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Autore: Ronnie02    21/07/2013    2 recensioni
«“Tu sei troppo incosciente di quello che sei”, rispose il ragazzo.
Per lui era speciale in qualsiasi cosa facesse, ma per il resto del mondo era ancora di più.
Era diversa… diversa da chiunque in qualsiasi mondo andasse.
Era unica nella sua specie.»
Come si comporterebbe Jared se qualcosa dovesse fargli cambiare tutte le sue opinioni, tutte le sue convinzioni? Amando così tanto avere il controllo della situazione, cosa farebbe se questa gli sfuggisse via?
E Tomo, con Vicky, come possono proteggere il frutto del loro amore, sapendo che non potrà mai essere quello che credevano?
E Shannon... Shannon, che ama la vita e tutte le sue sfaccettature, come aiuterà il fratello a credere a ciò che sta capitando a tutti loro?
Spero di avervi incuriositi :)
Genere: Avventura, Fantasy, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ecco... lo so, sono in ritardo. Ma capitemi.

Ero in vacanza e sono pure andata a Padova per il concerto dei Mars. Ed ora è passata una settimana, e sono depressa, e voglio tornare a domenica, e vorrei avere un Giratempo ma quella cogliona di Hermione l'ha ridato indietro. E sto vaneggiando perchè ho una depressione post-concerto ATROCE, anche se andrò anche a quello di Milano. 

Bo, scusatemi ancora TANTISSIMO per il ritardo e spero che il capitolo vi piaccia (se ci siete battete un colpo, dai, non vi mangio mica hahahaha :D)







Capitolo 21. Not only a story

 
 






