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Autore: Jenn123    08/07/2013    0 recensioni
Alice non ha mai creduto nell'amore a prima vista. Pensa che significherebbe innamorarsi di una persona solamente per il suo aspetto fisico, e sappiamo tutti che l’aspetto fisico non è che una piccola componente dell’amore che si può provare. E’ necessario conoscere il carattere, i pensieri, le emozioni, le paure, le intenzioni e i sogni di qualcuno per amarlo davvero. Bisogna conoscerlo fino in fondo. E se invece, uno di questi giorni, le teorie di Alice venissero totalmente sconvolte? E se qualcosa, o qualcuno, facesse crollare tutto quello su cui la ragazza si stava reggendo? E se Alice si dovesse trovare a scegliere tra la vita sicura che aveva sempre vissuto e un passo nel vuoto? E se Alice perdesse tutto, proprio tutto, per un amore incerto e tremolante, che arde però come il fuoco? “Stand by my side” è una storia intricata, ricca di colpi di scena, dubbi, paure, sentimenti, e tanto amore… Ditemi cosa ne pensate ;)
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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I’m hearing what you’re saying but I just can’t make it sounds.

Corsi giù per le scale. Non c’era nient’altro al di fuori del fuggire.

Attraversai il grande atrio senza curarmi di tutti quegli sguardi superiori e curiosi.

Correvo, fuggivo e le lacrime mi bruciavano sul viso.

Fuggivo da cosa, poi?

Da un pericolo, un dolore, un’illusione?

Non lo sapevo.

Appena sentii la brezza fredda fuori dall’edificio mi accorsi di aver dimenticato dentro la giacca. Cavolo! Non potevo assolutamente tronare dentro…

Tutto ciò bastò però a riportarmi alla realtà.

Freddo. Tardi. Casa. Dovevo tornare a casa!

Controllai il cellulare, ed erano le 21 e 48.

Imprecai. Le avrei addirittura sentite dai miei. Ma che importava a questo punto?

Ripresi la mia corsa, che almeno questa volta aveva uno scopo. Scesi di fretta gli scalini della metro e strisciai la tessera.

Presi in tempo il vagone giusto e mi buttai su un sedile. Solo allora mi accorsi di quanto ero devastata. Avevo corso per almeno un chilometro, le lacrime che mi prosciugavano. Cosa avevo fatto il pomeriggio per stancarmi così tanto?

Socchiusi gli occhi di scatto, alla fitta di ricordo.

No. No, l’avrei eliminato. Non potevo permettermi di conservare quella serata. Se si crea un problema, la cosa migliore era eliminarne la causa.

La causa era quella. E avrei fatto il possibile per far finta che nulla fosse mai successo.

Presi un respiro profondo.

Asciugandomi le lacrime, seppi che la decisione era presa.

Scesi dal vagone e m’incamminai verso casa. Senza fretta, perché avevo bisogno di trovare una scusa.

Quando varcai la soglia, però, trovai i miei genitori seduti al tavolo della cucina, intenti a leggere qualcosa sul PC. Mio papà era un uomo sulla cinquantina, la barba grigia lasciata crescere qualche millimetro, gli occhi blu severi, ma che ogni tanto sorprendevo a brillare, quando parlava della sua passione, il viaggio. Con la nascita di mia sorella, il lavoro che richiedeva molto tempo, la mia scuola, la casa e la famiglia in generale, ormai non si può più permettere nient’altro che pochi giorni all’anno. Lo so che soffre, so che è un sacrificio davvero grande. Però quando sfoga questa sua rabbia repressa su di noi, sto male anch’io. E questo capita sempre più spesso.

Mia madre era invece una donna piuttosto ordinaria. O almeno, io la vedevo così. Dicevano che le somigliavo molto: capelli e grandi occhi castani, viso dai lineamenti un po’ appuntiti e liscia pelle olivastra, che d’estate s’imbruniva sempre molto.

Caratterialmente, però, non potevo sentirmi più diversa. Lei si accontentava, io volevo sempre più; lei era semplice, io avevo milioni di sfaccettature; lei era stabile, io ero sempre in bilico. Insomma, la vedevo una figura affidabile, molto attenta alle regole, ma niente di più.

<< Ah, ciao. >> mi disse in modo calmo alzando lo sguardo dallo schermo

<< Ciao! >> risposi fingendo entusiasmo.

<< Vi siete fermate a cena vedo. >> osservò lei senza alcuna traccia di severità. Era calma e per nulla arrabbiata. Bene. Potrà lasciarmi in pace.

<< Si. Sono davvero stanca… Vado a dormire! >>

<< Va bene, buonanotte tesoro. >>

Così mi rifugiai in camera mia.

