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Autore: Meahb    20/07/2013    2 recensioni
Lou è una ragazza come tante. Johnny è un uomo come pochi.
I loro destini si incrociano dando vita ad una storia di paure, negazioni, fughe e ritorni e, soprattutto, amore. Quell "amor che muove il sole e le altre stelle", di cui tutti, almeno una volta nella vita, hanno sentito parlare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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* A drinking song *






"Avevo dovuto perderla per capire che il gusto delle cose ritrovate
è il miele più dolce che possiamo assaggiare".
P. Coelho






 * Johnny POV *




Lou suona la chitarra.
Lo fa spesso, specialmente quando sa che non sono nei paraggi. Si vergogna, dice, che io me ne stia lì immobile come uno stoccafisso a fissarla. Eppure mi piace guardarla mentre seduta a gambe incrociate, comincia a canticchiare e suonare, con gli occhi socchiusi ed uno strano sorriso. Si perde in mille mondi e mi sembra quasi di riuscire a vederli tutti, uno per uno. So che in mezzo a tutti quei pensieri ci sono anche io e questo mi rassicura.
Stasera è il mio compleanno, siamo in giardino sotto una calda luna brillante con Gwen, Kevin, Keith e Damien, e Lou sta strimpellando la chitarra, mentre ridacchia divertita con Keith.
Lo adora, letteralmente. Le volte che capita a trovarci, lo sommerge di attenzioni e domande e curiosità. Lui l'abbraccia e se la porta in giro per la villa, senza smettere di parlarle e sorriderle. Le racconta anneddoti sconci e la fa ridere come una pazza, tutte le volte.
Mi piace quest'immagine che conservo di loro. Mi piace sapere che le persone che amo, la considerino speciale come faccio io.
Keith mi lancia un'occhiata divertita, indicando con un cenno del capo Lou, "Se continua così diventerà molto più brava di te", mi sfotte.
Mi siedo a mia volta, tra lui e Gwen, "Ti credo sulla parola. Non ho ancora avuto il piacere di ascoltare i progressi".
Lei butta gli occhi al cielo, facendo una smorfia, "Lo sai che mi vergogno", si lamenta, facendomi ridere.
"Non stasera", precisa Keith, "Stasera gli dedichiamo una bella canzone. Una di quelle che si ascoltano con un bel bicchiere di whiskey in mano!".
Gwen strizza l'occhio nella mia direzione, alzando il suo bicchiere, "Sono d'accordo", asserisce.
Lou mi guarda con una buffa espressione imbarazzata, poi sbuffa e si sporge verso Keith, sussurrandogli qualcosa all'orecchio. Lui ridacchia, annuisce e poi guarda me sornione, "Un gran bel blues, Johnny boy"
Anche Lou mi guarda adesso, sorride nella mia direzione mentre comincia a pizzicare le corde, "Non ti aspettare chissà che", mi avverte. Neanche le rispondo, so che ogni mia rassicurazione andrebbe miseramente a vuoto.
Quando cominciano a suonare, riconosco al volo la canzone che ha scelto. E' molto più lenta di quella originale, un gran bel blues davvero, da ascoltare con un bicchiere di whiskey in mano.
Adocchia Keith e lui annuisce con un breve cenno del capo, sorridendole incoraggiante. E lei, allora, comincia a cantare.
"Tonight you're mine, completely. You give your soul so sweetely, tonight the light of love is in your eyes, will you still love me tomorrow?"
Kevin mi da di gomito, sorridendo. Già, è tipico di Lou. Dichiarazioni d'amore che ti tolgono il fiato, buttate lì come se ti stesse leggendo la lista della spesa.
"Is this a lasting treasure, or just a moment's pleasure? Can i believe the magic in your sight? Will you still love me, tomorrow?"
 
