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Autore: Ely79    08/07/2013    2 recensioni
Vorreste trasformare la vostra ridicola Urbanhare in un mostro capace di far sfigurare le ammiraglie del Golden Ring? Cercate più spinta per i vostri propulsori a vapore compresso? Spoiler e mascherine su disegno per regalare una linea più aggressiva al vostro mezzo da lavoro? Una livrea che faccia voltare ogni testa lungo le strade che percorrete? Interni degni di una airship da corsa, con quel tocco chic unico ed inimitabile?
Se cercate tutto questo, grande professionalità ed un pizzico di avventura, allora siete nel posto giusto: benvenuti alla "Legendary Customs".
[Ambientazione Steampunk]
Genere: Avventura, Commedia, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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L.C. - Cap.4
4

«E tu permetteresti un abominio del genere?» chiese sbigottito Hito, la sigaretta che pendeva pericolosamente dalle labbra.
«Preferirei anch’io limitarmi a fare lo stretto indispensabile per rimetterla in sesto come si deve, ma ho parlato con No Way e Ozone: non c’è quasi niente da salvare nel motore. Forse un paio di valvole e la pompa della turbina. Il primo che l’ha comprata l’ha sputta… l’ha distrutta almeno vent’anni fa. Chi l’ha presa dopo era un incompetente che ha devastato il raffreddamento e poi l’ha lasciata da qualche parte a prendere ruggine. Il resto lo vedi da te».
Hito si voltò verso ciò che si costringeva a definire aeromobile, benché vi potesse ravvisare ben poche affinità. Sentiva gli squali e le tartarughe sulle braccia piangere a dirotto.
Le Fortion 8.20 erano state le prime muscle-ship ad adottare il sistema ad ala frenante integrata, un’autentica innovazione che aveva consentito di ridurre gli spazi d’arresto di parecchie iarde. Raggiungeva le centocinquanta miglia orarie1 in meno di otto secondi, sfruttando una turbina a doppia gabbia in grado di compensare gli squilibri di flusso. La potenza sviluppata dalla caldaia da centoventi cavalli raggiungeva i centoquarantacinque una volta compressa e filtrata dal circuito Pen-Coast.
Quello che avevano davanti però somigliava più ad uno scarto di sfasciacarrozze tanto era sporco, ossidato e male in arnese.
«Come si può mancarle di rispetto così? È una classica!»
Clay fece spallucce.
«Il solito bast… idiota pieno di soldi e il culo… e affogato in qualche droga» grugnì con una smorfia stizzita.
«Non avrebbero dovuto permettere la vendita indiscriminata delle muscle. Non sono aeromobili per tutti. A maggior ragione oggi» rampognò tra una boccata e l’altra.
«All’epoca erano airship come le altre. Solo dopo hanno capito che razza di meraviglie avevano creato».
Sembrava di parlare di tempi remoti, di un’epoca di pionieri e grandi inventori, gente che avrebbe meritato statue davanti ai municipi o nei parchi. Invece erano passate poche decine di anni.
«Quindi No Way ha fatto un giro? Guarda qui, che disastro…» si lagnò ancora Hito, additando un’ampia porzione della fiancata sinistra, scorticata dallo sfregamento contro una parete o qualcosa di analogo.
«Ho visto, è davvero messa male. No Way ci ha fatto un miglio, giusto quello che ha concesso il motore. È stato uno strazio».
«E Scorch? L’ha vista?» chiese, espirando con cattiveria l’ultimo tiro.
«Ancora no» mugugnò, staccando una lamella di ruggine.
Hito si passò il pollice sulle labbra, dondolando pensieroso sui talloni.
«Non dirlo» lo supplicò Clay senza troppa convinzione.
«Ma sai che lo sto pensando».

***

La riunione si tenne accanto al glorioso rottame con lo staff al gran completo, chi seduto sui tavoli da lavoro, chi su seggiole portate dalla mensa. Charlotte, armata di blocco per gli appunti, sostituiva Sandy, impegnata altrove in una riunione con un cliente.

