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Autore: yellowcrocs    17/07/2013    2 recensioni
I ricordi –ha capito in questi anni- sono lucciole che ti illudi di prendere nella notte senza fine. 
Sa che rincorrerle è più che inutile: appena tendi la mano scappano, si spengono, ti lasciano nel buio.
Poi riappaiono, più forti e lucenti di prima, ma a debita distanza.
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Remus è il lupo solitario che vive all’ombra degli altri. In sé ha lo spirito dell’alfa, eppure sceglie di scivolare tra taglienti rami e pericolosi pendii mai attraversati prima.
Sceglie il tarlo anziché il branco, e nelle notti infinite da lupo mannaro ha imparato a catturare le lucciole con gli occhi e ciò che rimane di un vecchio cuore.
Il lupo solitario scopre cose che il branco non sogna né vive. Alza gli occhi e già intravede la luna piena.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Più contesti
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Per 'comodità' nello scrivere, non ho fatto corrispondere la scoperta della natura di Lupin con la riuscita della trasformazione in Animagi degli altri Malandrini.
Per questo motivo ho messo il 'What if'. Grazie per l'attenzione.


Ad Agnese, e a tutte le vite perse con un'immagine.

A Sun, che mi manca tanto.




 

Il tarlo ed il lupo.





La solitudine è un prezzo solo apparentemente basso da pagare per la sua nuova, vecchia natura. Remus Lupin lo sa, ne è consapevole e lo accetta. La solitudine è una brutta rogna, che si presenta sotto forma di tarlo: si annida dapprima nel torace, all’altezza del cuore. Tutto ciò che trova mangia, non si fa né scrupoli né preoccupazioni: in natura conta la forza di sopravvivere, non la compassione per se stessi. Questo, a differenza del tarlo, Remus continua a non capirlo.
La notte è limpida, chiara, un paio di nuvolette corrono nel cielo come lupacchiotti che zampettano verso il branco, e oscurano la luna. Il tarlo mordicchia ancora, silenzioso, crudele, famelico e ignobile nel petto di Remus. Si guarda intorno: niente si muove se non per il vento. I cespugli profumati, le fronde degli alberi, l’erba umida della notte e della terra, i capelli grigiastri un tempo biondi sulle tempie, gli odori di sangue e casa e guerra lo inebriano e inorridiscono. Insipira e espira, Remus, sa già che arriverà la luna e un’altra notte da cani –anzi, da lupi- lo morderà vogliosa, spinta a soggiogare la sua anima da una natura famelica quanto bella come quella del  lupo. Continua a guardarsi intorno, sa già che in qualche secondo la nuvoletta di passaggio continuerà la sua corsa verso il branco e  lo lascerà solo e scoperto come lo è da una vita. Eppure, ogni volta, fa ancora più male, il tarlo morde più a fondo e lui non può che subire immobile la sua condanna. Ha deciso di vivere da solo la sua natura da lupo, Lupin, rifiuta il branco e l’Oscuro, nonostante faccia parte di lui. Legato dalle sue stesse catene al terreno, ha già nascosto da bacchetta, lontano, con il suo cuore o ciò che ne resta: il tarlo non continuerà a mangiarlo, questa volta.

I ricordi –ha capito in questi anni- sono lucciole che ti illudi di prendere nella notte senza fine.  Sa che rincorrerle è più che inutile: appena tendi la mano scappano, si spengono, ti lasciano nel buio. Poi riappaiono, più forti e lucenti di prima, ma a debita distanza. Il lupo è un predatore: pur di sopravvivere affronta neve e fronde spinose, vento gelido e il secco dell’estate. Eppure si adatta, sempre e comunque, perché il branco si muove e bisognerebbe seguirlo, o almeno intercettarne le tracce: Remus è il lupo solitario che vive all’ombra degli altri. In sé ha lo spirito dell’Alfa, eppure sceglie di scivolare tra taglienti rami e pericolosi pendii mai attraversati prima. Sceglie il tarlo anziché il branco, e nelle notti infinite da lupo mannaro ha imparato a catturare le lucciole con gli occhi e ciò che rimane di un vecchio cuore. Il lupo solitario scopre cose che il branco non sogna né vive. Alza gli occhi e già intravede la luna piena.