Mi guarda adesso, non è imbarazzata, sembra semplicemente sicura di me e di lei e di noi e di tutto. Un'espressione che non le ho mai visto addosso e che mi rende finalmente sereno. Sazio. Le sorrido, di rimando, sillabandole due parole che la fanno sorridere e scuotere la testa.
"Tonight with words unspoken, you said that I'm the only one, but will my heart be broken, when the night meets the morning sun?  I'd like to know if your love is a love I can be sure of. So tell me now and I won't ask again, will you still love me, tomorrow?"
Glielo ripeto di continuo, in realtà.
Da quando ho davvero temuto di perderla, non faccio altro che ripeterle quelle due piccole parole. Ed è proprio vero che ci accorgiamo dell'importanza delle cose solo quando ci rendiamo conto di averle perse. Perse sul serio. Io l'ho capito solo quando la voce di Gwen, al telefono, mi strillava impazzita di correre, correre subito da lei, "non sanno neanche se supererà la notte Joh" aveva gridato isterica.
Non sanno neanche che se non supererà la notte, avevo pensato, probabilmente non la supererò neanche io. O forse la supererò, perchè è così che vanno le cose. In avanti. Sempre e comunque. E se le cose fossero andate diversamente, se Lou non avesse davvero superato quella dannata notte, probabilmente non ne sarei morto, ma sarebbe morta quella piccola parte di me che ancora ci credeva.
Per ben due volte, l'avevo lasciata andare.
Nel primo caso, non mi aveva neanche dato la possibilità di provare a fermarla. Mi aveva lasciato da solo nel letto, mentre dormivo, come fossi un amante scomodo. Uno di quelli di cui, la mattina dopo, ti vergogni a morte.
La sensazione che avevo provato al risveglio, era stata di sottile delusione mista a dolore. Ma poi, quando i giorni passavano e le mie chiamate venivano costantemente ignorate, la delusione si era tramutata in rabbia cieca. In furia.
Chi cazzo si credeva di essere?
Mi sentivo come, probabilmente, si erano sentite le innumerevoli amanti che mi avevano scaldato il letto in passato. Usato e dimenticato, come una vecchia maglia logora di cui non sai più cosa fartene. Ricordo che la vidi tempo dopo sulla Sunset, per caso. Camminava per mano con un tizio dai capelli ricci, che la fissava come se non ci fosse nient'altro da vedere al mondo.
E la rabbia cieca, si era mischiata alla gelosia.
Mi aveva messo davanti il mio solito comportamento da figlio di puttana e la cosa, manco a dirlo, mi mandava il sangue al cervello. Una delle prime cose che mi ha insegnato Lou, è stata proprio questa: siamo disposti ad accettare i nostri difetti, ma non sopportiamo di vedere gli stessi difetti addosso a qualcun altro che non siamo noi.
Avevo quindi cercato di cambiare. Passavo il tempo con gli amici, con i miei figli, con le persone di cui potevo fidarmi, facendo cose assolutamente normali e noiose, con l'illusione che questo mi avrebbe aiutato ad uscire indenne da quella strana storia che d'amore non era, ma che ne aveva tutte le tediose caratteristiche.
Era durata poco, in realtà. Perchè poi, una notte, Lou aveva chiamato chiedendomi di vederci. Erano passati quasi due mesi dalla sua stupida fuga e sentire nuovamente la sua voce al telefono, aveva risvegliato qualcosa di bizzarro, che mi solleticava lo stomaco.
L'avevo invitata a casa ed ero rimasta ad aspettarla, arrovellandomi la mente in cerca di qualcosa di tagliente da dirle. Lei mi aveva ferito ed io volevo ferirla a mia volta.
E invece non ero riuscito a dire una parola.
Averla lì, di nuovo, mi aveva ridotto ad un silenzio imbarazzato e curioso che non mi permetteva di dirle quello che avevo pensato nella precedente mezz'ora.
E così, invece di insultarla, mi ero trovato a tentare di convincerla che non era l'unica a provare qualcosa.
Era lì in piedi che diceva di amarmi, con la stessa frustrazione e lo stesso dolore che avrebbe avuto se mi avesse comunicato che stava per morire.
Riuscivo perfettamente a vedere lo sforzo che stava facendo per non scoppiare a piangere, riuscivo a leggerle negli occhi la battaglia interiore che stava combattendo e dalla quale, testardamente, continuava a tenermi fuori.
Fu semplice, poi, afferrarla e baciarla. Aveva detto di amarmi, quindi, stupidamente, pensavo che le cose fossero tornate al loro posto. Ma, chiaramente, mi sbagliavo.
L'ho capito solo dopo, quando il tonfo del portone all'ingresso, mi avvertiva della sua ennesima fuga.
Cos'avevo fatto io, in realtà, per convincerla a restare?
Niente.
Già.
Mi ero limitato a seguire il classico copione dell'uomo menefreghista, senza soffermarmi minimamente sulle implicazioni che le sue parole contenevano. Voleva sentirmelo dire. Adesso mi sembra talmente ovvio, ma in quel momento non mi ero neanche posto il problema. Voleva solo sentirmi dire che l'amavo anche io, senza girarci troppo intorno, e sarebbe stata disposta a mandare alle ortiche la sua storia apparentemente perfetta con la quale si nascondeva da mesi.
Ed io, invece, per l'ennesima volta l'avevo lasciata andare via. Senza neanche protestare debolmente. Ero rimasto sdraiato nel letto e l'avevo osservata guardarmi, scuotere la testa, prendere la borsa e sparire giù per le scale.
Che grand'uomo eh?
I cinque giorni successivi, li ricordo vagamente. Avevo bevuto tanto ed avevo trascorso le mie giornate a fare tutto quello che un uomo della mia età dovrebbe evitare di fare. Alcool, musica, donne compiacenti.
Il ritmo del vecchio Johnny suonava impazzito, come prima e più di prima.
Non avevo intenzione di muovere un dito, coperto dal mio bozzolo di egoismo e popolarità, me ne rimanevo beato a sfottere i deboli tentativi che quella donna metteva in atto per liberarsi di me.
Tornerà, mi dicevo.
Tempo un paio di settimane e tornerà.
E invece non era tornata e rischiava di non tornare mai più.
"Non sanno neanche se supererà la notte".
La voce di Gwen mi aveva risvegliato da uno strano torpore. All'improvviso, tutto mi era parso chiaro, come se qualcuno avesse passato uno straccio su un vetro appannato da tempo.
Corsi da lei, ovviamente. E mentre lo feci, pensai che fosse la prima volta in cui io, per primo, compivo un passo reale nella sua direzione per andarmela a riprendere. Riprendere sul serio.
Avessi potuto, l'avrei portata via da quell'ospedale sia che fosse sveglia, sia che non lo fosse. In quel momento non avevo la benchè minima intenzione di lasciarla andare da nessuna parte.
Avevo il cuore sbriciolato. Mi sentivo immobile. E quando entrai nella sua stanza, l'immagine che vidi, fu più efficace di un ceffone in pieno volto. Lì c'era la donna che amavo ed io, in un modo o nell'altro, dovevo riprendermela.
"Che ti avevo detto?"
La voce di Keith mi riporta al presente. Adocchio prima lui, poi Lou che mi guarda come una bambina in attesa del giudizio del suo professore.
"Non le hai dato il giusto merito", sorrido, "E' già diventata più brava di me!".
Lei si alza e si avvicina a me, mi toglie il bicchiere dalle mani e ne beve una lunga sorsata. Gli altri, dietro a noi, chiacchierano divertiti tra di loro. Lou sorride e si siede sulle mie gambe, appoggiando la sua schiena al mio petto in una posa rilassata e felice.
Profuma di lavanda, di fiori lasciati al sole, d'estate. Profuma sempre di un sacco di cose Lou. Di cose che sanno di libertà.
Le cingo la vita con un braccio, afferrandole la mano che giace mollemente abbandonata sul suo addome.  Le sfioro la lunga cicatrice accanto al pollice e mi concentro sul ritmo cadenzato del suo respiro.
E la mente, mi riporta indietro di qualche mese, quando tutte le sue deliziose caratteritiche, sembravano scomparse lontano e minacciavano di non tornare più.


