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Autore: nainai    24/07/2013    4 recensioni
“Sei un figlio di puttana”
Ecco quello che vorrei dirti.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dominic Howard, Kate Hudson, Matthew Bellamy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Attenzione: il presente scritto ha per protagonisti persone vere e personaggi di fantasia. Gli eventi narrati sono frutto esclusivamente della fantasia dell’autore, senza alcuna pretesa di verità o di verosimiglianza e senza alcun intento di rappresentazione delle persone ivi nominate. Nessun diritto legalmente tutelato s’intende leso e tutti i diritti spettano ai rispettivi titolari.
 
A Scioubeez per averla chiesta.
Ad Aleale00 per averla letta. E perché sì.
 
Cave Canem
 
Sei un figlio di puttana”
Ecco quello che vorrei dirti.
Ma mi frenano un mucchio di cose e no, non è solo il senso di giustizia nei confronti di tua madre – che è una delle poche persone oneste che conosco a questo mondo.
Ma so che, per quanto mi sforzi, odiarti resta un’attività troppo complessa per me. E sappiamo entrambi come la semplicità sia da sempre il mio “marchio di fabbrica”. Non approfondire è ciò che mi ha permesso di galleggiare sulle relazioni.
Fino ad oggi e se si fa eccezione per la relazione tra noi due, s’intende.
Ma quella, peraltro, non è dipesa di certo da me. Sei tu che hai sempre avuto questo vizio di non tenerti i tuoi pensieri. A volte mi chiedo se sei consapevole di quanto ti esponi quando, cercando di sviare l’attenzione dal “concetto”, finisci comunque per dire troppo. Io sono il tuo opposto…tutti noi siamo il tuo opposto. Tu parli per i presenti, gli assenti ed i futuri. …non te la cavi troppo male nemmeno con i congiuntivi ed i periodi ipotetici! Parli talmente tanto che la maggioranza della gente smette di ascoltarti ed è quello su cui un po’ conti. Però, l’ho già detto, è un gioco pericoloso, perché sparpagli troppe cose in giro e, la volta che qualcuno si prende la briga di unire tutto con un tratto di penna, viene fuori un gran casino, ma in mezzo al casino ci sei pure tu.
In ogni caso, parli così tanto che a noi resta davvero poco spazio. A me, forse, meno che agli altri perché ti sto più vicino di chiunque altro. E’ sempre stato così tra di noi, da un certo punto in poi, da quel punto in cui hai preso abbastanza coraggio da tirare fuori la voce per rispondere ad una domanda, ma non a sufficienza da essere onesto nella risposta.
…ora, non so davvero perché io stia facendo queste riflessioni quando ero partito da tutt’altro.
Per la precisione, mi pesa addosso questo desiderio fastidioso di fare a botte con te. Non l’ho mai provato prima di oggi. Non nei tuoi confronti ma neppure in generale, non sono il tipo che si misura l’uccello al cesso con i compagni di liceo – tu lo saresti stato, ad averne le palle, ma al liceo ti nascondevi nei tuoi modi da disadattato per non dover ammettere mancanze, vere o presunte. Il punto è che io non ho mai avuto l’esigenza di nascondermi e non ho mai avuto quella di fare “a chi piscia più lontano”. Io non ho mai avuto bisogno di sbracciarmi per dire che c’ero e non ho mai avuto bisogno di raccontare stronzate quando tutti si voltavano e se ne accorgevano e la cosa si faceva eccessivamente pesante. Io non ho mai avuto motivo per mettermi in mostra, perché un ruolo all’interno del mondo l’ho sempre avuto e non me lo sono dovuto conquistare. Come te.
E’ per questo, penso, che le cose tra noi hanno sempre funzionato così bene. Io ero quello che ti parava il culo mettendoci la faccia, tu quello che poteva avere le trovate geniali, buttare il sasso e tirare indietro la mano aspettando che l’acqua si calmasse. Tanto eri al sicuro. Andava bene ad entrambi ed è andato bene fino a quando sei rimasto dietro le mie spalle. Poi è successo che le cose sono andate diversamente ed è finita che ora sono io a stare dietro, a sorridere guardandoti rubare tutta la scena per te, ad ascoltarti mentre stupisci gli altri ed a sentirmene un po’ orgoglioso ed un po’ invidioso.
Come mi sento oggi.
Lei ride. Sei tu che la fai ridere, le tue battute senza un filo reale, quell’arguzia che tiri fuori con la facilità di un giocoliere ben allenato, la scioltezza intelligente con cui le propini al prossimo.
Fosse solo bella, non riderebbe.
Fosse solo bella, non ti avrebbe degnato di una seconda occhiata.
Il punto, invece, è che lei ride, perché la tua ironia la affascina, la diverte e tu sei diventato interessante proprio per questo.
Non sono i tuoi occhi. Non è la tua voce. Non è l’abilità con la chitarra. Non è nessuna delle cose che stregano le nostre fan, nessuno di quei particolari scontati che fanno di te il frontman di una band, una rockstar o quanto di più simile tu sia riuscito a diventare. Sei tu. E’ quel miscuglio ben dosato di fascino, malizia ingenua, sfrontatezza autentica ed insicurezza da bambino troppo cresciuto.
Credevo davvero che lei non si sarebbe accorta di tutto questo?
Ha il sorriso di una bambola. Enorme ma con una punta sempre presente di malinconia sul fondo. I suoi occhi brillano, lei è felice, allegra, eppure è come se dietro quello sguardo rimanesse attaccato in eterno il sospetto di qualcosa, la percezione di un errore che non viene a galla. Vorrei chiederle cosa sia. Vorrei che fossi tu a farlo, perché le sei abbastanza vicino. Vorrei riuscire a dissipare un’ombra che non è neppure tale ed a vedere solo i suoi occhi brillare.
Se penso che aveva scelto me, mi viene da ridere.
Sei stato tu a dirmelo. Nemmeno due giorni fa. Dopo un paio di birre e prima di andare a dormire, eravamo seduti in veranda, in albergo, e fumavamo. Ti ho chiesto come andava con lei, mi hai guardato, risposto “bene” come si risponderebbe “mah, qui piove”, e poi hai fatto uno dei tuoi soliti sorrisetti sghembi che preannunciano una bordata.
-Lo sai che ci ha provato con te e tu manco te ne sei accorto?
Ho sentito gli angoli della bocca congelarsi nella smorfia di un sorriso autentico.
All’improvviso cambiava ogni prospettiva. All’improvviso mi avevi sbattuto in faccia una realtà troppo scomoda per accettarla. E fino a pochi istanti prima nemmeno lo sapevo, quanto fosse scomoda, perché fino a pochi istanti prima lei non esisteva nel mio mondo.
-Eri troppo fatto e troppo impegnato con le tette di quella bionda che Morgan ti ha rifilato, per accorgertene!
…è stata la tua risata di quel momento a farmi crescere dentro la voglia di fare a botte con te.
E adesso lei è tabù.
La Donna del Mio Migliore Amico.
Vorrei che non fosse così. Vorrei che tu non avessi fatto lo splendido con lei quella sera. Che Morgan avesse trovato anche a te una bionda dalle tette grosse ed il culo rifatto. Vorrei che anche tu ti fossi distratto, che non avessi notato il suo sorriso, che non avessi cercato di vederlo ancora e ancora, di farlo nascere solo per te.
Vorrei tantissime cose, ma ho perso la mia occasione e ti odio perché tu eri lì a coglierla al mio posto.
-Dom, sei dei nostri o stai pensando di addormentarti dentro il bicchiere?
Sbatto le ciglia un paio di volte, ruotando appena la testa per riportare gli occhi su di te e fare uscire lei dal mio campo visivo. Sforzo un sorriso che so già vuoto e falso, così come so già che sei perfettamente consapevole che no, non sono affatto dei vostri. Sono una particella fuori posto che sta ruotando attorno a questo tavolo solo perché non ha ancora capito come fare a fuggire alla tua orbita.