Decenni prima, in una tarda sera invernale come quella, un piccolo Remus si avviava dal centro del paese verso casa, appostata su una piccola collinetta e circondata da un piccolo boschetto. Già l’odore di famiglia e di affetto chiamavano, e da bravo bambino affrettava il passo, le buste pesanti piene di verdure rimbalzavano fastidiose sui fianchi. L’aria era ferma e immobile, grossi nuvoloni annunciavano un temporale memorabile, proprio come la settimana prima, quando suo padre scacciò in maniera poco civile un grosso e brutto uomo da casa: Fernir Greyback  ispirava solo pericolo e violenza. Prima di Smaterializzarsi al di fuori della proprietà Lupin, lanciò uno sguardo talmente gelido a Remus che il bambino indietreggiò, la pelle e i muscoli già gelidi e tesi. Ma “I brutti pensieri vanno solo scacciati” diceva sua madre, così riprese a camminare mentre la pioggia leggera ticchettava sulle spalle.
Accadde tutto in modo molto confuso: un vento gelido gli investì le spalle, accompagnato da un odore di cane sporco e bagnato. Fu come una voce, o un richiamo che somigliava ad un latrato, che lo fece girare. Un uomo grosso e imponente gli si piazzò davanti, a qualche metro di distanza: poté intravedere i denti aguzzi e le unghie gialle e affilate di Fernir sbucare dal mantello nero da viaggio. “Non si offre da mangiare agli ospiti, piccolo Remus?” ghignò malefico. L’arretramento fu automatico: le buste degli ortaggi rotolarono a terra, fino ai piedi del mantello.
“Non si spreca il cibo, non te l’hanno detto?” sorrise, mostrando i denti, “Lo dico per te, Remus, la mia cena oggi è intatta, pulita e da addentare, non posso certo preoccuparmi, vedi?” e indicò il cielo, dove la luna fece capolino curiosa e spietata da dietro i nuvoloni. Successe in pochi, eterni attimi: la testa si deformò prendendo una linea più sottile e allungata, le braccia divennero nodose e pallide, gli occhi iniettati sangue; nel giro di pochi secondi due esseri sembravano combattere in uno stesso corpo. Le parole del padre di fecero spazio tra la paura: “Quel tipo è un lupo mannaro, Remus, scappa e basta quando lo vedi!”. E così fu. Le gambe presero il possesso della situazione, Lupin si addentrò terrorizzato all’interno della foresta nella speranza di trovare riparo.
Te l’hanno mai detto che i lupi adorano i boschi?
Sentì un urlo e poi un ululato alle sue spalle:  la trasformazione era completa, il lupo a caccia in cerca di una preda da avvelenare. I tuoni si fecero più forti e la pioggia più violenta, trattenne a stento un urlo e si addentrò ancora di più fra i tronchi scuri degli alberi: la casa nel bosco sarebbe stata la sua salvezza? Vide una gigantesca ombra nera correre verso di lui, alta e sottile e feroce come la morte. Aumentò la velocità, ed anche se le gambe iniziavano a non sentirsi per il freddo, riuscì a udire una frase ululata sopra i rombi del temporale: “Sento il tuo odore, Remus!”.
Lo sapeva, non aveva via di scampo, eppure le gambe continuavano a martellare il terreno, infrangersi nelle pozzanghere di fango. Si sfilò la giacca e la gettò lontano: sarebbe bastato per farlo allontanare? “Voglio vivere, voglio vivere!” continuava a ripetersi. Dopo pochi minuti arrivò nella radura della casa. Corse verso la scala di legno, sperando di sopravvivere, eppure si fermò, gelato, con lo sguardo alzato: un enorme lupo mannaro lo fissava pochi metri sopra di lui, con gli occhi allargati per la preziosa sorpresa. Tutto si fermò: riuscì a sentire il suo odore, l’alito contro il viso, l’espressione assassina tinta sugli occhi. Tentò di arretrare e venne gettato al suolo, come preso da una morsa che nulla lascia sfuggire.
Vicolo cieco, la corsa è finita.
Probabilmente tentò di combattere, di sfuggire a quella che credeva una morte crudelmente sorridente. Sentì una pressione elevatissima sulla spalla, la clavicola e la scapola spezzarsi come bastoncini. Urlò di dolore come se fosse l’unica cosa che riuscisse a fare, poi venne sollevato, probabilmente trasportato al di fuori dal bosco: i genitori infastidiscono il lupo, il bambino diventa la vittima. La spalla non rispondeva più, una colata di sangue caldo sgorgò da sotto gli artigli della bestia e si ritrovò a sputare un intruglio di saliva, sangue, dolore.  Venne trasportato agonizzante ancora nella foresta, erba e artigli gli sfioravano le ferite già aperte e procuravano graffi alle gambe pallide e indolenzite. Fu convinto di morire in quell’istante, senza aver salutato nessuno dei suoi cari, e invece si sbagliava. Venne scaraventato a terra con rabbia, sbatté la schiena e la nuca e urlò più forte, ancora le preghiere della vita che rimbalzavano da tempia a tempia. Si rigirò sul petto, provò a strisciare verso quello che era il cancello della sua casa: ultima e irraggiungibile ancora di salvezza. Ovviamente non fece in tempo, venne ripreso e lasciato sulla terra fangosa, faccia a faccia con il suo assassino, le fauci spalancate di un alfa famelico che impone il suo potere. Prima di poter proferire parola, le zanne della bestia si conficcarono crudeli nella pelle innocente, arrivando facilmente alla clavicola illesa. Qui il grido non tardò ad arrivare, il lupo mannaro sbrana la preda e la guarda soffrire, prima di lasciarla al suo destino. Il piccolo Remus rimase ancora bloccato a terra dagli artigli del mostro finché un fascio di luce rossa colpì la bestia in pieno petto, quando ancora era intenta a mordere le costole dell’ormai nuovo lupo. La pressione sul debolissimo corpo svanì di colpo, l’ombra nera scomparve dalla visuale e nuove grida riempirono l’aria macchiata si sangue di quella sera. L’urlo straziato di una madre superò la potenza del tuono, dopo di ché, buio.