“Che c’entra con nostro padre?”, chiese Shannon, dopo un attimo di panico. Jared era immobile, zitto come pochissime volte nella sua vita, Tomo teneva stretta Vicki, che guardava Ash. 
La ragazza non si era voltata, stava ancora coccolando l’ippogrifo e non dava segni di attenzione. Solo una mano, ferma sulle piume dell’animale, era stretta a pugno, triste.
“Bè, erano fratelli”, concluse Gael, come se fosse ovvio, facendo risvegliare Jared.
Il cantante scattò e lo prese per il colletto della camicia che indossava, ringhiando. “Io l’ho visto quel pazzo e conoscevo mio padre. Non erano fratelli, non sono simili, non lo saranno mai! Mio padre era un brav’uomo, mentre… Dennis, o Namel, come volete chiamarlo, è un maniaco omicida!”.
“Ma erano fratelli”, rispose l’uomo, togliendosi di dosso Jared con facilità. “Avevano lo stesso sangue nelle vene, sangue che, un po’, avete anche voi. Non si può cambiare il proprio dna, Jared Leto. Nemmeno volendo”.
“Ma non è possibile! Il padre di Jared, se fosse stato il fratello di quel pazzo, sarebbe stato un mago, così come dovrebbero esserlo pure Shannon e Jared”, riprese vita Tomo, facendo annuire Shannon.
“Ma vostro padre non era un mago… non del tutto almeno”, concluse Gael, mentre Ash ritornava in sé. Si avvicinò all’uomo, seguita da Darken che la guardava attento alle sue mosse. Gael non disse più nulla, lasciando a lei la parola.
“A volte succede”, continuò Ash, guardando i suoi amici. “Famiglie magiche danno alla vita figli Incompleti. Accade raramente, ma accade; e noi diamo loro il nome di Mancati”.
Mancati… Jared ricordava che, al pub, Ash aveva parlato di un Mancato con l’uomo che era andato via, dopo aver dato dell’Incompleto a Shannon.
“Nostro padre… nostro padre era un Mancato?”, chiese Jared.
Ash annuì ma fu Gael a tornare a raccontare. “Vostra nonna andò in depressione, quando lo scoprì. Dennis era il figlio maggiore, ma era timido, debole e inadatto a qualsiasi compito; non sarebbe mai stato capace di portare avanti il nome dei Leto, secondo lei. In fondo erano una delle famiglie più importanti del nostro mondo. Uno come Dennis l’avrebbe rovinata del tutto.
“Quindi tutta la sua speranza si riversò su Carl, il giorno in cui scoprì di essere incinta. La ricordavo… com’era allegra allora! Ero piccolo e la sentivo cantare nei giorni in cui mio padre mi portava in piazza.
“Ma poi vostro padre nacque e nei suoi occhi nessuno vide la solita scintilla magica. È… come un segno, che percepiamo alla nascita di uno di noi. Vostra nonna, però, non si diede per vinta. Fece finta di nulla e allevò Carl come un vero Completo.
“Gli anni passarono e lui non scampò al suo destino. Non diede mai nessun segno di magia. Passati così i sette anni lo mandarono comunque a frequentare la Arrant, senza che passò in nessun caso alcun esame, non essendo in grado.
“Così all’età di diciannove anni se ne andò, sentendosi troppo diverso e inappropriato. Lasciò qui ogni bene… bene che fu obbligatoriamente assegnato al fratello più grande, Dennis”.
“A diciannove anni conobbe nostra madre”, notò Shannon.
“Dennis impazzì, anche se questa è un’altra storia. Ma da questa pazzia non riusciva ad uscire e credevamo tutti che l’unico che poteva fermarlo fosse il fratello, sentendosi inappropriato come lui. Fu così che chiamammo Carl in nostro aiuto”, disse Gael.
“Esattamente ventisette anni fa… quando morì”, concluse Jared.
“No”, lo corresse l’uomo. “Ventisette anni fa, Carl tornò per lasciare la sua moglie mortale dopo essersi reso conto delle troppe bugie che le aveva raccontato. Non sopportava più di dover mentire, così decise di fingersi morto e tornare qui.
“Ma non restò in alcuna città di Annwyn. Si recò nei boschi, visse molto con gli gnomi e le fate. Non si sa bene come fece…”.
“Cosa?! Ma perché? Perché lasciare tutto per tornare in un luogo dove tutti erano contro di lui? Nel nostro mondo era al sicuro, era felice… aveva noi”, disse Jared, pensando a quanto la sua famiglia aveva sofferto per suo padre.
“Ma rimaneva un mondo a cui non apparteneva e a cui non sarebbe appartenuto mai”, parlò Ash, ricordandosi ciò che Clelia, tempo prima, le aveva detto. “Alla fine, per quando si può soffrire… le foreste di Annwyn e tutte le sue città sono casa nostra”.
“Sta di fatto che alla fine lo ritrovammo”, finì Gael. “E lo pregammo perché tornasse a fermare suo fratello”.
“Ma non lo fece. Non è tornato, no? E’ ancora vivo?”, chiese Shannon, speranzoso.
“Tornò”, lo fermò Ash. “E morì… morì per me”.
 