E desidero andarmene via quanto prima.
Finisco il vino nel mio bicchiere in un sorso solo e mi alzo.
Lei mi guarda, ha ancora i resti di quella risata sincera, spontanea, incollati tra le labbra e gli occhi. Una fitta potente mi brucia lo stomaco e si allarga in su, fino al petto e ritorno.
-Hai ragione, Matt, penso sia ora che io vada a dormire, in un letto.- annuncio. La mia voce stride nel tentativo falso di apparire leggera.
Cogli la sfumatura con la rapacità di sempre. Assottigli lo sguardo, affondando con semplicità tra i miei pensieri.
Ecco, ti odio anche per questo. Perché ti ho permesso di restarmi così vicino da non avere più segreti?
Non aspetto la tua domanda, né l’inevitabile commento sarcastico. Mi volto per andarmene, salutando tutti a voce alta, ed è solo il saluto di lei quello che aspetto in risposta.
Kate si alza e gira attorno al tavolo. Quando mi abbraccia annego nel suo profumo e colgo stordito la sensazione tattile delle sue labbra morbide sulla mia guancia.
-Ciao, Dommie.- mi dice soltanto.
…vorrei che mi chiamasse così in eterno. Vorrei che solo lei lo facesse.
***
Quando mi sveglio, a Santa Monica c’è il sole.
Ho lasciato la portafinestra aperta ieri sera. Un fiotto di luce entra attraverso la tenda leggerissima, insieme con l’odore del mare ed il rumore di voci ed acqua che viene dalla piscina sotto il balcone.
Mi rigiro sulla schiena. Mi fanno male le spalle. Mi chiedo se siano i postumi dell’ultimo concerto o il fatto che non ricordo più quando sono riuscito a rilassarmi, rilassarmi davvero. Mi sembra di aver vissuto gli ultimi due giorni in una morsa, schiacciato – braccia e gambe contro il petto – arrotolato in un nodo e pronto a scattare come una molla.
Allungo una mano fuori dalle lenzuola, assaporando la sensazione di pulito e fresco sulle braccia nude, afferro la cornetta del telefono e chiamo la reception. Ordino la colazione e prenoto un massaggio nella Spa dell’albergo.
Mi ci vuole un tempo eccessivo per decidere di alzarmi, il carrello del servizio in camera mi trova con la camicia sbottonata e solo i jeans addosso. Matthew entra mentre il cameriere sta ancora finendo di servire, apparecchiando il tavolino sotto la finestra. Come il suo solito, non si annuncia e non si prende la briga di bussare: la porta è aperta e, comunque, lui ha il diritto di trovarsi lì, no?
Non spreco il mio tempo a fargli notare che “no”.
-Ehi, Dommie, ieri sera avevi una faccia che pareva ti avessero preso a calci in culo tutto il giorno!- esclama con brio eccessivo.
Adocchia la colazione anche lui, allungando il collo da sopra la spalla del cameriere per lanciare uno sguardo affamato ai piatti ed alle tazze sul tavolino.
-Grazie.- dico mentre quello finisce il proprio lavoro e si volta. Mi risponde con un cenno del capo ed esce in silenzio, lasciando il carrello e chiudendo la porta.
-Serviti pure!- sogghigno, intercettando Matt mentre si lancia sul vassoio delle brioche.
Fa una smorfia contrariata che significa “negheresti del cibo a me?!” e, poi, addenta il dolce.
Io finisco di abbottonare la camicia.
Quando giro attorno al tavolo per sedermi di fronte ad un bicchiere di spremuta di arancia, Matt si è già sistemato dall’altro lato della colazione e sta facendo onore alla pancetta arrostita.
-Troppo cotta.- afferma schioccando la lingua contro il palato, ma poi finisce comunque la fetta che ha già infilato sulla forchetta.
-A me piace ben cotta.- osservo.
-Sì, ma a me no.- ribatte lui tranquillamente.- E comunque, non mi hai risposto.
-…su cosa?
-Cos’avevi ieri sera? Non sei stato affatto di compagnia, anzi! Ad un certo punto sono stato tentato di chiederti di toglierti dalle palle, ché stavi rovinando la serata a tutti.
Rido. In realtà, sono abbastanza a disagio.
Matt mi irrita.
Sarebbe una notazione stupida, irritare la gente è una delle cose che sa fare meglio. Considerato, però, che io sono uno dei pochi che riesce a rimanere quasi del tutto indifferente a…a lui, ecco. Beh, considerato questo, il fatto che oggi provi l’irrefrenabile impulso di additargli la porta e, se non la infila da solo, di accompagnarcelo con un bel dritto al muso risulta alquanto insolito.
-Ero stanco.- borbotto vago.- Per la verità, non mi sento troppo bene da giorni.
-Ottimo.- scocca lui, assottigliando lo sguardo. Colgo, nonostante la presa per il culo, la sfumatura di preoccupazione autentica nella sua espressione - Forse dovresti farti vedere da un medico, non intendo restare qui a cazzeggiare in eterno e mi hanno detto che un batterista nella band ci serve.
-Sul serio?!- mi fingo sorpreso.
Matt non ride.
-Sei un cazzone.- mi informa invece.- Ed anche, “evviva l’originalità!”.
-Non tutti siamo cabarettisti nati come te.
-Fottiti, Dom. Sono quasi serio. Perlomeno nella parte in cui cerco di capire che diavolo ti piglia in questo periodo.
…è anche troppo serio per i miei gusti. Storco il naso e mi nascondo nella spremuta d’arancia.
Matt prova a buttarla in scherzo.
-…ti sarai mica innamorato?!- insinua con un altro dei suoi sorrisi sbilenchi.
Incasso male il colpo.
Innamorato? forse… No… Potrebbe anche darsi. Di sicuro, della persona sbagliata.
Non dico nessuna di queste cose, chiaramente, darei solo spazio ad un’infinita sequela di domande che non sono fisicamente in grado di reggere.
Un riflusso acido mi brucia la gola, risalendo a tradimento mentre provo a mandare giù l’aranciata. Tossisco e poso il bicchiere sul tavolino.
-Bellamy, se mai il problema è il contrario. – ribatto asciutto- Sono stanco perché mi do troppo “da fare”.
Lui finge di credermi. E’ chiaro che non sa come gestirmi in questo momento e preferisce rimandare l’incontro ad un altro momento. Ridacchia allusivamente dandomi di gomito attraverso lo spazio tra le nostre poltrone, è troppo lontano, così risulta tutto ridicolo ed io riesco a farmi scappare una risata autentica.
-Vabbè, ho capito!- esclama Matthew momentaneamente rasserenato, saltando su in piedi e sistemando le pieghe della maglietta per scrollare via le briciole – Ci vediamo in piscina?- mi domanda.
Un cenno con la testa e lui è già quasi alla porta.
-A dopo, Dommie. Vedi di sorridere ogni tanto, non ti verranno le rughe!
***
Il sorriso, quando lo raggiungo più tardi, devo forzarlo ed è falso come una monetina da Luna park.
Matt non è in vista, rumore di schizzi e schiamazzi di bambini attirano la mia attenzione verso la piscina: quel mucchio di ossa tenute assieme dalla pelle che è il mio migliore amico sta dando il meglio di sé nell’intrattenere e gestire un gruppo di vivaci ragazzini che rispondono tutti al glorioso nome di Wolstenholme. Dei legittimi genitori nessuna traccia.
Kate solleva gli occhiali da sole, rossi ed enormi, sulla cima di una vaporosa cascata di riccioli naturali e mi sorride. E’ senza trucco, un velo appena di crema abbronzante, il naso e le guance già scottate dal sole, rosate come se avesse corso. Un semplice bikini nero le copre appena il seno, le gambe sono snelle e toniche, muscolose.
Per quanto mi sforzi di apparire più sincero nel sorriderle di rimando, il mio desiderio rimane incastrato da qualche parte in fondo alla gola e crea un groppo stretto che non riesco a deglutire.