Lo stesso buio lo finisce di circondare adesso. Il vento sibila e sussurra consigli, maledizioni, verità scomode. Già l’udito e l’olfatto si fanno più fini e ingannatori: inizia a sentire –stupida immaginazione del passato- l’odore di un cane e i rami che sbattono contro un cesto di corna di un cervo. Per gli infimi topi non c’è più posto. Il lupo annienta il roditore con un solo sguardo, un attimo ed è già sparito. Un piccolo sforzo e quel lurido traditore di Peter Pettigrew viene cancellato dai ricordi di Hogwarts  e dei Malandrini, della vera accettazione e dalle prove d’un amicizia  spezzata troppo presto e in modo troppo brusco, eppure mai finita, ma che continuerà sempre. Lo risente –si corregge: lo immagina- l’odore dell’Hogwarts Express, il fumo bianco, lo sferragliare delle rotaie, l’agitarsi delle civette, gli avvertimenti delle madri e le pacche sulle spalle dei padri. Pacche che lui mai aveva ricevuto. “Non è mio figlio, è una bestia, adesso!” Aveva urlato suo padre qualche giorno dopo l’attacco, al San Mungo. Sua madre si era chiusa dietro la porta ed era corsa ad abbracciarlo, già le lacrime rigavano il volto come le cicatrici fresche e rosse sulla pelle violata. Remus piangeva in silenzio, perché i bravi figli non si devono sentire, e il lupacchiotto ferito non può commettere passi falsi se non vuole essere sbranato per la seconda volta.

Buia era la sua testa quando un ragazzino riccioluto occupò la poltroncina davanti alla sua.
“Scusami, ma non ci sono vagoni liberi, ti dispiace?”
“No, vieni pure.” Sono un lupo.
“Perfetto! Comunque sono Sirius Black.” Io un cane: siamo simili.
“Scusate, sono già occupati questi posti?” Un ammasso di capelli corvini fece capolino dalla porta.
“No.” Dissero all’unisono. Il lupo e il cane sono affini.
“Allora se non vi dispiace mi sistemo qua, il treno è pieno. Io sono James Potter.” Il cervo s’inchina e scruta il lupo. La foresta è il loro ambiente. Corrono sulla stessa terra, combattono contro le stesse fiere. Il lupo solitario adesso ha un branco tutto suo.