«Bene, gente. Come avete visto, ci hanno portato roba grossa su cui mettere le mani» annunciò Clay, che nonostante il tono esaltato mostrava un’espressione piuttosto infelice. «Si tratta di quello che è avanzato da una Fortion 8.20 serie Althura. Una bruttissima signorina di trentatré anni».
«Trentasei» lo corresse Charlotte, documenti alla mano.
«Ti facevo più giovane» ridacchiò Patch, scatenando il consueto coro di risolini.
Clay passò le mani sul capo rasato, inspirando profondamente
«Ragazzi, concentratevi» brontolò, richiamandoli all’ordine. «In sostanza, Mac Gregor ci ha rifilato un catorcio. Una vera me… schifezza. Quel tizio ha solo una vaga idea di cosa sia. Sa che è stata una fig… un’airship da urlo ma non si rende conto di quanto valga».
Tutti si voltarono, scrutando compassionevoli i resti del mito. Invecchiato male, devastato e venduto ad un incompetente; non poteva esserci destino peggiore.
«Scorch, aerodinamica. Voglio almeno un paio d’ipotesi entro domattina a pranzo. Al proprietario interessa sì e no mantenere la linea originale, ma io la terrei buona. Non eccedere con gli studi, perché quel rinco… riccone non ha intenzione di metterla in pista, sarà il suo… come avevi detto?»
«Eccentrico gingillo» rispose Charlotte con un sospiro stanco.
«Eccentrico gingillo» ripeté Clay annuendo. «La fa vedere in giro e finita lì. Quindi deve fare colpo: spoiler, pinne di rinforzo, carenatura nuova, bocchette su disegno… mettici tutto quel che ti salta in testa per darle l’aspetto di un’aeronave che possa essere sparata sulla luna, ma che funzioni solo per tenerla in strada».
Il volto di Scorch si animò d’interesse mentre deglutiva a vuoto.
«Pensavo ad un rialzo dietro, qualcosa di avvolgente che unisca le ali e faccia da contorno all’abitacolo. Dovrò fare un paio di modelli. Mi serve del polycryls» disse massaggiando pensieroso la mascella.
«Okay. Vai da Thompson e prendi quello che ti occorre. E dai uno strappo a Charlotte già che ci sei, deve passare da Poulson & Newells».
«Posso andare con l’Omnibus, ho altre commissioni da fare» obbiettò lei, annotando quanto appena stabilito.
«Con Scorch fai prima, è di strada. E poi devi girare con gli assegni in tasca, non voglio che prendi i mezzi pubblici. Dio solo sa quanto fa schifo il servizio di vigilanza».
Almeno così Scorch è sotto controllo e non può spendere un méit che sia destinato ad altri, pensò tra sé con un moto di disgusto.
La storia del furto inscenato dal cugino e PigTail per coprire l’ennesima bevuta lo mandava ancora fuori dai gangheri dopo tanti anni, redendolo sospettoso nonostante tutto.
«Di conseguenza, Ozone, No Way, Boy, trovatele un motore nuovo e fatela ripartire. Costruitelo se necessario. Voglio sentirla cantare come se fosse appena stata messa in strada».
«Svuoto il magazzino, capo! Ne metto insieme uno che alla Mahaan Vajpayee se lo sognano» annunciò festante Boy sfregandosi le mani.
«Allora sarà un incubo» sbadigliò No Way, rischiando di cadere dal tavolo mentre si stiracchiava.
«Iron, Choncho, Patch, Pancake. Qui bisogna verificare la tenuta di ogni bullone, anche il più piccolo fott… foro che vi capita per le mani deve sparire. Voglio rivedere un impalcato a regola d’arte».
«Mettiamo mano ai tralicci mentre aspettiamo te» concordò Iron, rivolgendosi a Scorch. «Ho il sospetto che uno sia piegato».
«Benissimo, ma non portatevi troppo avanti. Potrebbe servirmi spazio per gli innesti nel terzo posteriore. Voglio i calibri di tutte le forometrie, devo sapere dove posso passare con le linee di richiamo. Le Fortion hanno un sistema di bilanciamento orizzontale a vasi comunicanti, fatemi sapere in che condizioni è e la distribuzione dei compensatori, così saprò dove rettificare l’assetto».
«Nient’altro?» domandò ironico Pancake.
Scorch tornò a studiare la muscle-ship, stringendo le palpebre quasi a radiografarla.
«Carico presunto ed effettivo, lunghezze, larghezze, altezze, curvature,... Interassi esterni e delle partiture d’irrigidimento. E gli spessori di tutti i pannelli, voglio evitare sovraccarichi. Direi che può bastare».
Sentendolo parlare con tanta sicurezza e precisione, pochi avrebbero immaginato in che stato pietoso potesse ridursi. In quei momenti, Clay rivedeva la persona che aveva ammirato nell’infanzia, il cugino più grande che aveva chiaro in mente chi sarebbe voluto diventare da adulto, quello con cui aveva diviso il sogno della meccanica, con cui si era buttato nelle risse, che si era preso la colpa per una catastrofica ammaccatura sul Drotz di suo padre. La persona di cui erano rimasti solo trucioli a galla in un secchio di bourbon.