Lou era distesa nel letto. Accanto a lei degli strani aggeggi elettronici, mandavano altrettanti strani rumori, cadenzati dal soffio del respiratore automatico. Mi sembrava strano vederla lì immobile, piena di tubi che senza delicatezza le spalancavano la bocca e le ferivano le braccia. Sembrava una bambola rovinata, abbandonata dalla dimenticanza di una bambina viziata in mezzo ad un giardino. Non sembrava neanche l'ombra della donna che avevo conosciuto e dalla quale avevo respirato talmente tanta vita da sentire quasi i polmoni scoppiare.
Presi una sedia e l'avvicinai al letto, stando attento a non fare troppo rumore, come se quel silenzio sospeso dovesse, in qualche modo, essere rispettato
Aveva una benda che le copriva la tempia destra che con il bordo superiore le sfiorava appena le sopracciglia, una fasciatura alla spalla sinistra e un taglio che le correva per tutta la lunghezza del pollice, sulla mano che rivolgeva alla mia parte.
Le sistemai i capelli sulla fronte, anche se non ce n'era realmente bisogno, ma avevo la necessità di compiere un gesto consueto che mi ricordasse che sotto tutte quelle fasce e quei tubi c'era la Lou che conoscevo io. Quella che quando dormiva aveva una bizzarra capacità di scompigliarsi tutti i capelli.
Sospirai, guardando le sue palpebre chiuse.
Quanto tempo era passato, dall'ultima volta che ce l'avevo avuta accanto? Tanto, troppo.
Avevo lasciato che lei scappasse di nuovo, senza fare nulla di concreto per fermarla, spaventato da quel sentimento che si portava dietro e che, ogni volta che il suo sguardo si posava sul mio, non mancava mai di riversarmi addosso.
Eppure ora, mentre la guardavo, non sentivo più paura. Non ricordavo nemmeno il motivo che mi aveva spinto a lasciarla andare e che poi mi spingeva a maledire me stesso, quando nelle lunghe notti solitarie la cercavo inconsciamente con una mano dal suo lato del letto.
Le sorrisi, anche se non poteva vedermi e le afferrai la mano ferita, carezzandola dolcemente tutta intorno. E mi decisi a parlare. Parlare davvero, stavolta, Senza filtri, né paure, né reti ad attutire la caduta.