Buia era la sera invernale quando il bagliore dell’amicizia illuminò i volti di Sirius e James, oscurando la luce di una luna piena che stava per spuntare odiosa.
“Hey Moony, dove vai? Tra poco si cena!” urlò dietro Sirius. Remus si sforzò di non sentire, aumentando il passo verso la prima uscita che vide.
“Remus! Dove stai andando?” echeggiò poi James. Non fece in tempo ad afferrare la maniglia della porta che due paia di braccia robuste lo presero di peso e lo fecero arretrare.
“Remus, vuoi risponderci?”
“Ragazzi, devo andare, è una questione urgente…”
“Né Flitch né il buon vecchio Dumbledore saranno contenti di questa uscita, non trovi? Almeno facci venire con te! Mai nei guai da solo, l’hai promesso!”
“Ragazzi, vi prego, lasciatemi! Non posso stare con voi stasera… io devo… ho da fare delle cose. Un  giorno vi spiegherò, ve lo giuro,” cercò di sfuggire alla stretta dei due amici “ma adesso dovete lasciarmi andare, e voi dovreste tornare il Sala Comune, o in Sala grande! E’ tardi, vi staranno aspettando.”
“Già, in effetti il tramonto è già passato, ma questo non vuol dire che non dobbiamo preoccuparci di te!” lo rimproverò James.
“Il tramonto è già passato?” sbiancò più del dovuto. “Oh no. Oh no, no, no! Devo andare, Sirius, James, lasciatemi ora!” urlò rabbioso. Così fecero, ma continuarono a seguirlo a grandi falcate.
“Remus, dobbiamo parlarti!” gridarono all’unisono, non perdendo un solo passo.
“Toglietevi dai piedi! Ve lo dico per il vostro bene, ragazzi, non fatevi Schiantare, per favore!”
“Accidenti, Lupin! Fermati!” ringhiò il giovane Sirius, e questa volta con un tono così arrabbiato e accusatore che Remus rallentò.
“Moony, -ah, zitto Sirius, dobbiamo dirglielro! – noi… noi sappiamo cosa sei.”
Remus perse l’equilibrio. Era quasi arrivati al platano picchiatore, il cielo non era molto coperto, e non poteva solo pensare al fatto che i suoi due migliori amici potessero rischiare l’anima per lui. Eppure si voltò, li guardò come se mai si fossero visti prima, e due lacrime silenziose sfuggirono dalle ciglia. “No.”
“Sì, invece. Noi abbiamo fatto delle… indagini…e abbiamo sc-”
“Non può essere! Non avevate indizi!” urlò loro, le mani già portati davanti agli occhi e le ginocchia già sull’erba bagnata. La consapevolezza del lupo di essere rimasto solo, di nuovo, nella foresta sinistra. “E se le cose stanno così… andatevene! Fuggite! Non rivolgetemi più la parola! Non vi faccio pena, eh? Remus Lupin, il…”
“Non ce ne importa un bel niente!”  gridò di nuovo James, quasi furioso, “Non importa se sei un Lupo Mannaro! Chi se ne frega,  francamente?”
“Per noi sarai sempre il nostro Remus: secchione, rompipalle e inseparabile amico.” Sorrise Sirius. “Adesso vai dove il Preside ti ha detto, quando domani tornerai ti faremo una sorpresa, vero Prongs?”
“Verissimo, Padfoot.” Rispose all’occhiata malandrina dell’amico.
Remus non poteva credere alle proprie orecchie, e quando stava per ribattere i due amici quasi lo soffocarono in un grande e caloroso abbraccio.  Asciugandosi le lacrime li ringraziò e sparì nell’oscurità. Il lupo non sarebbe stato solo.
Il risveglio del giorno dopo fu piuttosto insolito: aprì gli occhi e una scossa lo percorse fino alla fine della schiena. Albus Dumbledore lo fissava con vago interesse, seppur rimanendo serio.
“Preside Dumbl-“
“Shh, Remus, Madama Chips non gradirebbe che tu fossi sveglio a quest’ora. Come minimo sveglierebbe mezza scuola dalle urla.”
“Ma… signore… io… perché sono qui?”
“C’è stata della confusione, stanotte.”
Remus si drizzò a sedere, sbiancando. “Ho fatto qualcosa? Se avessi combinato guai, io… devo lasciare Hogwarts, ma io non ho ness-“
“Niente di tutto questo. Ti abbiamo solo trovato agonizzante nella foresta, con un paio di frecce nella spalla.”
Cosa?!
“Già, probabilmente un centauro. Ah, creature curiose! Mi piacerebbe tanto entrarne in stretto cont-“
“Scusi, preside, ma… come ho fatto ad uscire dalla casa? Qualcuno ha… visto? Come avete fatto a… trasportarmi… senza che… insomma, avete capito.”
“Be’, te lo spiegherò un’altra volta. Adesso credo tu abbia visite, ma non sono sicuro che Madama Chips… oh, già urla.”
“Black e Potter! Provate un’altra volta ad entrare nella mia infermeria di nascosto  e vi giuro che ne passerete di tempo qui dentro, e adesso sparite! Il vostro compare Lupin probabilmente potrà uscire questo pomeriggio, ma prima di allora, fuori!”
“… Appunto. Adesso, Remus, mi vedo costretto ad andare. Spero che tu stia bene e che tu abbia un buon rip-“
“Signor preside.”
“Sì?”
“Grazie.”
Dumbledore sorrise tranquillo, gli scintillanti occhi azzurri da dietro le lenti a mezzaluna rincuorarono il ragazzo. “Sai Remus, Hogwarts darà sempre una mano a chi ne ha bisogno, e soprattutto a chi se lo merita. A presto.” E sparì dietro le tende. Dopo qualche minuto Madama Chips entrò con un cestino di bendature nuove. “Ah, queste frecce di centauro… sono un brutta rogna, sai?” Remus annuì. “Allora, come ti senti? Testa a posto? Qualche dolore particolare? Ti vedo un poco pallido, Lupin…”
“Oh, quello è naturale,” ironizzò lui, mentre le fasciature  venivano cambiate. “Madama Chips, prima c’erano…”
“Sì, i tuoi due amichetti. Che teste calde, eh?”
“Be’… sono fatti così.” Sorrise,  già pensando di riabbracciarli da lì a poco ore.
Quando si risvegliò, il braccio non aveva più le nuove cicatrici e numerose boccette erano appoggiate sul comodino accanto a lui. Il ticchettio dei passi svelti  di Madama Chips echeggiarono nel stanza, e quando scostò la tenda per entrare, Remus fu ben felice di avere il permesso di uscire dall’infermeria. “Ricordati di non sforzare troppo la spalla!” gli urlò per l’ennesima volta, quando già si stava avviando verso i dormitori. Ma non fece in tempo ad arrivare alle scale, che due sorrisi particolarmente malandrini gli si sfoggiarono davanti.
“Ragazzi!”
“Moony,” dissero all’unisono “dobbiamo parlare.”
“Oh, sì, comunque sto benissimo! Felice di rivedervi anch’io!”
“Ah-ah, divertente, adesso vieni con noi!” e così venne traportato appena dentro la foresta Proibita.
“Ma che diavolo state facendo?!”
“La tua sorpresa, non ricordi?”
“La mia… ah, sì… be’, con capisco perché dobbiamo venire qui. E’ qualcosa di illegale?”
James e Sirius ghignarono divertiti.
“Oh, no! Ragazzi, evitiamo certe cavol-“
“Moony, cuciti la bocca e stai a guardare. E cerca di non commuoverti, dato che hai la lacrimuccia facile.”
Remus sbuffò, “Avanti, vediamo, allora!”
Sirius socchiuse gli occhi e prese un gran respiro. Aggrottò le sopracciglia in un’espressione concentrata, e la divisa scolastica in pochi istanti avvolse un grosso cane nero. Non fece in tempo a cercare lo sguardo di James, che si ritrovò davanti un giovane e possente cervo. Non si mosse una foglia.
“Animagi.” Sussurrò. “Voi siete diventati degli Animagi.”
Come risposta il cane nero gli balzò in collo, cercando di leccargli la  faccia, e il cervo si avvicinò per farsi accarezzare il pelo biondiccio. Quando ritornarono nelle loro forme normali, Remus conservava ancora l’espressione basita di qualche minuto prima.
“Allora Moony, che te ne pare? Non è fantastico?”
“E ammirevole!”
“E di un livello altissimo!”
“E incantevole!”
“E bellissimo!”
“E meraviglioso!”
“E incredibile!”
“E ammirevole! L’abbiamo già detto?”
“E’ illegale!”
“Ah, ma per favore, sarà il nostro piccolo segreto, non trovi? E poi chi ti farà compagnia nelle notti di luna piena? Ti abbiamo visto, mentre venivi portato in infermeria, stanotte.”
“Voi… voi siete…”
“Gli amici migliori che si possano desiderare?”
“No! Siete degli idioti!”
“Ah, caro Prongs,” fece rassegnato Sirius “il lupacchiotto non cambierà mai!”