Cavolo, l’avevo scampata grossa! Non avevano neanche notato che non avevo il cappotto che mi avevano appena comprato…

Però lo noteranno.

Ma ora non ci voglio pensare.

Mi misi il pigiama cercando di non fare troppo rumore, anche se sapevo che Katy non dormiva. Fortunatamente non condividevamo la camera, ma eravamo comunque adiacenti.

Mi gettai sul letto, esausta.

Il giorno dopo sarei dovuta andare a scuola… Avrei dovuto affrontare tutti. Anna, Jess. Davis.

Dovevo farmi coraggio e raccontare tutto. Era la cosa giusta, no?

Tornava a farsi spazio quella dolorosa voragine. Sembrava sempre peggio.

Era come se quel ragazzo fosse arrivato da me, si fosse intrufolato nei miei circuiti, avesse fuso ogni singolo componente e poi se ne fosse andato. Lasciandomi con i pezzi che ancora colavano, sola, a cercare invano di ricomporli.

Nonostante tutto riuscii ad addormentarmi.

 

<< Alice! Alice svegliati o farai tardi! >>

Sentii mia mamma riportarmi alla realtà.

<< Si mamma. >> mugugnai debolmente, stropicciandomi un occhio.

A passi lenti mi avviai in cucina e presi posto a tavola.

<< Penso di aver fatto un sogno strano stanotte… >> cercai di ricordare.

C’era un ragazzo, si. Un ragazzo che… Oh no. No, non era affatto un sogno.

<< Cosa hai sognato…? >> domandò mia madre.

<< Oh no niente, non me lo ricordo… >> mi salvai.

All’improvviso persi l’appetito. Così andai subito a vestirmi: avevo bisogno di pensare.

<< Non finisci i cereali? >>

<< N-non ho fame. >>

Quindi era reale.  Mi ero scontrata con una pop star, che mi ha invitato a bere una cioccolata calda e lì mi ha baciato. Poi siamo andati nella sua camera d’albergo (che era più un attico), mi ha baciata di nuovo, ma lì ho scoperto che non ero assolutamente nessuno. “Assurdo”, continuavo a bisbigliare.

“Eppure, è così, accettalo. Vai avanti.” mi dicevo.

Ovvio, era la cosa più logica!

Ma non volevo, non potevo… Stavo male.

Quel ragazzo… Lo odio! E sarei tornata alla vita reale in un baleno, se non avessi dimenticato lì il giubbotto. I miei non se ne potevano permettere un altro.

Mi preparai in fretta, scesi di corsa senza dare il tempo alla mamma di rimproverare il mio abbigliamento e afferrai la bici.

Subito sentii l’aria muovermi i capelli. Sapevo che era aria sporca, aria impura, ma era aria. Che sapeva di libertà.

In sei minuti e mezzo, come al solito, fui davanti al cancello della scuola.

<< Alice! >> mi corse in contro Anna.

<< Ehi! >> risposi imitando l’entusiasmo.

Entrammo in classe per la prima lezione, che passo tranquillamente.

All’intervallo si avvicinò Davis.

<< Ehi. >> e mi baciò sulla guancia.

A mio malgrado, il contatto mi diede quasi fastidio…

<< Ciao. >>

<< Come stai bella? >>

<< Bene, tu? >>

<< Bene ma… davvero, non ti vedo molto convinta. >>

“A quanto pare, mi conosce più del previsto.”

<< Solo… Solo una nottataccia. >>

Mi abbracciò. E io mi lasciai cullare dalle sue braccia, come se potessero guidarmi verso una soluzione.

Poi però mi ricordai che non sapeva nulla di ciò che era successo la sera prima.

<< Che c’è? >> chiede dolcemente lui, al mio staccarmi bruscamente.

Scossi la testa.

<< Questo pomeriggio ti passo a prendere alle 3, ok? Non me ne frega se devi studiare o cosa, tu hai bisogno di un gelato. >> esclamò lui.

“Davis, no. Non vedi che sono un mostro? Vattene. Per favore. “

<< Va bene. >> sorrisi.

E mi avviai a lezione, con gli occhi che bruciavano.

 

Ciao fantasmini! Questo capitolo è stato assolutamente inutile e vuotissimo, scusate! E’ che tra esami, fratelli ecc. non riuscivo a scrivere.

Ora andrò avanti di filato, miei cari lettori inesistenti.

E’ così bello che nessuno mi segua. Sapete, ci si sente proprio motivati!

In ogni caso, se qualcuno capitasse per caso da queste parti, una recensione sarebbe molto gradita :)

So che sto parlando da sola, comunque, ora vado :)

Un bacio!

Jenn<3

 

  
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