-Ciao, Dom!- mi saluta.
Non è sola. C’è una sua amica con lei, di cui non ricordo il nome anche se sicuramente mi è stata presentata, una bella bruna dagli occhi chiari che mi inchioda al mio posto con uno sguardo esplicito. Le raggiungo, ignorando la voce troppo alta di Matt che chiede ai bambini chi di loro voglia andare a prendere un gelato al bar. Un cacofonico coro di “io” mi informa della partenza di gran carriera dell’intero gruppo, con il mio cantante in testa.
Kate sposta il proprio accappatoio dalla sdraio accanto alla sua e scosta le ciabattine ornate da un orrendo fiore viola di plastica. Deve accorgersi che le sto fissando, perché ride tra le labbra e strappa uno sbuffo di divertimento anche a me.
-Vanità è femmina.- si pavoneggia graziosamente, battendo con la mano sulla sdraio per farmi cenno di sedere.
“Perché no?!”, mi dico, mentre un inaspettato ritorno di buon umore viene a farmi visita tutto in una volta.
-Ma sono il solo rimasto?- le chiedo, spiegando il telo da bagno sulla sdraio prima di stendermi.
-Sono andati tutti a fare altro.- conferma vagamente la bruna, agitando un braccio. Non sembra particolarmente colpita dalla cosa. Io mi sforzo a cercare il suo nome nella confusione che mi regna in testa.
Kate, che mi sta osservando, lo capisce. E’ evidente dal sorriso complice che mi rivolge prima di voltarsi verso di lei.
-Samantha, ti spiace prendermi il telefono?- chiede educatamente additando la borsa di paglia sul tavolo accanto all’altra donna.
Quando lei esegue, Kate fa finta di controllare qualcosa e posa il cellulare di fianco a sé nel giro di pochi istanti.
Mimo con le labbra un “grazie” silenzioso a cui risponde con un cenno della testa. Samantha si sta alzando dal lettino, sistema il reggiseno del costume che è scivolato troppo in basso, ci annuncia che va a prendersi qualcosa al bar anche lei perché ha caldo. Ne prendiamo atto, Kate le domanda se può portarle qualcosa di fresco e Samantha va via, in un ancheggiare di sedere alto e sodo e pareo stampato con fiori tropicali.
Io ed il sorriso di Kate restiamo soli. Io e le guance arrossate di Kate, quella sua aria da bambina dispettosa restiamo drammaticamente soli. Ed a me sembra di essere un liceale alle prese con una cotta per la ragazza più carina della scuola.
-Mi spiace che ieri tu sia scappato a quel modo.- esordisce Kate per rompere il ghiaccio.
Nemmeno ricordo cosa sia successo ieri… Ah, già. La cena.
-E’ un periodo che non sono troppo in forma.- invento.
Mi stendo sul lettino, giusto per avere la scusa per puntare lo sguardo dritto davanti a me verso il sole brillante della California e non dover ricambiare gli occhi di lei che, lo sento, mi bruciano la pelle.
Il tocco delicato delle sue dita sul polso lascia scie impercettibili di brividi gelidi. Devo farmi violenza per non scattare come una molla, ruoto meccanicamente la testa e mi ritrovo a fissarla stupito.
Lei non sembra particolarmente a disagio nonostante la familiarità eccessiva del proprio gesto.
-Stress da superlavoro?- mi domanda con dolcezza.- Matt deve essere un tiranno!- esclama poi, ridendo.- Tom mi ha raccontato delle cose orrende su di lui!
Sorrido anche io.
-Sappi che sono tutte vere.- le assicuro coscienziosamente.- Quindi, sei ancora in tempo per pensarci bene. Come prende confidenza, Bellamy può diventare più pernicioso e fastidioso di una carie.
Kate continua a ridere, con leggerezza, ma ho la sensazione che nel suo distogliere gli occhi ci sia il passaggio di un’ombra imprecisa, una sfumatura che non mi permette di cogliere. Il suo tono resta allegro quando riprende a parlare.
-Vedremo se dovrò preoccuparmene.- mi dice soltanto.
Seguo la linea del suo sguardo. Dal fondo della piscina dell’albergo Matt e la tribù dei baby Wolstenholme stanno tornando, un cono gelato per ciascun paio di mani e sorrisi soddisfatti sulle facce di tutti. L’andatura sgraziata del mio migliore amico si adegua perfettamente a quelle caracollanti dei marmocchi, in un’improbabile carovana di creaturine da circo. Sorrido.
-Guardalo, come si allena a fare il papà!- commento spontaneamente.
Non so da dove sia venuta quell’idea e ferisce me prima ancora di arrivare a pungolare la coscienza di Kate.
Mi volto ansiosamente temendo di aver detto qualcosa di troppo. Lei continua a fissare Matt da lontano in un silenzio che prolunga per qualche minuto. Poi mi guarda e sta di nuovo sorridendo.
-Direi che è un po’ presto, non trovi?!- esclama vivacemente.
Arrossisco.
-Beh, sembrate molto affiatati e presi…- mormoro.
Mi costa una fatica immensa, mi fa sentire terrificantemente fuori luogo e non sono stupito dell’occhiata divertita e compassionevole che lei mi lancia.
-Dom! Ci frequentiamo da due mesi scarsi, dacci tempo di respirare!- ride, sminuendo il tutto con una scrollata di spalle.
Non so cosa sia che mi spinge a farlo. E’ una stronzata. Ed è anche scorretto.
E sebbene la correttezza non appartenga a Matthew più di altre qualità morali e, quindi, io non gli debba niente al riguardo… Santo Iddio! è il mio miglior amico.
-Matt mi ha detto che ci hai provato con me la prima sera, quando ti sei fermata nel backstage.- sfiato tutto d’un colpo. Non so neppure io da dove abbia tirato fuori tanta scortese spavalderia, fino a dieci secondi fa avrei voluto morire solo per aver suggerito che le cose tra lei e Matthew potessero approdare al livello successivo.
Kate, comunque, non sembra particolarmente colpita. Mi soppesa con lo sguardo, reclinando la testa di lato e rendendo il suo sguardo così intenso da darmi il capogiro.
-Mi piacevi.- ammette con semplicità.
-Avresti potuto farmelo capire.- insisto io. Magari ci ha anche provato, che ne so?! Di quella sera non ricordo quasi nulla.- Poteva andare diversamente.
Il sorriso di Kate si allarga nuovamente, ma non è più così divertito.
-A quanto sembra, non lo sapremo mai.- mi rintuzza con gentilezza.
Ecco.
Adesso dovrei alzarmi e ritirarmi in buon ordine e pregare Dio o qualunque altra Entità che questa donna non dica nulla a Matthew sul nostro breve scambio di battute. Perché, cazzo Dom! hai appena suggerito che ci saresti stato e lei è la donna del tuo migliore amico.
…che schifo.
Matt arriva. La torma di bambini è intorno alla piscina adesso, lui esibisce il suo gelato come si esibirebbe un trofeo e sorride.
-Sei stato cattivo!- lo rimprovera Kate immediatamente.- Avresti dovuto dirmi se lo volevo anche io!
-Ma se hai detto che sei a dieta…?!- sbuffa lui, riempiendosi subito dopo la bocca di crema.- Che, poi,- bofonchia- che accidenti dovrai dimagrire!
-Infatti sei tu che avresti bisogno di una dieta.- sospira Kate, rassegnata. Quando si volta verso di me, sussulto. Lei continua a sorridermi rassicurante.- Diglielo anche tu, Dom!- mi incita.
Accetto implicitamente la sua silenziosa offerta di accordo: non dirà nulla ed io potrò fingere che non sia accaduto nulla. Vorrei esprimerle a parole la mia gratitudine ma non posso.
-Sono anni che ci provo.- mi limito a rispondere, stringendomi nelle spalle.