Buio, buio, buio. Ecco cosa vedeva Remus adesso, nella tenebre. La luna si mostra, nuda nella sua sinistra bellezza, davanti al lupo solitario. E si rassegna alla sofferenza.

Buia era la notte in cui la notizia arrivò. Il Patronus di Silente parlò con una voce così profonda e seria da mettere i brividi.
“Remus?”
“E’ successo qualcosa? Perché ha mandato un Patron-“
“Materializzati immediatamente a Godric’s Allow, Voldemort ha attaccato James e Lily.”
Mezzo secondo e si Materializzò davanti alla loro casa, ormai distrutta. I membri dell’Ordine erano già lì. Vide subito l’enorme figura di Hagrid, quella snella di Dumbledore e i suoi compagni che piangevano in preda al panico. Si precipitò nella folla, correndo verso Albus.
“Dove sono? Dove sono Lily e James?” urlò, il terrore che lo mordeva da sotto la pelle, la paura del lupo di aver perso un suo amico.
“Remus… quando noi… erano… non c’è stato niente… da fare,” singhiozzò Hagrid, le lacrime candide sopra la folta barba “il piccolo Harry…”
Ma Remus non sentì più niente, nessun urlo,  né pianto, né grido arrivò alle sue orecchie: James giaceva, immobile e gelido, su un telo bianco. Gli occhi erano aperti, gli occhiali a premuti sul naso, osservava un cielo che già non vedeva più, una lieve espressione di sorpresa oscura copriva il suo volto. Accanto a lui, Lily era stesa, anche lei immobile e pallida. I lunghi capelli rossi che le incorniciavano il viso, i meravigliosi occhi verdi socchiusi, rivolti nella direzione del marito. Il grosso cervo giaceva immobile, nella radura, davanti alla madre del suo cucciolo, anch’essa morta. Se n’era andato lottando, eppure in religioso silenzio, come solo lo spirito di un re può permettersi. Il lupo osservava, addolorato dalla scena. Aveva perso il suo amico, del cane non c’era traccia.
Non riuscì a ricacciare indietro le lacrime, “Dov’è Sirius?” chiese.
“Tutti gli indizi portano alla sua colpevolezza, Remus.”
“Ma… No! Non è possibile! Sarebbe morto piuttosto che rivelare il luogo della casa!”
Ma il silenzio di Dumbledore lo affranse così a fondo da non replicare.
Il tarlò iniziò a rosicchiare il cuore di legno di lupo invecchiato in troppo poco tempo. E l’oscurità lo ingoiò di nuovo,  per più di dieci lunghissimi anni.

Buia era la notte in cui si ritrovarono in quello che era il suo vecchio rifugio, la sua tana. Harry, piccolo cervo messo in una rete così grande da non riuscire ad intravedere, portatore di croci enormi. Hermione e Ron, che tentavano di alleviarne il peso. E là, davanti a loro, Sirius. Scavato, pallido, sporco, cadaverico: il cane messo a morire per un morso che non ha mai dato.
“Devo commettere l’omicidio per cui sono stato messo dentro!”
E' un ringhio, quello del grosso cane, un pianto ed un latrato insieme.
“Peter, non ti vergogni di guardare Harry negli occhi, dopo aver fatto uccidere James e Lily?!” E nonostante tutto,  nonostante il temporale sopra la foresta, nonostante l’assenza dolorosa del cervo, nonostante i morsi taglienti e profondi del tarlo, l’arrivo del cane innocente rianima il lupo, dopo tutto questo tempo. I chiarimenti sono svelti, strani, da sentire ed accettare: “Voi dovreste essere scambiati!”
Il sudicio topo –il ricordo, almeno- ha abbattuto il cervo e ferito il cane. Il sudicio topo ha fatto del male, ha fatto morire il suo migliore amico e la usa moglie, la ragazza più sveglia mai conosciuta fino ad allora. Il sudicio topo ha mandato l’altro suo migliore amico dentro una gabbia di disperazione.  Il sudicio topo merita solo la morte, ma la felicità supera il disprezzo, anche in quel momento. Un abbraccio e i fili delle vite si intrecciano di nuovo, l’amicizia rigermoglia, la voglia di andare avanti rinasce, il tarlo si allontana: il lupo non è più solo, il cane è tornato e già  si leccano le ferite a vicenda.
“Sirius, io…”
“Sono tornato, Remus. Questa volta per sempre.”

Il lupo osserva la foresta, buia come non lo è mai stata prima: la Guerra è iniziata, gli alberi tremano, il fantasma del cervo va e viene, e si ritrova a camminare di fianco al grosso cane.