Ti amo”.
Non si mosse.

E' un po' vigliacco da parte mia dirtelo adesso, ne convengo. Insomma, avrei potuto farlo quando sei venuta a casa mia per informarmi della tua decisione di lasciarmi indietro definitivamente. Non so neanche io perchè non l'ho fatto. Avevo paura? Si, probabilmente avevo paura. Adesso non saprei neanche dirti di cosa, però ero spaventato. Insomma Lou, mi conosci. Ci metto sempre più tempo del previsto a dare alle cose un loro nome. A chiamare i sentimenti nel mondo in cui andrebbero chiamati.
Però ti amo.
Non mi interessa se quando ti sveglierai correrai tra le braccia di quella riccioluta testa di cazzo, mi basta sapere che ti sveglierai. Perchè ti sveglierai Lou, non è vero? Non avrai mica l'intenzione di lasciarmi davvero da solo, santo Dio! Posso accettare anche l'eventualità che tu decida di passare il resto dei tuoi giorni con un uomo che non sono io, ma non puoi essere così stronza da lasciarmi totalmente sprovvisto di te, ti pare?"
Sospirai
"Insomma Lou, ti sto dicendo che ti amo e qualcosa significherà pure, no? Non puoi farmi uno scherzo del genere. Devi svegliarti e ricordare questa conversazione e correre da me e trattarmi da stronzo quale sono, per non averti confessato prima i miei sentimenti. Te la perderesti un'occasione come questa? Hai la possibilità di rinfacciarmi una cosa grandissima, capito?”.
Non si mosse e scossi la testa.

La realtà è che mi manchi. Mi manchi tanto, Lou. Fatico sempre a non cedere alla tentazione di cercarti e di convincerti che non è con quello stronzetto che troverai la tua felicità. Perchè sai una cosa? Io l'ho capito che la mia felicità sei tu e che devo smetterla di andarla a cercare tra le gambe di qualche signorina compiacente. Ho fatto un mucchio di cazzate in questi mesi Lou. Talmente tante che sommate a quelle passate mi basteranno per le prossime cinque o sei reincarnazioni. Ma ho deciso di darci un taglio. Allora facciamo un patto, ti va? Io smetto di fare cazzate e tu ti svegli, ci stai?”.
Ma lei continuava a rimanere immobile. Alzai lo sguardo verso il vetro della sua stanza, vidi Gwen appoggiata di spalle e Sam fissare il volto immobile di Lou. Stizzito tornai a guardarla anche io, stringendo più forte la sua mano inerme.