Era il momento meno opportuno per lasciarsi ingannare dai ricordi, Clay lo sapeva. Avevano parecchio lavoro da organizzare.
«Odrin, telonature dello chassis e interni» riprese. «Per questi starei sul classico, dando giusto quel tocco in più, ma mi rimetto a te. Ricordati che Mac Gregor è uno pieno di soldi, ama il lusso. Scegli il meglio sulla piazza, anche la cotenna di una bestia in estinzione, se serve. Coordinati con Hito. Hito, con te siamo a posto».
«Colore d’impatto senza renderla una barzelletta, rivettature a vista» rispose prontamente il carrozziere.
«Monocromatica?» s’informò l’Andull.
«Per ora sì. Voglio far risaltare le linee della carrozzeria e le masse complessive col solo colore. Al massimo una leggera sfumatura scura dove serve. Niente decorazioni, faranno tutto borchie e fasce, ma devo capire che casino combinerà Scorch».
«Ehi, giovanotto, io non faccio casino! E porta rispetto ai grandi» rimbeccò severo l’ingegnere.
Scherzo o meno, dopo tutto aveva ragione: era sulla soglia dei cinquant’anni, dodici più di Hito.
«Fatela finita. Scorch, muovi il… datti da fare! Dipendiamo tutti da te. Prima ti spicci, meglio è» sbuffò Clay strizzando la radice del naso. «Ora a mangiare e dopo pranzo tiriamo su le maniche, la smontiamo e la ripuliamo. Voglio vedere com’è sotto. Avremo anche un bel budget, ma preferisco evitare sorprese».
Stavano già incamminandosi alla mensa, quando Charlotte li richiamò indietro.
«Aspettate, per cortesia. Ci sarebbe un’ultima cosa» e mostrò loro un ingombrante barattolo di vetro. «Spero vi piaccia, perché vi farà compagnia per un po’».
Gli sguardi interrogativi dello staff passarono dalla sua espressione serafica a quella affranta del titolare, che annuiva a capo chino.
«Ecco… sì, è vero. Quello. Dunque, hanno chiamato dalla scuola di Junior, l’altro giorno» cominciò a raccontare, passando nervosamente una mano sulla nuca. «Pare che durante la ricreazione gli sia scappata qualche parolina di troppo mentre litigava con i compagni e le insegnanti l’hanno sentito. E anche qualche inserviente. E un paio di genitori che erano lì per caso. Sandy voleva spellarmi vivo».
«E che cazzo sarà mai, per due fottute parole» commentò Choncho.
Charlotte si schiarì educatamente la voce.
«Proprio parole di questo tipo, Wilmar. Parole inadatte a bambini di otto anni, specialmente a scuola. Per cui, se non le spiace, lei sarà il primo» e gli allungò il contenitore.
«Il primo?» chiese, fissando accigliato il vetro.
«Due méit per ogni volgarità pronunciata. Cinque se in presenza di bambini» spiegò.
«Mi stai prendendo per il culo?» strillò il meccanico strabuzzando gli occhi.
«Siamo già alla seconda donazione» proseguì affabile, indicando l’apertura nel tappo.
Tutti scoppiarono a ridere. Per Choncho quelle non erano invettive ma semplici intercalare, né più né meno dei respiri, nella sua testa avevano perso la connotazione di insulti. Ora era chiaro perché Clay aveva continuato a correggersi: essendo già al corrente del piano, aveva dovuto essere il primo ad adeguarsi.
«Bravo coglione, dinne un’altra!»
«Jessie?» chiamò la donna. «La tua sarà la terza».
«Cosa? Non ho detto un cazzo!»
«Terza e quarta, allora. Prevedo che ne occorrerà un altro molto presto, di questo passo» commentò, scrutando nel contempo Clay con la coda del’occhio.
Il capofficina guardava la volta del capannone, serrando a viva forza le labbra. Per quanto l’imposizione fosse sacrosanta con i suoi figli che andavano e venivano dalla “Legendary”, sentiva che il lavoro stava per subire una svolta al peggio. Impedire ai ragazzi d’imprecare secondo necessità avrebbe reso ogni cosa più complicata: non immaginava come avrebbero sfogato gli scatti d’ira che costellavano le attività.
«Posso chiedere come verranno impiegati i fondi raccolti?» chiese Hito.
«Sapone per la lingua?» azzardò lei, fulminando con lo sguardo Choncho che mordeva i pugni per non riprendere a bestemmiare. «Quanto verrà raccolto troverà impiego alla fine dell’anno. Decideremo allora se utilizzarlo per l’officina o altro. Anche se, sinceramente, pensavo ad una donazione».
«All’“Archituono”, vero? Una bella donazione a chi si occupa di tenere alto il morale dei lavoratori!» propose Pancake entusiasta, immaginando quanti - e quali - piatti avrebbero potuto ordinare.
«Pensavo a qualcosa di più onorevole come la beneficenza» chiarì la segretaria.
«Beh, i baristi fanno beneficenza a loro modo. Offrono sempre qualcosa ai clienti più fedeli. Vero, Scorch?» sogghignò Patch, fingendo di prenderlo a gomitate sullo stomaco.
L’ingegnere gli assestò uno scappellotto ridacchiando, ma diversi sguardi di biasimo lo obbligarono ad un atteggiamento più composto.

