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Autore: elyxyz    24/01/2008    27 recensioni
Un’interpretazione alternativa al finale dell’episodio n°13, ‘Fuoco contro Acciaio’.
“Cos’è?! Oggi piovono cani e gatti?” ipotizzò, tra il polemico e il divertito. “E’ la Giornata del Randagio e nessuno me l’ha detto?!”
(Roy x Ed)
Storia partecipante al Contest 100 Prompts! indetto da Fanfiction Contest ~ {Collection of Starlight since 01.06.08}
Dopo quasi 5 mesi d’attesa, ecco postato il nuovo capitolo. Avviso comunque i lettori che i futuri aggiornamenti saranno più frequenti ma ancora irregolari.
Genere: Romantico, Malinconico, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang
Note: What if? (E se ...), Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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win manut

 

Note: il seguente scritto contiene riferimenti yaoi.

Per ulteriori spiegazioni, vi rimando alla conclusione della fic.

 

 

Dedicato a chi ha recensito i precedenti capitoli della raccolta.

E a chi ha aggiunto ‘It’s raining’ tra le proprie letture preferite.

Siamo arrivati a quota 66 in pochi giorni!

E adesso... su, non fate i timidoni e commentate! ^__=
Grazie!


 

 

Come cane e gatta

 

by elyxyz

 

 

 

 

Roy mordicchiò l’orecchio a Ed, sussurrandogli tenerezze e sconcezze.

Acciaio, che stava mescolando la zuppa sul fuoco, sollevò minaccioso il mestolo, sbrodolando un po’ ovunque; ma in realtà non disprezzava affatto le attenzioni del compagno.

 

“Se continui a distrarmi,” bofonchiò, burbero “non finirò mai di cucinare la cena!”

 

Il moro gli circondò la vita con le braccia, senza smettere di vezzeggiarlo.

Edo si lasciò andare, posando la schiena contro il suo torace largo, i baci scesero lungo la carotide e avrebbero vagato – con buona probabilità, assieme alle mani – verso la succlavia, se lui non avesse prontamente placcato quelle dita vogliose e quelle labbra curiose con le proprie.

 

Il bacio durò un istante, giusto un assaggio. – “Sai di fagioli!” – ma le loro mani rimasero allacciate.

 

“Ho una fame…”

 

“E’ quasi pronto!”

 

“Ma io ho fame di te.”

 

“Smettila di stuzzicarmi, o succede come l’altra sera e-” sarebbe finito lui, sul tavolo, al posto del tacchino...

 

“E che ci sarebbe di male?!” Roy ghignò sornione. “Non ho mica grandi pretese culinarie, io! So vivere anche solo con un fagiolino!”

 

“Sarebbe un po’ come dire che ti accontenti?!” Edward sollevò un sopracciglio indispettito, forse l’aveva presa come un’offesa personale.

 

“Sarebbe come dire” lo imbeccò “che perdi troppo tempo a cucinare, invece che occupare i nostri momenti liberi in attività più divertenti e gratificanti del cibo…” le sue mani ripresero a vagabondare, desiderose di conoscere. “Ahi!” Si massaggiò il palmo arrossato dalla cucchiaiata che aveva preso.

 

“Così impari. Quando dico ‘no’, è no!” chiarì Fullmetal, e con la scusa di mescolare nuovamente la minestra nascose un sorriso divertito.

 

Mustang si rassegnò, mugugnando il proprio dissenso - come un bimbo viziato che non può avere il giocattolo che desidera -, mentre finiva di disporre il pane e le posate sulla tavola.

Ed lo sentiva brontolare ‘quanto una pentola di fagioli scoppiettanti’, come spesso amava dire, con una neonata auto-ironia. Picc- uhm… ristretta concessione che aveva fatto al suo uomo: a furia di sentirsi chiamare ‘Mame-chan’, ormai lo canzonava spesso e si prendeva in giro persino da solo. Anche perché era cresciuto – con suo sommo gaudio e smodata soddisfazione; e, sebbene non fosse decisamente una stanga, un nanetto non era più, e quel nomignolo – nato come oltraggio alla sua persona - adesso aveva assunto una colorazione affettuosa e non aveva più ragione di infastidirlo.