Grimmud Place ricorda tanto un circo in rovina, palco d’uno spettacolo morto da anni. La musica di un carillion rotto, uno specchio sporcato dal tempo, vecchi armadi, un quadro da buttare ancorato al muro, impossibile da gettare.
 “Traditori del sangue in casa mia! Sudici ibridi! Schifosi Sanguesporco! Ripugnanti esseri nella dimora Black!”    Sono strilla ed urli isterici di un passato sbagliato dimenticato e ancora da dimenticare, quelli nella mente di Sirius. Remus lo sa. L’odore di marcio che s’è avvicinato ai loro nasi infastidisce ogni senso, entra nelle ossa, filtra oltre il pelo: il lupo e il cane –ferite ancora aperte e sangue secco addosso- mostrano le fauci al sibilo e all’aria intrisa di sangue e dolore della Guerra che verrà. E’ un’amicizia fatta di silenzi, la loro. Di sguardi curiosi, schietti, scherzosi, malinconici, rimproveratori, di risate camuffate, di gesti apparentemente innocui, di gomitate e calci sotto il tavolo, abbracci e pacche sulle spalle, di toni di voce e modi di fare. Le parole sono l’ultima spiaggia, sono superflue, semplicemente non servono. Un’amicizia del genere rimane intatta negli anni, costudita da una bolla di sapone sporca, eppure indistruttibile. C’è qualcosa al di là dell’amicizia, di quell’amicizia. E’ la consapevolezza di affrontare la morte –chi prima, chi dopo – insieme, fianco a fianco, bacchette alzate e zanne in bella mostra: appena  il lupo si muove, il cane fa lo stesso e viceversa. In più, le parole raccontano, ma Sirius non ha niente da raccontare
–o meglio, niente che gli altri vogliano sentire- e Remus non ha mai raccontato nulla. Il traditore dei Black capisce quella “bestia” che è Lupin con un niente, che basta ad entrambi per ricordare il legame indissolubile che li ha sempre legati. Il loro è un dolore comune, lontano e vicino al tempo stesso. Il legame inspiegabile che lega un vecchio lupo e un grosso cane nero.
“Sirius?”
“Mh?”
“Ti mancano i vecchi tempi? James, i Malandrini, Hogwarts.”
Era un principio di un sorriso malinconico e stanco, quello di Black. “Tanto.”
Remus sospirò. “Ce la faremo?”
“A fare cosa?”
“Famiglia, amici, pace… Tornare indietro ai vecchi tempi, fare qualche visita a James e Lily.”
“Remus, ce la faremo.”
Neanche il tempo di uno sguardo e il sorriso di Sirius scomparve dietro un velo.
Il lupo che s’illude, che crede di essere felice, che crede di vivere, che crede di non essere solo, muore ogni giorno, migliaia di volte.

Il pallido e spietato raggio lunare lo colpisce in faccia come una lama, una zanna, riaprendo un taglio mai destinato a chiudersi. Non lo coglie di sorpresa, certo, ma ogni notte è un effetto diverso, una lama più o meno tagliente, un’angolazione più e meno dolorosa. Stanotte ha la forza di quando ha quasi ucciso Sirius dopo averlo riabbracciato. “Non permetterlo, Remus! Controllati! Puoi farcela!” aveva urlato.  Ma già la pupilla si dilata, gli occhi si arrossiscono –e non per le lacrime, ma per il sangue- e l’anima demoniaca prende il sopravvento. Ogni volta il dolore fisico e mentale è spaventoso. Lupin non ha mai subito un Crucio, ma crede che la sua trasformazione ci passi molto vicino, con una sola differenza: la sua metamorfosi colpisce anche l’anima, la lacera e poi, pezzo dopo pezzo, la lascia ricomporre.
E’ un botto, quello che sente nel petto: la cassa toracica s’allarga, si fa più possente e robusta, la pelle viene tirata come una carta troppo piccola per un pacco. Gli arti si deformano, le ossa si allargano e legamenti e articolazioni vengono sfasati, lacerati.
Il dolore è lancinante, come se tutti i nervi fossero bruciati, torturati a loro volta.
I polpacci si assottigliano e allungano, nella forma di quelli di un gigantesco lupo deformato, anomalo. Le braccia si fanno più lunghe e possenti, il cranio si sforma con un dolore tale da sembrare sul punto di spezzarsi, facendosi più allungato e affusolato. Dai piedi spuntano grossi e rozzi artigli, e lo stesso succede alle mani che un tempo scrivevano veloci su fogli e fogli di pergamena. Le unghie si deformano, diventando aguzze e grosse, le mani tremano violentemente, si ingrossano a forma di grandi ragni. Gli artigli graffiano la sua stessa pelle, i denti trasformati in fauci fanno sanguinare la bocca in maniera più che preoccupante: già si macchia del suo sangue, Remus, e non se ne rende conto. La sua parte umana mette al primo posto gli altri, quella da lupo non fa differenze: tutti sono possibili prede. I sensi vengono scombussolati e affinati, in continuo sbigottimento. Non ha più possesso del suo corpo: la sua coscienza lo ha abbandonato e il lupo famelico che è in lui prende il sopravvento. Non bastano né dolore, né sangue, né una luna piena a fermare uno spietato assassino.