Matt ci manda entrambi al diavolo e prosegue imperterrito a mangiare il proprio gelato.
***
Samantha è dolce e morbida sotto le mie dita. Infilo la mano oltre l’orlo della gonna. La consistenza della sua pelle, della sua carne, è il contraltare perfetto di un carattere spigoloso, egocentrico, che non riuscirebbe ad affascinarmi davvero nemmeno in un milione di anni. Penso che non vorrei mai una compagna di vita come lei. Poi ricordo che non sto affatto cercando una compagna di vita e mi lascio trascinare dalla pressione della sua bocca sulla mia.
Samantha affonda i denti nel mio labbro inferiore, una scarica di adrenalina pulsa verso il basso, rapida e violenta, le sue ciglia, rese più lunghe da applicazioni fasulle, si sollevano a circondare uno sguardo brillante e sensuale che mi affronta con malizia spudorata.
-Andiamo di sopra?- sussurra direttamente contro la mia bocca.
Cerco di ricordare a casa di chi ci troviamo solo per dedurre quanto conveniente possa essere acconsentire ad una simile proposta. Ma la festa è stata un’idea di Kate ed è organizzata da un suo amico di cui non ricordo il nome. Oltretutto, sono troppo ubriaco per poter davvero valutare la cosa lucidamente.
Samantha è una ragazza libera, io sono libero…qualsiasi “scandalo” non sarà più inopportuno di due righe in un articolo / resoconto su un giornale alla moda.
-Prendo da bere.- mi offro da autentico gentleman.
Mi alzo dal divanetto lasciandola a rassettarsi il vestito. Un ultimo sorriso da predatrice mentre esco dal gazebo in cui siamo discretamente appartati, poi mi immergo nel giardino, tentando di ricostruire un passo alla volta la strada fino al bar.
Qualcuno mi urta a metà del percorso. Si scusa. Sta ridendo ed a me da fastidio, ma non ho voglia di attaccare briga. Abbozzo una smorfia che vorrebbe stare ad indicare un “fa niente, amico!” che non sento affatto. Passo oltre. Una folla di teste, risate sguaiate, vestiti di seta troppo corti su cosce tornite da ore di palestra, seni rifatti, capelli ingellati, giacche scure…gli occhi di Kate.
Li incrocio a metà del tragitto. Mi ci incastro dentro. Tento inutilmente di andare avanti.
Lei mi riconosce. Distoglie lo sguardo immediatamente, lo abbassa sulla gonna stupidamente rosa del vestito che indossa, assume la posa improbabile di una “madonna anni ‘50”.
Punto nella sua direzione.
E’ seduta sul divano in vimini di un salottino in veranda. Un mucchio di pouf disordinati e di bicchieri semivuoti è la muta testimonianza di un altro momento in cui quello stesso salottino ha visto compagnie più nutrite. Adesso lei è sola, con un cocktail alla frutta ed un sorriso smorzato che si sforza di ricambiare il mio.
Mentre penso che è la prima volta che ci troviamo a tu per tu, da soli, dopo il nostro rendezvous in piscina di qualche giorno prima, comprendo la ragione del suo imbarazzo, perché è il medesimo che mi ritrovo a provare anche io. Peccato sia tardi per ignorarci.
-Tutta sola?- indago cortesemente.
Giro attorno lo sguardo. Forse mi aspetto che Matthew compaia come una specie di folletto, di ritorno dal bar con un paio di drink – come dovrei fare io con Samantha.
Kate interpreta correttamente il mio gesto.
-Matt ha visto qualcuno che conosceva ed è andato a salutarlo.
Matt ha mentito. Non c’è nessuno a quella festa che noi possiamo conoscere e che lui senta l’esigenza di salutare. A lei non lo dico.
-Vuoi che aspetti con te finché torna?
Spero dica di no. Spero che mi cacci, così che io possa tornare da Samantha, finire di farla ubriacare, ubriacarmi io stesso fino a non ricordare il mio nome, scoparmela e dimenticarmi di questo senso pungente di sbagliato che mi si è infilato tra le costole.
Kate esita e distoglie lo sguardo. C’è dello smarrimento autentico nel suo sguardo, forse persino eccessivo per la situazione concreta. Matt ha tagliato la corda? Lei potrebbe alzarsi, andarlo a cercare, fargli una scenata se lo ritiene opportuno – no, non è donna da scenate, sospetto – o, quantomeno, marcare il territorio. Che il mio amico sia un coglione deve esserle chiaro, arrivati a questo punto.
…o forse no.
Dovrei dirglielo?”.
Kate non mi lascia il tempo di stabilirlo. Sto ancora osservando l’orlo del suo cocktail alla frutta – che ha la stessa tonalità del vestito che porta. Quel vestito è orribile, Katie, sembri una Barbie California con quella robaccia addosso – quando lei torna a guardarmi.
-Dom…ti…ti spiacerebbe troppo se ti chiedessi di riportarmi a casa?- mi domanda in un sussurro sottilissimo.
Mi spiazza un po’. Ma sembra che stasera le cose debbano muoversi in direzioni casuali.
Richiudo la bocca, facendo sparire in fretta l’espressione stupita che so di aver assunto. Preferisco sorriderle.
-Certo che ti accompagno a casa.- le assicuro, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi.- Non ti senti bene?
-No, sono solo stanca.- mormora lei.
Quando afferra le mie dita, lo fa con forza, si appoggia completamente a me, nel darmi il braccio, come se camminare le costasse uno sforzo inimmaginabile, come se affrontare la piccola folla fuori da quello spazio ristretto fosse impossibile. Solleva in faccia alla festa uno sguardo disorientato, che si ricopre in fretta di un sorriso patinato da copertina. Kate sorride e saluta tutti quelli che incontriamo, scambia due chiacchiere con ogni persona che ci ferma, ride ad ogni battuta priva di senso che le viene rivolta da gente ubriaca. Lei ubriaca non lo è affatto. E’ presente, cosciente, ferita, terrorizzata e si aggrappa a me con una disperazione così autentica da mozzarmi il respiro.
Resto in silenzio fino all’auto, spiandola mentre si destreggia aggraziata tra gli ospiti. Le apro la portiera della Lamborghini che ho noleggiato e la vedo rifugiarsi sul sedile, rannicchiandosi su se stessa come una bambina.
La macchina scivola fuori dalla villa tra i flash dei paparazzi, penso distrattamente che questo – Kate Hudson che arriva ad una festa con un cavaliere e la lascia con un’altro – si guadagnerà più di “due righe” in un giornale alla moda. Mi sento in colpa nei confronti di Matthew. Stranamente non mi sento in colpa nei confronti di Samantha.
Sospiro.
Kate si volta verso di me. Percepisco il suo sguardo addosso anche se non mi parla. Continuo a guidare nel buio fitto delle strade fuori città, diretto verso casa di sua madre.
-Ti ho messo in difficoltà?- la sento chiedere.
Prima di rispondere cerco di capire a cosa si stia riferendo. Le ho confessato – sebbene “velatamente” – di provare dell’attrazione verso di lei. E lei è la donna del mio migliore amico, quello per cui mi farei tagliare a pezzi ancora vivo. Almeno dieci fotografi diversi hanno scatti di noi due che ci allontaniamo da soli sulla mia auto. Ci sono milioni di ragioni per cui potrei essere in difficoltà in questo momento.
-Kate, non pensarci.- ritorco piano, senza voltarmi.
-…non sapevo a chi rivolgermi.- confessa debolmente.
La guardo. Lei è tornata a sedersi composta, lo sguardo fisso alle strisce bianche sull’asfalto che scivolano sotto le ruote dell’auto. Si tira una ciocca di capelli che, disordinata, è scappata all’acconciatura, si massaggia la cute e sospira, poi sfila il cerchietto di strass ed i riccioli ricadono scomposti, spettinati, tutto attorno al suo viso, contribuendo a renderla stanca ed indifesa.