 

Sorrise nuovamente, spegnendo il gas e girandosi verso il compagno, che stava versando una scatoletta nella ciotola di Tora, mentre il micio aspettava, festoso, di consumare la sua pappa.

 

“Perché hai acceso le candele?” domandò, giusto per stuzzicarlo. Un candelabro a due bracci illuminava piacevolmente la cucina ed egli fece finta di pensarci su. “Ho forse dimenticato qualche ricorrenza importante?”

 

“No, no! E’ solo per tener vivo il romanticismo, in vista del postcena…” ammiccò.

 

Edward sbuffò, a metà strada tra l’esasperato e il divertito. “Una cosa per volta, ok?”

 

L’espressione da amante ferito del moro sortì solo l’effetto di farlo ridere ancor di più.

Il sentimentalismo era svanito del tutto, ma non il buonumore.

 

Si sedettero a tavola, la zuppa scodellata fumava che era un piacere.

Con la prima cucchiaiata, imbastirono la solita conversazione serale.

“Hai controllato la scadenza delle bollette?”

 

“I croccantini e i cereali stanno finendo, domani devo uscire prima e fare la spesa…”

 

“Ha telefonato Maes, oggi. Ti saluta.”

 

“Giusto! Quasi dimenticavo…” Esordì Elric, d’un tratto, ricordando la posta ritirata. “Sulla mensola in ingresso, c’è un biglietto per te.”

 

Roy fermò il cucchiaio a mezz’aria, stupito e interessato.

 

“La cara zia Margareth ti manda i suoi auguri di buon compleanno.”

 

“Ma se è tra…”

 

Quella sarebbe anche capace di piombar-”

 

Il campanello di casa trillò in quel preciso istante.

Il loro scambio di sguardi parlò da sé.

 

“Tu porti iella!” si sentì dire Edward, che stava diventando allergico anche al ‘dover aprire la porta’, oltre che al latte.

 

Regolarmente – puntuali come le tasse – arrivavano le vecchie fiamme del Flame Alchemist in cerca di lui. Il che, anche a distanza di anni dall’inizio della loro relazione, aveva tempestivamente il potere di mandarlo fuori dai gangheri, soprattutto se la tizia di turno era una recidiva.

Adesso che era legittimato, non si premurava più di nascondere la sua più che lecita gelosia nei confronti di quell’ex dongiovanni da strapazzo.

 

E ora ci mancava solo una geniale improvvisata della cara zia Maggie!!, che – da quando aveva dato loro la sua benedizione – sentiva di poter avvalorare il suo interesse materno per la coppia, con lettere calorose e telefonate di sollecito interessamento.

Ma lei non sarebbe giunta di nuovo così, su due piedi. Senza avvisare. E quel bigliettino d’auguri non preannunciava nessuna visita domiciliare, per la miseria!

 

Ed si appellò con ardore alla convinzione che l’adorata vecchietta, così ligia alle severe regole del Bon Ton, non si sarebbe mai permessa un’intrusione immotivata nel loro nido d’amore, come amava definirlo con vomitevole dolcezza.

Quindi, scegliendo il male minore, sperò quasi che fosse una delle ex di Roy.

 

Ripassando a memoria la sequela di cose poco carine e maleducate da snocciolare, aprì la porta.

Non avrebbe mai saputo dire il perché, ma la sua mente registrò prima una voluminosa valigia, poi la bionda proprietaria.

Ad occhi spalancati, gli ci vollero alcuni istanti per realizzare.

 

“Winry!”

 

“Eh, già!” sorrise lei, facendo spuntare due deliziose fossette ai lati della bocca. “Disturbo? Oppure vuoi semplicemente lasciarmi sul pianerottolo?” buttò là, condensando una confidenza dettata da anni e anni di conoscenza.