Non era mai stato così bello. Mai.
Non era mai stata così lontana dalla sua stanza, ma non le andava di pensarci. Era il suo momento, l’unico che poteva avere in tutto il giorno.
La luna splendeva forte e illuminava tutta la radura come se fosse giorno. Rischiava di essere scoperta, ma non le importava.
Accelerò e si beò del vento forte che le andava addosso, facendole attrito e lisciandole i capelli, portandoli indietro. Chiuse gli occhi e sorrise, decidendo di fare un po’ di ginnastica.
Provò una capriola e poi ripartì con la corsa, ridendo di se stessa. Lo rifece altre due volte, in tutte le direzioni, facendo anche varie trottole, ma poi si fermò.
Era stanca e lontana. Doveva tornare indietro, la luna stava scendendo.
“Merda”, esclamò Ash, ma non fece tempo a ripartire che un urlo spezzò il silenzio di quella notte immacolata. Si voltò di scatto e si lanciò, seppur stanca, verso la fonte del rumore, impaurita.
Non era un elfo, non era uno gnomo. Di certo non era una fata, e di sicuro quella non era la voce di un kaiw.
Era un umano.
Si addentrò nella foresta, attenta a non inciampare o incastrarsi tra gli alberi. Non fece alcun rumore e nemmeno ne sentì qualcuno, ma sapeva di essere vicina a chi aveva urlato, chiunque fosse stato.
Lontana di qualche falcata, infatti, c’era una grandissima quercia, aperta in due. Nel buco che si era creato c’era un uomo coperto di sangue, quasi incosciente, che si lasciò andare e cadere per terra, senza più alcuna forza.
Poi qualcuno lo raggiunse. Qualcuno che Ash non vedeva da molto tempo. Qualcuno che mai avrebbe voluto rivedere.
Strappò il cuore dell’uomo accasciato in pochi secondi, senza alcuna fatica, e bevve il sangue, ancora caldo, fluido e scuro. Poi gettò l’organo, lasciandosi beare della visione orripilante che aveva davanti.
“Che ne pensi, fratellino? La ragazzina sarà dolce come te?”, chiese all’uomo, evidentemente morto. “Di certo lei non procreerebbe con una sporca Incompleta, facendo degli stupidi figliacci immondi”.
La ragazza sussultò e lui parve sentirla, voltandosi verso di lei. In un secondo, però, Ash uscì dagli alberi e tornò verso la strada di casa, sentendo le urla dell’assassino chiamarla, maledicendola.
L’ultima cosa che fece, alla vista ancora un po’ lontana della sua stanza, fu cadere in picchiata, rompendosi le sue povere ossa che quella notte aveva usato fin troppo.
Si alzò a malapena, guardando l’alba iniziare, dietro di lei, e tornò al sicuro, cercando di dimenticare ogni cosa.   
 