-Era una morettina che avrà avuto vent’anni. Spero li avesse, insomma!- Accenna una risatina debole e stridula.
Io sento lo stomaco attorcigliarsi in un nodo stretto.
-Ha detto di essere una vostra fan. Lo ha ricoperto di complimenti. Dovevi vederlo, Dommie, credevo che avrebbe cominciato a camminare a tre metri da terra…
Sì. Non mi viene difficile immaginare la scena.
Tossisco per schiarirmi la voce, ho bisogno di capire se posso parlare senza che mi tradisca sul più bello.
-Kate…Matt è…
“Uno stronzo”? “un figlio di puttana”?! No, come ho già detto, sua madre è una povera diavola, una delle tante persone che ruotano attorno a Matthew ed a cui lui ha reso, rende e renderà la vita simile ad un inferno di tribolazioni inaspettate. Benvenuta nel novero, Kate, se ti consola, non sei sola.
-Io sono andata a sedermi perché mi facevano male le gambe. Gliel’ho detto. Speravo che mi seguisse perché dovevo parlargli e volevo farlo stasera. Ma lui è rimasto lì, mi ha detto “ok, ti raggiungo dopo”. Dovevi vedere come sorrideva.
-Questo non vuol dire…
-Sai cosa dovevo dirgli?- m’interrompe quietamente. Trovarmi addosso i suoi occhi all’improvviso mi fa sentire a disagio come se fossi stato io ad abbandonarla alla festa per correre dietro ad una ventenne. Per cui sto zitto.- Che sono incinta.- conclude nello stesso identico tono.
***
Tom, a colazione, mi informa – su mia domanda esplicita – che Matthew non è rientrato in albergo stanotte.
Ne prendo atto e mollo lì il gruppo.
La villa, il mattino dopo, ha addosso i postumi di una sbronza colossale. Bicchieri e bottiglie rotte su cui camminare con accortezza, festoni che si precipitano a galleggiare pigramente sulla piscina, il risucchio debole dei filtri che tenta inutilmente di tirare via dall’acqua pozze di liquame di cui è meglio non indagare la natura.
Sono entrato dal cancello principale senza che nessuno mi fermasse, incrocio un paio di cameriere, un giardiniere e due addetti alla pulizia della piscina. Nessuno di loro fa domande, tutti si limitano a brevi cenni del capo a mo’ di saluto. Il rumore dei miei passi sul vialetto sembra l’unico suono che riempie l’aria a parte il frinire delle cicale. Giro attorno al corpo centrale della villa, sul retro c’è una dépendance con sotto tre verande, tutte uguali, tutte munite di identici salottini di vimini. Riconosco il gazebo dove ho lasciato Samantha la sera prima. Per un secondo o due mi rendo conto di non essermi comportato meglio di Matthew.
Poi mi dico che Samantha non è incinta. Neanche me la sono fatta.
C’è una scala in legno che porta al terrazzo superiore. Su una balconata unica si affacciano le porte e le finestre di diverse stanze. Sembra un albergo ad ore. Mi fermo sotto la scala e sollevo in su lo sguardo, riparando gli occhi con la mano perché, nonostante gli occhiali scuri, c’è troppa luce stamattina. Non so come trovarlo. Non sono neppure sicuro che sia ancora qui.
Ma forse è vero che i nostri pensieri, in qualche modo, si sono sincronizzati, in tanti anni.
Matthew esce da una delle porte con la camicia ancora sbottonata ed una sigaretta già tra le labbra. Ha l’aria soddisfatta di chi abbia passato una bella nottata, ma si stira sulla faccia di chi, per quella serata, abbia chiesto un po’ troppo a se stesso. E’ pallido e con le occhiaie. Il suo sorriso mi fa tornare la voglia insalubre di prenderlo a pugni.
Si appoggia ad una delle colonne di legno dipinto che sorreggono la tettoia sopra il ballatoio, prende una boccata ed abbassa la sigaretta. Punta lo sguardo prima sulla piscina, il giardino, le cameriere ed il giardiniere. Poi su di me.
-…Dom?- mi riconosce. La sua perplessità iniziale si trasforma in fretta in imbarazzo. A Matthew viene una faccia rossa come un semaforo quando è imbarazzato.
Coglione.
-Vengo su.- lo informo brevemente.
Lo vedo tentennare subito, voltandosi preoccupato dietro di sé, alla porta della camera che ha lasciato aperta. Quando, in poco più di quattro passi e tre balzi, sono arrivato sul ballatoio, ritrovo la porta chiusa e lui che ci staziona prudentemente davanti.
-Che ci fai qui?
-Che ci fai tu. La festa è finita almeno quattro o cinque ore fa, sai?- ribatto asciutto.
Lui ride, nervoso. Si è reso conto che qualcosa non va, non è da me l’espressione seria con cui - lo so - lo sto affrontando in questo momento. Di solito si accompagna ai nostri litigi più feroci.
-Ho perso la cognizione del tempo.
Fa spalluce.
Stronzo.
-Matt, levati quel sorriso del cazzo dalla faccia.- ordino più bruscamente di quanto vorrei. Funziona. Sgrana gli occhi ma smette all’istante di sorridere. – Lo sai chi ho dovuto riportare a casa propria, stanotte?
-…Dom…
-“Dom” il cazzo, razza di bastardo che non sei altro. Almeno abbi il buon gusto di fare attenzione che la donna con cui ti fai vedere in giro non sappia delle donne che ti sbatti in giro.
-Non mi pare che tu sia nella posizione per farmi la predica al riguardo!- attacca subito.
Attacca sempre. E’ una sua caratteristica. Mai che riesca a prendersi una sana lavata di capo senza aprire quella fogna che si ritrova al posto della bocca e dare fiato ad un cumulo di stronzate di proporzioni bibliche.
Può funzionare con la musica, ma oggi proprio no.
-Invece sì che lo sono. A parte che quanto a stile e savoir-faire non esiste neppure il paragone, io ho la decenza di non andare in giro a sbandierare relazioni stabili.
-Ah, quindi il fatto che sei più troia di me, ti pone al di sopra di chiunque altro.- constata blando Matthew - Buono a sapersi.
-Ti prendo a calci in culo fino all’albergo se non la finisci di fare lo stronzo.- notifico con aplomb invidiabile.
-Piantala! Non fai ridere e stai cominciando ad urtarmi seriamente!- ringhia lui.
Ma non è quella che sperava, la reazione che suscita.
-Non ce la fai proprio a dire “Dom, scusa, hai ragione, sono stato un imbecille ed una merda”?!- gli grido contro.
-Non ti devo nessuna scusa!- protesta Matthew veemente.
La porta della camera ha la brillante idea di aprirsi in quel momento. Ne esce una testolina coperta di capelli ramati, lunghi e mossi, che attorniano un musetto assonnato su cui spiccano occhiaie che sono lo specchio di quelle sulla faccia del mio cantante.
-…che succede?- borbotta la ragazza.
La fisso criticamente. Kate non ha sbagliato: avrà vent’anni, non di più, e per quanto possa essere indubbiamente carina…Cristo Santo!
-Niente che ti riguardi.- sbotta Matt immediatamente, nel tentativo inutile di ricacciarla dentro.
-Lascialo decidere a lei, se la riguarda.- ritorco io secco.- Lo sai, vero, che questo qui ha una fidanzata?- le chiedo indicando Matthew.
Lei apre la bocca per rispondere, ma Matt è decisamente più veloce.
-Cos’è che avrei io?!- scatta in una risata isterica.- Dom, ti sei bevuto il cervello?!
-E come la definisci Kate?!- lo aggredisco.
Matt scuote le mani, strabuzza gli occhi e mi indica, come se questo bastasse a rendere evidente tanto la risposta quanto l’implicita assurdità della mia affermazione.
-La tipa con cui vado a letto?- mi suggerisce.
Grandissimo figlio di…!
La ragazza grida. Finché non sento il dolore sordo alle nocche della mano non ho ben chiara la ragione per cui stia gridando.