 

“Sì, no! Cioè… entra, entra! Mi fa piacere che tu sia qui… ma non me lo aspettavo!” si fece da parte, per far passare lei e il bagaglio gigante che conteneva i suoi inseparabili attrezzi.

 

Roy fece capolino dal corridoio, con lo stesso entusiasmo con cui andava dal dentista.

“Cosa ti porta qui a East, miss Rockbell?” chiese, scordando – forse volutamente - di salutarla.

 

“Buonasera, Generale Mustang!” esclamò lei, con falsa cortesia, usando il medesimo tono dell’accoglienza.

 

L’uomo non si diede pena di approfondire i convenevoli e, sbuffando, si appoggiò allo stipite della porta, con l’arroganza di chi ostenta di essere nel proprio territorio.

 

Lei non si fece intimorire, decidendo bellamente di ignorarlo, rivolgendosi direttamente a Ed.

“Il treno per Resembool, partito da Rush Valley, è guasto e non ripartirà prima di domattina.” Spiegò, slacciandosi il cappotto perché cominciava a soffrire per la differenza termica tra fuori e lì. “Dovendo pernottare qui ad East, mi sono recata alla vecchia locanda. Ma è stata demolita!” li informò, palesando il suo fastidio per questa seccatura. “E’ piuttosto tardi, per cercare un’altra sistemazione…”

 

Edward fissò di riflesso l’oscurità oltre le finestre del salotto.

 

“Mi spiace essere piombata qui, in questo modo, Ed. Ho anche provato a chiamare, ma la linea risulta difettosa.”

 

I due militari pensarono alla spina del telefono staccata. Pratica consolidata nel tempo, per quando volevano lasciar fuori il mondo e il suo tran tran da momenti che erano solo loro.

 

“Chissà perché? E’ guasto?” s’interessò lei, pensierosa.

 

Un’occhiata tra i due uomini. Addio coccole.

 

“Non lo so, Win-chan.” Edo scosse le spalle, come a dire che avrebbero verificato poi. “Gradisci qualcosa da bere? Hai cenato?”

 

Lei si prese il tempo di lanciare un’occhiatina di sfida a Roy, prima di rispondere con un bel ‘no’, che aveva mangiato solo un panino, qualche ora addietro, ma che non voleva disturbare oltre.

“Mi basta sapere dove poter dormire stanotte, un qualsiasi albergo o locanda vicino alla stazione. Di sicuro siete più informati di me, su questa città. Il tassista mi sembrava un tipo strano, poco affidabile.”

 

“Non se ne parla nemmeno!” esordì Elric, indignato. “Tu rimani qui, e domani ti accompagneremo al treno!”

 

“Ma…”

 

“Roy! Diglielo anche tu!” esclamò, coinvolgendo nella loro discussione l’uomo che, fino a quel momento, era rimasto a bollire in silenzio.

 

Se Winry preferisce non abusare della nostra ospitalità, Mame-chan, noi non possiamo costringerla.” Precisò, con molto buonsenso e altrettanto egoismo.

 

“ROY!!” abbaiò, come fosse stato un rimprovero.

 

Mustang fece spallucce. “Posso chiedere a Riza di ospitarla, oppure c’è quell’alberghetto carino nei pressi di Dahlia Place, a due passi dalla stazione.”

 

“Ma non è questo il punto!” s’infervorò, gesticolando ampiamente per dimostrare il proprio malcontento. L’auto-mail scricchiolò, quando lui strinse le dita a pugno e la indicò. “Winry rimarrà qui, c’è la poltrona letto nello studio: se ci stava tua zia, può dormirci anche lei!”

 

“Edo!” ruggì la ragazza, stavolta, avanzando a larghe falcate “fa’ vedere!”
Gli afferrò la protesi con malagrazia, studiandola con movimenti e gesti accorti e concentrati. Avanzò verso il gomito, sollevando la manica senza delicatezza.