“Che vuoi fare?”, urlò Gael, dopo che Ash passò un minuto buono persa nei ricordi del passato. Nessuno aveva fiatato, nessuno era riuscito a fare nulla.
Ma appena riprese vita, Ash salì al galoppo dell’ippogrifo e provò a partire.
“So cavalcare un ippogrifo”, rispose lei. “L’ho imparato alla Arrant, come tutti del resto. E ogni animale che lavora per Annwyn può essere usato da qualsiasi abitante di Annwyn. Non è tuo”.
“Lo so, ma…”, cercò di dire Gael, ma Ash lo interruppe di nuovo.
“Chi vuol fare un giro?”, chiese la ragazza, facendo trottare l’ippogrifo intorno a loro, senza alcun redine.
Vicki scoppiò a ridere e si avvicinò all’animale, prendendo la mano che Ash le offriva. Darken si fermò e Vicki saltellò al galoppo.
Tomo, ora da solo, se ne stava sulle sue, ma Ash, con un sorriso, gli fece segno di salire anche a lui.
“Ci stiamo, ma stringetevi forte”, disse Ash non appena anche il chitarrista salì sull’ippogrifo. “E voi due… dopo facciamo un altro giro”, riprese indicando i Leto, che intanto si misero a parlare con Gael su quello che sapeva della loro nonna e di loro padre.
“Pronti?”, chiese Ash, preparandosi mentalmente a volare, dopo tanti anni. Si aggrappò alle piume di Darken, attenta a non fargli male, e sentì la stretta soffocante di Vicki sulla sua vita.
“Pronti!”, annuirono i coniugi Milicevic, cosicché Ash spronò l’animale a partire.
L’ippogrifo cominciò a correre, come un vero cavallo, per qualche metro, ma dopo spiegò le ali da aquila – che si rivelarono davvero enormi – e planò con forza.
“Oddio… oddio oddio oddio!”, urlò Vicki, seguita da un grido liberatorio di Ash e le risate di Tomo. “Sto volando!”.
“Stiamo volando su un fottutissimo ippogrifo”, gridò Tomo, con i capelli al vento, scoppiando ancora ridere, ma tenendosi stretto a Vicki.
Darken mugolò, spingendosi ancora più veloce, dopo che Ash gli ebbe accarezzato il petto.
“Questo è un ben tornato a casa?”, sorrise la ragazza, accucciandosi sulla testa dell’animale, per coccolarlo. Ad una nuova accelerata staccò entrambe le mani, come se fosse sulle montagne russe, e urlò di gioia.
Vicki urlò, aggrappandosi a lei e stringendo le gambe contro l’ippogrifo, paurosa ma felice. Era stupendo vedere Ash così contenta. E Tomo sorrise, vedendo la cittadella che diventava sempre più piccola e si allontanava sempre di più, mentre loro andavano incontro alle foreste.
“Quelli sono i Boschi Wigun, dove sono stati creati i primi villaggi delle aure”, commentò Ash, indicando ai suoi amici gli alberi.
“Aure?”, urlò Vicki, cercando di farsi sentire oltre il rumore del vento che le ali dell’ippogrifo creava.
“E’ una specie di un folletto che di solito appare di notte, soprattutto verso l'alba, diventando simile a un gatto con un cappello. Sono terribilmente rompiscatole e di solito ti stendono, per poi soffocarti con i loro peso”, spiegò Ash.
“Simpatici”, commentò Tomo.
“Sì… ma fanno morir dal ridere quando si arrabbiano, se gli rubi il capello”, scoppiò a ridere Ash, ricordandosi di uno scherzo con Dean.
“Scommetto che l’hai fatto”, ribatté il chitarrista.
“Ovviamente”, continuò con la sua risata la ragazza, libera come il vento che le si scagliava addosso.
“E poi mi chiedo pure come mai Devon stia imparando a fare il monello”, la riprese Vicki, ridendo anche lei.
Era assolutamente irreale come situazione, ma era quella che avrebbero vissuto per il resto dei loro giorni, per Devon, e dovevano abituarsi.