Poi, in un secondo, metto a fuoco il viso di Matthew, il punto esatto sullo zigomo contro cui il pugno si è schiantato e la sua espressione sorpresa, furente e tradita.
E’ l’ultima cosa razionale prima che debbano intervenire i due inservienti della piscina ed un ragazzo che non conosco a separarci.
***
Tom ha portato via Matthew che ancora vomitava insulti al mio indirizzo. Chris ha fissato lui, poi me, poi di nuovo lui mentre l’auto del nostro media manager lasciava il vialetto della villa. Qualcuno mi ha offerto un bicchiere d’acqua. Sembra che, alla fine, Matt abbia fatto una figura peggiore della mia, sebbene sia stato io a dare inizio al nostro pietoso teatrino.
La ragazza ha ventuno anni. Me lo dice mentre scende la scala e ci raggiunge in giardino. Mi fissa con silenziosa condiscendenza e se ne va. Chris sospira e mi siede accanto.
-Dom, che succede?- mi chiede subito.
-Che Matt è uno stronzo.
-Cazzate. Vi conosco. Non vi picchiate, non sul serio. Che cos’è cambiato?
-Che lui è uno stronzo.
-…no, questo è rimasto sempre uguale.
Sospiro anche io. Mi volto a guardarlo.
E’ cambiato che ho una cotta stratosferica per la donna, incinta, con cui quello stronzo se la fa più o meno stabilmente. La stessa donna, incinta, che ieri notte ho riportato a casa, sconvolta per aver visto il padre del suo futuro figlio piantarla in asso e correre dietro alla gonna di una mocciosa appena maggiorenne.
-Chris, segui il mio consiglio e stanne fuori.
Mi alzo. Restituisco il bicchiere vuoto ad una delle cameriere ringraziando. Chris mi segue fino alla macchina. Per la strada di rientro in albergo restiamo in silenzio.
Non scendo a pranzo. Neanche a cena.
Mando un messaggio a Matthew alle 04.09 del pomeriggio. Osservo, steso sul letto e con ancora addosso i vestiti sporchi di terra ed erba, il display del cellulare illuminarsi e tornare scuro.
“Allora, se per te non vale niente, sappi che la considero libero territorio di caccia”.
Faccio schifo quasi quanto lui. “Territorio di caccia”. Sono serio?!
Sto sfidando Matt? sto giustificando me stesso? sto cercando una qualche scappatoia da questa situazione che rischia di soffocarmi?
Kate mi ha detto che è incinta!
O.k. Non mi ha specificatamente detto che il padre è Matthew, ma direi che nel contesto era sufficientemente chiaro.
Cosa fai, Dom, te la prendi con tutto il pacchetto in arrivo?!
Non fa ridere. Non fa ridere per un cazzo.
Matt nemmeno mi risponde. Deve essere davvero incazzato.
Sospiro. Stiro le braccia sopra la testa – hanno ricominciato a fare dannatamente male – e mi aggrappo alla testata del letto con entrambe le mani. No, fanno proprio male, constato con una smorfia, rilasciando di colpo la presa. Chiudo gli occhi.
Non abbiamo un concerto…domani? Come cazzo saliremo su un palco se io e Matt non ci chiariamo?
-Come cazzo possiamo chiarirci se io gli mando un messaggio del genere?!
***
Detesto essere io il primo a cedere.
Busso contro la porta e scopro che le nocche della sinistra sono decisamente escoriate. Sto ancora agitando la mano nell’aria quando il battente si apre.
-Dom!
Strabuzzo gli occhi e spalanco la bocca.
Il mio primo impulso è quello di afferrare Kate per il polso e trascinarla fuori dalla stanza.
Non riesco a metterlo in pratica. Sia perché non ho sufficiente prontezza di spirito per riprendermi abbastanza in fretta dallo shock di vederla lì dentro, sia perché Matt è più veloce di me. Il suo sorriso appare sulla soglia della camera, alle spalle della ragazza, con una rapidità sorprendente, tanto da farmi sospettare che fosse lì apposta per godersi quell’unico istante.
-Ciao, Dommie.- mi saluta anche lui, mellifluo ed accondiscendente.
Chiudo la bocca.
-Sai, avevi ragione.- sta ammettendo il mio cantante con posata diligenza.- Sono stato veramente uno stronzo.
…lo ha fatto apposta.
Lo hai fatto apposta!
Sto quasi per dirlo ad alta voce. Mi frena incocciare nel sorriso luminoso di Kate, poco più in basso. Mi ferma il suo sguardo supplichevole, la consapevolezza che tutti e tre, qui, sappiamo la reale ragione per cui tu te la sei ripresa.
Ma tutti e tre, sebbene per motivi diversi, continueremo a tenere in piedi questo incantesimo di ipocrisie.
Deglutisco a vuoto. Continuo a fissare Kate e lei continua a fissare me.
-Katie ed io ci siamo chiariti.- stai dicendo, dolcemente. Le scosti i capelli dalle spalle in un gesto colmo di tenerezza- Lei sa che è la sola di cui mi importi. E devo ringraziare te per avermelo fatto capire.
-…ne sono felice.- mento. Bene, posso constatare che almeno la mia voce è in grado di restare impassibile.
Kate si sta scusando al posto tuo. Lo fa nel modo in cui stringe le spalle ed arrossisce. Lo fa nel movimento abbozzato della mano, che sembra volersi posare sul mio braccio in una carezza ma si ferma a metà del tragitto, portandoti più rispetto di quanto davvero ne meriteresti.
E’ perché non ne meriteresti affatto.
-Buonanotte.- saluto atono.
Ruoto su me stesso. Sento la voce di Kate che borbotta qualcosa mentre la porta si chiude. Non posso sentire se le rispondi, perché il battente si serra dietro di me prima che tu lo faccia.
***
Arrivo alla location del concerto con un’ora di ritardo.
Le urla di Matt si sentono ancora prima che io metta piede nella zona del palco. Chris sta seduto in un angolo, le braccia serrate al petto ed uno sguardo eloquente.
La vittima del nostro frontman è uno dei tecnici della chitarra, chiaramente. Prima che il concerto sia finito, dovrà trovarsi un nuovo lavoro. Ed al momento ne siamo consapevoli un po’ tutti, qui intorno. Tecnico compreso.
Il reale obiettivo di Matt sono io.
-Dom…- mi saluta Chris, svogliato.- Dov’eri finito?- non ci mette vera partecipazione nel pormi la domanda e questo mi dà l’esatta misura del fatto che lui sappia almeno quanto me e Matthew che il discorso iniziato il giorno prima tra noi due non è ancora chiuso.
-In albergo.- ritorco asciutto.
Non mi spreco neppure a fingermi impensierito dalla scenetta che Matt sta recitando qualche metro più in là. Salgo sul palco. Siedo alla batteria. Impugno le bacchette e mi annuncio con un feroce rullare di tamburi che smorza l’invettiva di Matthew sul più bello.
Si volta verso di me con la stessa rapidità che ci metterebbe dopo un morso di serpente.
Sorrido.
-Ciao.- scandisco secco.
-…“ciao” il cazzo, Dom!- ringhia lui immediatamente. Tre balzi esatti ed è in cima al palco. Una breve marcetta e me lo ritrovo a meno di mezzo metro di distanza.- Dovevi essere qui un’ora fa, porca puttana!
-Davvero? Non me ne ricordavo.- ribatto serenamente, facendo vibrare nuovamente le bacchette contro la pelle.- Scusa.- Ma entrambi sappiamo che no, non mi sto scusando affatto.
Matt sembra realmente sull’orlo di una crisi di nervi. Ingoia la risposta velenosa che stava per rifilarmi, si tira dritto, occhi chiusi e respiro affannoso, si passa una mano tra i capelli, in totale disordine, tirando le ciocche sulla nuca.