“Ma sono un disastro!” Lo sgridò, dandogli una manata sulla nuca. “La manutenzione, Edward Elric, la ma-nu-ten-zio-ne!! Quante inutili volte te l’avrò ripetuto?? Se non li curi, non funzioneranno mai a dovere…” Lo rimproverò, regolandogli la presa della mano, con un cacciavite che era spuntato da chissà dove, forse lei lo teneva in tasca, per abitudine.

 

Entrambi gli uomini pensarono che comunque facevano più che discretamente bene il loro lavoro… Edo arrossì.

“Scu-scusa, Win…” bofonchiò, contrito.

 

“Sei una testa di rapa!” lo offese, dedicando la sua attenzione ad un bullone malfilettato. “Ti offro la revisione, un check-up completo, per ripagare il disturbo e sdebitarmi.” Propose, senza distogliere gli occhi dal lavoro.

 

Persino Roy era certo che, in quel momento, stesse parlando l’esperta meccanica, la più brava costruttrice di auto-mail dell’Est, e non l’amica d’infanzia che lui odiava tanto.

 

La odiava. Per un sacco di buone ragioni.

E sapeva di essere ricambiato in ugual misura.

Forse Winry Rockbell aveva i suoi buoni motivi per farlo.

Le aveva strappato Ed e Al, ciò che restava della sua famiglia.

Era un militare, e uccideva la gente per lavoro; mentre i suoi genitori erano morti, per salvare le vite che lui cercava di assassinare.

E probabilmente credeva che anche Edo si fosse sporcato le mani, per causa sua.

Senza contare la loro relazione.

Quanto poteva averlo denigrato, per dissuadere Ed da quel rapporto malsano?

Non era uno sciocco.

Aveva una nitida consapevolezza che – nella scala di valori di Winry – lui valeva meno di zero.

Un essere abbietto, un sicario, un’arma umana. Che ora si prendeva gioco di un ragazzo, circuendolo per il proprio piacere, plagiandolo al proprio volere. Come se si potesse mai piegare uno come Edward Elric a fare qualcosa contro la sua volontà!

Beh, se mai fosse esistito qualcuno, lui avrebbe voluto conoscerlo e farsi spiegare i segreti, perché – anche ad anni e anni di distanza -, Mame-chan faceva sempre e solo ciò che voleva, e come lo voleva, senza mai sentir ragioni.

 

Quel che era certo era che l’astio provato dall’Alchimista di Fuoco era di ugual misura.

E benché sapesse di essere, nel presente, in netto vantaggio su di lei, difficilmente riusciva ad archiviare pensieri scomodi e fastidiosi.

E comunque la detestava perché era autorizzata a mettere le mani addosso a qualcosa che apparteneva a lui. Edward era una sua proprietà. Quindi non che facesse i salti di gioia, quando la incontrava.

E poi era un’amica d’infanzia.

Magari aveva ancora qualche insana cottarella, un amore platonico e perciò irrisolto, nei suoi confronti.

Per fortuna che Ed la considerava solo una manesca meccanica, alla stregua di una sorellina, che non aveva mai avuto.

 

Masticò tra i denti il proprio disappunto, sorvegliando la loro attività.

 

E adesso il suo dispotico Fagiolino l’avrebbe invitata a restare a cena da loro, per farle gli onori di casa, dimostrando le sue doti in cucina, da perfetto padrone di casa.

 

A Roy non andava bene, ovviamente; ma sopportava, per amor suo.

Lui e quella tizia non erano mai andati d’accordo.

Si erano sempre cordialmente detestati. E sempre lo avrebbero fatto.

 

“Prova a estendere, Edo-kun.” Gli stava ordinando, mentre lo palpeggiava indisturbata lungo tutto l’avambraccio.

 

“Più di così non è che riesco!” protestò il biondo, flettendo la protesi.

 

“Ancora un po’!”

 

“Winry! Me lo stai riparando o vuoi solo vendicarti di me?!” chiese, preoccupato, eseguendo tuttavia il comando, prima di ritrovarsi una chiave inglese piantata in fronte.