Tomo continuò a guardarsi in giro, cercando qualcosa nei boschi. Trovò qualcosa, in mezzo a una radura “E quelli invece?”.
“Quelli sono centauri”, rispose Ash, in tono solenne, facendo cenno all’ippogrifo di virare e abbassarsi leggermente. Si tenne ancora alle piume, come fecero anche Tomo e Vicki, e si avvicinò a quelle creature.
Vicki ne aveva sentito parlare, ne era sempre stata affascinata, ma vedere dal vero un cavallo per metà umano, che cavalcava insieme ad altri, mentre si lanciavano una palla… bè, quello sì che poteva definirsi ironicamente leggendario.
“Chi vince il torneo stavolta, Teris?”, urlò Ash, quando furono abbastanza vicini ai centauri. Darken si fermò per aria, muovendo lentamente le ali, solo per farli restare in volo.
Uno dei centauri, sentendosi chiamato, si staccò dal gruppo, fermando quella che poteva considerarsi una partita, e andò incontro a loro. “Ash Connor! Sei viva!”.
“Non hai risposto”, ridacchiò Ash.
“E poi saremmo noi centauri i burberi!”, si lamentò quello che doveva essere Teris. “E comunque sta vincendo quel dannato di Ragor”.
“Vieni a giocare Ash!”, urlò un altro centauro, più lontano. “Così lo battiamo!”.
Teris si voltò a ridere e Ash scosse la testa con una smorfia, per poi unirsi alla risata di tutti. “Mi spiace, ma oggi faccio la guida”.
“Lo vedo”, commentò Teris, da terra. “E’ meglio che allora tu vada avanti. Sono felice di averti rivista, Regina degli Scherzi”.
“Grazie, Protettore”, rispose Ash, sempre ridendo, ricordando tutte le volte che quel centauro l’aveva salvata. “Ci vediamo!”.
Salutò Teris con la mano e poi tornò a guidare Darken, facendolo di nuovo salire in alto, verso destra, per tornare vicino ai Leto. “Volete vedere altro?”.
“Qualche creatura strana?”, domandò Vicki, sentendosi davvero ridicola, ma ormai non se ne preoccupava più.
“Qualche drago magari! Shannon ne andrebbe pazzo”, commentò Tomo, fissando il cielo, limpido e blu.
“Mi spiace, niente draghi in questa zona. Ma abbiamo quello”, disse Ash, indicando un uccello lontano, che sbatteva delle grandi ali in continuazione.
“Che cos’è?”, chiese Tomo.
“Lo chiamiamo Safat. E’ uccello dalla testa di drago che vola in continuazione e non può posarsi mai”, spiegò la ragazza, cercando di avvicinarlo.
“Mai?”, si stupì Vicki.
“Mai. Infatti i piccoli, alla nascita, devono fare in fretta e imparare subito a volare”, riprese Ash, intercettando il safat appena in tempo. “Ma quasi tutti ce la fanno. E’ nel sangue”.
Tomo e Vicki alzarono lo sguardo e Darken passò di fianco all’uccello, veloce come la luce. La sua testa era davvero come quella di un drago, a squame rosse-verdastri, e gli occhi giallastri, con le pupille verticali.
“Wow”, si stupì Tomo, per poi tenersi in fretta alla moglie, quando Ash cominciò a far scendere Darken in picchiata, ad una velocità impressione.
“Sei matta?!”, gridò Vicki, per poi vedere che l’ippogrifo tornava in posizione orizzontale, per sorvolare la pianura e avvicinarsi alla città.
In fretta videro comparire i piccoli corpi di Jared e Shannon, che li guardavano tornare. Più si avvicinavano più le ali dell’animale andavano lente, quasi dolci, per muovere l’aria.
Pochi attimi dopo Ash si tenne stretta e virò di scatto verso destra, cosicché Darken poggiò a terra gli zoccoli di sinistra per primi, per poi cavalcare normalmente con entrambi, senza sbandare.
Ash urlò di gioia, facendo fare un’impennata all’ippogrifo e arrivando perfettamente di fianco ai Leto, ora da soli.
“Che figata!”, gridò Tomo di rimando, scendendo per terra.
 