Senti Lou, è inutile girarci troppo intorno. Ti amo e sono venuto a riprenderti. Quindi svegliati da questo cazzo di torpore e torna da me. Se ti svegli, ti prometto che farò tutto io. Parlerò con Sam e gli spiegherò come stanno le cose. Ci farò anche a pugni, se necessario. Ti comprerò una bicicletta col cestino davanti e un cappello di paglia da indossare quando arriverà l'estate. Mi prenderò cura dei tuoi bisogni e non protesterò davanti alle tue manie. Giuro che ti lascerò tenere i tuoi libri sparpagliati a terra e i vinili impilati accanto allo stereo senza lamentarmi. Tu però svegliati Lou. Per favore”
Notai un movimento alla mia destra e mi resi conto che Gwen aveva preso Sam per un braccio per guidarlo lontano, lungo il corridoio. Quella ragazza ha sempre avuto un intuito notevole. Mi appuntai mentalmente di ringraziarla, prima o poi, per quella piccola delicatezza che mi aveva permesso di rimanere solo con Lou.
Con un sospiro mi sporsi verso di lei e le depositai un lieve bacio accanto alle labbra. Stupidamente, attesi trepidante una reazione che non ci fu. Lou rimaneva immobile, con gli occhi serrati persa in un mondo al quale io non avevo accesso.

Torna Lou. Torna e basta”.
Le sfiorai la mano che avevo tenuto tra le mie per tutto quel tempo e la lasciai sola, sperando in cuor mio che quelle parole non fossero andate perse nei meandri di un tempo che sembrava sospeso.



Uno dei miei libri preferiti è "On the road" di Kerouak. Anche a Lou piace molto e ricordo che durante i primi tempi della nostra frequentazione, passavamo ore a letto a parlarne. Lei ha sempre un punto di vista molto schietto e diretto, mentre io sono più meditabondo ed introspettivo, quando si parla di commentare qualcosa che mi è rimasto nell'anima.
I giorni successivi alla mia visita in ospedale, li avevo dunque trascorsi a rileggere quel libro e a decidere cosa fare e come farlo. Me ne stavo isolato nella mia grande casa di L.A. a leggere, ascoltare musica e riflettere. Rimbalzavo ogni telefonata che mi arrivava, aspettandone solo una: quella di Gwen. E' molto strano quando ti rendi conto che la tua vita è appesa alla cornetta di un telefono. Io sapevo perfettamente che la voce di quella ragazza avrebbe potuto farmi tornare a vivere, o, per contro, uccidere anche me. Sapevo anche che probabilmente avrei dovuto essere lì, ma non volevo imporre la mia ingrombante presenza a nessuno, specialmente a quel bamboccio che se ne stava immobile a fissarmi come se si aspettasse di vedermi crollare da un momento all'altro. Beh, non avrebbe visto un cazzo di niente, quello stronzetto. Ero già crollato da tempo, anche se non lo avevo ammesso con nessuno, meno che mai a me stesso.
Quel pomeriggio ero seduto in giardino, con il libro in una mano e un bicchiere di vino rosso nell'altra. Leggevo con foga, con la speranza di trovare le risposte che cercavo tra le righe di quel volume che mi era così familiare e che, in un modo del tutto inappropriato, mi sembrava l'unica cosa che mi legasse ancora a lei. Pensavo, stupidamente, che continuando a leggere avrei ritardato il momento della resa dei conti. L'ho detto no? Era un pensiero stupido. Ma era l'unico pensiero che mi aiutava ad arginare quell'oceano di dolore e frustrazione in cui ero precipitato qualche giorno prima, uscendo da quel dannato ospedale.
Quando viviamo questi strani momenti di sospensione, quando attendiamo immobili il nostro verdetto, facciamo sempre un numero considerevole di cose stupide e apparentemente senza senso.
Rintracciamo nella memoria quei piccoli gesti che ci permettono di sentire una persona ormai lontana, ancora vicina. Per me, sentire vicina Lou, significava leggere Kerouac ed ascoltare blues. Significava ripensare alla notte in cui l'avevo incontrata per la prima volta e l'avevo vista sorridere di pura meraviglia. Significava ricordare il sapore delle sue labbra durante il nostro primo bacio, sotto quella pioggia battente, la consistenza della sua pelle durante le notti e i giorni che avevamo trascorso insieme. Significava ricordare il modo divertito con cui rideva, quando mi conciavo come un pagliaccio per uscire e non farmi riconoscere dai paparazzi. Significava ricordare come mi sentivo quando la guardavo dormire accanto a me, in lotta perenne con le lenzuola e i cuscini, sempre in movimento, finchè non si aggrappava alla mia mano e sospirava serena, senza rendersene conto. Quei momenti, mi esplodevano dentro come milioni di fuochi d'artificio, lasciandomi stupito a chiedermi cosa ci fosse in lei di così conturbante e cose ci fosse in me che non riusciva a lasciarla andare. Se fossi stato l'uomo che lei aveva immaginato dall'inizio, le avrei detto subito che l'amavo. Il giorno stesso in cui l'avevo conosciuta e avevo pensato, senza troppi dubbi, che era lei e lei soltanto quello che avevo cercato per tutta una vita.
E invece non l'avevo mai fatto. Mai prima di adesso.
Volevo fare le cose per bene, mi dicevo, non volevo correre e volevo vedere come andava, senza spingere in una direzione piuttosto che in un'altra. La mettevo alla prova per riuscire a capire se quell'enorme sentimento che le leggevo tutte le volte negli occhi, fosse autentico o fosse semplicemente un'autentica montatura. Probabilmente è per questo che non l'ho mai fermata quelle volte in cui se ne era andata da me. E in quel momento me ne pentivo come non mi ero mai pentito per qualcosa in vita mia. La realtà era sapientemente scritta tra le pagine di quel libro che mi ostinavo a tenere in mano, "a me piacciono troppe cose e mi ritrovo sempre confuso e impegolato a correre da una stella cadente all'altra, finchè non precipito. Questa è la notte e quel che ti combina. Non avevo niente da offrire a nessuno, eccetto la mia confusione".
 