 

“Ancora un attimo…”

 

“Perché non ceniamo?!” s’intromise Mustang, ricordando loro la sua presenza nella stanza.

 

Si voltarono entrambi a guardarlo: Ed quasi con gratitudine, lei con palese fastidio.

 

“Ha ragione Roy, potremmo continuare dopo, eh?” Edward appoggiò l’idea, un po’ perché gli dispiaceva che nessuno avesse ancora cenato; ma ancor più perché, ogni volta che faceva la manutenzione, la sua amica d’infanzia non perdeva occasione per cazziarlo di brutto, per come non curava le protesi, per come non oliava bene le articolazioni, per come erano piene di graffi o ammaccature.

 

Sospirò, forse con fin troppo sollievo, perché Win lo adocchiò, perplessa.

 

“Vieni a lavarti le mani, ti accompagno!,” si offrì, improvvisamente sollecito e desideroso che lei riponesse il cacciavite dall’incavo del suo gomito. “E’ proprio un peccato che Al non possa raggiungerci!” rimpianse, facendole strada in corridoio.

 

“Dov’è Al?!” chiese lei, stupita.

 

“E’ andato a Central con Havoc e Fury, per una missione. Sai, ogni tanto fa comodo avere una guardia del corpo così imponente…” scherzò, senza riuscire a nascondere del tutto l’orgoglio di un fratello maggiore.

 

Anche lei sorrise, intenerita. “Sono felice che si renda utile in qualche modo.”

 

“Lo sai che va pazzo per i gatti! Ma è l’ultima cucciolata di Minù che Maes si accolla… dice che deve fare gli straordinari per mantenerli tutti…”

 

Risero entrambi.

 

“Ma non è che zia Pinako potrebbe adottarne qualcuno? C’è un sacco di posto, a Resembool!”

 

“Non credo che Den approverebbe la cosa.” Appuntò, divertita. “Era Al, quello con la fissa di raccattare tutti i randagi attorno all’officina, facendolo ingelosire.

Però mi spiace proprio! Avrei voluto rivederlo…” si amareggiò, asciugandosi le dita affusolate.

 

“Se ci avessi avvisati per tempo, sarebbe rimasto!”

 

“Pazienza. Non avevo previsto di fermarmi, come ti ho già detto. E poi ci siamo sentiti anche l’altro giorno…”

 

La faccia sorpresa di Acciaio parlava da sola.

 

“Io e Al ci telefoniamo almeno una volta a settimana… non te l’ha mai detto?!”

 

“NO!” guaì, offeso. “Dannato pezzo di latta traditore!”

 

Winry fece un’espressione indulgente. “E allora che rimanga un segreto, ok?”

 

Edward mugugnò un sì, realizzando che comunque non poteva pretendere di sapere sempre ogni cosa. Oltretutto, ora aveva una sua vita con Roy, e – malgrado avesse a cuore sia il suo Nii-chan, che Winry o zia Pinako – le sue nuove priorità erano dentro a Casa Mustang, adesso.

 

“Giusto! Perché torni a Resembool?” s’interessò, varcando la soglia della cucina da dove Roy aveva teso le orecchie per origliare, senza perdersi neppure un loro respiro.

 

“La nonna ha bisogno del mio aiuto per un lavoro urgente, un innesto particolarmente complesso, e così…” lasciò cadere il discorso, quando osservò la tavola imbandita, i piatti ancora mezzi pieni di zuppa. “Che buon profumo!” esclamò. “Ma ho interrotto qualcosa?” La colata dalle candele mezze consumate sembrava una beffa ai danni di Mustang, che non le diede anche quest’ultima soddisfazione.

 

“Niente che non potremo riprendere una volta che avrai ricominciato il tuo viaggio…” malignò, soffiando sul candelabro con fin troppa energia. La cera macchiò il candido lino, e lui imprecò sottovoce.

 

“Roy!” lo sgridò il biondo, arrossendo d’imbarazzo e d’ira.

 

“Pulirò io, Mame-chan, non ti preoccupare.” Si difese, scrutando malevolo la macchia perlacea sopra il ricamo a punto croce.

