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Autore: Sophie_Wendigo    12/07/2013    1 recensioni
-È irrazionale Sherlock, è irrazionale.- Si ripeteva ad occhi chiusi l'investigatore.
“Sarò ancora qui quando li riaprirai, se è a quello che stai pensando!” disse il criminale, accennando ad una risata.
Genere: Erotico, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty , Sherlock Holmes
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Bondage, Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sherlock Caramel'
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Sherlock alzò lo sguardo, stupito dal suono della sua voce, poi eseguì anche quel comando, rimanendo immobile e constatando che i suoi ginocchi dolevano più del dovuto.
“Siediti.” Aggiunse Jim, posando una mano sul suo petto e spingendolo appena all’indietro, osservandolo sedersi pesantemente sull’altra poltroncina con lo sguardo fisso nei suoi occhi, uno sguardo meravigliato e affamato di nozioni, che glielo fece vedere ancora come un ragazzino, con la differenza che stavolta sentiva se stesso come un professore, o come un padre che impartiva lezioni ad un figlio.
Si avvicinò piano, inginocchiandosi a sua volta di fronte a lui, per poi scivolare sulle sue gambe sino a raggiungere l’elastico del suo intimo bianco, che abbassò il necessario per scoprire l’erezione. Avvertì il corpo dell’altro irrigidirsi appena e ritrarsi, come se la sua presenza fra le sue gambe scottasse, al che Jim sorrise di nuovo, facendosi più spazio e dischiudendo le labbra sull’apice dell’asta, sfiorandola appena con la punta della lingua.
Lentamente, gustandosi ogni istante e ogni reazione del ricciolo, il criminale approfondì quel contatto, accogliendo tutta la sua lunghezza in bocca e iniziando a muoversi ritmicamente, facendo contorcere l’altro sotto di sé con mugolii e sospiri.
Dopo pochi istanti, James si allontanò, rimettendosi in piedi e attendendo che anche lui facesse lo stesso, seguito subito dopo dai suoi sbuffi contrariati.
Il ricciolo si lasciò scivolare giù dalla poltrona, premurandosi che il suo intimo restasse su questa, e quasi gattonò verso l’altro, che intanto si era tolto giacca e camicia rimanendo a petto nudo, sino a raggiungere di nuovo la posizione iniziale: in ginocchio di fronte a lui.
Emulò i movimenti di Jim: s’insinuò fra le sue gambe, si sporse verso la sua erezione e iniziò a stimolarla, con l’unica differenza che il detective non agì con “impeto”, si prese il suo tempo, facendo letteralmente impazzire il partner con baci umidi e prolungati alla base e lenti movimenti delle dita.
Mentre il moro si contorceva sotto le sue falangi, portando al limite la sua pazienza e imponendosi di non sbottare esigendo di più, esigendo ciò che gli spettava di diritto, Sherlock portò la mano libera al suo pube, continuando la dove il maestro si era interrotto.
Andò avanti così per alcuni minuti, fin quando i suoi sospiri divennero sempre più frequenti sull’intimità turgida di Jim, insospettendolo e spingendolo a sporgersi in avanti, così che il suo sguardo potesse spaziare oltre il profilo della poltrona, sorprendendo il giovane detective intento a stimolarsi con veemenza, quasi sul punto di venire.
Sherlock neppure si accorse del suo sguardo furente, della rabbia che sprizzava senza ragione apparente dai suoi occhi liquidi.
“Nessuno ti ha ordinato di farlo!” gridò Jim all’improvviso, lasciando esplodere una furia repressa mista a frustrazione: come si permetteva quel verme?! In primo luogo, avevano fatto un patto, ed era anche piuttosto chiaro, non prevedeva alcuna iniziativa, bensì la totale sottomissione; secondo, ma non per importanza, quel momento lo aspettava da troppo tempo per poterglielo regalare, quel piacere spettava a lui e a lui soltanto dopo tutti gli sforzi e i sacrifici che aveva fatto! Per di più, Jim non era il tipo che amava temporeggiare, nel sesso specialmente, abituato com’era ai suoi partner.
Si alzò di scatto dalla poltroncina, si portò di fianco a Sherlock e lo spinse con violenza su di essa, col petto e l’addome ad aderire alla seduta imbottita.
Gli torse le braccia all’indietro, strappandogli la vestaglia con brutalità per poi serrare le falangi sui ricci scuri e sudati, quasi volesse strapparli via.
Quindi si abbassò di più i pantaloni e, con la mano libera, gli separò le natiche, dandogli giusto il tempo di avvertire il suo pene turgido contro la sua apertura, di capire ciò che sarebbe accaduto nel giro di pochi secondi.
Si contrasse ancor di più, nell’ingenuo tentativo di fermarlo, senza pensare che così avrebbe solo peggiorato le cose.
Fu in quello stesso istante che lo violò.
Con un unico improvviso e potente affondo, lo penetrò, forzando la pelle delicata e rosea delle sue pareti, già scosse da violenti spasmi.
Senza preparazione, senza una lubrificazione adeguata, senza curarsi delle lesioni che gli avrebbe provocato, pensando solo a punire quell’insubordinazione e al suo piacere personale.
Il dolore colse Sherlock impreparato, superando ogni limite sopportabile.
Tutte le sue fibre si tesero, la sua schiena si arcuò, e si liberò in un grido disumano, soffocato malamente sulla seduta della poltrona.
 
