefanti rosa, se ho capito bene, non chiedete di più. Comunque, stanno arrivando. Mi dispiace tanto per tuo padre. Avresti dovuto dircelo. Comunque, ora siamo qui.”

Lei si voltò verso Troy e lo guardò. I suoi occhi erano spalancati, continuava a non capire. Non aveva mai visto nessuno tanto stupito in vita sua.

I Wildcats e le ragazza più popolari della scuola in casa sua, sul suo divano, intorno a lei.

Per lei.

O forse solo i suoi amici?

Troy si avvicinò ulteriormente. “Non è stata un’idea mia.” sussurrò. “Hanno fatto tutto loro. Io te l’avevo detto, Playmaker. Noi ti vogliamo bene. Tu non sei più sola.”

Finalmente, Kelsi aprì le sue mani, e il ragazzo le strinse nelle sue.

“Siamo qui adesso.”

 

 

 

NDA Grazie grazie grazie a tutti coloro che hanno letto: romanticgirl, vivy93, armony_93, herm90, _Tay_. Avevo voglia di dolcezza, spero di avere colpito nel segno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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