 

“Non mi riferivo a quello! Non essere sgarbato con Win-chan!”

 

Fece finta di cadere dalle nuvole. “Sgarbato?! Ma non mi sembra! Lei ha chiesto, e io ho risposto.”

 

“Lascia stare, Edo.” Si frappose la ragazza. “Non sarei dovuta venire.”

 

“Invece hai fatto benissimo!” la contraddisse. Sfidando il compagno ad obiettare il contrario, con un’occhiataccia che presagiva dolorose ripercussioni.

 

Il Generale di Brigata aprì e chiuse la bocca. Sconfitto.

 

Cenarono in un’atmosfera inconsueta.

I due amici d’infanzia chiacchierando del più e del meno: dei lenti - ma costanti - studi per ridare ad Alphonse il suo corpo originario, di alcune missioni a cui avevano partecipato, di come stesse la zia Pinako, delle ultime sperimentazioni di auto-mail extralusso a Rush, di qualche aneddoto divertente da raccontare…

Roy rimase in silenzio per la maggior parte del tempo, masticando a viva forza per tenere occupata la bocca, prima di farsi sfuggire qualcosa di sgradevole.

 

Il caffè fu servito in salotto, dove la conversazione continuò e anche Tora ricevette le attenzioni da quella gentile signorina. Si vedeva che era brava: mentre gli lisciava il pelo, aveva una presa molto più delicata dei suoi due padroni.

Ebbe persino modo di studiare meglio la situazione, che stuzzicava la sua curiosità felina.

 

“Giacché sono qui, tanto vale che dia una controllata seria allo stato dei tuoi auto-mail, no?” ribadì l’ospite, un bel momento, facendo scendere il micio dal suo grembo e sistemandosi la gonna stropicciata. Si capiva che non aspettava altro da che era arrivata.

 

Edward impallidì di colpo.

 

“Dovresti stenderti, sarebbe meglio.” Lo invitò, andando a raccattare il valigione. “Ti sdrai sul letto?”

 

“Il divano andrà benissimo!” s’intromise Roy, tenendo a freno - a stento - la sua gelosa possessività.

 

Lo stava facendo per farlo incazzare. Poteva metterci la mano sul fuoco!

Ma lui era stanco di farsi prendere per i fondelli da quella ragazzina, in casa sua e di fronte al suo uomo, per giunta! E se Ed non aveva le palle per arrangiarsi, avrebbe preso lui in mano la situazione, per la miseria!

 

Tora, che non era un gatto scemo, aveva deciso di restarsene accucciato nella cesta, buono buono; perché aveva comunque un’ottima visuale e l’aria lì dentro era diventata veramente pesante.

Certo, però, che non capiva proprio gli umani...

Era chiaro persino a lui che il suo padrone moro odiasse la tipetta bionda - anche lei con la coda troppo alta. Eppure, fin da quando era cucciolo, aveva visto passare un sacco di femmine per quella casa e non capiva perché proprio lei, e solo lei, lo indisponesse; lei che - al contrario - attirava le simpatie del padroncino biondo, facendolo irritare ancor di più.

Quella femmina pareva esserne consapevole?, eppure sembrava quasi miagolare (come quando Minù era in calore) e faceva capire perfino a lui che era disposta al corteggiamento. Ma, se lei l’avesse fatto in quel momento - Tora ne era certo -, avrebbe rischiato grosso. (Aveva sentito parlare, dai gatti randagi di passaggio, di occhi persi e zampe zoppe, e a lui sarebbe dispiaciuto.)

Per poco il padrone moro - la bestia più anziana di Casa - non sguainava gli artigli, soffiando e rizzando il pelo contro di lei!

Cosa che lui, sinceramente, non comprendeva. Perché quella femmina era chiaramente disponibile, i suoi sensi felini lo recepivano bene.

Che non gradisse il suo pelo lungo, così simile a quello del padroncino biondo?

Impossibile.