-Ok.- sfiata dopo qualche istante.- Ok. Si può sapere qual è il tuo cazzo di problema?- mi domanda, tentando inutilmente di suonare conciliante.
Il tecnico delle chitarre si è dileguato.
Butto un’occhiata trasversale in direzione di Chris, lui recepisce, si rimette in piedi ed esce di scena.
-Io non ho nessun problema.- affermo apatico.
Matthew scoppia in una risata isterica.
-Sentimi bene, coglione! Io e te possiamo anche prenderci a pugni fuori da qui e farci i dispettucci come all’asilo, - mi redarguisce aspramente, accompagnando la tirata con il suo solito gesticolare eccessivo - ma questo è lavoro, Howard! Quindi, o sputi il rospo o te la fai passare!
-Non so di che rospo parli.- insisto sfacciatamente. Altro rullo di tamburi.
Matt scatta in avanti e riesce a strapparmi una delle bacchette, che finisce giù dal palco.
-Ora possiamo parlare?- mi chiede suadente.
E’ il mio turno d’ingoiare a vuoto.
-Matt, - inizio sforzando un tono piano e tranquillo che non corrisponde per niente a quello che provo - non so di cosa tu voglia parlare…
-Del messaggio che mi hai mandato ieri pomeriggio?!- m’interrompe.
diretto.
E all’improvviso sono io in torto e lo so.
Tiro un respiro profondo senza osare ricambiare il suo sguardo. Non so come uscire da questa situazione, non so come faremo entrambi ad uscire da questa situazione, non so…
-Te la sei ripresa solo per dimostrarmi che tanto vinci sempre tu!- sibilo furibondo, senza neanche rendermi conto fino in fondo di quello che sto dicendo.
-Non farmi più stronzo di te! La verità è che tu la vuoi solo perché è la mia donna!- ritorce Matthew stringato.
-Sei un figlio di puttana!- gli urlo contro.
Sono giorni che lo penso – povera Marilyn – ma dirlo a voce alta ha tutto un altro sapore. E per un paio di istanti ne sono soddisfatto.
In quei due istanti gli occhi di Matthew diventano enormi, fagocitando nella propria sorpresa tutto il mondo intorno. E poi tornano a restringersi, assottigliandosi su una rabbia serpeggiante, velenosa e cattiva che non avrei mai sospettato potesse rivolgere a me.
E’ tutto sbagliato.
-Dom…- inizia a mezza voce, in tono basso e controllato, furente.- non so quando cazzo tu abbia sviluppato questa gelosia da moccioso nei miei confronti…
Strillo una risata sarcastica. Un suono isterico e gutturale che si alza troppo di tono e che raggela l’incipit del discorso di Matt molto prima che prenda l’avvio.
-Non sono geloso di te. – rintuzzo - Non ci tengo ad essere uno stronzo, bastardo, egoista e megalomane, grazie.
No. Tutto quello a cui tengo è poter avere la tua donna. …quindi…magari…un po’ stronzo lo sono pure io. Che dici?
Questa volta è lui a gettarmisi contro.
Rotoliamo giù dallo sgabello della batteria in un fracasso di piatti che rovinano a terra. Il pugno di Matthew mi scalfisce solo di striscio la faccia, perché lui non ha abbastanza forza e agilità per rimettersi dritto, a cavalcioni sul mio bacino, e picchiarmi come si deve.
Fai schifo anche in questo, Bellamy.
Per quando si raddrizza, in equilibrio precario sul mio sterno, gli ho già bloccato i polsi e me ne sbatto se gli sto facendo male, continuando a stringere nonostante la sua smorfia di dolore.
Matt prova inutilmente a divincolarsi, rifilandomi un paio di ginocchiate nei reni che non sono affatto divertenti. Mi piacerebbe spaccargli la faccia e, se mi fermo per tempo, è solo perché stasera abbiamo un fottutissimo concerto.
Sempre ammesso che stasera i Muse esistano ancora.
-Sei uno stronzo!- mi ruggisce contro, arrabbiato, quando si rende conto che non riuscirà a liberarsi. Non smette comunque di provarci.- Io davvero non capisco che cazzo ti prende, Dom! PORCA PUTTANA! è da quando c’è Kate che ti comporti da idiota con me! Che cazzo di problema hai, me lo spieghi?!
-Ho il problema che vorrei che…quantomeno, tu la trattassi con un minimo di rispetto!- sfiato allo stesso modo, strattonandolo per le braccia per costringerlo a darsi una calmata ed ascoltare - Quando cazzo crescerai, Bellamy?! Eh?! Quando cazzo la metterai quella fottuta testa a posto?! Perfino Gaia ti ha dato un calcio in culo nonostante fosse pazza di te!
-Non tirare in mezzo Gaia, Howard!- è la replica rabbiosa di Matthew – Cosa diavolo vi aspettate che faccia?! Che mi sposi la prima che capita solo perché Gaia mi ha mollato dandomi dell’infantile incapace di prendersi delle responsabilità?! Che cazzo di discorso è?!
-Il discorso di qualcuno che spererebbe di vederti prendere delle responsabilità, Matt.- ritorco asciutto, abbassando bruscamente il tono della voce.- Specie con un fotuttissimo bambino in arrivo!- gli ringhio contro.
Capisco che non lo sapeva nell’istante esatto in cui lo vedo sbiancare.
E’ perfettamente immobile tra le mie mani adesso. Seduto intontito sulla mia pancia, le braccia abbandonate inerti davanti a sé, le mie dita ancora serrate attorno ai polsi. Allento progressivamente la stretta, mentre un brivido gelido mi scende lungo la schiena.
-…Matt?- provo a chiamarlo.
Quando faccio per sollevarmi, lui si riscuote. Non lo fa realmente, perché non è realmente presente a sé stesso in questo momento. Tutto quello che ottengo è che si lasci cadere seduto sul pavimento del palco - il segno rosso dei miei polpastrelli sotto il polsino della camicia - liberandomi dal peso del suo corpo e dandomi la possibilità di tirarmi dritto a mia volta, inginocchiato al suo fianco.
Matt non mi vede. Striscia all’indietro quando provo a toccarlo, sottraendosi al mio tocco per puro istinto. I suoi occhi sgranati sono assolutamente inespressivi, immoti. Impatta con la schiena contro un amplificatore, ci si rannicchia contro, portandosi le ginocchia al petto e nascondendo il viso tra le braccia in un groviglio di arti che non ha alcun senso.
Cristo Santo…cosa cazzo ho fatto?!
-…non te lo ha detto.- realizzo a voce alta.
Terrorizzato.
Lui si volta verso di me. Di scatto.
-Dimmi che stavi scherzando.- mi implora.
Sono eoni che non vedevo Matt in queste condizioni.
Deglutisco a vuoto, mi prendo qualche minuto per decidere cosa fare. Lui mi guarda con un’espressione disperata sul volto bianchissimo. Io ho appena distrutto la sua vita, consapevolmente, e ora non so più come riattaccare i pezzi assieme.
Ma magari non devo. In fondo, il bambino esiste comunque, se non glielo avessi detto io, lo avrebbe fatto Kate.
….Kate. Pensare a lei con il viso di Matthew davanti è impossibile. E’ come se qualcuno mi stesse piantando un coltello nello stomaco e girasse…girasse…e quel buco finirà per risucchiarmi, ma la cosa peggiore è il dolore che cresce e che non posso fermare.
-Matt.- ripeto piano.
Accomodante, morbido, protettivo. Perché è Matt. E’ sempre stato Matt, anche se ho potuto dimenticarmene per un paio di ore…qualche giorno. E’ il mio Matt. La persona più importante con cui ho condiviso un pezzo di vita. Il ragazzino spaventato che al liceo ne diceva una di troppo e, poi, correva a nascondersi dietro le mie spalle. Lo stesso ragazzino che, terrorizzato, mi si stringeva addosso la notte, durante i primi tour, quando la paura di sbagliare, di dire qualcosa di troppo, di essere disprezzati dal pubblico era troppa, quando mettersi in gioco era ancora un problema insormontabile.