“Davvero Leto era una casata magica importante?”, chiese Shannon, mentre sorvolavano Annwyn. A loro non importavano le creature, non in quel momento, così Ash si prese il tempo per spiegare loro un po’ della loro storia.
“Certamente. Da quel che so, prima di Namel e vostro padre, uno dei vostri antenati era il preside della Arrant, e molti sono stati anche comandanti di battaglia”, spiegò Ash.
“Battaglia?”, chiese il batterista.
“Ricordi cosa ho detto a Tomo? La magia non ci rende pacifisti nel midollo, Shannon. Alla fine, anche la creatura più magica ha in sé un pezzo di umanità”, rispose la ragazza.
“Quindi?”, la pregò di andare avanti Jared.
“Quindi… la sapete la storia di Latonia?”, domandò Ash, guardandoli per qualche secondo, distogliendo lo sguardo dal cielo. I due fratelli scossero la testa, ma Jared sembrò avere qualche ricordo. In ogni caso Ash decise di rispiegare loro tutta la leggenda. “Latonia – o Leto per gli antichi greci – nacque dai titani Febe e Ceo”.
“I vostri… nostri antenati Leto c’entrano con la mitologia greca?”, si stupì Jared.
“Te l’ho detto. Molti di noi attraversavano il confine verso il vostro mondo e, se troppo vistosi, venivano considerati dèi, in quella regione”, continuò Ash. “Comunque, Leto, sempre secondo la storia, possedeva il potere di manovrare la tecnologia a suo piacimento, così da aiutare gli umani nelle loro invenzioni. Ma un giorno venne ammaliata da Zeus e da lui ebbe i gemelli Apollo e Artemide. Il primo diventò un dio famoso e riconosciuto, mentre la seconda risedette all’Olimpo come dea della caccia, a volte vista anche come simbolo della luna.
“I miti dicono poi che Zeus, pauroso della moglie Era, allontanò da sé Leto poco prima che partorisse, così da non dover spiegare il tradimento. Sola e abbandonata, allora, Leto scappò su un’isola greca, dove nacquero Artemide e Apollo”.
“La storia è vera?”, chiese Shannon.
“E’ un mito… quindi no”, concluse Ash. “La vera storia è un’altra. Leto era una famiglia importante fin dall’antichità, nel nostro mondo, e una delle discendenti si chiamava Rodena Leto.
“Era una giovane maga, un po’ ribelle, che si divertiva a passare tra i due mondi. Era affascinata dal mondo Incompleto e parecchie volte si lasciò usare come modello. Ma non era divina e non ebbe figli.
“Semplicemente diede così tanto scalpore la sua bellezza che si crearono infinite storie. E, con il passare degli anni, le storie diventarono leggenda, appena Rodena tornò ad Annwyn”.
“E la storia finisce con…?”, la spronò Jared a continuare, mentre sotto di loro le foreste tornarono a diradarsi, visto che Ash stava tornando verso la città.
“Non finisce. O per lo meno non con lei. La casata dei Leto finirà con la morte di Dennis, ovvero l’unico Completo rimasto con quel nome. Ma Rodena, per noi, è passata alla storia come l’ amica degli umani. Per questo, sapere che proprio un Leto sta portando il terrore è sconvolgente. E per questo nessuno si è stupito che vostro padre si fosse sposato con una mortale, ci abbia fatto dei figli e alla fine fosse tornato solo per proteggerla”.
“Quindi noi, anche se abbiamo il sangue di una casata magica, non saremo mai dei maghi?”, domandò Shannon.
“Avreste potuto, anche se vostro padre era un Mancato, nel caso avesse sposato una Completa. E c’era una minuscola possibilità durante la vostra infanzia di provare a svegliare il vostro lato magico… ma a questo punto non credo funzionerebbe”, spiegò Ash, avvicinandosi di nuovo alla pianura, per la seconda volta.
“Potremmo tornare?”, chiese di nuovo il batterista.
“Potreste anche vivere qui, se volete. Avete un nipote, anche se non davvero biologico, Completo e siete dei Leto. Annwyn ha ospitato la vostra famiglia da generazioni… e perché forse non potrebbe continuare a farlo?”, sorrise la ragazza.
“Che vuoi dire?”, la interrogò Jared, vedendola allegra.
“Il dna magico vince su quello umano. Se voi sposaste una Completa i vostri figli sarebbero per il 70% dei casi – o anche più – dei maghi”, rivelò la ragazza.
Shannon guardò il fratello, che però evitò il suo sguardo, mentre Ash si preparò al difficile atterraggio. Darken non era preciso e quindi doveva riuscire a farlo girare sulla destra appena in tempo.
I fratelli, dopo qualche minuto, sentirono la presa sul terreno e videro l’ippogrifo trotterellare piano sul terreno, piegando le ali vicino al busto.
“E siamo arrivati anche noi”, annunciò Ash a Tomo e Vicki, che intanto erano stati raggiunti da Clelia e Dmitri, con Devon e Jo.
Shannon e Jared saltarono giù dall’ippogrifo e Ash gli accarezzò le piume, facendolo ripartire, da solo, per mandarlo via.
“A scuola ce ne sono tre” osservò la bambina, con i suoi strani e grandi occhi grigi-rosati.
“Davvero?”, si piegò Ash davanti a lei, per arrivare alla sua altezza. Jo sorrise e annuì. “E li sai cavalcare?”.
“Non ancora… tra qualche anno però lo farò!”, non si diede per vinta, facendo ridere tutti. Ash cercò la sua mano e Jo gliela offrì tranquillamente, per poi indicarle il cielo. “Il tramonto”.
Tutti si voltarono e rimasero affascinati. Alcuni uccelli volavano intorno insieme, per poi andare incontro quasi al sole che, mentre scendeva, colorava il cielo di arancione, rosso fuoco e un blu cupo. Tomo, con la mano, fece vedere a tutti la prima stella luminosa nel cielo e Vicki lo abbracciò con amore. Ash strinse i denti, sopportando la solita fitta alla schiena, e si preoccupò a vedere quella scena.
Doveva andarsene. Appena la notte sarebbe arrivata lei sarebbe dovuta scappare via.
Vado da Dean, pensò, per far ricevere il messaggio a Clelia.
“Forza ragazzi, è meglio tornare all’Esis. Ci sono delle stanze disponibili, dormirete qui questa notte”, disse infatti l’altra, velocemente, intercettando i pensieri di Ash e vedendo una piccola visione di Dmitri.
 