Li aveva scoperti più volte ad accoppiarsi tra loro (forse per penuria di femmine?) – il rituale era molto simile al suo. E adesso che gli capitava l’occasione… ma con che maschi era finito?!

Sembrava quasi che lei fosse un problema anziché una soluzione.

Forse era il suo odore ad infastidirlo?

Era parecchio forte, sì, ma non sgradevole.

Ad un bel momento, si era quasi aspettato che Taisaroy – così lo chiamava l’altro, no? – alzasse la sua zampa umana e rimarcasse il proprio territorio di fronte a lei.

Ma dov’era finita la lotta virile per la supremazia? Erano peggio dei cuccioli!

Quei due sembravano litigare in continuazione per delle sciocchezze e ora, per le cose serie, non muovevano una vibrisse?!

Tora miagolò il proprio disappunto, certo – come non mai – che se fosse stato per quei due, la Conservazione della Specie sarebbe andata a rotoli.

 

Il controllo degli arti artificiali di Acciaio fu eseguito in religioso silenzio, perché Winry pretendeva la massima concentrazione.

Mustang rimase appollaiato come un avvoltoio pronto a calare sulla sua vittima, in caso fosse stato necessario e Fullmetal subiva, non completamente consapevole della sua delicata posizione di perno degli equilibri.

 

La sera scivolò via, anche se a Roy sarebbe sempre parsa infinita e interminabile.

La poltrona letto nello studio cigolò il proprio disappunto, ma fu riaperta, per permettere a miss Rockbell di riposare. E lui si strinse contro il suo Mame-chan, sotto le lenzuola, e anche se nel mezzo della notte non sentiva più la sensibilità del braccio destro, non si sognò neppure di lasciarlo e cambiare posizione.

Geloso. Era geloso e non gliene fregava un accidente di sembrare infantile.

 

Il mattino successivo, il suo caffè amaro non gli era mai apparso così dolce, pregustando l’imminente partenza della scocciatrice.

Anche se si era svegliato di umore nero (avere intrusi per casa non era la sua più alta aspirazione), si offrì di sua spontanea volontà di accompagnarla in stazione, perché si levasse dalle pal- scatole quanto prima.

Suo malgrado, invece, il telefono aveva miracolosamente ripreso a funzionare e fu Edward - che quella mattina poteva arrivare in ufficio con più calma – a chiamare un taxi per scortarla fino al treno.

L’idea di obbligarlo a presenziare ad un inesistente briefing col Generale Hakuro lo sfiorò, suadente; ma l’ira a posteriori del suo suscettibile compagno non lo allettava particolarmente.

 

Se fosse stato per lui, non si sarebbe neppure preso la briga di salutarla; ma – a conti fatti – poteva anche sprecare la sua preziosissima voce, a patto che la sua sgradita figura evaporasse dalla sua vista.

 

Fu anche tentato di seguirli – andare con loro o pedinarli, a debita distanza – ma era abbastanza tranquillizzato dal fatto che nulla di sconveniente potesse accadere in un luogo pubblico come era l’affollatissima stazione di East City, e – benché avesse una infima considerazione delle bassezze e trucchi gretti a cui la biondina poteva ricorrere (le donne le conosceva bene, lui) - poteva contare ciecamente sulla fedeltà del suo Fagiolino, troppo ingenuo per captare sottigliezze che solo le sue orecchie e i suoi occhi da seduttore consumato potevano cogliere.

 

Regalando un appassionato bacio di congedo al suo Mame-chan, - “Smettila, Roy, non stai partendo per la guerra!” – salì fischiettando sull’auto che l’inflessibile Hawkeye aveva condotto fin sotto casa.

 

“Se mi è concesso, signore… perché è così di buonumore?”

 

Mustang sorrise, e il vetro della vettura gli rimandò un ghigno soddisfatto.

“Hai presente quanto è fastidiosa una zecca, Riza?”

 

La donna lo osservò, dallo specchietto retrovisore.

“Fastidiose, sì. Ma Tora è un gatto molto curato, Generale. Non capiterà molto spesso.”