In quel momento mi sentivo finalmente conscio di me stesso. Come se solo qualcosa di troppo vicino alla morte, avesse spalancato tutte insieme le finestre della mia anima, lasciando passare un'afflato di consapevolezza. Dolorosa, fastidiosa, ma pur sempre consapevolezza era. E la consapevolezza che avevo raggiunto era semplice come i passi che percorrevo verso la mia auto. Il cellulare in mano, la suoneria a tutto volume per evitare di perdere le chiamate, e l'urgenza che mi spingeva a tornare verso di lei. Di nuovo. Ero stufo delle stelle cadenti, stufo della mia confusione. Quello che volevo aveva un nome e un luogo dove raggiungerlo. Che senso aveva, dunque, rimanermene li in attesa che si compisse il mio destino?
Uscii di casa frettolosamente, immettendomi nella strada e guidando verso l'ospedale. Una manciata di chilometri dopo, il cellulare squillò. Il nome Gwen lampeggiava ad intermittenza sullo schermo.
"Gwen?", sospirai.
"Ce l'ha fatta!", gridò lei, entusiasta, "Ce l'ha fatta! Si è svegliata! E' qui Joh! Ce l'ha fatta!".
Ricordo che accostai, promettendole di passare in ospedale quanto prima. Rimasi lungo il bordo della strada con il motore spento e un mucchio di pensieri che mi giravano vorticosamente in testa. Dopo un tempo che mi parve infinito, tornai indietro, verso casa, improvvisamente svuotato di tutte le emozioni che mi avevano animato fino a poco prima.
Lei aveva vinto, si, e forse questo sanciva davvero la mia sconfitta.