E Kate no.
Kate non sarà mai mia.
Kate è La Donna del Mio Migliore Amico. Di mio fratello. La Madre di Suo Figlio.
Arranco verso di lui. Quando lo abbraccio, non fa niente per divincolarsi. Mi accorgo che sta tremando, mi abbraccia anche lui, stringendo e nascondendo la faccia contro la mia maglietta.
Siamo ridicoli. Se qualcuno ci vedesse in questo momento, la presa per il culo sarebbe assicurata fino alla fine dei giorni.
-Scusami.- sussurro piano, direttamente al suo orecchio. Lo sento annuire.- Credevo te lo avesse detto. Ma sono stato stupido, dovevo capire che non l’aveva fatto.
Ripenso alla sera prima, al viso di Kate, alle sue scuse silenziose, al sorriso idiota, arrogante, sulla faccia di Matthew. No, era ovvio che lei non glielo avesse detto. Ed io lo sapevo.
…l’ho fatto apposta.
-Matt, scusami.- singhiozzo nuovamente, con più forza.- Non volevo che lo sapessi a questo modo e non volevo…non…
Non volevo innamorarmi della tua ragazza. Non volevo scoprire che aspetta un figlio da te. Non volevo sentirmi dire che di lei non t’importa abbastanza…
-Che cosa devo fare, Dom?- mi sussurri in una preghiera spaventata.
E’ assurdo. Meno di due minuti fa volevi spaccarmi la faccia ed io volevo spaccare la tua. Ti ho odiato davvero e sono certo lo abbia fatto anche tu. Sessanta secondi…settanta forse.
Poi ho detto una cazzata, ti ho tirato un colpo molto più forte di quello che puoi reggere e adesso è tutto passato, adesso è solo il rimorso ed il bisogno spasmodico di proteggerti perfino da me stesso.
E tu mi stai ammazzando, Matt, perché non credevo di poter provare per qualcuna quello che provo per Kate, ma devo dimenticarlo subito…ieri, ancora prima! Deve sparire e non tornare. Deve rimanere un messaggio fuori luogo che ti ho mandato in un momento di rabbia, il desiderio inespresso di una battuta di troppo che ho formulato alla tua donna. Deve sparire. Perché non potrei mai, non sarei mai in grado, non riuscirei nemmeno in un milione di anni a farti questo.
-Matt. Andrà tutto a posto.- sussurro cullandoti.- Parlane con Kate. Decidete assieme. Prenditi tutto il tempo che ti serve. Hai diritto ad avere il tempo che ti serve.- aggiungo, realizzando che è così. E’ vero.
Lei non è Gaia. Tu forse hai anche cercato di sostituirla ma, in fondo, da quanto vi frequentate? Ed immagino che non sia facile prendersi una responsabilità come questa. Immagino che possa sembrare spaventoso, dopo averla rifuggita per anni con una persona che amavi tanto quanto l’aria che respiri.
Spingo forte le labbra contro i suoi capelli in un bacio che ha il sapore di miliardi di scuse che non riesco a formulare a voce alta.
Lui non si muove. Non respira quasi.
Sento dei passi dal fondo del backstage. Non mi volto, so già che è Chris e so che non dirà niente.
Deve averci visto, perché torna indietro nello stesso silenzioso modo e ci lascia soli.
***
Kate mi viene incontro lungo il corridoio dell’albergo. Sembra arrabbiata. Mi fermo con la chiave magnetica in una mano ed un saluto a fior di labbra.
Non arrivo a rivolgerglielo.
Mi tira uno schiaffo. Sonoro, pesante. Mi brucia la guancia ed ancora di più l’anima, perché so bene la ragione della sua rabbia.
-Non te l’ho detto perché tu glielo spifferassi alla prima occasione!- mi sibila contro.
Abbasso gli occhi. Sulla moquette rossa che fa da passatoia i suoi sandali gioiello sembrano ricami preziosi.
-Mi dispiace.- mi scuso senza nessuna intonazione.
Lei freme, furiosa. Alzo lo sguardo nei suoi occhi solo per rendermi conto davvero di quello che sta succedendo. Ha paura. Non sa quale sarà la reazione di Matthew – non lo so neppure io – forse non sa neanche cosa fare, se tenere o meno questo bambino. Ed ora io ho messo tutti davanti ad una decisione da prendere alla svelta, senza basi solide su cui costruirla.
ho paura anche io. Che possa decidere di non tenerlo.
-Kate…- inizio frettolosamente, sulla spinta di quell’ultimo pensiero istintivo.
-No.- mi interrompe lei brusca, tirandosi indietro e puntandomi contro la mano.- Non dire niente. Non voglio sentire niente. Portatelo via. Andate via entrambi. Non voglio più vedervi.- scandisce atona.
-…Kate…tu…devi parlare con Matt di questa cosa, devi…
-Io non devo fare proprio nulla, Dominic.- ritorce asciutta.- Non devo fare niente se non quello che ritengo corretto per me stessa. Non c’è nulla tra me e Matthew.- Sorride. L’amarezza in quel sorriso è tanto palpabile da svuotare di qualsiasi valenza il tono duro, tagliente e pacato con cui mi si sta rivolgendo. Le ferite sulla sua pelle sono così esposte che potrei affondarci un dito dentro senza alcuno sforzo. – Nulla su cui valga la pena di fare affidamento.
-Non lo conosci.- mi sento in dovere di ribattere.
-Ho visto abbastanza l’altra notte.
Distolgo di nuovo lo sguardo. Non me la sento di negare. Ma conosco Matthew meglio di lei, le cose buone e quelle cattive, e sono quasi certo che affronterà questa cosa. Che ci proverà, almeno.
-Dagli una possibilità.
Mi costa uno sforzo enorme sussurrarglielo. Sempre senza guardarla.
Kate sorride ancora, di sbieco, sottilmente.
-Deve chiedermela lui, non pensi? Sarebbe già un buon inizio.
Si volta. Va via. I sandali sulla moquette non fanno nessun rumore.
Vorrei fermarla.
Vorrei dire qualcosa di stupido, qualcosa che suonerebbe come “se non sarà lui, potrei essere io”.
Mi fermo appena in tempo. Le porte dell’ascensore si aprono, l’abito di Kate è un fluttuare leggero di seta colorata oltre l’angolo del corridoio.
Matthew esce dall’ascensore, mi vede, mi sorride stanco, pallido. Ricambio il suo sorriso.
Faccio scattare la serratura della stanza ed apro la porta.
-Vieni a berti una birra?- lo invito.
Non resto ad ascoltare la sua risposta. Lo precedo in camera, mi dirigo al bar e stappo un paio di bottiglie.
                                                          
“Cave Canem”
MEM 2013
 
Nota di fine capitolo della Nai:
Dunque…questa storia è stata scritta per un mucchio di motivi diversi.
Anzitutto, amo il classico topico dei due migliori amici, praticamente fratelli, che si litigano la medesima donna. Avevo…annusato l’idea di Matt e Dom che litigano per causa di Kate scrivendo uno dei capitoli di Tempo Perso e deciso già allora di voler approfondire il discorso.
Poi c’è il fatto che Dom / Kate è una coppia che m’intriga un casino. Ragion per cui non escludo a priori di scrivere ancora di loro.
Infine, c’è il fatto che avevo promesso a Scioubeez di scrivere una DomxKate, appunto, ed anche se questa si è poi rivelata una cosa un po’ diversa, ho deciso che come “approccio iniziale” alla coppia poteva starci.
 
Mi sento in dovere di ringraziare Aleale00 per l’aiuto, il sostegno e la sua presenza costante. Tutti preziosissimi! <33333
 
Spero vi siate divertiti!
See you, space cowboys!
MEM
 
P.s. “fare a chi piscia più lontano” è una delle espressioni preferite di Erisachan. Ed io me ne sono golosamente appropriata <3
 
  
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