 

“Certo. Non capitano spesso. Ma, quando le gatte rognose vengono a farti visita, non vedi l’ora che se ne vadano!”

 

 

Fine



Disclaimers: I personaggi citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Note varie: il colore del titolo richiama il nero di Roy e il biondo di Winry; mi sono rifatta al conosciutissimo detto popolare: “essere come cane e gatto”.


Per ovvie ragioni, questo capitolo è molto in là col tempo, forse qualche mese dopo il capitolo 17, “Gattamorta (a volte… ritornano)” ed è un po’ il suo Scambio Equivalente.

Abbiamo visto spesso Edward alle prese con la sua gelosia, più o meno palese.

Ma Roy non è da meno.

Nella mia testa, l’odio che ha per Winry è viscerale, quasi a pelle.

Ed è completamente ricambiato, anche se lei lo dà meno a vedere.

Credo di aver addotto motivazioni ragionevoli, perché sinceramente la trovo una cosa più che plausibile.

Ricordate quando Roy si è ubriacato, perché lei era in città, e non sapeva come sfogare il suo astio?

 

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate voi. So che alcune fans del RoyEd vorrebbero Winry al rogo, ma come vi sembra che lei ne sia uscita da questo loro confronto?

 

Il POV esterno di Tora è una sperimentazione. Gradirei sapere se vi è piaciuta oppure no, per regolarmi in futuro.

 

Che Edward abbia imparato a ‘giocare’ col suo nomignolo, non mi sembra un’eresia, quanto più un chiaro indice della profonda complicità che lo lega a Roy e – cosa non secondaria – che l’altezza non sia più così un handicap che lo rende suscettibile, visto che è diventato finalmente più grande.

 

La carotide è un’arteria importantissima che passa per il collo; mentre la succlavia – anch’essa arteria - irrora la regione del cuore, partendo però dalla zona della clavicola, da cui prende il nome.

La trovo una cosa molto dolce… *___*

(Non le arterie, ma che il Taisa parta a disseminare baci dal collo per arrivare al cuore!)

Se pensavate che invece le attenzioni di Roy arrivassero più in giù, avrei parlato di altre arterie, ma siete degli hentai! ^__=

 

Come avevo chiarito a suo tempo, questa raccolta attinge sia dall’anime che dal manga, a seconda dei casi.

Quindi, per l’omicidio dei Rockbell mi sono rifatta al manga, perciò è stato Scar, non Roy, a ucciderli. Per non compromettere il già difficile cammino tra lui e Edo.

(Staresti mai con l’assassino dei genitori della tua migliore amica?!)

 

Roy la definisce, alla fine, ‘gatta rognosa’. Anche se è partito attribuendole delle ‘metaforiche’ pulci, ha un suo senso anche in un’ottica di ‘persona complicata, sgradevole, fastidiosa’.

Rognosa, per l’appunto.

 

 

Precisazioni al capitolo precedente: chi si aspettava l’uso di Betsy, in questo capitolo, forse è rimasto deluso. Tornerà sì, ad allietarci, ma non tanto presto.
La scena davanti al caminetto, però, era bella, eh?! ^__=

Mi sono spalmata sulla tastiera, mentre la scrivevo! ^////^
Purtroppo non posso offrire in comodato d’uso né il tappeto né il focolare… sorry.


Do il benvenuto a Micchan (per il compleanno di Ed, vedremo... ^^).

Mi è piaciuta molto l’interpretazione di Mua, riguardo al testo della canzone di Graziani.
Il particolare che mi ha colpita di più è “
ritorna a casa Lassie, la tua cuccia è sempre vuota” perché Ed a Al sono come due randagi, e la loro casa non c’è più, e non tornano neppure spesso a Resembool. E quel continuo scappare, l’essere braccati, gli auto-mail, che come i tatuaggi hanno ‘cambiato’ per non dire ‘deturpato’ il corpo di Ed. E altro ancora, ma mi fermo qui.

 

 

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elyxyz

 

   
 
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