Con Lou ho imparato a non dare nulla per scontato. Ho imparato che quando sono convinto che lei abbia ormai preso la sua decisione, devo stare attento perchè in quattro e quatt'otto potrebbe ribaltare le sorti del mio destino un'altra volta. Di solito sono sempre stato io quello che devideva cosa fare e come farla, ma con lei non solo non mi riesce, non ne sono davvero capace. Mi ammalia, ecco. E non credevo che essere ammaliati fosse così piacevole.
Una settimana dopo, me ne stavo ancora seduto su quella cazzo di sedia in giardino, a cercare di capire cosa fare. Dovevo chiamarla? Dovevo andare da lei? Si ricordava di me, seduto accanto a quel letto, mentre le stringevo la mano?
Questo mi terrorizzava. Avevo ammesso di amarla, si, ma lo avevo fatto quando lei non era nemmeno in grado di starmi ad ascoltare ed ora, la probabilità che lei se ne ricordasse, mi gelava il sangue nelle vene.
Cosa sarebbe successo, d'ora in avanti? Perchè non riuscivo a fare quello che volevo fare e me ne restavo come un vecchio rincoglionito ad aspettare qualcosa che non si compiva?
Ma Lou ha sempre avuto più tempismo di me.
Quando il campanello suonò e andai alla porta, me la trovai davanti che si torceva le mani nervosamente e guardava a destra e sinistra, sbattendo velocemente le palpebre.
Ricordava, lo sapevo. Ed io ricordai una frase di quel libro che mi aveva fatto compagnia mentre attendevo che si svegliasse dal sonno dell'oblio.
Mentre parlava -parla un sacco, Lou, ha sempre qualcosa da dire, da spiegare, da sottolineare...-osservavo ogni più piccola espressione che le modellava il volto. La fissavo brevemente negli occhi, perchè sono convinto che più che le parole siano gli sguardi a dire quello che non riusciamo ad esprimere con la voce. E lei mi stava dicendo che mi amava.
"Grazie", aveva detto.
Era stato facile poi, stringerla a me e chiederle di restare. Cosa c'era da fare di diverso in quel momento del tempo in cui la notte non era notte e il giorno non era più giorno? C'era da cercare qualcos'altro, ora che sapevo che la volevo e che non sarei stato capace di lasciarla andare di nuovo?
Quando entrammo in casa, mi tornò di nuovo alla mente quella frase che, poco prima, mi aveva trafitto i pensieri. Lei era poco dietro di me ed io mi voltai a guardarla, "e dopo dodici passi ci voltammo, perchè l'amore è un duello".
Quando sentii le sue braccia sulle mie spalle e le sue labbra cercare avidamente le mie, pensai fugacemente che quel duello lo avevamo vinto in due, nonostante entrambi avessimo una pessima mira.


"Sei qui"
Mi volto a guardarla e le sorrido.
E' a piedi nudi e la lunga gonna che ha indosso le disegna strane forme attorno alle caviglie. E' stanca, di una stanchezza che va al di là degli occhi rossi e del sospiro che rilascia mentre mi si avvicina. Una stanchezza che, se possibile, la rende ai miei occhi ancora più bella.
Mi deposita un lieve bacio sulla guancia e si appoggia con gli avambracci allo schienale della poltrona in legno dove sono seduto.
I ragazzi se ne sono andati ormai e Keith è probabilmente nella camera degli ospiti a smaltire la sbornia.
"Ho una cosa per te", sussurra lei al mio orecchio, per poi mettermi tra le mani una piccola busta azzurra. La guardo con la coda dell'occhio e vedo che mi osserva divertita.
"Cos'è?", le domando, aprendo la busta.
"Ora lo vedi", borbotta.
Estraggo un cartoncino bianco, grande quanto una carta di credito, con disegnato sopra uno strano ghirigoro e sotto, con la sua calligrafia, una breve frase: "una macchina veloce, l'orizzonte lontano e una donna da amare alla fine della strada". Ridacchio perchè ora so perfettamente cos'è quello strano scarabocchio al centro del cartoncino. Un disegno che ha fatto Lou, tempo prima, mentre in giardino io leggevo per lei il nostro libro e lei con la penna in mano, disegnava su un foglio di carta. Quando lessi quella frase -la sua preferita, ora lo so- mi mostrò quello strano disegno e disse, "guarda, questo sarà il nostro futuro". A suo dire, quello scarabocchio confuso, rappresentava me e lei in una strada, accanto ad un auto a guardare l'orizzonte. Credevo di averlo conservato nel cassetto del mio studio, ma probabilmente Lou me lo aveva sottratto di nascosto.
"Ho chiamato Jonathan e gli ho chiesto di farci una tavola", mi spiega, aggirando la sedia e sedendosi sopra di me, "Nonostante gli avessi detto di fare in fretta, non l'ha ancora finita, quindi per il momento, dovrai accontentarti di questo cartoncino, come regalo di compleanno".
La bacio, mentre le sorrido e la sento arrendersi come sempre al mio tocco. Mi piace sentirla così rilassata quando l'abbraccio o la sfioro, mi piace sentirla mia. Mi piace che lo sia.
"Ho un'idea migliore", sussurro sulle sue labbra, quindi mi alzo e me la trascino dietro, ridacchiando quando la sento incespicare per il giardino, aumentando la stretta sulla mia mano.
"Sarebbe?", mi domanda curiosa, seguendomi verso il garage e guardandomi estrarre il cellulare e far partire una chiamata.
"A chi telefoni alle una di notte?", m'incalza.
"Ehy amico!", saluto Jonathan che mi ha appena risposto dall'altro capo, "No. Si. Ascolta...ah grazie! Si, lo so, me lo ha detto. In realtà sto venendo da te, penso che quel disegno stia meglio sulla mia pelle che su una tela da pittore".
Lou si volta a guardarmi con gli occhi spalancati e mi osserva sconvolta mentre prendo gli ultimi accordi con Jo.
"Che c'è?", le chiedo, invitandola a salire in auto con un cenno del capo.
Lo fa lentamente, senza staccarmi gli occhi di dosso, "Un tatuaggio?"
Ridacchio, "Esatto, un tatuaggio"
"Un tatuaggio per me?", mi chiede, incredula.
"Oh no!", la contraddico, uscendo dal grande cancello in ferro battuto che delimita la proprietà, "Un tatuaggio per me", la sbirciò con la coda dell'occhio, "Com'è che cantavi prima? 'dimmelo adesso e non te lo chiederò più: mi amerai ancora domani'? Giusto?"
Annuisce, osservandomi come fossi impazzito. E forse lo sono. Lo dico da una vita: non sarò davvero un outsider, ma sono ben lungi dall'essere un insider.
"Bene. Con questo tatuaggio ti convincerai che sono disposto ad amarti non solo domani, ma molto più a lungo".
Sento il respiro che le si mozza in gola, quindi faccio appena in tempo a registrare un suo movimento che me la ritrovo addosso che mi stampa un'infinità di piccoli baci umidi per tutta la faccia.
"Tu sei pazzo!", esclama, ma è felice. Felice davvero. E non c'è niente di meglio che vedere la persona che ami così felice grazie a te.
Credo che ci debba essere qualche ragione per cui le cose vanno in un certo modo, magari noi non riusciamo a comprendere quale sia, ma è così. E forse -forse- la mia ragione è sempre stata lei. E mentre la guardo sedersi di nuovo, penso che lo sarà ancora a lungo.