Jim rimase immobile alcuni secondi, dentro di lui per tutta la sua lunghezza, con le dita ancora intrecciate fra i suoi capelli, in ascolto del suo corpo che gridava all’unisono con la sua voce, che stringeva i denti sulla tela tesa sull’imbottitura, che serrava spasmodicamente i pugni di fianco al viso, ora contratto da un respiro che non accennava a rallentare e rigato dalle lacrime.
Rimase così, immobile, con la mente ancora offuscata dal desiderio, quel desiderio gretto e meschino che l’aveva portato in quella stessa situazione molte volte, con la differenza che solitamente non si fermava neppure alle urla della vittima.
Questa volta però, quando si rese conto di ciò che aveva fatto, il cuore gli mancò d’un battito, facendolo imprecare silenziosamente contro se stesso: non aveva ferito una persona, uno dei suoi soliti partner, abituati a tutto ormai e, nonostante ciò, ancora intimoriti da lui e dal nuovo creativo modo poteva trovare per recargli ulteriore dolore e recarsi ulteriore piacere, quello che aveva ferito era Sherlock, il suo Sherlock. Sebbene il suo più intimo desiderio fosse da sempre vederlo soffrire, ora che soffriva veramente si sentiva solo un verme, una bestia non degna di rispetto. Ancora non riusciva a capire come avesse potuto fare una cosa tanto terribile proprio a lui e, sì, probabilmente, per la prima volta in tutta la sua vita, si sentì male dentro.
Si piegò piano sulla sua schiena nuda, cosparsa di brividi e spasmi sempre più accentuati ad ogni suo minimo movimento, sciolse le falangi dai suoi ricci e circondò il corpo tremante del detective con entrambe le braccia.
“Mi dispiace… Perdonami… Passerà presto, te lo prometto… Rilassati… Scusami, non avrei dovuto farlo… Andrà tutto bene, respira, chiudi gli occhi, calmati, pensa ad altro…” Sussurrò Jim dolcemente, dondolando appena e cercando ingenuamente di dargli conforto con quella infinita litania.
Quando avvertì i primi muscoli distendersi, si allontanò dalla sua schiena di qualche centimetro, cospargendola di baci, sempre intervallati da parole dolci e rassicuranti, continuando ad accarezzare la pelle chiara del petto e dell’addome, resa color miele dalla luce soffusa e tremolante della candela.
Infine, appena il suo respiro si fu regolarizzato, strinse le braccia attorno al suo ventre, portandolo in posizione eretta fra i lamenti e le grida soffocate.
“Va tutto bene, resisti…” disse ancora, aspettando che riempisse i polmoni prima di sollevarsi con lui e sedersi sulla poltrona, mantenendo Sherlock appena sollevato con gli avambracci sulle gambe, così che il suo stesso peso non peggiorasse la situazione.
Continuò a tenerlo ben saldo fin quando i nuovi gemiti non si furono diradati, riprendendo poi a dondolare dolcemente, poggiando una guancia sulle sue spalle e attendendo ancora che si rilassasse.
“Un ultimo sforzo… stringi i denti…” sussurrò dopo una manciata di minuti, subito prima di sollevarlo di nuovo, questa volta il più possibile, ignorando le sue urla, fermandosi solo quando il suo pene non fu completamente fuori da lui.
Allora si alzò piano e, sorreggendolo saldamente, gli fece fare lo stesso. “Sei stato bravissimo… ora appoggiati a me, andiamo a letto, ok? Andrà meglio poi, vedrai…” continuò Jim, calpestando i loro vestiti e trascinandolo con sé verso la camera.
 
Sherlock non smise un istante di gemere o tremare, il dolore era quanto di peggio avesse mai sopportato, ad ogni minimo movimento avvertiva le gambe cedere sotto spasmi violenti esi aggrappò all’uomo con tutte le sue forze per continuare a camminare e non gridare di nuovo.
Quando poi raggiunsero la sponda del letto, il criminale lo seguì continuando a sorreggerlo, facendolo sdraiare lentamente di lato e prestando la massima attenzione alle sue reazioni; finalmente lo lasciò, lasciandolo sprofondare con un sospiro, il primo di parziale sollievo, sul cuscino.
Solo in quel momento Jim riprese a respirare, quasi fosse stato in apnea per tutto il tempo.
Si sentiva un mostro per ciò che aveva fatto… E questa sensazione latente lo faceva stare anche peggio: non era da lui. Aveva già violato altri uomini, probabilmente con ancor maggiore violenza, eppure il fatto di aver ferito proprio lui, gli dava la nausea…
Scivolò via dal materasso, disgustato da se stesso e dal fatto di star condividendo lo stesso letto con Sherlock, e quando fu seduto, pronto a scendere e andarsi a rintanare nell’altra stanza, la sua mano gli circondò il polso, facendolo sussultare.
“Resta qui…” fu poco più di un sussurro, che fuoriuscì flebile dalla sua gola lesionata a causa delle grida.
Il detective aveva gli occhi socchiusi, puntati su di lui, ancora gonfi di lacrime ma, nonostante questo, Jim avrebbe potuto giurare che non vi fosse la minima traccia di una più che comprensibile rabbia, o almeno un accenno di disgusto o rancore.
Seguì la lieve tensione del suo braccio, stendendosi di nuovo accanto a lui.
Restarono immobili per una decina di secondi, a separarli la distanza che intercorreva fra i due cuscini, l’uno negli occhi dell’altro, finchè Sherlock si spinse a fatica verso il petto del moro, che lo accolse con rinnovato stupore fra le braccia, stringendolo dolcemente al petto e sfiorando con le falangi la pelle madida della sua schiena e i ricci arruffati, che adesso gli solleticavano appena il mento.
Sorrise, il criminale dalla mente folle e impenetrabile, godendo della sua presenza, sentendolo per la prima volta davvero fragile e indifeso, davvero vicino, in quell’abbraccio che trasudava una dolcezza struggente, del quale presto non avrebbe più potuto fare a meno…
  
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