***

Agganciare il paranco al corpo della Fortion rappresentò un’autentica sfida. La ruggine aveva reso estremamente fragili gli occhielli ventrali destinati alle barre di sollevamento ed il rischio che si spezzassero al primo scossone era altissimo. Inoltre, dopo un’ispezione sommaria, Iron e Patch si erano accorti che ad alcuni dei tralicci del pianale portavano segni evidenti di un incidente, che ne aveva deformato la linea, incurvandoli verso l’interno.

Patch, Clay, Iron e Pancake erano in circolo attorno all’aeromobile, le facce di chi sta per avere una crisi di nervi. Choncho soppesava una grossa chiave a cricchetto, indeciso se abbatterla sul mezzo per dargli il colpo di grazia o usarla per strapparsi i denti ed evitare di proferire una sola altra parola: aveva già messo un intero trias nel barattolo anti-scurrilità.
L’unico entusiasta era Scorch che, chiamato a verificare la possibilità di salvare le strutture, stava da due ore con la testa infilata tra i correnti, armeggiando con calibri, torcitori e tabelle, mentre gli altri si arrovellavano sul come spostare la muscle-ship.
«E se usassimo il carrello?» propose Pancake.
«Cosa intendi?» domandò Clay, intento a sistemare la fasciatura sul gomito.
Dondolando come un pinguino, il meccanico si accoccolò accanto al telaio.
«Beh, abbiamo visto che non si riesce a sollevarla, no? Però il carrello con cui l’hanno portata è nuovo. Se cominciamo a sganciarlo dalla base, togliamo le sponde e i pannelli che non servono, resta solo la slitta. E a quella possiamo attaccare i golfari per tirare su tutto» spiegò indicando i fori di alleggerimento delle longherine.
Per qualche istante il gruppo valutò l’opzione, chi solo a mente, chi tastando le parti del carrello per saggiarne la resistenza. Tutti concordarono che fosse decisamente la soluzione che faceva al caso loro.
«Allora non sei fatto solo di grasso, fratellino. C’è ancora qualche neurone funzionante qui dentro!» rise Iron, strizzando il ventre prominente dell’altro.
«Senti un po’, culo da papera…» cominciò a inveire.
«Occhio, Pancake. Salterai le prossime merende se devi pagare pegno come Choncho!» sghignazzò Patch.
Affatto indispettito, il collega tirò fuori da una tasca dei pantaloni un involto spiegazzato di carta oleata, da cui prese alcuni pezzi di frittelle scure e mollicce. Impossibile dire se avessero un gusto in particolare oltre all’unto e al bruciaticcio.
Lo fissarono ammutoliti masticare a bocca aperta, gongolando compiaciuto. Iron prese a racimolare chiavi e pistole pneumatiche, cominciando a smontare il carrello per evitare di rimettere il pranzo e aggiungere ulteriori danni alla Fortion.
Le vibrazioni e i ritmici frullii dei compressori costrinsero Scorch a concludere i riscontri.
«Puoi levarti dai piedi? Abbiamo da fare, qui» lo punzecchiò Patch, vedendo con quanta lentezza scendeva dal mezzo.
Teneva un paio di matite fra i denti e gli strumenti appesi ad ogni passante, asola o risvolto dei vestiti, meno che alla cintura portattrezzi.
«Eh? Sì, sì. Ottimo, ottimo. Veramente ottimo» bofonchiò, continuando a scorrere le pagine stropicciate mentre s’incamminava verso il suo studio.
«Scorch?» chiamò Clay.
L’ingegnere si voltò sorridendo e levando in alto il pollice, annunciando che aveva grandi idee e stava andando a fare acquisti. Sembrava un’altra persona.