NOTA:
Eccoci qua con l'ultimo capitolo! Innanzitutto mi prendo questo spazio per ringraziare tutte le ragazze che hanno commentato: mi reputo molto fortunata ad avere avuto delle lettrice acute e appassionate come voi, lo ammetto.
Spero che quest'ultimo capitolo sia stato all'altezza dei precedenti. Io mi sono divertita molto a cercare di immaginare il punto di vista di Joh e spero che voi vi siate divertite a leggerlo.
Ammetto che mi dispiace un pò concludere questa storia così, ma forse potrei riunire le diverse one shots che ho scritto nel frattempo e che parlano di loro. Vedremo...ho in cantiere anche un'altra storia, perciò vedo se riesco a rientrarci con i tempi!
Vi ringrazio anche per le numerosissime letture, se avete letto significa che avete apprezzato e questo, per me, è sufficiente.

Passiamo ai crediti.

La canzone che suonano Keith Mostro Sacro Richards e la nostra Lou, è una vecchia ballad dal titolo "will you still love me, tomorrow", la versione che vi consiglio -dato che è quella che più si avvicina a quella che avevo in mente mentre scrivevo- è quella di Norah Jones.
Ecco la traduzione:
<
Stanotte sei completamente mio, mi hai regalato la tua anima dolcemente e nei tuoi occhi c'è la luce dell'amore, ma mi amerai ancora domani?
Sarà un tesoro destinato a durare o solo un momento di piacere? Posso credere alla magia del tuo sguardo? Mi amerai ancora domani?
Stanotte, senza dire una parola, mi hai detto che sono l'unica, ma il mio cuore si spezzerà quando la notte incontrerà il sole del mattino? Vorrei solo sapere se il tuo amore è un amore di cui posso essere sicura. Allora dimmelo e non te lo chiederò più: mi amerai ancora domani? >
Chiaramente le frasi in corsivo nella penultima parte del capitolo, sono tutte citazioni dal meraviglioso libro di Kerouak "On the Road", che vi consiglio caldamente.
Bene, penso sia tutto!
Vi ringrazio per avermi seguito e, soprattutto, per avermi accolto con così tanto calore!
Ci leggiamo presto!
Un abbraccio

Am



 

  
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