Li aveva lasciati con Joel nei dormitori della Resistenza. Erano al sicuro, non potevano essere colpiti laggiù. In più quella notte avrebbero detto addio a Sorrow un’ultima volta, quindi Namel non si sarebbe fatto vedere in presenza di così tanto maghi insieme. Ash non sarebbe andata. Non poteva.
Dopo aver lasciato i Leto e i Milicevic all’Esis era scappata via, verso il Lightness, per andare da Dean. Aveva intenzione di nascondersi lì per la notte, non potendo restare vicino ai suoi amici.
Entrò dalla finestra – durante la notte l’ospedale era chiuso per chiunque – e cominciò a camminare, il più silenziosamente possibile. Erano le nove e mezza, non affatto tardi, ma nessuno faceva guarda ai gironi; erano tutti a controllare le entrate.  
Superò la stanza di Edmund e camminò ancora più avanti. Sapeva che Dean non stava più nella sua vecchia stanza, per fortuna, ma l’avevano portato molto più vicino all’uscita. Quando trovò la giusta porta, girò lentamente la maniglia ed entrò nella stanza.
Era… strana. Niente vestiti in giro, una valigia piena appoggiata ad una delle sedie…
“Adesso dormo, va bene!”, si lamentò Dean, prima di vederla arrivare nel suo campo visivo.
Ash ridacchiò. “Per ora fare l’infermiera non è la mia aspirazione più grande; non mi attira molto”.
Dean, appena la vide, si mise seduto, ma lei gli fece segno di non fare rumore. Lui le sorrise e la invitò ad avvicinarsi.
“Che ci fai qui?”, chiese il ragazzo, vedendola sedersi sul letto accanto a lui. Le passò un braccio attorno alle spalle e lasciò che Ash appoggiasse la testa alle sue spalle.
“Abbiamo ospiti”, sussurrò triste Ash. “E io sono sempre il solito mostro notturno”.
“Tu non sei un mostro, smettila”, la rimproverò Dean.
“Se non lo fossi, stasera non ci sarebbe alcun funerale, Dean”, sospirò la ragazza, abbassando lo sguardo, mentre lui la stringeva e le carezzava i capelli.


...
Note dell'Autrice:
riguardo il voletto dei Mars e Vicki devo dire due cose: 1. alcune creature magiche sono inventate da me (come i Glifi di cui parlava Ash qualche capitolo fa o comunque di cui parlerò dopo), mentre altre sono prese da miti e leggende (anche il Safat è "esistente", mettiamola così).
2. La leggenda dei Leto, come madre di Apollo e Artemide, è vera. Se andate a cercare esiste davvero come mito. (Non a caso Artemide non era sposata come i Leto - era casta ma questo non contiamolo! ahahhaa - mentre Apollo era il dio della musica, oltre che del sole e della medicina. Combacia un pò tutto :D). Rodena invece è un invenzione mia.

Bè, continuo a dire che per Sorrow mi dispiace da morire, ma così vanno le storie :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto,
un abbraccionissimo forte! soprattutto chi è in depressione post-concerto... vi capisco, gente!

Ronnie 
   
 
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