***

La North Avenue era un susseguirsi di alti palazzi di vetro e mattoni, ben distanziati dalle carreggiate attraverso ampi marciapiedi e aiuole fiorite in ogni stagione dell’anno. Al piano terra, un nastro infinito di vetrine dai bordi d’ottone appena lucidato tentava d’irretire i passanti.

Il Qantarico con le insegne della “Legendary Customs” era additato allegramente dai monelli di strada che l’inseguivano per brevi tratti, imitandone il rombo. Anche molti uomini l’adocchiavano, simulando interesse per l’imponente logo quando invece si rifacevano gli occhi sulle curve di Sandy, stesa come una conturbante dea lungo la fiancata scarlatta di una Plithren Vhon.
Un’aria frizzante entrava dal finestrino del conducente, sfrigolante dei riverberi del sole.
«Bella giornata per un giretto, vero?» disse Scorch, tentando di levarsi i capelli biondi dagli occhi.
Charlotte non rispose, limitandosi a tenere lo sguardo sulla strada.
«Insomma, siamo ai primi di aprile e di solito non c’è tutto questo… bello» ridacchiò indicando il cielo, sentendosi un cretino per l’incapacità di trovare termini meno puerili.
Gli risposero le fusa dei sei cilindri del Qantarico.
«Andiamo, Charlotte, per piacere… sto cercando di fare conversazione. Mi aiuterebbe se partecipassi».
«Non ho nulla da dire, Ingegner Almgren».
«Comincia smettendo di usare quel titolone. Ti ho detto un milione di volte che preferisco mi chiami Niklas. O Scorch, come gli altri» le rammentò, facendo l’occhiolino.
«È una richiesta che non mi sento di avallare» replicò piatta.
Seguitava ad ignorarlo, a tenere una barriera fra loro.
«Non mi sembra una cosa tanto assurda, visto che stiamo insieme tutto il giorno» osservò rallentando.
La intravide serrare la presa sulla borsa che teneva in grembo, quando si accorse che il Qantarico aveva accostato e si stava posando a terra.
«L’ufficio di Poulson & Newells è più avanti. Arriverò in ritardo all’appuntamento» fece notare seccata.
L’autista indicò i tavolini della gelateria “Lucky Pinwheel”, affollati di gente intenta a prendersi una pausa con le deliziose specialità del locale. Gli avventori sfoggiavano grandi sorrisi gioiosi tra bicchieri e cucchiaini colmi. Nelle fioriere, girandole smeraldine vorticavano spinte da soffi di vapore emessi da ugelli nascosti tra le piante.
«So benissimo dov’è, ma ora ci fermiamo, prendiamo posto laggiù, ordiniamo e parliamo» propose, sistemando sommariamente la capigliatura arruffata. «Ti va un po’ di torta? Una charlotte, magari? Quella di more e mandorle che fanno qui è la fine del mondo. Ne prendiamo una fetta e parliamo. Io e te, Charly. Parliamo solamente, come farebbero due buoni amici» ribadì, accompagnandosi con cenni cauti.
Charlotte negò, trincerata dietro la borsa.
«Senti, sto cercando di rigare dritto e vorrei dimostrartelo. Non voglio che tu ce l’abbia con me».
Finalmente, la donna si risolse a guardarlo in faccia. Sarebbe stato meglio per lui aver evitato d’insistere: dietro gli occhiali c’erano iridi di ghiaccio bruno.
«Non dovrei?» domandò tesa.
Occorse qualche istante prima che l’uomo riuscisse ad articolare una risposta. La frustrazione percepita nella domanda l’aveva colpito dritto allo stomaco.