Al risveglio, tutto è molto confuso. Ci sono rumori, odori, fruscii, retrogusti di sangue nella bocca e sui vestiti in gran parte lacerati. Appena apre gli occhi la luce lo acceca: nella foresta il lupo si è abituato all’oscurità. Perfino un raggio di Sole filtrato dagli alberi è un evento unico, ora che il cane e il cervo l’hanno lasciato silenziosamente, abbandonato all’odore di putrefazione della folta nebbia, il tarlo torna più cattivo di prima, colpisce spazi più delicati, ricordi più sgradevoli. Riconosce del verde  e ricorda di ritrovarsi sotto degli alberi, i polsi legati a solide catene, e pieni di ferite fresche. Con un Accio appena sussurrato afferra la bacchetta, facendo Evanescere le catene e liberandolo dalla dolorosa morsa metallica. Appena si passa –sfinito- le mani sul volto, le vecchie cicatrici sembrano appena aperte, gli occhi ludici da un pianto d’una intera notte. E’ un’esistenza impossibile, quella di Remus: nemmeno il tempo di trovare la felicità che già i problemi arrivano e lo devastano continuamente, sommandosi al vuoto dentro di lui causato dal tarlo.
La maledizione dell’essere un lupo, della foresta con i suoi rumori sinistri, dell’amore così vicino e così difficile da raggiungere.
Il vento fresco gli accarezza il viso – un tempo lo faceva sua madre, da mesi lo fa Tonks- come a rincuorare un vecchio amico. Ma anche il vento è un bugiardo, l’ennesimo di una lunga serie. Lo illude di avere un momento di pace, di riposo, un solo dannatissimo secondo per prendere una boccata d’aria fresca per ripulire i polmoni, a patto che non siano già stati morsicchiati. E invece no, perché il vento porta con sé la puzza della Guerra che combatte da sempre, e che è stata lontano e irrimediabilmente vicina. Appena si alza, vede chiaramente i segni della sua nottata infernale. La terra è scavata, graffiata a fondo, come se il lupo avesse cercato riparo nella terra, in una lotta contro se stesso, contro l’ospite più scomodo. Si guarda intorno: il Sole picchia forte, illumina ogni ramo e foglia, gli riscalda le gambe e gli permette di ammirare le colline scozzesi intorno a lui. Eppure, Remus vede buio.

Appena si gira verso la foresta, il cuore inizia a fare gli scherzi. Tonks è seduta ai piedi di un albero, la sua borsa a tracolla in  mano, la testa sulle ginocchia, come una bambina –guerriera- addormentata. Tutto in lei è colore e amore: il viso pallido a forma di cuore, il carattere fin troppo scontroso e volgare, gli occhi da Black –l’amaro ricordo di Sirius quando si acciglia- che scrutano, divorano, classificano, e quegli indecifrabili capelli, le labbra carnose, la risata contagiosa. Remus, nel suo piccolo cuore da Alfa mancato, crede che nell’amore non ci sia niente di più bello di questa visione: Tonks che non lo commisera, ma lo rispetta.
Dora è una combattente, una guerriera, una donna ancora un po’ bambina. E’ una lupa possente che si prende cura della sua famiglia, che è pronta a sbranare lo sconosciuto alla prima mossa falsa. Cocciuta, volgare, impertinente, adorabile nella sua stranezza: gambe scoperte, capelli ridicoli, maglie enormi -”Scarafaggi” scritto a caratteri cubitali sopra- che la coprono fino alle ginocchia. E’ un universo da scoprire, ogni giorno di più grande, ogni momento più assurdo. Tonks è tutto per Remus, e lui l’ha capito, dalla prima volta che è entrata a Grimmud Place, alla scenata a Hogwarts dopo la morte di Dumbledore, al loro primo bacio, alle sue parole urlate dopo una sfuriata -“Non me ne frega proprio niente, Remus! Forse faccio così perché ti amo! Non ci arrivi, perfetto imbecille?”- così arrabbiata che i capelli vagavano da un rosso scuro ad un verde  foresta, al suo “sì” sussurrato davanti al cerimoniere, alla nascita del piccolo Teddy. Tonks è perfetta nei suoi innumerabili difetti: la figura indecifrabile che nessuno, escluso lui,  ha mai raggiunto.
Avanza verso di lei, e subito si sveglia. I capelli da un chiaro lilla, classico quando fa bei sogni, diventano di un blu scurissimo, allarmato.
“Accidenti Remus, mi hai fatto prendere un colpo!” dice afferrando la mano del marito e mettendosi in piedi.
“Perché sei venuta?”
“Perché Teddy non smette di piangere dato che vuole suo papà.” Sorride a fior di labbra, ed i capelli hanno già cambiato colore in un profondo viola, “Sono venuta e vedere come stavi, adesso cambiati e andiamo a casa.” Dice ignorando lo sguardo accusatore del marito.
“Nymphadora, non devi venire in queste notti, sai che è pericoloso!”
“Pericoloso? Ti ricordo che sono un’ Auror! E che all’occorrenza potrei trasformarmi in uno di quei cosi dell’Africa… gli efelanti! E comunque piantala di chiamarmi Nymphadora!”  borbotta, mentre delle ciocche di capelli si tingono si rosso, simili a quelli di Lily.
“Gli elefanti, semmai.” La corregge e sorride, stringendola a sé.
“Sì, insomma, come diavolo si chiamano!” ridacchia sul petto di Remus “Ma adesso andiamo a casa, ho una fame da lupi!” ironizza.
Remus sbuffa, un tocco di bacchetta e i vestiti tornano candidi e nuovi, un sorriso che un tempo era dedicato a Sirius e James riaffiora tra le cicatrici invisibili.
“Sì, andiamo a casa.”

Così il lupo s’avvia  nella foresta, un lupacchiotto che ancora deve scoprire il mondo che lo guarda sognante, ma di cui l’unico ricordo saranno vecchie foto. Ma prima di scomparire tra gli alberi, guarda indietro, gli occhi risplendono nell’oscurità e cercano di leggere il cielo: è nero, coperto da folte nubi.
Lo è da sempre, ma le fronde cariche di foglie l’hanno coperto alla sua vista. Sa che non potrà godersi suo figlio, la sua Tonks, la sua nuova famiglia, la sua nuova e felice vita. Una volta, forse, avrebbe sperato di rimanere così, ma il tempo si avvicina, deve mostrare le fauci e stringere in mano la bacchetta.
E’ tempo di uscire dalla foresta con tutte le proprie cicatrici, gli errori, le delusioni, i ricordi. E’ tempo di combattere. Non serve piangersi addosso, sa già che quelle sono le ultime volte che vedrà il sorriso di Tonks e gli occhi del piccolo Teddy.
Saluta la foresta, il mondo in cui ha vissuto, che lo ha accolto nel silenzio, che ha condiviso con il cervo e il cane. Saluta la vita, in fondo, perché già sa che in questa Guerra morirà, lasciando dietro sé il ricordo e qualche impronta delle sue zampe.
C’è stato, nella sua vita, il momento per dire la verità, per mentire, per cercare di vivere e adesso per morire. Ma Remus dentro di sé è un Alfa: è pronto a cadere per il suo branco, distrutto e ricostruito così tante volte. L’ha fatto il cervo, l’ha fatto il grosso cane nero, l’ha fatto la fenice e il potente leone. I fantasmi degli amici lo circondando, i sorrisi riaffiorano e le fiere chinano il capo, nell’aria fredda piena di lucciole: dopo tutto, non l’hanno mai lasciato. Manca solo lui, per un mondo nuovo e coraggioso.

Quello che si erge quella sera, tra il temporale, su una roccia che trionfa sulla radura in guerra, è l’ululato più forte di qualsiasi altra cosa: l’urlo di battaglia e l’addio di un lupo, di un uomo, che ha sconfitto un tarlo che porta in petto da quando era bambino, che ha sconfitto i propri muri affrontando i suoi peggiori incubi. Ma va tutto bene, in fondo, perché il mondo merita un destino migliore del suo: una vita in funzione di un tarlo chiamato solitudine.

 

To the right, to the left,
we will fight to the death.
To the edge on the Earth,
it's a brave new world,
from the last to the first.


(30stm - This is war)







 

YELLOW CROCS
Angeli della mia esistenza, SONO VIVA.
Non l'avrei detto neppure io, state tranquille, già mi vedevo a parlare nell'aldilà con i caduti di Harry Potter, tipo Remus.
Ecco, Remus! Come avete visto, questo scritto parla unicamente di lui e della sua vita, degli ostacoli e della sfortuna che lo ha sempre accompagnato
(perché nel profndo è veramente sfigato, il mio Malandrino preferito çç ).
Spero che vi sia piaciuta, che abbiate colto il significato del racconto, e se non l'avete fatto è uguale, vuol dire che non so scrivere io. Povera.
Anyway, vi volevo aggiornare su un paio di cose, giusto per non farmi odiare più del dovuto:
- 9 persone mi hanno messo tra gli autori preferiti, quindi... grazie. Grazie mille, non avete idea di quanto questo significhi per me.
- Sono su POTTERMORE! In tipo due giorni sono arrivata al terzo libro (che sto per finire) e... sono una RAVENCLAW. Portate rispetto, mhuahaha.
    Se volete aggiungermi, mi trovate come GoldMist9156.
- Sarò via dal 29 luglio al 4 agosto, probabilmente senza una connessione per aggiornare. Ma continuerò a scrivere e tenervi aggiornate su facebook.
- La mia long Shesbitt è seguita da 16 persone, preferita da 7 e ricordata da 2: sono sbalordita. Io vi amo con tutta me stessa, davvero.
   In più sia Egg___s che Jas_ la seguono, quindi mi cago in mano ad ogni aggiornamento, yappa yappa uuuh.
- Sempre riguardo la Shesbitt, spero di aggiornare presto, ma dato che in questi giorni sono stata molto su questa oneshot sono un po' indietro.
- Recensite in tanti, voglio tanti pareri! (Sogna sogna, Buddie... non hai speranze.)
- Aggiungetemi sui social! Nel mio profilo trovate tutti i link, non mangio tranquille! A limite sclero. E shippo. Tanto.
Baci e abbracci a tutte/i e tanti unicorni a pois verdi.
Vi voglio davvero tanto bene,

Budds.
  
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