«Senti, lo sai che… insomma… perché vuoi darmi la colpa?» protestò offeso.
Tuttavia, le silenziose accuse della segretaria proseguirono.
«Smettila di guardarmi così. Io non ho fatto niente! Forza, andiamo» la incitò, additando di nuovo il “Lucky Pinwheel”.
Almgren notò che la mano gli tremava per il crescente nervosismo. Proprio non capiva cosa non andasse in quella donna, perché lo trovasse tanto insopportabile. E quando dovette fronteggiare l’ennesimo muto diniego, sentì d’essere prossimo a perdere le staffe.
«Piantala di fare la difficile» le intimò a sottovoce, facendole una carezza.
«Mi tolga le mani di dosso» sibilò ritraendosi.
«Non ci penso neanche!» e per ribadirlo le prese il viso tra le mani, facendola voltare ancora verso di sé.
«Non mi tocchi!» strillò, cercando di spingerlo via.
«Finiscila, Charly!»
Nel tentativo d’allontanarlo, Charlotte gli graffiò l’occhio sinistro. Il bruciore improvviso bastò a fargli perdere la presa, concedendole il tempo per sganciare la cintura di sicurezza e agguantare lo sportello. Scorch l’afferrò per il braccio, allungandosi sul sedile per trattenerla.
«Fermati!» gridò.
Liberatasi dalla stretta, balzò giù. Raggiunse il marciapiede incespicando nelle basse siepi dell’aiuola, incurante dei passanti sorpresi e delle commesse che spiavano dalle vetrine. Si fermò per una manciata di secondi, appoggiandosi alle ginocchia mentre traeva profondi respiri, prima di dirigersi lentamente verso Berlis Road.
«Charly, dove vai?» urlò l’ingegnere.
Diede un pugno alla plancia, raddrizzandosi di scatto, il respiro corto e la gola riarsa.
«Cazzo, Charly!» ruggì, strattonando furibondo le cinture di sicurezza che, in combutta con la segretaria, rifiutavano d’aprirsi.
Non poteva permetterle di andarsene, non a quella maniera. Il timore che dicesse a Clay che l’aveva molestata anziché accompagnarla nel suo giro di commissioni gli fece andare il sangue alla testa.
«Stupida puttana!» ringhiò rivolto alla cinghia quanto a Charlotte.
Smise di lottare per sporgersi quanto poteva dal finestrino, incurante dell’Omnibus che gli passava accanto, sferragliando a velocità sostenuta.
«Maledizione, Charly, vieni qui!» urlò con quanto fiato aveva.
Vedendola fermarsi, Scorch pensò con sollievo sarebbe tornata indietro, arrabbiata ma pronta a dargli la possibilità di appianare tutto, di ricominciare, esattamente come Clayton. In fondo, era una donna come le altre e le donne perdonavano gli uomini per istinto materno o sfinimento.
La guardò voltarsi, impettita sullo sfondo di marmo bianco e rame ossidato della Bank Of Industries.
Continuando a litigare con le sicure, Scorch le rivolse un sorriso aspro che lei non replicò.
«Io non mi chiamo Charly» scandì piano.


1150  miglia orarie = 240 Km/h


Writer's Corner.
Di solito non lo faccio, ma ogni tanto ci vuole. Un rigraziamento a chi sta seguendo questo storia, in primis Shade Owl (che ha anche commentato) e _ivan, miei fedelissimi soci e critici! E di seguito a Wild_Demigods e Akainu Magma, che si sono appuntati la storia e di cui spero di ricevere il parere. Il loro e di chiunque altro voglia esprimersi e che al momento si limita a leggere. Grazie mille e alla prossima!

   
 
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